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Anche il FMI lo ammette: la precarietà non fa crescere l’economia

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di Guido Iodice e Daniela Palma – da Left del 18 aprile 2015

Dopo che il fallimento della (presunta) austerità espansiva, la Commissione Europea tra il 2013 e il 2014 ha cambiato cavallo. Ora sono le cosiddette “riforme strutturali”, in particolare la deregulation del mercato del lavoro, il refrain delle indicazioni per gli stati membri dell’area euro.

Secondo la Commissione, ma anche secondo il presidente della BCE Mario Draghi (che le invoca in giorno sì e l’altro pure), pare che ridurre i diritti dei lavoratori sia una necessità impellente al fine di accrescere la produttività stagnante delle imprese dei paesi meridionali. In base a questo assunto, negli anni si sono susseguite diverse modifiche del diritto del lavoro, sia da parte di governi di centrosinistra che di centrodestra.

Ma ora il Fondo Monetario Internazionale, nel World Economic Outlook dell’Aprile 2015, sostiene che non vi è alcuna evidenza circa un effetto positivo della flessibilità sul potenziale produttivo. Un’ammissione piuttosto sbalorditiva, se si pensa che la deregolamentazione del mercato del lavoro è sempre stata tra le condizioni dello stesso FMI per l’assistenza finanziaria, compresa quella ai paesi in crisi dell’Unione europea. Secondo il FMI gli effetti delle riforme strutturali sulla produttività sono importanti se si parla di deregolamentazione del mercato dei beni e dei servizi, di utilizzo di nuove tecnologie e di forza lavoro più qualificata, di maggiore spesa per le attività di ricerca e sviluppo. Al contrario la deregolamentazione del mercato del lavoro non sembra avere effetti statisticamente significativi sulla produttività. Per questo il FMI suggerisce alle economie avanzate un costante sostegno alla domanda per incoraggiare investimenti e crescita del capitale, e l’adozione di politiche e di riforme che possono aumentare in modo permanente il livello del prodotto potenziale. Queste politiche dovrebbero coinvolgere le riforme del mercato dei prodotti, maggiore sostegno alla ricerca e sviluppo e un uso più intensivo di manodopera altamente qualificata e di beni capitali derivanti dalle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni, più investimenti in infrastrutture per aumentare il capitale fisico e politiche fiscali e di spesa progettate per aumentare la partecipazione della forza lavoro.

Il FMI arriva buon ultimo dopo che in moltissimi – anche tra gli economisti mainstream – hanno sottolineato che la “via bassa” alla flessibilità, vale a dire ridurre le garanzie e le tutele e agevolare i contratti precari, è nei fatti un incentivo per le imprese a non innovare, sostituendo il capitale e le tecnologie con più lavoro mal retribuito. In altri termini, con la flessibilità si indebolisce quel “vincolo interno” che costringe le imprese a trovare modi migliori per produrre, invece che vivacchiare grazie all’abbattimento dei costi della manodopera. Nonostante ciò, l’incrollabile convinzione che una maggiore flessibilità porti ad accrescere la produttività la fa da padrona nel dibattito pubblico. Ma l’idea che la deregolamentazione del mercato del lavoro abbia effetti espansivi nel lungo periodo non è meglio fondata dell’ipotesi – dimostratasi ampiamente fallimentare – che il consolidamento fiscale produca maggiore crescita del PIL.

25 commenti su “Anche il FMI lo ammette: la precarietà non fa crescere l’economia

  1. L’ha ribloggato su Appunti Scomodi.

  2. Quando fui costretto a fare il militare nell’87 mi fecero il corso per l’uso della baionetta, perché dice che nella prima guerra mondiale c’era l’assalto alla baionetta e non si poteva mai sapere. C’era da ridere per non piangere.
    E certamente se la tua produttività consiste, come un tempo, nel fatto che devi raccogliere patate allora: vai con le “riforme strutturali” o “precariato” che dir si voglia.
    L’assalto alla baionetta e acciaccare l’operaio sono in fondo solo il residuo di una dolce idea romantica.

  3. Per la politica più primitiva il taglio dei diritti dei lavoratori è la via facile per aumentare la produttività, esattamente come la svalutazione competitiva è la via facile per aumentare il PIL.- Poco importa che i consumi poi non crescano o che la svalutazione si ritorca sul costo dell’unità di prodotto aggravando la stessa produttività.-
    L’uno e l’altra sono i leitmotiv cari ai politici senza solidi argomenti, senza visioni e prospettive, a coloro che vedono nella politica semplicemente una carriera e ne bruciano le tappe.-
    Non mi stupisce, quindi, che il dott. Renzi voglia demolire le molte conquiste del lavoro, perfino le più antiche (penso al demansionamento che cancella l’art. 2103 del codice civile una conquista targata- ahimè- “Economia Corporativa”) .-
    Che vergogna questa involuzione dopo 80 anni di progressi.-
    E’ chiaro, peraltro, che gli italiani non amano le argomentazioni macroeconomiche: essi si fermano a Trilussa e si accontentano di credere al pifferaio magico di turno, senza badare alla divisa, orbace, doppiopetto o bomber .-
    Tanti sinceri complimenti per il vostro Blog che seguo da anni.
    Un auspicio: a quando una ” Keynes Society” (….mi andrebbe ugualmente bene una Società Keynes) che affermi in questa epoca triste il grande umanesimo economico di J.M.Keynes.-
    MCV

