di Daniela Palma e Guido Iodice da Left del 1° giugno 2013
Nei giorni scorsi si è levato ancora una volta il grido d’allarme di Confindustria, che ci presenta un quadro dalle tinte più che mai fosche: il sistema industriale appare sull’orlo del baratro, con un aumento dei fallimenti e una incapacità totale di creare nuova occupazione, a cui si aggiunge un aumento della disoccupazione (+32,3 per cento) dei giovani laureati superiore a quello della disoccupazione media (+30,1 per cento). La crisi in corso ha fatto da detonatore, ma la divergenza rispetto alle performance europee è iniziata negli anni ’90 e dovrebbe di per sé sollecitare una seria riflessione sulla direzione che dovrebbero prendere le politiche di intervento. Ma le proposte di Confindustria – come anche le raccomandazioni della Commissione Ue – non arretrano di un millimetro da un terreno già ampiamente battuto, condensandosi nell’ormai logora richiesta di maggiore flessibilità del mercato del lavoro: con la riforma Fornero sono stati fatti alcuni passi per quella in uscita, ma vista la situazione – chiedono gli industriali – occorrerebbero correttivi anche per quella in entrata, come già il governo Letta ha annunciato.
Peccato che continuare a parlare di riforma del mercato del lavoro equivalga a pestare l’acqua nel mortaio, nascondendo la dura verità: l’industria italiana ha incontrato sempre meno la domanda di nuovi prodotti tecnologicamente avanzati. In più il vincolo dell’euro, che nelle intenzioni delle classi dirigenti del centrosinistra doveva costringere le imprese ad innovare, al contrario ha indotto la compressione della domanda interna e svantaggiato il paese su quella estera. “L’Italia è un Paese senza materie prime e con infrastrutture scassate e l’unica cosa che abbiamo è la materia grigia, di assoluta qualità”, ci ricorda il Presidente di Confindustria Squinzi. Già, allora perché il nostro Paese ha una così bassa percentuale di occupati in settori tecnologicamente avanzati (30,5 per cento, contro il 37,3 della Francia, il 38,2 della Germania e il 35,2 del Regno Unito) e presenta scarti ancora maggiori se si contano solo i laureati (13,4 per cento, circa 10 punti in meno rispetto a Francia, Germania e Regno Unito e addirittura meno di Grecia e Spagna, che superano di poco 20)? Siamo di fronte ad un declino strutturale del nostro sistema produttivo e ora, più che mai, è necessario intraprendere politiche di investimento che lo riportino sulla strada dell’innovazione. Ma per farlo occorrerebbe avere il coraggio di rompere con l’austerità made in Ue.
Ma quale flessibilità. Chiamiamola con il suo vero nome: precarietà. La vera causa della crisi attuale.
Appunto: si potrebbe cominciare ad esempio a chiamare le cose per nome, così ad esempio la disoccupazione giovanile tra i 15 e i 18 anni ma anche parte di quella tra i 18 e i 24 (almeno fino ad una laurea breve) potrebbe essere definita “abbandono scolastico” per permetterci di andare magari a scavare nei fondi europei senza dover rischiare di infrangere il limite ridicolo del deficit pubblico. Con questo cambio di nome e con opportuni “sostegni allo studio” anziché al reddito avremmo circa 500.000 disoccupati in meno e tanta produzione di “materia grigia” in più quantomeno per il futuro, se esiste.
chttp://ec.europa.eu/education/school-education/doc/earlycom_it.pdf
Per poi disquisire positivamente sul sostegno al reddito
http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P7-TA-2010-0375+0+DOC+XML+V0//IT
Quando capiranno ( probabilmente MAI ) che nessuna riforma del lavoro può creare occupazione,e quindi nuova Domanda di beni e servizi, sarà un bel giorno ! :-)
Gli industriali in Italia sono i primi responsabili del loro “suicidio” economico.
Avete voluto negli ultimi 20 anni stipendi ridicoli , addirittittuta sotto l’inflazione ?
Bene , ora pagate pegno anche Voi…come ? Chiudendo.
Ci dovevano pensare prima,ora è troppo troppo tardi . Ora cercano ulteriormente di abbassare stipendi/salari, con l unico “vantaggio”di peggiorare la situazione della Domanda interna italiana….che capre !
Altri provano ad aprirsi ai mercati Esteri , con un ritardo di “soli” 20 anni, quando ormai non hanno più possibilità, dato l arretratezza economica e tecnica….troppo tardi !
Pochi laureati in Italia ? Vero ! Ma se li paghi poco ,da loro avrai solo noccioline in cambio. Potevano anche essere numericamente il doppio, ma bassi stipendi portano a bassi ritorni.
Squinzi fa ridere i polli…un pò di lezioni di macroeconomia-elementare non guasterebbero… sic
Leggo commenti lontano anni luce dalla realtà. Esistono aziende che lavorano a pieno ritmo e assumono a salari europei!! Ma non si possono sviluppare ulteriormente in Italia. chiedete a loro……. Saputelli.
