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L’Italia, il crollo della domanda interna e le necessità dello sviluppo

Una spirale recessiva. Questa la situazione che si sta realizzando in molte parti dell’eurozona, con accenti particolarmente preoccupanti per i paesi periferici e tra questi l’Italia. All’indomani della pubblicazione del Rapporto Istat, che aveva già ampiamente tratteggiato i contorni del drammatico quadro macroeconomico che caratterizza il nostro paese, riflessioni sugli sviluppi della crisi italiana e sulle prospettive di un suo superamento sono l’oggetto di un articolo del Manifesto, ripreso da Sbilanciamoci.info, che segnaliamo ai nostri lettori.

“L’attività produttiva ha patito il crollo dei consumi e degli investimenti, diminuiti di oltre il 5% rispetto al 2011. Di conseguenza, malgrado la moderazione salariale, la disoccupazione ha continuato a crescere e la situazione di finanza pubblica, a dispetto dell’aumento delle imposte, non è migliorata. Unico elemento positivo è il saldo della bilancia commerciale con l’estero, tornato positivo; a partire da quest’anno l’interscambio di beni e servizi non contribuisce più al deflusso di risorse dal nostro Paese.”

Un dato incontrovertibile della dinamica economica italiana è dunque rappresentato dalla forte contrazione della domanda, appena attutita dalla sostituzione di parte delle importazioni con beni di produzione nazionale. I dati sul fronte fiscale sono peraltro in grado di far luce su una caduta della domanda persino superiore a quella stimata dall’Istat:

“Secondo i dati pubblicati dal Dipartimento delle finanze del Ministero dell’Economia, nel primo trimestre le entrate fiscali sono aumentate di solo lo 0,7% rispetto all’anno precedente e sono diminuite del 6,2% nel mese di marzo; gli incassi relativi all’IVA sono addirittura diminuiti dello 0,1% nei tre mesi e dell’1,8% a marzo. Questi ultimi dati sono particolarmente sconfortanti perché costituiscono un indizio di una progressiva caduta della domanda, persino d’intensità superiore a quella stimata dall’Istat, tenuto conto che ci si sarebbe potuto attendere una crescita del gettito per effetto dell’inflazione (i prezzi sono saliti di oltre il 3%) e dell’aumento del carico fiscale con l’innalzamento dal 20 al 21% dell’aliquota base.”

L’avvio di un processo di avvitamento che va dall’aumento della pressione fiscale, alla contrazione della domanda e del reddito, alla caduta del gettito fiscale è ben visibile ed è ben compreso dai mercati finanziari con effetti più che negativi sullo spread dei titoli di debito italiano che non tardano a farsi sentire.

La ragione di tutto questo dovrebbe d’altra parte essere più che comprensibile: la caduta della domanda è infatti il riflesso di pesanti decurtazioni dei redditi delle famiglie non solo a seguito dell’aumento delle imposte, ma anche degli effetti delle riforma pensionistiche e del grado di precarietà che impera sul mercato del lavoro. E tutto questo accade mentre vengono effettuati alleggerimenti sulle imposte sul reddito delle imprese, mentre nulla viene toccato degli stipendi e bonus dei supermanager, o dei costi della politica. Per non parlare dell’assenza di cenni alla reintroduzione dell’imposta di successione, o dell’esigua tassazione sui capitale scudati.
Ecco perché è lecito affermare che:

“Occorre quanto prima adottare una visione sociale ed economica del tutto differente in grado di rilanciare le attività e l’occupazione e risanare i conti. La vittoria di Hollande in Francia dischiude una prospettiva di trasformazione economica e sociale che probabilmente rappresenta l’ultima possibilità per l’Europa di evitare lo spettro della disgregazione e dei fallimenti a catena. La crisi richiede risposte di alto profilo sul processo di produzione e distribuzione delle ore lavorate e del reddito, sul ruolo della finanza nel riallocare le risorse nel tempo e tra settori, aree, persone.
Più in generale è necessaria una riflessione sulla funzione del mercato e dello stato in un mondo in cui lo sviluppo delle forze produttive rende potenzialmente sovrabbondante la disponibilità di ogni bene rispetto ai bisogni individuali. Occorre interrogarsi su come si può conciliare il valore, negli ultimi decenni intoccabile, della proprietà individuale con il più alto valore del benessere di una collettività di persone.”