  4. Che le “Riforme”invocate da FMI e Draghi,in particolare quelle sul mercato del lavoro che portando possibilità di più bassi salari e maggiore flessibilità (precarietà) abbiano un effetto positivo sulla produttività si é sempre saputo che erano solenni “balle”. E’ sufficiente valutare gli effetti negativi sui consumi interni e sull’utilizzo conseguente degli impianti, determinanti per la produttività, e il disincentivo a migliorare prodotti e sistemi. E’ facile capire la motivazione di queste richieste, creano più disoccupazione,spostano gli equilibri politici, modificano la distribuzione del reddito e del potere. Sono quindi richieste politiche e non economiche.

  5. L’argomento dei governi per sostenere la flessibilità é quello secondo cui questa aumenterebbe l’occupazione, non tanto la produttività (che al cittadino medio può interessare fino a un certo punto).

    • Concordo : entro certi limiti le manovre per accrescere la flessibilitá hanno lo scopo dichiarato di ridurre il n. dei disoccupati, e non di accrescere la produttività.

  6. Dal mio punto di vista, le misure di precarietà/flessibilità sono sbagliate a priori, anche se fosse provato un (minimo) effetto positivo su produttività o occupazione.
    Nel senso che appaiono anacronistiche in una società moderna e democratica: le odierne tecnologie sono più che sufficienti per garantire a tutti il benessere, senza necessità di reintrodurre forme di lavoro non dignitose.
    E’ come chiedersi se la tortura o la pena di morte siano efficaci, se possano funzionare. E’ la domanda a essere sbagliata, prima ancora della risposta.

  7. Alcune domandine facili facili, Iodice. Lei davvero crede che al FMI o in qualunque altra istituzione economica con un minimo di serietà non sapessero queste cose? Lei davvero crede che alla BCE o alla Commissione, tranne qualche fanatico esaltato, queste cose non le conoscessero? Lei davvero crede che tranne qualche cialtrone esaltato a livello dei singoli governi europei queste cose non fossero note?
    Si tratta, come evidente, di domande retoriche. Al Fondo, alla BCE, alla Commissione, presso i vari governi queste cose ben si conoscevano, eccezion fatta per qualche fanatico cialtrone esaltato.
    Bene, e allora perchè le favole sull’austerità espansiva e sulla flessibilità espansiva hanno avuto tanto credito e diffusione tanto da esser divenute luoghi comuni per alcolizzati da bar sport? Perchè il duo De Rege Alesina&Giavazzi continua, sulle pagine del giornale dei padroni che risponde al nome di Corriere della Sera, a propalare le loro strampalate tesi senza esser presi a pernacchie?
    Solo stupida ignoranza? Certo che no! E, allora, perchè, Iodice?

  8. C’è solitamente un po’ di confusione sull’argomento, che devo dire si nota anche nell’articolo, innanzitutto occorre distinguere economie avanzate e non, che potremmo anche definire: economie dove vi e’ un mercato interno ben sviluppato, diciamo con un pil procapite medio di almeno 20000 dollari, e economie cosiddette in via di sviluppo, che hanno un modello di sviluppo basato sull’export e attirano abbondante capitale produttivo dall’estero grazie a costo del lavoro competitivo. O forse detto Cina? Ecco se voi dite ai cinesi: guardate che se aumentate i salari è meglio per la vostra economia quelli vi rideranno in faccia ed avranno ragione. Invece per le nazioni con pil procapite elevato, in effetti salari depressi sono un problema per lo sviluppo economico…solo che questo non c’entra nulla con la precarietà! La precarieta’ di per se non è un male, non c’è nessun modello serio di studio che ha mai detto sta roba. È vero che magari non mi compro casa se ho un contratto in scadenza tra 18 mesi, ma solo in italia esiste la consuetudine di comprarsi casa appena si riesce a trovare un lavoro, l’immobiliare deve invece basarsi su un sano, sviluppato e soprattutto regolamentato mercato degli affitti! Per il resto cosa cambia per l’economia? Nulla, anzi le aziende possono allocare meglio le proprie risorse con contratti a termine e i lavoratori, diciamolo, sono molto più motivati a lavorare…il punto nodale invece e’ e rimane il livello dei salari, non è inaccettabile avere un contratto a termine, e’ inaccettabile avere un contratto a termine ed essere ANCHE sottopagati! È massimamente intollerabile da precari essere pagati molto meno di un parigrado con contratto a tempo indeterminato. Occorre regolare il mercato del lavoro in modo che le aziende paghino di più la precarieta’, non di meno come succede oggi con l’ultima norma demenziale dei tanti sinistrati di questo paese. Qualche anno fa la sinistra aveva capito e intrapreso questa strada, oggi l’ha del tutto abbandonata per arroccarsi su posizioni indifendibili e anacronistiche come quella che tutti devono per forza avere contratti a vita e, come diretta conseguenza di questo atteggiamento, i risultati sono che nessuno avrà piu’ contratti a tempo indeterminato e per lo più saranno sottopagati, come questa idiozia del contratto a tutele crescenti, che sostanzialmente significa decontribuzione del lavoro a termine e estinzione del lavoro a tempo indeterminato!