Risposta a P.g:
Come al solito abbiamo bisogno invece di saputelli come te, mi sbagliero’ ma credo tu sia un ‘troll’ il cui hobby principale sia smentire cio’ che non puo’ essere smentito, per conto della UE.
Puoi portare quanti esempi vuoi delle tue super-aziende che producono a pieno ritmo, il resto di noi te ne puo’ portare 100 volte tanti provanti che l’industria italiana e’ a terra, o chiudono, o vengono fatte chiudere, e chi sta aperto ha ipotecato tutto e non ha davvero soldi per gli investimenti necessari a competere sul mercato estero.
Starai mica parlando di quelle aziende (purtroppo in aumento) che sull’orlo del baratro vengono comprate a prezzi stracciati dalla Germania &Co per rubarci i brevetti e l’alta professionalita’ e ‘expertise’ e per poter esportare col marchio ‘Made in Italy’? Beh se ti riferisci a questi esempi ti dico che e’ proprio umiliante servilismo, e mi vergogno per te che credi di doverne andare fiero.
Risposta a tutti:
Dobbiamo capire che il controllo della moneta E’ CRUCIALE. Lo stato che la PUO’ emettere la sua moneta senza rendere conto a nessuno ha grandi capacita’ di manovra e puo’ decidere di mettere in circolazione la moneta necessaria alla ripresa finanziando opere pubbliche, aumentando stipendi agli insegnanti, bidelli, ecc per far circolare la moneta e aumentare il mercato interno il quale fa riprendere il commercio e la produzione industriale (che tra l’altro si avvantaggerebbe con infrastrutture rimodernate dallo stato). Questo, mi direte, fa aumentare il deficit pubblico. MA QUI STA L’IMBROGLIO, cioe’ il mito ormai raccontato da troppo tempo per cui si fa credere che il deficit statale significhi debito/poverta’ per i cittadini. Cio’ E’ FALSO. Infatti nella realta’ macroeconomica moderna e’ vero il contrario, il deficit statale diviene (anche per intuizione) nuova moneta iniettata nel settore non-governativo che fa automaticamente aumentare il PIL e fa aumentare la ricchezza. La Gran Bretagna per esempio potrebbe fare questo, ma non lo fa per scelta politica – al governo hanno degli oligarchi portaborse della grande finanza contenti di far pagare i loro errori speculativi tagliando ai poveri. Ripeto in questo caso e’ scelta politica di un governo di privilegiati che pero’ costituzionalmente hanno lo strumento (moneta sovrana) per fare quanto sopra.
Lo stato che NON PUO’ emettere la sua moneta (come l’Italia) NON PUO’ piu’ mettere nuova moneta in circolazione perche’ questa facolta’ gli e’ stata rimossa. L’EURO appartiene ad un sistema di banche centrali con a capo la BCE che lo emette e NON LO DA’ allo stato, ma alle banche centrali che poi passano la nuova moneta alle altre banche o allo stato. LO stato italiano NON PUO’ piu’ iniettare nuova moneta per incentivare la produzione e il commercio. Lo stato italiano E’ UN ENTE DECLASSATO A CLIENTE PRIVATO che non solo deve chiedere soldi come noi chiediamo un mutuo con il conseguente controllo del suo reddito (deficit or surplus di bilancio), ma cosa veramente vergognosa la BCE gli dice dove PUO’ e dove NON puo’ spenderli. Sono ormai mesi e mesi che impedisce all’Italia di investire sul suo futuro e continua a spingerla al pareggio di bilancio – e visto il debito in aumento a causa degli interessi e della mancanza di ripresa economica QUESTO SIGNIFICA in termini reali un impoverimento inesorabile perche’ una fetta sempre maggiore del sue spese va alle banche (per ripagare il debito e gli interessi) e NON A NOI E AI NOSTRI SERVIZI.
USCIRE DALL’EURO E’ NECESSARIO E INDISPENSABILE,
DOBBIAMO SVEGLIARCI, … LA SITUAZIONE E’ GRAVISSIMA!
se non si possono più svilluppare in Italia , c’è sempre l estero.
Nessuno dice che non ci sono aziende in Italia che non lavorino “a pieno ritmo”.
Ma non basta. Più dei 3/4 del ns PIL è domanda interna e NON export. Per quanta riguarda i salari , basta vedere i dati medi EUROSTAT lordi….e confrontarli con il resto dell area euro….
[…] Nei giorni scorsi si è levato ancora una volta il grido d’allarme di Confindustria, che ci presenta un quadro dalle tinte più che mai fosche: il sistema industriale appare sull’orlo del baratro, con un aumento dei fallimenti e una incapacità totale di creare nuova occupazione, a cui si aggiunge un aumento della disoccupazione (+32,3 per cento) dei giovani laureati superiore a quello della disoccupazione media (+30,1 per cento). La crisi in corso ha fatto da detonatore, ma la divergenza rispetto alle performance europee è iniziata negli anni ’90 e dovrebbe di per sé sollecitare una seria riflessione sulla direzione che dovrebbero prendere le politiche di intervento. Continua a leggere » […]
[…] di Daniela Palma e Guido Iodice – Fonte: http://keynesblog.com […]