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Una modesta proposta per una politica economica alternativa e realmente keynesiana

Serve un programma in cui il ruolo dello stato sia centrale per le politiche industriali, che sia socialista nei confronti dei deboli e liberista contro le corporazioni, i forti e i furbi.

Di cosa ha bisogno il nostro paese per uscire dalla crisi ormai pluridecennale nella quale si ritrova? Non certo dell’assistenzialismo (il reddito di sudditanza) con spruzzatine di neoliberismo (la flat tax) del governo Lega-5Stelle. L’Italia è un paese economicamente malato, le cui difese immunitarie si sono da tempo indebolite. Per questo serve una vera cura, non buttare soldi nell’omeopatia economica, per poi magari scoprire che non ne sono rimasti per le medicine vere. Proviamo a delineare pochi ma essenziali punti dai quali un governo alternativo dovrebbe partire per innescare la ripresa. Alcune proposte saranno forse poco popolari, ma agli italiani va fatto un discorso di verità.

1. Per prima cosa bisogna togliere dall’orizzonte ogni sospetto di uscita dall’euro. Buona parte della recessione nell’ultima parte del 2018 (per non parlare dello spread pià che raddoppiato) è stata causata dall’incertezza generata su questo punto dalle forze euroscettiche al governo. Questo non significa accettare l’Europa così com’è (vedasi punto 11).

2. Il deficit è uno strumento indispensabile di gestione della domanda, che però va usato solo per fare investimenti. Questa è sempre stata la regola aurea keynesiana. Una ideale manovra keynesiana per gli anni a venire dovrebbe puntare al pareggio di bilancio per le spese correnti e ad un deficit – non piccolo – indirizzato esclusivamente agli investimenti: trasporti, infrastrutture tecnologiche, ricerca, scuola e università, riqualificazione dell’edilizia pubblica e privata, investimenti in sanità, una seria politica industriale (vedasi punto 7 e seguenti).

3. Quota100 non è sostenibile, tanto più se fatta in deficit visto che ha un moltiplicatore risibile. Rischiamo di dover tagliare le pensioni delle generazioni che oggi hanno meno di 50 anni. Una riforma seria delle pensioni era stata proposta da Tito Boeri – critico verso l’innalzamento previsto dalla Fornero – e prevedeva l’età pensionabile a 65 anni.

4. Il reddito di cittadinanza va sostituito con un programma di “lavoro di cittadinanza” (come suggeriva Minsky). Non è né etico né economicamente sensato pagare qualcuno per non fare nulla, quando ci sono così tante cose da fare. L’attuale formulazione rischia di creare da un lato una massa di poveri ricattabili, costretti ad accettare un lavoro purché sia per non perdere il reddito, come accade in Germania con l’Hartz IV, e dall’altro di favorire evasori fiscali e “furbetti”.

5. E’ inutile e dannoso mettere paletti normativi alle diverse forme di precariato come si è fatto col decreto dignità, se poi, come sta accadendo, questo significa semplicemente che le imprese smettono di servirsi di lavoratori “marginali” senza assumerli a tempo indeterminato. Molto meglio operare con incentivi e disincentivi economici: il lavoro a tempo indeterminato deve costare all’impresa sensibilmente meno di quello precario; in cambio, le imprese devono accettare il ripristino della reintegra in caso di licenziamento ingiustificato.

6. È tempo di istituire un salario minimo legale orario che valga per tutti. I sindacati devono superare le resistenze a questa proposta perché oggi buona parte dei lavoratori non ha un contratto nazionale e non ha alcuna tutela contro lo sfruttamento.

7. Bisogna seriamente combattere la tara strutturale dell’economia italiana: lo sbilanciamento verso le piccole imprese e le produzioni “tradizionali” a basso contenuto di innovazione, che riescono a competere solo comprimendo i costi della manodopera. Senza peli sulla lingua, occorre smetterla di difendere il “piccolo è bello”, l’impresa artigiana “di famiglia”, la botteguccia. L’Italia ha ottime medie e grandi imprese, il problema è che sono poche. Una seria politica economica deve porsi la soluzione di questo problema come priorità per i prossimi 20 anni.

