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Il dietrofront dei liberisti

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Ha sorpreso molti un articolo del professor Ugo Arrigo pubblicato alcuni giorni fa sul blog dell’Istituto Bruno Leoni (già Chicago blog). La sorpresa iniziava già dal titolo: “Sono i 70 miliardi di Pil in meno che fanno sforare i conti pubblici”. Il pezzo era improntato ad un’analisi che risulta davvero nuova per il think tank liberista: secondo Arrigo, l’Italia si è comportata benissimo nel gestire la spesa pubblica; se il debito è aumentato e non si riesce a tenere il deficit sotto il 3%, ciò è dovuto al crollo del denominatore, cioè il PIL, crollo a sua volta determinato proprio dall’austerità. Si tratta della stessa identica analisi che gli economisti keynesiani hanno ripetuto ovunque negli ultimi anni, parlando di “self-defeating austerity”, l’austerità controproducente che, per tenere a bada i conti, in realtà ha l’effetto opposto di rendere insostenibile il debito pubblico.

L’articolo si concludeva con una sintesi che Lord Keynes avrebbe senz’altro apprezzato, sorvolando sul retorico richiamo ad un “rigore razionale” (che può benissimo voler dire contenere la spesa pubblica solo dopo che essa abbia prodotto la crescita):

Sintesi: l’Italia ha rispettato pienamente i suoi impegni in termini di livello della spesa pubblica (totale e primaria), tuttavia la recessione prodotta delle manovre ha condotto a un Pil nominale più basso di 70 miliardi e a minori entrate, in gran parte conseguenti, per 47 miliardi che si si sono tradotte in un maggior deficit di 41 miliardi. Poiché la spesa pubblica non è peggiorata nonostante la recessione è evidente che in qualunque ipotesi di minor recessione rispetto a quella effettiva le entrate sarebbero state più alte e il disavanzo più basso.

La recessione è frutto di un rigore fiscale ottuso che ha imposto manovre fiscali autolesioniste, in grado di azzoppare la crescita ma non di migliorare i conti pubblici, l’obiettivo unico che ne aveva giustificato l’adozione. Servono altre ragioni per imporre un drastico cambio di rotta? Che non è evidentemente il ritorno al lassismo finanziario bensì l’introduzione (sarebbe infatti la priva volta) di un rigore razionale.

Dev’esserci stato un certo scandalo all’interno del think tank se il prof. Arrigo ha sentito l’esigenza di rettificare con un successivo articolo (“La crisi e l’impossibilità del keynesiano liberale”). La tesi qui avanzata non è dissimile da quella di Perotti che, facendo autocritica sull’austerità espansiva, concludeva però che non vi era alternativa. L’Italia, in particolare, ha un debito pubblico molto elevato e difficoltà di finanziarsi a tassi ragionevoli. Pertanto non si può aumentare la spesa pubblica. Bisogna – dice Arrigo – stabilizzare il debito pubblico e in prospettiva ridurlo.

Quel che forse Arrigo non ricorda è che la stabilizzazione del debito pubblico è esattamente ciò che gli economisti keynesiani e “critici” hanno già proposto nel 2006, inascoltati, con un appello fondato sulle medesime motivazioni: l’austerità avrebbe depresso la crescita, meglio quindi non puntare alla riduzione del debito ma concedersi un po’ di spazio fiscale in più.

Oggi la situazione è evidentemente diversa, ma se Arrigo riconosce che l’austerità fa aumentare il rapporto debito/PIL, allora ne consegue che una strategia di stabilizzazione non può che passare attraverso una politica per lo meno “neutra” sul piano fiscale. Si può però fare di più: alleggerire il carico fiscale sui redditi medi e bassi, compensandolo con un aggravio sulle rendite e i redditi più alti. E, ovviamente, combattere seriamente l’evasione fiscale, ben sapendo tuttavia che si tratta di una misura di lungo periodo. Questa strategia permetterebbe di sfruttare la maggiore propensione al consumo della classe media e dei lavoratori a basso reddito, incrementando il moltiplicatore fiscale. Queste sarebbero “riforme strutturali” ben più efficaci di quelle del mercato del lavoro.