Una contraddizione fondamentale del capitalismo, quella della “povertà nell’abbondanza” di keynesiana memoria, che la deriva finanziaria del capitalismo esaspera, e che spinge Keynes stesso a formulare un obiettivo di sviluppo di qualità per tutti:

“Qualsiasi rimedio possa essere il migliore per risolvere il problema della povertà nell’abbondanza, noi dobbiamo rifiutare tutte quelle soluzioni proposte che consistono, in concreto, nello sbarazzarsi dell’abbondanza. Può essere vero che , per varie ragioni, al crescere dell’abbondanza potenziale si fa più difficile il problema di distribuirne i frutti alla gran massa dei consumatori. Ma è all’analisi e alla soluzione di questa difficoltà che dobbiamo rivolgere la nostra intelligenza…”

( J.M. Keynes, Poverty in Plenty: is the Economic System self-Adjusting?, Collected Works of Keynes, MacMillan – Cambridge University Press,London,1987, vol.XIII, p. 485).

Leggi l’articolo: http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/Il-bilancio-in-rosso-del-governo-Monti-13749

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14 commenti su “L’Italia, il crollo della domanda interna e le necessità dello sviluppo

  1. Reblogged this on Verso un Mondo Nuovo and commented:
    “Secondo i dati pubblicati dal Dipartimento delle finanze del Ministero dell’Economia, nel primo trimestre le entrate fiscali sono aumentate di solo lo 0,7% rispetto all’anno precedente e sono diminuite del 6,2% nel mese di marzo; gli incassi relativi all’IVA sono addirittura diminuiti dello 0,1% nei tre mesi e dell’1,8% a marzo. Questi ultimi dati sono particolarmente sconfortanti perché costituiscono un indizio di una progressiva caduta della domanda, persino d’intensità superiore a quella stimata dall’Istat, tenuto conto che ci si sarebbe potuto attendere una crescita del gettito per effetto dell’inflazione (i prezzi sono saliti di oltre il 3%) e dell’aumento del carico fiscale con l’innalzamento dal 20 al 21% dell’aliquota base.”

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  3. Nazionalizzateci tutti!

  4. Avremo tra un anno un nuovo governo, dopo che quello attuale ha sostanzialemente peggiorato le cose anzichè migliorarle…
    E chi avremo???? Facile: la sinistra italiana, che affronterà il crollo dell’immobiliare con qualche mini-sgravio imu (più di facciata che di sostanza) e una mazzata chiamata “patrimoniale sui grandi patrimoni” (così, avremo in tanti la consolazione di essere considerati ricchi).
    Poi darà qualche assegno per i redditi bassi, ma, in compenso, alzerà le aliquote, facendo passare la voglia anche agli ultimi che si ostinano a lavorare.
    Quindi, di fronte alle crescenti frizioni sociali tra italiani ed immigrati, in momenti di crisi, darà agli stranieri diritto di voto e cittadinanza.
    Affronterà il problema del costo dell’energia e dello sfacelo industriale del settore introducendo una green-tax da 10-20 cents sul litro di carburante, e lasciando impazzire le bollette pur di non farsi mancare quelle belle inaugurazioni di impianti green.
    Aumenterà la spesa pubblica traendo le risorse dal mondo produttivo non clientelare.
    E molti imprenditori voteranno coi piedi e se ne andranno altrove.
    Altri invece chiuderanno e… festa finita.
    Potrei continuare, ma credo che anche solo alcune di queste misure trasformeranno l’Italia da paese disastrato in un paese arretrato.

    • Se ho capito bene, il governo dei presunti tecnici non le piace. Capisco e condivido. Un governo di sinistra potrebbe, a suo giudizo, far peggio. Non condivido, ma le esperenzie passate non lasciano presagire nulla di buono.
      Non è che per caso è un nostalgico …. di quando c’era lui?
      Perchè se è così, mille volte meglio la sinistra. La quale sarà costretta, ancora una volta, a rinunciare ai suoi programmi per rimediare ai disatri che S.B. e i presunti tecnici avranno arrecato a questo paese.
      Sbagliando nuovamente.
      Forse se la sinistra attuasse una volta per tutte i suoi programmi di equità fiscale e sociale e si assummesse degli impegni di politica economica e industriale per rilanciare l’economia e ridurre la disoccupazione, anzichè inseguire le sirene dei liberisti da strapazzo e del pareggio di bilancio (che ha votato per inserirlo in Costituzione!) sarebbe meglio. Ma la classe dirigente di questa sinistra è bravissima a farsi del male da sola. Quindi non si fasci la testa prima del tempo. Abbia pazienza: dopo aver risanato i conti pubblici per la terza volta, ci penserete voi a riportarci nel baratro!