  9. Secondo lo stesso principio espresso nell’articolo, cioe’ costringere le imprese ad impegnarsi di più, potremmo anche costringere i lavoratori ad impegnarsi di piu’ riducendo i salari, oppure costringiamo i pensionati ad impegnarsi di piu’ per sopravvivere riducendo le pensioni, o costringiamo le persone a fare più prevenzione riducendo gli ospedali…non vi rendete conto che l’aumento del costo del lavoro espansivo per le imprese e’ ancora piu’ demenziale come teoria dell’austerità espansiva? La precarietà è essenziale nel mondo del lavoro moderno, soprattutto per le economie piu’ sviluppate, questa è la realtà! Perché un lavoratore precario dovrebbe avere paura di comprarsi un auto, una banca dovrebbe avere paura di finanziare un precario e però magicamente un’impresa non dovrebbe avere paura di assumere un lavoratore a vita? Lo stesso identico ragionamento che porta un lavoratore precario a non consumare abbastanza, con evidenti danni e circoli viziosi per una economia avanzata, porta un’impresa a non assumere un lavoratore per tutta la vita, le imprese oggi sono organizzazioni precarie per definizione, quale imprenditore può affermare oggi con sicurezza che la sua impresa sarà ancora sul mercato facendo esattamente le stesse cose? Però i suoi dipendenti a tempo indeterminato possono affermare con sicurezza che saranno ancora dipendenti di quella impresa facendo lo stesso lavoro dopo 10 anni, anche 30 se è per quello…il risultato è disoccupazione, decrescita e mercato del lavoro sempre più cinesizzato….la soluzione è rappresentata dallo sposare le due esigenze e giungere a un compromesso accettabile: l’esigenza delle imprese ad assumere a tempi determinati e l’esigenza del mercato di una economia sviluppata ad avere buoni livelli salariali, occorre aumentare i salari minimi, ma solo dei contratti a termine, gli imprenditori devono comprare flessibilità, al prezzo di un costo del lavoro più alto, non più basso come succede oggi! e poi occorre avere un sistema di welfare che vada in aiuto di chi non riesce a trovare un lavoro.

    • Giro per aziende da quasi 20 anni come consulente e quello che ho sempre visto e’ che le imprese assumono, indipendentemente dal contratto, se hanno del lavoro da fare ma non assumono qualcuno anche se non hanno lavoro solo perche’ quel qualcuno e’ piu economico …

    • Mi faccia capire: se metto paura ad un dipendente, questo lavora di più? Allora facciamolo schiavo: sa che produttività! Ma scherziamo? La produttività di un lavoratore dipende innanzitutto dalla domanda (rimando per questo all’esempio dei due baristi di Borghi Aquilini) e poi dal suo livello di conoscenze, dalle dotazioni tecniche di cui dispone e dal contesto organizzativo (di cui il benessere è parte fondamentale) in cui opera. Ed evidentemente almeno tre di questi quattro fattori non dipendono dal lavoratore.
      E quanto al fatto che l’impresa sposi “a vita” un lavoratore, si tratta di una di quelle sesquipedali sciocchezze che la disinformatsjia di regime ci ha sempre propinato: l’Italia ha avuto sempre uno dei più alti tassi di turnover fra tutti i paesi occidentali. Non ho tempo per ritrovare lo studio in cui questa cosa veniva messa bella in chiaro, ma l’autore sapete chi era? Tito Boeri, noto bolscevico.
      Ciò di cui si discute è l’idea balzana che aumentare la precarietà del mercato del lavoro faccia aumentare il PIL, che è una di quelle cretinate scritte a sostegno del jobs act e di tutte le altre porcherie che lo hanno preceduto e che, purtroppo, lo seguiranno