E, ancora, si può agire anche sul lato della spesa puntando su quelle che possono produrre maggiore occupazione (si veda, in proposito, il capitolo 20 della Teoria Generale), drenando risorse da quelle palesemente inutili (dalle pensioni d’oro agli F35). 

Vi sono però altri punti che vanno affrontati.

1. Non ci si può arrendere all’idea che i mercati finanziari siano lasciati liberi, in larga misura, di determinare i tassi di interesse ai quali gli stati si finanziano. Un cambiamento in questo senso può essere ottenuto per due vie: la prima è insistere, con una azione concertata tra i paesi periferici, perché la BCE dichiari un tetto per i rendimenti dei titoli di stato. Va ricordato ai nostri amici liberisti, infatti, che a Mario Draghi è bastato dichiarare che la BCE avrebbe fatto “tutto quanto è necessario per salvare l’euro” perché i tassi crollassero. Un impegno della BCE per portare lo spread, diciamo, non oltre i 100 punti, avrebbe il medesimo effetto. Ancora, sebbene la BCE non possa per statuto monetizzare i deficit degli stati periferici, questi ultimi possono usare il canale delle banche pubbliche per ottenere tassi agevolati. Se fosse considerato dalla Commissione europea e dalla Germania una violazione di fatto dei Trattati, ciò potrebbe persino essere salutare e aprire un conflitto del quale si sente urgente bisogno.

2. Esiste davvero, nel quadro attuale dell’eurozona, un vincolo all’applicazione di politiche keynesiane, di cui Arrigo non parla, ovvero la bilancia dei pagamenti. Un’espansione dei paesi periferici produrrebbe infatti un nuovo squilibrio delle partite correnti, il che porterebbe i mercati a scommettere nuovamente sulla deflagrazione dell’euro. Questo aspetto è ciò che viene affrontato nella proposta di un “euro moneta comune”, nel quale gli stati tendenzialmente in surplus vengono in parte caricati dell’onere di prevenire e ridurre gli squilibri, permettendo a ciascun paese di perseguire politiche espansive e di piena occupazione senza temere di minare l’equilibrio esterno. Esistono comunque spazi per interventi di spesa pubblica e di credito agevolato mirati, tesi in particolare alla sostituzione delle importazioni e in generale alla riqualificazione dell’offerta. Anche qui, se fosse sollevata dall’UE l’obiezione di incentivi illegittimi alle imprese, si aprirebbe un auspicabile conflitto.

Infine, Arrigo si dice disponibile a valutare quello che chiama “keynesismo liberale”, consistente nella semplice riduzione delle tasse. Come ci dice non solo la teoria, ma studi empirici di fonte tutt’altro che sospetta (FMI, BCE), i moltiplicatori delle tasse sono molto minori di quelli della spesa, sebbene questa differenza sia probabilmente meno accentuata in un paese, come l’Italia, con un’altissima pressione fiscale. Da ciò consegue che la sola riduzione delle imposte, questa sì, porterebbe il debito pubblico su un percorso insostenibile. 

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18 commenti su “Il dietrofront dei liberisti

  1. Ma, aldilà di tutte queste buone considerazioni, partiamo da un dato, anzi da un comportamento, di fondo che ci dà l’idea della cooperazione e delle asimettrie comportamentali dei vari governi europei. Mi chiedo: perchè noi italiani dobbiamo sempre essere più realisti del re http://www.economiaepolitica.it/index.php/primo-piano/leccezione-tedesca-nel-collocamento-dei-titoli-di-stato/#.Uk61qFMvJEI? Perchè?
    Guardiamo il sistema bancario tedesco, praticamente con alte percentuali di Stato quale azionista. Quanto debito (tedesco) comprano le banche tedesche semi-nazionalizzate? E lo stesso in Francia http://deutsche-wirtschafts-nachrichten.de/2013/04/14/geheim-operation-draghi-erteilt-frankreich-lizenz-zum-gelddrucken/ ? Perchè l’Italia invece è sotto accusa per la “paventata” nazionalizzazione MPS? Perchè questa disparità di trattamento? E Letta oggi nomina Cottarelli nuovo mister “spending review”. Se non fosse che gli italiani subiranno tali contraccolpi sulla loro pelle, direi che siamo alla farsa più ridicola.

