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Perché i salari non crescono?

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di Leonello Tronti*

Anche in periodi di deflazione come quello in cui viviamo i salari reali non crescono. I dati Istat confermano che la retribuzione lorda media di un dipendente a tempo pieno, calcolata a prezzi del 2015, era pari nel terzo trimestre del 2016 a 2.464 euro mensili (poco più di 1.800 euro netti). Dieci anni prima, nel terzo trimestre del 2006, era identica: 2.463 euro mensili.
Si dirà che il problema è la crisi che, colpendo le imprese due volte tra il 2008 e il 2013, ha proibito qualunque crescita del potere d’acquisto dei salari. Ma se andiamo più indietro e guardiamo cos’è successo prima, quando la crisi non c’era, l’Eurostat ci dice che fatta 100 la retribuzione reale media di un dipendente a tempo pieno italiano nel 1995, nel 2006 l’indice aveva raggiunto il valore di 101,5, anche se nel frattempo l’indice del reddito lordo prodotto dall’economia era passato da 100 a 118,3. Dunque le retribuzioni italiane sono – da almeno 22 anni – rigide verso l’alto, insensibili alla congiuntura. Il dipendente italiano a tempo pieno (quello fortunatamente non toccato dall’enorme crescita del lavoro flessibile) guadagna oggi in termini reali più o meno quello che guadagnava nel 1995.


Perché in Italia i salari non crescono? La risposta è semplice: perché non è previsto che crescano. Il modello contrattuale italiano stabilisce infatti che i contratti nazionali traguardino l’inflazione – ovvero che i salari reali non crescano; e demanda l’ipotetica crescita dei salari reali ai contratti aziendali o territoriali i quali, però, toccano a stento (e per cifre assai modeste) il 30% dei dipendenti delle imprese private. Ne consegue che per il 70% o più dei dipendenti privati il potere d’acquisto dei salari è ancorato ad eterno al valore del 1993, anno di varo del nostro bel modello contrattuale. Mentre per quelli che hanno la fortuna di avere un contratto aziendale la crescita è mediamente modesta, molto modesta.
Le organizzazioni datoriali (con qualche lodevole eccezione) sostengono a gran voce che in questa situazione di crisi i salari non possono aumentare perché non si può distribuire la ricchezza se non la si è creata. Ebbene, è vero proprio il contrario. La ricchezza non si crea perché i salari sono bloccati, e i salari bloccati bloccano i consumi, e i consumi bloccati fanno fallire le imprese e bloccano gli investimenti (ben pochi investono in un paese che non cresce). Infine, gli investimenti bloccati rendono le imprese meno competitive e più fragili, pronte a cadere come un castello di carte al primo soffio di un vento di crisi. Sono dunque i salari bloccati a rendere le imprese fragili e non la fragilità delle imprese ad obbligare il blocco dei salari. Finché non si spezza questo circolo vizioso la ripresa resterà asfittica, così com’è stato dal 1995 ad oggi: le imprese continueranno a fallire, i disoccupati continueranno ad aumentare, la situazione sociale (e politica) diverrà sempre più insostenibile.
La politica salariale dovrebbe attenersi rigorosamente alla sua “regola d’oro”, che richiede di far crescere le retribuzioni reali nella stessa misura della produttività del lavoro, possibilmente secondo precisi obiettivi di sviluppo, ovvero con una visione di anticipo e non ex post (si veda il contratto incentivante FCA-EMEA). La regola è d’oro perché assicura la massima crescita dei salari (e dei consumi, che da essi dipendono) senza esercitare spinte inflazionistiche sui profitti (spinte che, peraltro, oggi sarebbero utili alla ripresa). Qualunque deviazione da questa norma (e l’Italia è in deviazione dal 1993) può essere giustificata solo in una logica esplicita di “scambio politico” (per usare un concetto caro a Ezio Tarantelli): in funzione di ben definiti obiettivi di investimento, occupazione, riqualificazione del lavoro o altro. Così come chiedeva la seconda parte, mai applicata, del Protocollo del 1993. E comunque dovrebbe essere sempre rigorosamente temporanea, per evitare gli effetti strutturalmente negativi sulla crescita che l’economia italiana patisce da allora.
Non dubito dell’immediato valore che il Protocollo ebbe nel 1993 e dintorni. L’economia doveva fronteggiare la più grave crisi occupazionale del dopoguerra (1992-95), connessa con l’adesione al “grande mercato unico europeo”, e doveva al tempo stesso accomodare senza scosse l’ondata di inflazione importata che aveva origine nell’ultima grande svalutazione della lira (settembre 1992), operata per assicurare al Paese l’entrata nel “Club dell’euro” al primo turno. Ma il modello contrattuale andava riformato già nel 1998, sulla base dei risultati della Commissione Giugni, che tra l’altro perorava la diffusione della contrattazione territoriale a livello regionale, provinciale e di distretto, proprio per diffondere la crescita dei salari reali e accrescere la sensibilità macroeconomica delle parti sociali anche a livello locale.
Non averlo fatto per quasi vent’anni ed essersi portati appresso da allora salari reali e consumi bloccati, senza ottenere in cambio pressoché nulla in favore dello sviluppo, né dalle imprese né dai governi di varia coloritura che si sono succeduti, è stato un errore dalle conseguenze tragiche, oggi sotto gli occhi di tutti: un vero peccato mortale della politica economica, a cui va posto rimedio subito. Perché l’economia cresca il mercato deve liberare due, non una sola mano invisibile: quella sul mercato del prodotto, che spinge e tutela la concorrenza, e quella sul mercato del lavoro, che impugna la “wage whip”, la frusta salariale che spinge la singola impresa alla continua riorganizzazione e al tempo stesso, moltiplicata per tutte le imprese che riesce a raggiungere, sostiene attraverso i salari la crescita dei consumi e del mercato interno. Senza l’azione di entrambe l’economia non solo non cresce e non si rinnova, ma anzi si blocca e si indebolisce giorno dopo giorno. Com’è successo all’economia italiana.

