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Il paradosso dell’Euro forte (e della rupia debole)

Un articolo di Daniel Gros pubblicato dal Sole 24 Ore offre qualche spunto interessante per capire come il regime di cambi flessibili in vigore dal 1971 sia tutt’altro che ottimale.

Quando la Federal Reserve ha iniziato i “”quantitative easing”, i paesi emergenti hanno elevato vibranti critiche, temendo che gli Stati Uniti volessero perseguire una sistematica svalutazione del dollaro che li avrebbe danneggiati. Eppure, spiega Gross, i QE non hanno avuto effetti sostanziali sugli emergenti. Ciò che invece ha davvero danneggiato i Brics è l’austerità europea:

Il solo annuncio che la Fed possa ridimensionare le operazioni non convenzionali ha portato alla fuga di capitali dagli emergenti. Ma questa ricostruzione fa perdere di vista la ragione per cui negli ultimi anni c’è stato un afflusso di capitali verso gli emergenti. Il colpevole è l’euro. […] L’effetto dell’allentamento quantitativo sui mercati emergenti è stato grossomodo neutro. Ma l’austerità in Europa ha avuto un profondo impatto sul saldo delle partite correnti dell’eurozona, che è passato da un deficit di quasi 100 miliardi di dollari nel 2008 a un surplus di quasi 300 miliardi nell’anno in corso. La ragione: l’interruzione dei flussi di capitale verso i membri meridionali dell’area, che ha costretto questi paesi a intervenire sulle partite correnti, portandole dal deficit combinato di 300 miliardi di dollari di tre anni fa all’attuale piccolo surplus.
Siccome i paesi del nord non hanno aumentato la loro domanda, nell’eurozona si riscontra il più forte surplus nelle partite correnti a livello mondiale, superiore persino a quello della Cina. Questa straordinaria fluttuazione di quasi 400 miliardi di dollari nel saldo delle partite correnti dell’eurozona non è il risultato di una «svalutazione competitiva»: l’euro è forte. La vera causa del forte surplus commerciale è stata una domanda interna così debole che negli ultimi cinque anni si è avuto un ristagno delle importazioni (con un tasso di crescita annuale media dello 0,25%). La causa della situazione attuale è l’austerità. La debolezza della domanda europea è la ragione per cui i saldi delle partite correnti dei mercati emergenti sono peggiorati.
I leader dei mercati emergenti avrebbero dovuto criticare l’austerità europea, non l’allentamento quantitativo Usa.

In sostanza, spiega Gros, il tasso di cambio conta relativamente nel determinare la bilancia commerciale: nonostante l’euro forte, l’Europa è diventata un esportatore netto, grazie all’effetto del calo dei redditi nei paesi deboli dell’eurozona, che hanno di conseguenza importato meno.

Schermata del 2013-09-16 12:58:50

Schermata del 2013-09-16 12:59:24

C’è poi una seconda parte della storia, a cui Gros solo accenna: il deflusso dei capitali dalle economie emergenti, seguito al preannuncio di un rallentamento del QE da parte della Federal Reserve. Deflusso che sta ponendo seri rischi soprattutto all’India. Mentre la rupia crollava sui mercati valutari a seguito della fuga dei capitali (i movimenti di capitali hanno la gran parte della responsabilità del tasso di cambio, mentre la bilancia commerciale ha un effetto minimo), nessuno esultava pensando a un riequilibrio della bilancia dei pagamenti e a maggiori esportazioni. Al contrario, il timore è che l’India esaurisca le sue riserve di dollari, necessari a finanziare le importazioni, entro pochi mesi.

Paradossalmente, il paese più solido al momento rimane la Cina, che in questi anni non ha lasciato che i mercati determinassero i tassi di cambio, ma li ha gestiti, a volte stabilendo un rapporto fisso con il dollaro, altre volte acconsentendo all’apprezzamento dello Yuan.

Insomma, le cose sono ben più complicate rispetto alla vulgata secondo la quale la svalutazione è una panacea per i paesi in deficit e che quello dei cambi flessibili è il miglior regime possibile. Tutt’altro.

Del resto, se così fosse, solo dei matti potrebbero pensare di “peggarsi” ad una valuta forte. Se lo fanno è perché vi è una forte pressione in tal senso dovuta a valute nazionali instabili, capitali che fuggono, necessità di rifornimento di materie prime. Il cambio fisso spesso crea nuovi problemi, ma sarebbe ingenuo credere che i paesi che l’hanno adottato l’abbiano fatto solo perché guidati da classi dirigenti corrotte o catturate da interessi esteri.