8. Le grandi opere non devono essere un tabù. Un paese moderno ne ha bisogno. Oggi i cantieri sono fermi perché ci sono solo no, che poi cadono di fronte alla realtà. Ma intanto si sono persi anni dietro le proteste di gruppi sparuti.

9. Le grandi imprese di stato sono state e devono tornare ad essere un volano, come lo sono oggi nelle economie emergenti. Serve una nuova IRI e un ampliamento del credito pubblico (non a pioggia ma strategicamente indirizzato) tramite la CDP.

10. Se in certi ambiti serve più stato, in altri serve più mercato. Non si può continuare a proteggere piccole ma rumorose categorie come i tassisti, gli ambulanti, i titolari dei lidi, ecc. La giusta preoccupazione sulle condizioni di lavoro nella “gig economy” va affrontata con un salario minimo legale, ma non si può usare la paura di Uber, Flixbus, Amazon, ecc. per proteggere delle corporazioni di poche migliaia di persone che costano ogni anno miliardi al paese.

11. L’Euro e l’Europa vanno riformati, non distrutti. Due le urgenze: a) la creazione di un asset privo di rischi che sostenga l’euro; b) l’introduzione della golden rule per gli investimenti pubblici, da scomputare dal deficit.

12. Bisogna dire chiaramente agli italiani che sull’immigrazione sono stati ingannati: non sono gli immigrati i responsabili della crisi, della disoccupazione, della povertà, del peggioramento delle condizioni di vita delle classi medio-basse. La retorica anti-immigrazione viene portata avanti da chi vuole dividere i lavoratori per poterli meglio sottomettere.

13. Le tasse devono tornare ad essere progressive, il che significa che bisogna aumentare il numero di aliquote ed elevare quelle più alte. Occorre inoltre una tassa patrimoniale progressiva, equa e strutturale che frutti 10 miliardi all’anno da ridistribuire attraverso il “lavoro di cittadinanza”.

14. Il federalismo ha fallito, moltiplicando i centri di spesa e le inefficienze. Il progetto di secessione fiscale di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna va fermato e il Titolo V della Costituzione rivisto per uniformare e ricentralizzare le funzioni essenziali. La priorità è la sanità, perché è scandaloso che in oltre la metà del paese la sanità pubblica sia diventata troppo costosa per i cittadini.

15. L’Italia è tremendamente indietro sull’auto elettrica. I piani di FCA su elettrico e ibrido sono solo una minuscola frazione di quelli degli altri grandi gruppi. Rischiamo di sparire dal settore auto che per il nostro paese è strategico.

Insomma, serve un programma in cui il ruolo dello stato sia centrale per le politiche industriali, socialista nei confronti dei deboli e liberista contro le corporazioni, i forti e i furbi. C’è qualcuno in grado portare avanti queste proposte? Se non c’è, il populismo continuerà ad avere la meglio.

15 commenti su “Una modesta proposta per una politica economica alternativa e realmente keynesiana

  1. Gentile Redazione di Keynes BLog: è possibile conoscere chi è il redattore di questo articolo? … comunque sia, a mio parere è utopistico parlare di “programma in cui il ruolo dello stato sia centrale per le politiche industriali, socialista nei confronti dei deboli e liberista contro le corporazioni, i forti e i furbi” all’interno della Unione e Europea e con la moneta unica: con queste 2 solide catene nessun governo è “in grado portare avanti queste proposte”

    • “è possibile conoscere chi è il redattore di questo articolo?”

      Noi.

      “comunque sia, a mio parere è utopistico”

      Se lo dice lei.

  2. Potete fornirmi consigli su letture per approfondire i punti trattati?

  3. 1) E’ possibile fare una politica economica espansiva con un forte avanzo del saldo primario?
    2) E’ possibile fare investimenti senza prevedere un aumento delle relative spese correnti per farli funzionare?