  2. L’ha ribloggato su flaneurkh.

  3. Questo articolo accenna ad alcuni interventi concreti ed utili:
    – spostamento carico fiscale su rendite e su redditi elevati / sommersi
    – tagli / sacrifici sulla spesa pubblica per offrire sostegno mirato alle imprese che investono per riqualificare l’offerta

    Non basta, ma sarebbe già un bel passo nella giusta direzione …

    Prevedo pochi commenti: non essendo incentrato sui soliti temi dell’uscita dall’euro, della monetizzazione del deficit pubblico, etc. etc. non scatenerà la solita gazzarra tra le opposte tifoserie dei saputelli …

    Un cordiale saluto.
    http://marionetteallariscossa.blogspot.it/

  4. saputelli o meno mi limito ad analizzare questo passo , perche poi tutto il resto mi sembra come un invocazione ai nostri amici “liberisti”amici di chi ?è continuare ha chiedere al diavolo di essere amico dell,umanita e lavorare per la salvezza dell,anima umana. ecco il pezzo che voglio commentare:…….Quel che forse Arrigo non ricorda è che la stabilizzazione del debito pubblico è esattamente ciò che gli economisti keynesiani e “critici” hanno già proposto nel 2006, inascoltati, con un appello fondato sulle medesime motivazioni: l’austerità avrebbe depresso la crescita, meglio quindi non puntare alla riduzione del debito ma concedersi un po’ di spazio fiscale in più……quindi questi signori ammettono che si poteva fare diversamente e guarda caso che combinazione lo hanno capito solo ora ,ma che bravi!!!prima mettono in ginocchio un economia e poi dicono con una faccia di bronzo forse abbiamo sbagliato ma a chi vogliono darla a bere queste “entita”e noi che dovremmo fare,noi non voi non dovremmo dire ma andate a cacare e toglietevi dalle palle….altro che amici liberisti che dio li stra………..

  5. quando dico prima mettono in ginocchio un economia e poi dicono…………ecc intendo dire che era propio questo lo scopo che si erano prefissato con quella politica- economica

  6. da un non economista una domanda che trae spunto dal vs primo link:
    se uno stato opera tagli di tasse per 5 miliardi, e presupponendo che il molptiplicatore fiscale sia 1 il pil aumenta di 5 miliardi; se in contemporanea lo stato taglia la spesa pebblica di 5 miliardi e supponendo un moltiplicatore dlla spesa pubblica sia 1,5 il pil diminuisce di 7,5 miliardi quindi lo stato va in deficit di 2,5 miliardi: questo modo di impostare i conti è corretto?
    grazie

    • No, nel suo esempio quello che cala di 2,5 mld è il PIL

      • grazie, avrei voluto scrivere pil ma ho scritto stato. quindi per andare in “pari” lo stato se taglia di x le tasse dovrebbe tagliare la spesa sociale di un valore maggiore di x, o sbaglio? infine una domanda se non ricordo male ho letto che il moltiplicatore fiscale è difficilmente eguale ad uno, ma inferiore.
        infine una richiesta: potreste mettere on line un “sunto” riguardo i moltiplicatori della spesa pubblica e del moltiplicatore fiscale?
        grazie (anche per l’ottimo lavoro di divulgazione)

      • a) Sì, ma se lo facesse i rapporti deficit/PIL e debito/PIL aumenterebbero ed è quello che conta.

        b) Il moltiplicatore delle tasse è minore di 1, quello della spesa è maggiore di 1.