La soluzione non sta perciò nello scegliere il minore dei mali tra cambi fissi e cambi flessibili, ma nel muoversi verso un sistema di cambi “gestiti” e il controllo dei movimenti di capitali, come in parte era sotto il regime di Bretton Woods e soprattutto come dovrebbe essere in un sistema monetario ispirato all’International Clearing Union di Keynes.

In quello che sta accadendo in questi mesi, c’è una lezione fondamentale anche per l’Europa.

41 commenti su “Il paradosso dell’Euro forte (e della rupia debole)

  1. sono cose dette da Parguez anni fa.. mi fa piacere che Gros ci arrivi solo ora..

  2. Piero Gros (tra le altre cose) da una sonora legnata agli uscitisti-svalutisti denoantri. la conseguenza logica del ragionamento di Gros è che nell’attuale situazione liberoscambista chi ha il vantaggio produttività-tassi-interesse-surplus CONTINUERA’ ad averlo.quindi o si rompe la gabbia liberista per poter senza PATEMI rilanciare domanda,sviluppo, OCCUPAZIONE, interni, (le esportazioni DOPO..), passando dal liberoscambismo ai rapporti bilaterali tra stati oppure goodbye Italia..

  3. “Insomma, le cose sono ben più complicate rispetto alla vulgata secondo la quale la svalutazione è una panacea per i paesi in deficit e che quello dei cambi flessibili è il miglior sistema possibile. Tutt’altro.”

    Non capisco una cosa: chi auspica il ritorno ad un sistema di cambi flessibili non lo fa di certo principalmente per la bilancia commerciale o crede che la svalutazione sia la panacea di tutti i mali.

    Mi sembra che chi auspica la flessibilità del cambio lo faccia al fine di evitare eccessivi afflussi di capitali garantiti dalla rigidità del cambio e per evitare che in un arco temporale più lungo, si cumulino squilibri non scaricati sul cambio nominale come quando ad esempio non c’è convergenza tra i tassi d’inflazione tra i paesi aderenti.

    Per i paesi in deficit il principale beneficio non è assolutamente la ritrovata competitività di prezzo delle merci derivante dall’adeguamento del cambio, ma il fatto che la loro posizione debitoria, sia privata che pubblica, diventerebbe molto meno onerosa, seguendo le norme attuali anziché inventarsi garanzie asimmetriche volte solo a garantire i creditori come ad esempio proposto da AfD: anche il solo aumento del tasso d’inflazione per effetto del ritorno al cambio flessibile, comporterebbe l’abbattimento dell’interesse reale sui debiti maturati, scaricando il costo dell’euro-disastro sia sui paesi debitori che sui paesi creditori, dato che non ci sono buoni e cattivi in questa storia, ma ne sono tutti parzialmente corresponsabili.

    • “Mi sembra che chi auspica la flessibilità del cambio lo faccia al fine di evitare eccessivi afflussi di capitali garantiti dalla rigidità del cambio e per evitare che in un arco temporale più lungo, si cumulino squilibri non scaricati sul cambio nominale …”

      Come si spiega nell’articolo, nei paesi emergenti i capitali sono arrivati lo stesso, anche se il cambio era flessibile, e sono poi fuggiti, facendo crollare le rispettive valute. Ma non si vede nessun festeggiare per la svalutazione però.

      • Il crollo del prezzo della Rupia è il normale aggiustamento derivante dal crollo della domanda di Rupie, riducendosi dovrebbe successivamente stimolarne la domanda e tende dunque in maniera del tutto automatica ed immediata verso un riequilibrio.

        Poi scusa: se i capitali sono comunque arrivati nonostante il rischio di cambio ed essendo un dato fatto che un sistema rigido elimini questo rischio nel medio termine, è facile ritenere che se la Rupia fosse stata legata ad altra valuta più forte, la notizia oggi non sarebbe la forte oscillazione del cambio, ma se e quando l’India svaluterà SE NON addirittura un possibile default.