      • L’Italia ha sempre avuto un alto tasso di turnover di AZIENDE e Boeri e’ un altro di quei sinistrati che ha portato la sinistra italiana allo stato tragicomico in cui versa oggi…la produttivita’ e’ un concetto mercantilista, lo vuoi capire?voi sinistrati siete mercantilisti fino al midollo e non ve ne rendete conto, siete liberisti e pensate di essere democratici o keynesiani, invece siete come i crucchi: statalisti, nazionalisti e mercantilisti…che un lavoratore sia produttivo o meno, competitivo o meno un Keynesiano se ne f…te! La cosa importante e’ assicurare un adeguato livello di domanda di beni e servizi e questo si realizza con politiche adeguate di sostegno alla domanda, la lotta alla precarieta’ non ha niente a che vedere con questo, occorre fare la lotta alla povertà non alla precarieta’…nell’Urss nessuno era precario, solo che si moriva di fame…

      • E si caro Saverio, se ci pensa un poco su ci arriverà anche lei da solo a capire quanto erano belli i tempi delle baionette e delle patate, quando anche in Russia si moriva di fame, ed era per tutti tanto importante zappare con vigore e a volte, di tanto in tanto, prendersi pure a baionettate.

  10. Gio d,
    il ben noto confusionario, avrebbe detto Lenin. Domandina facile facile: lei ha un lavoro, che sa essere precario (TD, CoPro, apprendistato, sommministrazione e diavolerie elencando). Si sposerebbe? Avrebbe figli? Deciderebbe di acquistare casa o macchina? Rinnoverebbe casa, se ne avesse una? Uscirebbe tutte le sere per andare a mangiare? E potrei continuare all’infinito.
    Ha ragione: precarietà e domanda aggregata non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra!
    Poi: che nell’Urss si morisse di fame… non sa che avevano tanti bambini da mangiare?

    • O non leggi o non capisci cosa leggi…il sistema deve essere congeniato in modo tale che: 1.più sono precario e piu’ vengo pagato a parità di funzioni;2. Se perdo il lavoro lo stato mi paga e mi trova un lavoro se no mi paga e basta; 3. In questo contesto che ho descritto trovare un lavoro non è una impresa titanica e quindi perdere il lavoro non è una tragedia; il punto e’ che non puoi riformare il lavoro senza riformare il welfare e la struttura dei costi del welfare, devi azzerare la miriade dei sussidi particolari ai tanti clientes e alle tante caste di privilegiati, per fornire sussidi generali a tutti! Impresa disperata perché il politico non mira a rendere gli elettori indipendenti da lui, almeno in Italia…

      • Le riformulo la domanda: lei ha un lavoro, che sa essere precario (TD, CoPro, apprendistato, sommministrazione e diavolerie elencando). Si sposerebbe? Avrebbe figli? Deciderebbe di acquistare casa o macchina? Rinnoverebbe casa, se ne avesse una? Uscirebbe tutte le sere per andare a mangiare? Anche se avesse un sussidio di disoccupazione?
        La risposta è sempre la stessa, ovvero che ha ragione: precarietà e domanda aggregata non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra!
        P.S.: il lavoro “si trova” se c’è da vendere prodotti e servizi, non se ci sono leggi come il “tilicenzioquandomipare” act. Forse non ha proprio inteso il senso della “correzione” del FMI

      • In modo forse schematico Saverio ha posto diverse domande, che le varie “riforme” del lavoro avessero principalmente l’obiettivo di indebolire il sindacato é dimostrato, pensiamo solo alle conseguenze delle riforme del governo Monti quando gesticolando con la sua manina affermava, come pinocchio, ” mi dicono che le mie riforme valgono il 15% del PIL”. La sua idea di riforma del welfare, importante , ha un costo elevatissimo se non si riduce la disoccupazione con investimenti, prevalentemente pubblici perché più certi e rapidi, e con crescita della domanda prevalentemente interna. La mobilità cresce se aumentano le occasioni di lavoro.

  11. Il mercato del lavoro va cambiato completamente, così non è possibile andare avanti.

  12. […] Ma la deregolamentazione del mercato del lavoro non ha effetti significativi sulla produttività. https://keynesblog.com/2015/04/20/anche-il-fmi-lo-ammette-la-precarieta-non-fa-crescere-leconomia/ Lo studio in questione voleva identificare le misure più efficaci nel breve e medio termine in […]

  13. […] Ma la deregolamentazione del mercato del lavoro non ha effetti significativi sulla produttività. https://keynesblog.com/2015/04/20/anche-il-fmi-lo-ammette-la-precarieta-non-fa-crescere-leconomia/ Lo studio in questione voleva identificare le misure più efficaci nel breve e medio termine in […]

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