      • Svalutare significa espansione monetaria. Il nuovo denaro deve entrare nell’economia da qualche parte — i pagamenti agli esportatori, per esempio.
        La bolla conseguente viene interpretata come un segno del successo della svalutazione. Ma questa è accompagnata dagli effetti deleteri ben noti come l’aumento del livello dei prezzi, la redistribuzione del reddito e l’avvio sistematico di investimenti improduttivi.
        Dato che i prezzi dei fattori di produzione degli esportatori aumenteranno e i benefici della svalutazione svaniranno, ci saranno richieste per una maggiore espansione monetaria. Se più di un paese persegue questa politica, ne consegue una gara disastrosa verso il basso.
        La soluzione è una moneta sonante.
        Una moneta sonante rivela la cattiva politica economica e costringe ogni paese a vivere all’interno dei suoi mezzi.
        I governi finiranno sotto pressione per liberalizzare le loro economie e si libereranno dai parassiti distruttori di ricchezza.
        La svalutazione ritarda questo processo.

  5. Secondo un pensiero molto comune la chiave per la crescita è la domanda di beni e servizi. Si dice che incrementi e diminuzioni della domanda per beni e servizi sono dietro alla crescita e al declino della produzione di beni. Quindi, per continuare a far girare l’economia, le politiche economiche devono prestare molta attenzione alla domanda aggregata.
    Ora, parte di questa domanda, le esportazioni, proviene dall’estero. Allo stesso modo i beni e servizi prodotti all’estero che compriamo sono chiamati importazioni. Bisogna osservare che mentre un incremento delle esportazioni implica un aumento della domanda dei prodotti locali, un incremento delle importazioni lavora invece in senso opposto.
    Quindi le esportazioni, secondo questo pensiero, sono un fattore che contribuisce alla crescita economica, mentre le importazioni la frenano.
    Da questo punto di vista segue che, siccome la domanda estera di beni e servizi è un importante ingrediente per far crescere l’economia, ha molto senso rendere i beni e servizi prodotti all’interno del paese appetibili per gli stranieri.
    Uno dei modi per stimolare le esportazioni è farle costare meno, rendendole quindi più attraenti per il consumatore estero.
    Uno dei modi per aumentare la competitivtà per gli Europei è di svalutare l’euro nei confronti del dollaro.
    Assumiamo che la Banca Centrale Europea (BCE) annunci una politica monetaria espansiva e che il cambio crolli a 50 centesimi di dollaro per euro.
    Possiamo così concludere che, come risultato di una svalutazione e a parità di altre condizioni, la domanda aggregata di prodotti europei molto probabilmente crescerà. Questo a sua volta darà luogo ad una migliore bilancia dei pagamenti e crescita economica più sostenuta in termini di PIL.
    In breve, l’Europa avrà più esportazioni e meno importazioni, cosa che nel pensiero mainstream è una grandiosa notizia per l’economia.
    Ma le cose a ben capirle non stanno così.
    Quando una banca centrale annuncia di voler attuare una politica espansiva, questo conduce ad una reazione nel mercato dei cambi e a una svalutazione della moneta oggetto dell’espansione. In risposta, molti produttori troveranno ora favorevole aumentare le loro esportazioni. Per finanziare l’incremento della produzione, gli imprenditori chiederanno prestiti alle banche commerciali le quali, grazie all’iniezione di credito da parte della banca centrale, saranno felici di concederli a tassi di interesse più bassi.
    Grazie al credito concesso, gli imprenditori potranno assicurarsi le risorse necessarie per espandere la produzione di beni e soddisfare la domanda estera. In altre parole, tramite il nuovo credito, i produttori trasferiranno risorse reali via da altre attività. Finchè i prezzi interni rimarranno immutati, gli esportatori registreranno profitti record (per lo stesso quantitivo di moneta estera guadagnata ora riceveranno di più in termini di moneta locale).
    Questo “miglioramento” della competitività dovuto alla svalutazione, in realtà, si tradurrà in un impoverimento dell’economia.
    Infatti, ora i cittadini del paese che ha svalutato otterranno meno in termini di beni importati in cambio degli stessi beni esportati. Mentre il paese si arricchirà in termini di moneta estera, starà diventando più povero in termini di ricchezza reale, ovvero i beni e servizi necessari per mantenere lo stile di vita ed il benessere dei propri cittadini.
    Con il passare del tempo, gli effetti della politica monetaria espansiva si tradurranno in un eterogeneo e variegato aumento dei prezzi di beni e servizi che infine andrà ad incidere sui profitti degli esportatori. L’aumento dei prezzi metterà fine al tentativo illusorio di creare prosperità dal nulla.
    Allora, contrastiamo questa politica di svalutazione competitiva con un’altra, conservativa, in cui l’offerta di moneta non si espande.
    Sotto queste condizioni, quando il quantitativo di ricchezza reale del paese si espande il potere d’acquisto della moneta fa lo stesso. Questo, a parità di altre condizioni, conduce ad un’apprezzamento della moneta. Con l’espansione della produzione di beni e di servizi e la conseguente diminuzione dei prezzi e dei costi di produzione, i produttori locali possono incrementare i loro profitti e la loro competitività nei mercati esteri anche se la moneta si sta apprezzando. Dobbiamo notare come nel contesto di una politica di svalutazione i profitti degli esportatori sono ottenuti a spese delle altre attività dell’economia, mentre, in questo contesto i guadagni non avvengono a spese di nessuno, ma sono frutto di una espansione della ricchezza reale.
    Bisogna inoltre rimarcare come, contrariamente al pensiero popolare, una politica restrittiva, sia fiscale che monetaria, fornisce supporto a chi produce ricchezza mentre danneggia chi svolge attività parassitarie. Roubini e gli altri esperti, richiedendo politiche espansive, stanno in realtà chiedendo di rafforzare le attività parassitarie e quindi di prolungare la recessione.
    In altre parole: secondo alcuni esperti, ciò che è necessario per “risolvere i problemi” dell’Eurozona non sono politiche di austerità, ma una forte svalutazione dell’euro. Alcuni, come Roubini, chiedono addirittura una svalutazione del 20%. Tra aprile e dicembre dello scorso anno l’euro si è indebolito rispetto al dollaro di quasi il 13% eppure l’attività economica ha continuato a rallentare. Perchè una svalutazione del 30% dovrebbe rivitalizzare l’economia?
    Perché questa raccomandazione è basata su di un ragionamento erroneo.
    Se una politica del genere avrà effetti, questi non potranno che peggiorare e di molto la condizione delle economie europee coinvolte.
    L’Italia delle svalutazioni competitive stava per fallire se non fosse entrata nell’Euro. E adesso c’è chi vorrebbe ricominciare a fare le svalutazioni competitive anche in Europa pur di non mollare i programmi di spesa in deficit dello stato sociale che favoriscono non il benessere della gente, ma il suo progressivo impoverimento a favore delle burocrazie parassitarie dello stato sociale.