        Se il problema è l’instabilità causata da una fragile crescita le cui fondamenta sono i volatili investimenti esteri, la risposta adeguata al problema non può essere il minimo deterrente rappresentato dal cambio flessibile, ma solo una diversa regolamentazione. Il cambio flessibile può limitare gli afflussi di capitali esteri, può rendere più appetibile la valuta nel momento in cui gli stessi massicciamente defluiscono, può far si che nel tempo non si cumulino devastanti squilibri, ma di certo non può sopperire a quella che è un’eccessivamente permissiva regolamentazione a favore del capitale, a scapito di ogni altro fattore di produzione.

      • Il crollo del prezzo della Rupia è il normale aggiustamento derivante dal crollo della domanda di Rupie, riducendosi dovrebbe successivamente stimolarne la domanda e tende dunque in maniera del tutto automatica ed immediata verso un riequilibrio.

        Certo, come no, il mercato aggiusta tutto, i mercati sono efficienti. Complimenti, e poi anche il coraggio di nominare Keynes.

        ma se e quando l’India svaluterà SE NON addirittura un possibile default.

        Vedrai che bel default quando finiscono i dollari e devi elemosinarli al FMI.
        Ma le crisi precedenti non hanno proprio insegnato niente?

      • “Certo, come no, il mercato aggiusta tutto, i mercati sono efficienti. Complimenti, e poi anche il coraggio di nominare Keynes”

        Non è questo che ho scritto, nè ho nominato Keynes.

        “Vedrai che bel default quando finiscono i dollari e devi elemosinarli al FMI.
        Ma le crisi precedenti non hanno proprio insegnato niente?”

        Il problema è la dollarizzazione, non il cambio flessibile, così come legare la rupia al dollaro non avrebbe giovato, per cui, ancora una volta, cosa c’entra il cambio?

      • Non è questo che ho scritto

        E’ esattamente ciò che hai scritto invece.

        Il problema è la dollarizzazione, non il cambio flessibile, così come legare la rupia al dollaro non avrebbe giovato, per cui, ancora una volta, cosa c’entra il cambio?

        Come è spiegato nell’articolo, un paese con una valuta debole/instabile tenderà per forza di cose a peggarsi (e/o a emettere il debito in una valuta forte). Se non lo fa lo stato, lo fanno i cittadini (vedi Islanda) e alla lunga il risultato è lo stesso. E’ un fatto noto e stranoto, osservato decine e decine di volte. Ora, a meno che non si voglia credere che tutti i politici che hanno seguito questa strada fossero imbecilli, criminali o venduti, c’è evidentemente una spiegazione diversa e, quindi, una soluzione diversa che non è né il cambio fisso né quello fluttuante, ma l’eliminazione del privilegio del dollaro e delle altre valute di riserva e un sistema monetario razionale.

      • “Come è spiegato nell’articolo, un paese con una valuta debole/instabile tenderà per forza di cose a peggarsi (e/o a emettere il debito in una valuta forte)… etc”

        Certo, ma nei casi che citi il problema strutturale è la forte dipendenza dal capitale estero ed è la loro volatilità, sia in entrata che in uscita, a riflettersi poi sul cambio con gli effetti che citi. Come l’ICU risolverebbe il problema? Sostituendo la posizione di predominio del dollaro con un unità di conto? Il problema strutturale mi sembra che rimarrebbe comunque, non trovi?

    • Scusa, non capisco… Ma allora i debiti pregressi assunti in EURO come vanno gestiti? Se si esce si salda in nuove lire (svalutate)?

      • Assolutamente no!!!! I debiti in EURO vanno rimborsati in Euro man mano che le obbligazioni vanno in scadenza. Chi parla di default è un incompetente oppure gioca in una altra squadra. Il Tesoro compra Euro sul mercato Forex e paga il bond in scadenza! PUNTO! Il problema non è la disponibilità in quanto con la nuova sovranità monetaria il Tesoro dispone di tutte le Lire che vuole semplicemente per il fatto che ne può emettere in quantità illimitata. Il problema è semmai che ogni volta che compra Euro lo rivaluta e di conseguenza svaluta la nuova Lira per un semplice discorso di domanda e offerta. Vi sono comunque numerose componenti che agiscono in senso contrario, cioè rivalutando la Lira rispetto all’Euro ma sarebbe lungo individuarle tutte ed elencarle in questa sede.

      • In caso di uscita e senza che intervengano accordi bilaterali che modifichino le norme attuali, i debiti verrebbero semplicemente ridenominati in nuove lire, sia per il debito pubblico che per i debiti privati.