  4. Sono d’accordo sulla maggior parte delle proposte.Però:trovo pericolosamente generico il paragrafo sulle grandi opere. Il problema non sta nell’opposizione di “gruppi sparuti (?)”. Sta nel fatto che nella fase attuale le risorse che si consumano e si danneggiano con determinate produzioni sono più rare e preziose di quelle che si ottengono. Si vedano, per le opere stradali e ferroviarie e i tunnel le risorse idriche.Il processo decisionale di un’opera di grandi dimensioni sul territorio non può dipendere da una VIA così depotenziata e indebolita come quella che si fa adesso. Il meccanismo è tale che non si può sfuggire alle contestazioni, che spesso sono fondate perché le motivazioni di un’opera sono poco chiare e non possono essere coperte dal discorso dei “posti di lavoro” nella costruzione,. Di posti di lavoro se ne possono ottenere anche spendendo i soldi diversamente.
    Collegato a questo elemento è la sottovalutazione nel documento della transizione energetica e dei problemi ambientali.
    Il secondo punto critico è l’immigrazione.: sono perfettamente d’accordo, ma non basta. Siamo lontani dal formulare una politica dell’immigrazione che sfugga al dilemma sì/no per passare al come, al quanto, a massimizzare i vantaggi e minimizzare i rischi.
    Sulla tecnologia, non siamo indietro solo sull’auto elettrica. Se i privati non sono in grado, dovrà essere di nuyiovo lo stato a investire sulle tecnologie della comunicazione, dell’energia, della biochimica.
    Infine anche la migliore politica si infanga nella burocrazia. L’incapacità dello stato è il vero punto nodale di una politica Keynesiana.

  5. Se facciamo la “somma” tra il punto 7 e il 15 (mobilità elettrica) non è difficile immaginare il Piano industriale. Si crei un impresa a capitale pubblico per la produzione di auto e camions elettrici, si faccia una programmazione per la produzione elettrica necessaria e la realizzazione di infrastrutture stradali a rotaia elettrificata. Infine si promulghi una legge che stabilisca che entro 3 anni i trasporti di merci e persone devono essere elettrici. Visto che ci siamo aggiungiamo un piano per la chimica verde necessario per lo smaltimento delle batterie pannelli fotovoltaici ecc.ecc.. A spanne sono di 10 milioni di posti di lavoro e la cosiddetta crisi da globalizzazione diventerà un ricordo.

  6. […] Il prof. Leonello Tronti ci ha inviato questo suo articolo in risposta ai nostri 15 punti per un programma davvero keynesiano […]

  7. […] Il prof. Leonello Tronti ci ha inviato questo suo articolo in risposta ai nostri 15 punti per un programma davvero keynesiano […]

  8. L’italia Oggi è in questa situazione grazie all’entrata nell’euro. Concordo pienamente che si dovrebbe rimanere nell’euro; ciò potrà avvenire solo a condizione lo spread venga eliminato; se vogliamo avere una moneta unica dobbiamo avere anche un debito comune, almeno il 80% del pil; su tale debito, garantito dalla Bce il tasso sarà uguale per tutti; per la parte differente decide il mercato; questa è utopia, quindi non rimane che programmare l’uscita da questa moneta.

  9. Condivido in linea di massima il programma, ma ho alcuni dubbi o proposte alternative su altri. Esiste già una tassa patrimoniale sugli investimenti mobiliari. Mentre il capital gain sui titoli di stato è rimasto invariato al 12,5%, sugli altri investimenti l’aliquota è salita al 26%, che poi tramite altri costi più o meno nascosti sale sopra il 33% con punte del 35%.
    Forse considerando l’enorme patrimonio immobiliare in mano alle amministrazioni pubbliche, che rende poco o nulla e che vede contemporaneamente molte amministrazioni prendere in affitto immobili da privati, non sarebbe il caso di fare un censimento e alienare ciò che non serve ed ristrutturare ciò che può essere riutilizzato, eliminando ove possibile gli affitti presso i privati.
    Esistono sperimentazioni che proseguono da anni senza trovare una conclusione:
    penso al numero unico per le emergenze che migliorerebbe i servizi al cittadino diminuendo i costi d’intervento. Tutto ciò trova opposizione nelle diverse amministrazioni.
    C’è tutta la questione informatica: oggi esistono molti solfware free, perchè non rendere obbligatori questi invece di pagare centinaia di milioni di licenze. Tranne in casi particolari, funzionano benissimo le strutture open free.

    Forse vanno anche dimezzate il numero di regioni. Incentivati con maggiori risorse le fusioni tra comuni e ripristinata una cassa del mezzogiorno “prima maniera” con obiettivi di lungo termine.
    Andrebbe rivista(limitata) anche l’autodichia, autonomia economica degli organi costituzionali, visto che molti hanno perso il senso della misura.

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