* da Repubblica – Affari&Finanza, 20 febbraio 2017. 

6 commenti su “Perché i salari non crescono?

  1. Dal 1984 al 2014 il monte salari,stipendi e pensioni ha avuto un saldo negativo, nel suo potere d’acquisto, del 520%!
    Ecco le prove!
    ECCO LE CAUSE DELL’ATTUALE RECESSIONE SEGUITA DA UNA SOSTANZIALE STAGNAZIONE ECONOMICA!

    TUTTO DIMOSTRATE DA LISTINI PREZZI. QUINDI SONO DA DATI INOPPUGNABILIE! QUINDI NON DA ISTAT!

    L’AUMENTO DEI PREZZI E DEL GETTITO IVA
    NELL’ANNO 2002 LE VECCHIE MILLE LIRE IN MOLTI CASI DIVENTARONO UN EURO E QUESTO PORTO’ AD AUMENTI DEI PREZZI RADDOPPIATI E TANTE VOLTE TRIPLICATI
    E COSI’ AUMENTARONO NELLA STESSA MISURA LE TASSE (IVA) CHE CI SONO SULLA SPESA QUOTIDIANA E SUI SERVIZI.

    ECCO COSA E’SUCCESSO ( SOLO ALCUNI, DEI TANTI, CASI)
    NELL’ANNO 2002 IL GOVERNO HA AUMENTATO
    1)IL PREZZO DELLA BENZINA (AGIP E’ DI STATO) E CON ESSO LE TASSE (IVA + ACCISE = 60%) ( OGGI SIAMO AL 80%)
    2)IL BIGLIETTI D’INGRESSO DI UN MUSEO DA LIRE 4.000 A 4 EURO.
    3)IL BIGLIETTO DELLA LOTTERIA DI CAPODANNO DA LIRE 3.000 A 3 EURO.
    4)LE SIGARETTE AUMENTARONO E CONSEGUENTEMENTE LE TASSE CHE CI SONO SUL PREZZO
    SULL’ESEMPIO DEL GOVERNO
    LE IMPRESE HANNO AUMENTATO (DALLA PRODUZIONE ALLA VENDITA DI TANTI PRODOTTI)
    1)IL PREZZO DI UNA PIZZA MARGHERITA DA ASPORTO PASSO’ DA LIRE 4.000 A 4 EURO E COSI’ RADDOPPIO’ L’ IVA.
    2)IL PREZZO FISSO DI UN PASTO IN TRATTORIA PASSO’ DA LIRE10.000 A 8/10 EURO AUMENTANDO INÂ MODO PROPORZIONALE ANCHE LE TASSE (IVA).
    3) AUMENTARONO I PRODOTTI ALIMENTARI, CIOE’ LA SPESA QUOTIDIANA, AUMENTANDO COSI’ LE TASSE (IVA)
    4) TANTI PRODOTTI PASSARONO DA 200,300,500 LIRE AD 1 EURO E CONSEGUENTEMENTE ANCHE LE TASSE (L’IVA) AUMENTARONO IN MODO PROPORZIONALE