        La parte controversa riguarda i debiti contratti con creditori esteri e sicuramente non verrebbero ridenominati in lire i debiti nel cui contratto è esplicitamente previsto l’euro come valuta di pagamento.

      • Ma nel modo più assoluto. Il debito è un contratto fra due soggetti. Questo contratto è stato stipulato in Euro e quindi deve essere rimborsato in Euro. L’Italia non è sovrana dell Euro e quindi non può ridenominare alcunchè. Diverso era il caso del passaggio dalla Lira all’ Euro in quanto la vecchia valuta cessava semplicemente di esistere.
        L’Euro è una valuta che rimane in corso legale, la nuova Lira si sovrappone e non la sostituisce totalmente. Saranno semplicemente i soggetti che per ovvi motivi cambieranno i loro Euro in Lire. L’Italia è un paese serio, rispetta i sui accordi, non viola i contratti ma semplicemente si riprende la sua sovranità monetaria e con la sua nuova moneta acquista nel mercato delle valute gli Euro necessari per rimborsare le obbligazioni che di volta in volta vanno in scadenza. PUNTO!

      • Col termine lex monetae si intende la facoltà di uno Stato sovrano di scegliere la propria valuta.
        In caso di mutamento della stessa, si intende il diritto di determinare il tasso di conversione tra la vecchia e la nuova moneta avente corso legale.
        I contratti nazionali vengono ridenominati nella nuova moneta al tasso di cambio fissato.
        Allo stesso modo, vengono ridenominati nella nuova valuta i titoli di debito dello Stato, anche sottoscritti da investitori esteri. Secondo le regole del diritto internazionale pubblico, gli atti di esercizio dell’attività sovrana (cosiddetto iure imperii) e i beni connessi con quest’ultima beneficiano di talune immunità dalla giurisdizione e dalla esecuzione forzata. Se uno Stato si rifiuta di pagare ovvero impone una svalutazione del proprio debito passando a una nuova valuta, almeno nell’ordinamento del Paese debitore, gli investitori non hanno tutele per vedersi riconosciuto (e pagato con pignoramenti) il proprio credito.
        Nulla cambia per scambi fra due soggetti nazionali o con uno estero, denominati in partenza in valuta diversa da quella nazionale.

      • Temo che se si uscisse sarebbe difficile ripagare in euro… Per quante (nuove) lire si disponga la semplice notizia dell’uscita dall’euro e della necessità di dover disporre ingenti acquisti sul Forex per pagare il debito in scadenza potrebbe determinare una caduta verticale della nuova valuta… Chissà come la prenderebbero i creditori esteri. Molto dipende dalla reazione delle autorità monetarie europee e dalle posizioni degli stati membri. Ho paura di un’escalation di sanzioni (anche commerciali) e di posizioni molto dure da parte dei nostri partner.

      • Come la quasi totalità dei debiti pubblici europei, anche il debito italiano è governato dalle leggi nazionali ed è quindi soggetto alla Lex monetae. L’Italia, in quanto Stato sovrano, può decidere in quale valuta denominare i rapporti di debito e credito e questo vale anche per il debito pubblico. La scelta di ridenominare il debito in nuove Lire o decidere di onorarlo in Euro è esclusivamente una scelta politica e quindi non ha niente a che fare con accordi o con trattati di nessun tipo. Ogni scelta politica viene fatta in funzione della convenienza che non è necessariamente di tipo economico ma potrebbe anche riguardare aspetti di politica estera difficilmente quantificabili. Ad ogni modo i risparmiatori italiani hanno tutto l’interesse a mantenere il loro investimento in Euro e magari approfittare della svalutazione della nuova Lira. Ovviamente anche i creditori esteri hanno interesse a che il loro investimento non svaluti. Essendo il debito dello Stato per un 75% la ricchezza dei suoi cittadini ed avendo nuovamente la piena sovranità monetaria non dovremmo assistere ad una svalutazione eccessiva che comunque, si tradurrebbe oltre che in una maggiore competitività delle aziende anche in una maggiore ricchezza dei risparmiatori italiani. Esattamente il contrario di quello che abbiamo assistito quando siamo entrati nell’ Euro.

      • Leggere artt. 1277, 1278 e 1281 del Codice Civile!!!