        c) https://keynesblog.com/2012/04/04/per-risparmiare-occorre-spendere/

      • quindi se cala il pil di 2,5 miliardi e supponiamo una tassazione media del 30% lo stato va in deficit di 750milioni di euro (non so se il 30% è plausibile; Sapir in un suo articolo del 2013 usava per la Francia se non ricordo male addirittura un 40%) [e si suppone un moltiplicatore delle tasse eguale ad 1: se è inferiore è ancora peggio]
        a questo punto una domanda personale: quando gli stati aboliscono una tassa, ad esempio Imu, hanno il dato certo, ad esempio 1 miliardo; sui media si legge “si deve trovare il miliardo a copertura con tagli alla spesa pubblica”: è plausibile che chi opera in questo modo non sappia che il moltiplicatore della spesa pubblica è maggiore di 1? oppure chi opera in questo modo è seguace della scuola di pensiero liberista che afferma che i moltiplicatori non esistono?
        grazie

      • Interpretare il pensiero economico dei politici italiani richiederebbe un secondo blog apposito :)

        Di solito si limitano a sostituire una tassa con un’altra. Se tagliano la spesa, non è mai o quasi mai un taglio mirato alle spese realmente inutili (come le pensioni d’oro). Per cui procedono con tagli “lineari” a tutti i capitoli di spesa o, peggio ancora, si accaniscono sugli stipendi pubblici, le pensioni, la scuola e la sanità perché, purtroppo, più facile tagliare la carta igienica alle scuole o bloccare gli stipendi statali che tagliare i veri privilegi.

  7. A scorrere la sezione del Def,tavola 1,Indicatori di finanza pubblica,qualcosa non quadra

    http://www.mef.gov.it/doc-finanza-pubblica/def/2013/documenti/NOTA_AGG_24-09-2013.pdf – tabella 1

    Le prime tre righe sono illuminanti . Infatti a fronte di un Avanzo Primario cumulato per gli anni 2013/2017 del 17.4% si sosterranno spese per interessi sul debito del 26.6%, da cui avremo che il debito salirà solo per questo motivo del 10%!!

    Tuttavia, nella Tabella si vede come il rapporto debito/PIL sia previsto in progressivo graduale ridimensionamento.
    Se in 5 anni solo per effetto dell’indebitamento netto salirà del 10%, come si fa a scrivere che scenderà addirittura del 10%?
    In realtà, Saccodanni ci fa sapere che il rapporto debito/PIL si ridurrà a causa di una eccezionale crescita del PIL nel periodo 2013/2017 di ben 230 miliardi, ovvero un incremento del 14.7%!!! Mah
    La crisi è finita.
    Imbonitori o mio errore?

  8. […] Continua a leggere »spesa pubblica,  […]

  9. johnny doe,
    evidentemente prevedono una crescita del pil nominale del 20%. circa 6% reale (sopra dice che prevedono crescita pil dall’1 all’1.9 nei 4 anni) e 14% inflazione.

  10. prevedono….ma come fa a calare il rapporto debito/pil se il debito aumenta del 10% come si fa a dire che scenderà del 10%? Ci vorrebbe un incremento del pil superiore,e non del 6%….

  11. te l’ho già spiegato! se il debito nominale aumenta 10 e il pil nominale 20, il rapporto diminuisce! inutile dire che per me le loro previsioni sono demenzialmente ottimistiche…

  12. “Il moltiplicatore delle tasse è minore di 1, quello della spesa è maggiore di 1.”

    così, buttata così, una Verità Assoluta.
    del resto, è facile. si prende un piccolo sottoinsieme dei paesi nel mondo, si prende un piccolo sottoinsieme di anni selezionati, si astrae da qualsiasi fattore che determini l’influenza di tasse e spesa (spendere in ricerca è uguale a spendere in forestali, ridurre le tasse in un mercato concorrenziale è uguale a farlo in un mercato monopolistico), si MEDIA TUTTO ALLEGRAMENTE, ed ecco pronto il DOGMA.

    poi succede che alzi continuamente, da decenni, tasse e spesa (cosa espansiva, ovviamente, se il moltiplicatore della spesa è maggiore di 1 e quello delle tasse è minore di 1), e il tuo paese collassa.

    ma questo chiaramente non intacca il DOGMA.

  13. e inutile che stiamo qua a cincischiare….lotta agli evasori..
    dovrebbe essere uno slogan che vi entra nella testa
    http://www.4minuti.it/news/editrice-europea-srl-meno-tasse-basta-guerra-evasione-0078070.html

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