    5) Le case di 100 mq., A FIRENZE, passarono da 400 milioni a 400mila euro e quelle in affito aumentarono anche del 100%!
    6) LE CONSULENZE DI AVVOCATI PASSANDO DA LIRE 200MILA A 200 EURO RADDOPPIARONO
    7) LA FIAT PANDA MODELLO BASE COSTAVA 7 MILIONI E MEZZO ORA COSTA 8200 EURO.
    8) IL PREZZO DELLA BENZINA VERDE NEL 2001 COSTAVA 1970 LIRE( CIRCA O,50 EURO) AL LITRO ED OGGI COSTA CIRCA 1,800 EURO ED ANCHE QUESTO E’ UN RADDOPPIO DEL SUO PREZZO IL CHE COMPORTA L’AUMENTO DEI PREZZI DEI PRODOTTI CHE VIAGGIANO SUI MEZZI DA AUTOTRAZIONE.

    IL PREZZO DEL RISO E’ PASSATO DA 2000 ( CIRCA 1 EURO) LIRE AL KG A 3,50 EURO AL KG
    10) IL PREZZO DEL PANE E’ PASSATO DA 2000 LIRE AL KG/ (CIRCA 1 EURO) A 3 EURO AL KG.

    TUTTO QUESTO, E TANTO ALTRO, HA DETERMINATO IL DIMEZZAMENTO DEL POTERE D’ACQUISTO DI CONSUMI DI PRIMA NECESSITA’ DI CIRCA 35

    MILIONI DI PERSONE, RAPPRESENTATI DAI LAVORATORI DIPENDENTI E PENSIONATI, CON CONSEGUENTE RIDUZIONE DELLA PRODUZIONE DI DETTI CONSUMI E CONSEGUENTE DISOCCUPAZIONE.

    IL RISULTATO E’ STATO:
    NEL 2002 C E’ STATO UN AUMENTO DEI PREZZI E DELLE RELATIVE TASSE NOTEVOLISSIMO A TUTTO DANNO DEI REDDITI FISSI (FESSI) E DEI DISOCCUPATI.
    QUESTA SITUAZIONE HA, DI FATTO TRASFERITO, CENTINAIA DI MILIARDI DAL MONTE SALARI E PENSIONI ALLE PARTITE IVA ED ALLE SPA CHE HANNO RADDOPPIATO I PREZZI.
    NON SOLO, MA IL SISTEMA FISCALE, VIOLANDO L’ARTICOLO 53 DELLA COSTITUZIONE E IN PIENA CONTINUITA’ CON QUELLO MONARCO/FASCISTA, NON REGISTRANDOQUESTO COLOSSALE TRASFERIMENTO DI REDDITI DAL MONTE SALARI E ALLE PARTITE IVA E AZIONISTI DELLE SPA, HA FATTO PAGARE LA STESSA IRPEF, PRIMA DELL’AVVENUTO AUMENTO DEI PREZZI, SIA AI LAVORATORI DIPENDENTI E PENSIONATI SIA ALLE PARTITE IVA, GLI AZIONISTI DELLE SPA HANNO CONTINUATO A PAGARE, POVERACCI, UNA CEDOLARE SECCA DEL 12,5%!!!