        Il 1278 dice in pratica che il debitore potrebbe pagare in euro, ma ha facoltà di pagare in moneta legale (nuova lira) – al cambio corrente – alla scadenza.

  4. inoltre in questo discorso l,enunciato di mosler che le esportazioni siano un costo in termini di non godimento dei beni e l,importazione siano un bene in quanto godimento dei beni prodotti da altri mi sembra che con il discorso di gros…vadano ad hoc.e normale che economie che dipendono per la loro crescita da capitali esteri sono difatti sottoposti al dictat della finanza mondiale, è pertanto soggette a crescite instabili a secondo “l,umore del mercato” cio che non mi convince è il fatto che le considerazioni vengono 1)generalizzate 2) che le regole di correzione del cambio , non tengono conto delle asimmetrie economiche all,interno di un sistema monetario dove il surplus commerciale di alcuni viene compensata grazie ad una diminuizione dell,importazione di altri pertanto mi sembra che le svalutazioni competitive non possano valere per i mercati deregolamentati…ma possono tranquillamente funzionare per i mercati regolamentati…..ecco perche uscire dall,euro oppure ricostruire l,ue ma su basi completamente nuove diventa sempre piu impellente….inoltre ci sarebbero ulteriori considerazioni da fare

  5. Il problema è che le massima parte delle emissioni obbligazionarie statali degli emergenti vengono denominate in dollari. Più svaluti e più ti costano.
    E’ l’arma a doppio taglio voluta dai mercati: investo in dollari e poi rivoglio dollari con relativi interessi: questo capitò all’Argentina, alle tigri asiatiche e agli altri emergenti.
    A dire il vero capitò anche a molti incauti ed ignari italiani che accesero mutui immobiliari quindicinali in altre valute.
    Il nocciolo del problema ci sarà quando finiranno le riserve in valuta pregiata…e a questo ritmo non dureranno per sempre.

    L’unica strada per non avere scompensi è il ritorno ad una forma avanzata di baratto tra Stati. L’idea di un bancor di keynesiana memoria sarebbe auspicabile per gestire e regolamentare il baratto. Ma gli USA si opporranno ad oltranza ad un progetto simile, altresì auspico che i brics, che stanno per dare vita ad una loro banca comune, possano imporre un simile argomento.
    Solo obbligando chi esporta ad importare grosso modo lo stesso controvalore si possono evitare surplus e minus strutturali nelle bilance commerciali che, alla fine, sono alla base di tutti i problemi economici, e non solo degli emergenti.
    Presto o tardi il salato conto arriverà anche alla Germania.
    Non puoi pensare di avere 1000 miliardi si surplus senza pensare che per tutti gli altri sarà un minus che scatenerà problemi a ripetizione.
    L’export di uno è per forza l’import di qualcun altro.

    Il ragionamento fatto per i brics non vale per l’Italia le cui emissioni di titoli di stato, nella quasi totalità, sono denominate nell’unica valuta disponibile: l’euro.
    L’euro è irreversibile? Io non credo affatto.
    C’è famoso BUG che evidenziava il prof Graziani: la lettera sulle banconote euro ti dice QUALE Stato sia il proprietario e l’emissario di quel pezzetto di carta.
    Se si volesse applicare la lex monetae nessuno potrebbe impedircelo.
    E’ chiaro che si tratta di una decisione politica che NESSUNO vuole accollarsi (almeno per il momento).

    A far prendere questa decisione sarà la stag-deflazione che ci porterà alla depressione. Quando tutti i mezzi saranno finiti NON resterà altra scelta possibile.
    Del resto, anche nel 1992 accadde una cosa simile: prima di svalutare la lira si bruciarono interamente le riserve di valuta pregiata.

    • I paesi emergenti si indebitino in valuta estera perché nel mondo non ti pigliano le rupie e le pizze di fango del Camerun, hai voglia a stampare pezzi di carta pretendendo di comprarci valuta pregiata.
      E’ un mondo cattivo, ma funziona così.
      Peraltro gli incauti italiani che si indebitarono in ECU lo fecero semplicemente perché i tassi erano ben più bassi, così come lo facevano gli islandesi.
      Finché i mercati finanziari sono liberalizzati non c’è “sovranità monetaria” che tenga.