    • Caro liberistadastrapazzo, non fare il copia incolla dei vari siti web, dove tecnocrati o economisti milionari scrivono “fanfarie”. Se avessi studiato 1 anno di economia, macroeconomia, economia politica, capiresti che sopratutto l’Italia nei periodi di vacche magre, svalutava la lira, in quanto riusciva a mantenere lavoro, e riusciva ad essere più competitiva con i paesi europei e mondiali, i quali venivano nel nostro paese e creavano ricchezza. Con L’Euro tutto questo non è possibile, in quanto la svalutazione che tu hai ribattezzato del 13% non è del mercato reale, ma bensi’ del cambio Euro/Dollaro, che al massimo può interessare gli speculatori finanziari. Difatti in quel periodo tutti erano pronti a speculare sull’euro, che per giunta non ha nemmeno una Banca che lo protegga. Nella vita reale, si produce ricchezza, quando la domanda è almeno pari all’offerta. Per creare una ricchezza maggiore, occorre una domanda interna maggiore. In Italia al momento abbiamo una domanda al ribasso ogni mese, ed a sua volta l’offerta non potendo piazzare beni e servizi è costretta a chiudere. Questa si chiama “Recessione” ed aggiungo io “Galoppante”, che porta soltanto povertà in tutte le fascie di livello medio e basso della popolazione. Prepariamoci con questa politica di Austerità ad avere 15 milioni di pover assoluti in Italia e molte decine di milioni in Europa. Cosa servirebbe al momento in Italia? Ipoteticamente si possono tentare 2 strade. La prima consiste in una uscita immediata dall’ Euro, una svalutazione del 25/28% della nuova moneta, politiche che non tassassero le aziende che verranno in Italia ( Vedendola appetibile, molte aziende Cinesi ed Asiatiche ma anche Statunitensi verrebbero in Italia ) per almeno 3 anni con 0 oneri fiscali per chi assume, Salari minimi a 1400 € ( 2.800.000 lire ) ed ore di lavoro maggiorate 10 ore al giorno in fabbrica, ma in generale in ogni settore. PErchè questo? Principalmente per ripagare l’azienda che sta puntando sul cittadino con stipendi dignitosi almeno per 3 anni che gli oneri fiscali sono a 0. Alla fine dei tre anni, quando i cittadini riavranno i soldi necessari, iniziare a tassare gradatamente fino ad un tetto massimo del 35%. ( Praticamente quello che hanno fatto in Argentina dal 2001 ad oggi ). L’altra strada sarebbe invece una svalutazione dell’ Euro, ma capisco che se non fanno gli Eurobond, non si può parlare affatto di svalutazione del 25/28 % dell’ Euro reale. Quindi la prima strada è quella più percorribile. E’ normale che questo si puo attuare prima di una guerra civile, altrimenti difficilmente gli altri paesi con una guerra in atto, verranno in Italia a creare lavoro.