    LE PARTITE IVA HANNO REDDITI SOTTOPOSTI A IRPEF CONCORDATI CON IL GOVERNO.
    (CIO’ NON AVVENIVA NEMMENO AI TEMPI MONARCO/FASCISTI)

    PER USCIRE DA QUESTA DRAMMATICA CRISI ECONOMICA E SOCIALE OCCORRE UNA INVERSIONE DI TENDENZA RADICALE.
    QUESTA NUOVA POLITICA ECONOMICA E SOCIALE SI CHIAMA ” ATTUAZIONE DELLA COSTITUZIONE ECONOMICA” PREVIA APPLICAZIONE DEL SUO ARTICOLO REDISTRIBUTIVO DI REDDITO E DI SERVIZI SOCIALI: IL 53 CHE VALE 260 MILIARDI ANNUI RECUPERATI AGLI EVASORI FISCALI.

    IN SINTESI. NELLO STORICO DAL 1984 AL 2014: TUTTO DIMOSTRABILE DA BUSTE PAGA E LISTINI PREZZI DEL PERIODO CITATO!
    I SALARI NETTI SONO AUMENTATI DAL 1984 AL 2014 PER L’OPERATORE TECNICO PUBBLICO DEL 170% CIRCA.

    GLI STIPENDI PER I LAVORATORI DEL COMMERCIO SONO AUMENTATI DEL 193% CIRCA

    I SALARI PER GLI OPERAI METALMECCANICI DI IV LIVELLO SONO AUMENTATI DAL 1984 al 2014 DEL 250%
    I PREZZI CITATI SONO AUMENTATI DAL 1984 AL 2014 DEL 710% CIRCA.

    LA LORO IRPEF E’ AUMENTATA DEL 230%.
    COME NON POTEVAMO NON FINIRE IN RECESSIONE?

    • “LE PARTITE IVA HANNO REDDITI SOTTOPOSTI A IRPEF CONCORDATI CON IL GOVERNO.”
      Infatti io ho “concordato” col governo di farmi togliere il 64% del reddito con le tasse perché mi piace soffrire.

      • Interessante… Non sapevo esistessero aliquote IRPEF del 64%.

      • Tanto per ricordare! Oggi 17 marzo 2017 a pagina 21 di Repubblica

        RAPPORTO DELLA GDF PER L’ANNO 2016.

        Scoperti 8343,tra imprenditori e professionisti,evasori totali. ( Sai benissimo che non è una novità.)Se vuoi saperne di più leggi quella pagina.

        E’ un fatto storico! L’evasione fiscale di industriali,latifondisti, professionisti e artigiani venne denunciata nell’ormai lontano 1920 dall’allora ministro delle finanze Filippo Meda.

        Nella stessa pagina c’è una citazione, inerente ai fatti corruttivi, del Presidente Sandro Pertini del 1974.

        Se a tanti sta bene questo fatto, a molti altri cioè a quelli che concorrono alle spese pubbliche di cui alla’rticolo 53 della Costituzione, con busta paga e pensioni, non sta affatto bene!

    • I salari non crescono per comune intesa tra i politici e i sindacati, questi predicano bene ma fanno i tornaconti loro, e quando si muovono lo fatto troppo tardi quando ormai le cose hanno preso il loro corso (si pensi al discorso dei vouchers).
      Ormai tutto ruoto sulla favoletta che non ci sono i Soldi, certo non ci sono per chi lavora, ma per pagare i sindaci, consiglieri regionali e parlamentari quelli ci sono sempre, poi in questi soggetti il passaggio dalle lire agli euro non è stata un conversione secca, ma solitamente hanno scambiato lira con euro e per magia un ritocco verso l’alto alle indennità. Poi si dice non cresciamo per la passa produttività del lavoro e per i pochi investimenti in nuove tecnologie, in Sardegna quando trovi lavoro è mezzo schiavismo, è la radicalizzazione verso le istituzioni politiche che ci distrugge, allontana gli imprenditori e crea migliaia di nuovi disoccupati.

  2. Ad occhio direi che la ricetta implicita di Leonello Tronti (riformare la contrattazione) lasci molto il tempo che trovi nella congiuntura attuale con la crisi, potremmo dire “strutturale” dei sindacati.

    Molto meglio una nuova iniziativa veramente redistributrice, specie se fatta in modo intelligente e capillare, includendo vouchers e partite IVA, che abbia come obiettivo un salario minimo di 10 Euro netti all’ora (con contribuiti come Dio comanda).

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