  6. Se la può rincuorare la quantità di moneta nella zona Euro in questo momento non cresce, nonostante i prestiti della Bce al sistema bancario.
    Ma non mi sembra che le cose stiano andando bene: la disoccupazione è in crescita ed ha raggiunto l’11%, con punte del 25 per la Spagna.
    Negli Usa, la moneta cresce del 17%, il pil cresce e i prezzi sono fermi al 2% (un bel rebus per i monetaristi da strapazzo). In compenso la disoccupazione sta scendendo ed è arrivata all’8%.
    Piccolo particolare: gli Usa si sono avvantaggiati di una strisciante svalutazione del cambio verso l’euro fino a poche settimane fa.
    Si potrebbe dire: quando le teorie dei liberisti da strapazzo sono del tutto campate in aria.

  7. Il punto sta nel fatto che, come facevano una volta i comunisti da strapazzo, anche i liberisti, compresi quelli non da strapazzo, ragionano in termini dogmaticamente ideologici. Quindi, di fronte al fatto che la realtà si ribella ai loro schemi astratti e scolastici, preferiscono rovesciare l’analisi in modo da costringere la realtà nello schema prefabbricato. Tipico atteggiamento utopico e giacobino che può riassumersi nel detto “se la realtà da torto alla teoria, tanto peggio per la realtà”. La nomenklatura sovietica non si accorse che mentre essa celebrava i “fasti” della teoria, l’intero edificio stava crollando sotto la spinta della realtà. Alla nomenklatura liberista, vecchia e nuova, sta accadendo la stessa identica cosa: celebra i suoi “fasti” teorici sulle macerie del sistema, ormai quaratennale, che a partire da Reagan e dalla Tatcher ha preteso di mettere in piedi ma senza vere fondamenta. Le “torri di Babele” prima o poi crollano tutte.

    • “If your friend were in trouble because he had too much debt, would you encourage him to take on even more? Wouldn’t a real sign of progress be a reduction of debt, even if he had to cut back on his everyday expenses? What is true for an individual is also true for a collection of individuals, even if they call themselves a “government.” If, as a country, we are even deeper into debt now than we were before, we are worse off.”
      Peter Schiff

      • Non sempre ciò che è bene per il singolo è bene per la collettività. Il risparmio è sicuramente una virtuù individuale da apprezzare. Ma se tutti risparmiassero di più, la domanda globale sarebbe inferiore. La produzione si ridurrebbe e l’occupazione calerebbe. A meno che non vi sia qualcuno che utilizzi questo risparmio. Gli imprenditori? E perchè dovrebbero investire se le loro vendite scendono? L’unico che può farlo è il governo. Nel qualcaso, l’indebitamento – se utilizzato bene (anzichè per opere inutili o per soddisfare gli appetiti di qualche clientela) – potrebbe essere una cosa buona.
        Tutto sta quindi nelle persone che guidano il paese.

  8. @giorgio

    Il governo prende i soldi dalle tasse, prese dall’apparato produttivo che quindi invece di spendere in cosumi è costretto a finanziare il debito pubblico, con la differenza che si deve pagare anche chi gestisce quel debito (governi e burocrati, oltre agli interessi)…. la formula Y= C+ I+G è sostanzialmente sbagliata perchè G è un termine che fa calare C ed I sostanzialmente non fa cambiare minimamente Y = C + I . In effetti G si finanzia tramite le tasse ( Iva sui consumi e le altre tipologie di tassazione sugli investimenti), per cui le teorie che basano l’espansione sul debito sono anche in teoria sbagliate, oltre che nella realtà.

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