      • comunque resta il fatto che i surplus della zona euro rallentano la crescita dei paesi emergenti ed l,altro( tema di cui parlava l,articolo). questo (cattiveria o non cattiveria)e dannoso per i ceti sociali piu deboli dell,europa e dei paesi emergenti.quindi il problema di disciplinare i mercati non e questione di etica ma di equilibrio e di stabilita’ a cui bisogna porne rimedio…

  6. Un dibattito molto vivace sul problema dei cambi. Illuminante.

  7. Gentili Iodice e Palma, so che ce l’avete con Bagnai, ma – perdonatemi, vi leggo sempre e vi apprezzo quasi sempre – qui avete preso una toppa: ve la state prendendo con una versione parodistica del pensiero di Alberto Bagnai (che, poi, come lui spesso ripete, non è – solo – il suo pensiero). Dovreste forse leggere con più attenzione il suo libro, il macchiettismo che gli attribuite lì non c’è affatto!

    • Noi qui spieghiamo l’economia e l’economia (e l’esperienza) dice che i cambi flessibili in un regime di liberalizzazione dei movimenti di capitale come quello odierno hanno effetti disastrosi al pari dei cambi fissi. Gli esempi sono innumerevoli.

      • “… in un regime di liberalizzazione dei movimenti di capitale”. Ecco il punto: è per caso un’immodificabile legge di natura il regime di liberalizzazione dei movimenti di capitale? Assolutamente no. E Bagnai (ma anche Brancaccio, Cesaratto, Zezza e tanti altri) sostiene che l’uscita dall’euro non può che accompagnarsi ad un regime di repressione finanziaria

  8. Dire che i cambiamenti negli Stati Uniti hanno avuto effetto relativo è davvero poco credibile a mio parere.

    Sul piano dei flussi netti, l’articolo dimentica che il deficit spaventoso USA pre-2008 si è molto ridotto, contribuendo fortemente a ridurre i surplus dei paesi emergenti.

    E soprattuto, l’articolo dimentica che i flussi netti di capitale spiegano solo parte della storia: come noto negli anni 2000 i paesi emergenti, nonostante il loro surplus, ricevevano montagne di fondi, derivanti da investimenti finanziari privati, dai paesi avanzati. Dopo la crisi, li scarsi ritorni ottenibili in USA e in altri paesi avanzati (specialmente a causa dei bassi tassi di interesse derivanti dal QE), hanno innescato pratiche come il carry trade, ma anche più in generale uno spostamenti verso investimenti finanziari “alternativi”, tra cui asset dei paesi emergenti.

    Il problema non è solo il tasso di cambio è proprio il flusso libero dei capitali, che rende il tasso di cambio totalmente instabile (anche se uno “lo gestisce”). Finché c’è quello i paesi emergenti sono condannati ad essere tali.

  9. PICCOLA CRONOLOGIA DELLA DECADENZA INDUSTRIALE ITALIANA, CON NOMI E COGNOMI:

    Il sistema industriale italiano è stato molto forte. Era basato sulla cosiddetta ECONOMIA MISTA, cioè grandi aziende pubbliche, qualche grande azienda privata, tantissime piccome medie imprese.

    Il sistema misto ha fatto la fortuna dell’Italia, portandoci al 5° posto tra le economie più industrializzate a fine anni ’80.

    Mattei, fondatore dell’ENI, ha evitato che l’Italia dipendesse dalle forniture di energia della British Petroleum, della Exxon o della Total, con grandi drenaggi di soldi dall’economia italiana. E ormai si è capito che gli hanno presentato il conto…

    Cosa ci ha fatto arretrare dai nostri interessi nazionali?
    Le cause sono economiche, politiche, culturali ed esogene.
    Innanzitutto prevalsero negli anni ’70 le idee “monetariste” di Milton Friedman secondo il quale l’inflazione dipende dalla quantità di moneta stampata, per cui occorre rendere indipendenti le banche centrali dalla politica (che chiede di stamparne troppa) e far si che gli Stati si finanzino a debito sui mercati (che poi sono le grandi holding finanziarie anglosassoni) anziché, almeno in parte, con le proprie banche centrali.
    Kissinger diceva: “controlla il petrolio e controllerai gli stati; controlla il cibo e controllerai il popolo”. Potremo anche aggiungere: “controlla l’indebitamento degli stati e controlli tutto”.

    In secondo luogo vennero accantonate le teorie Keynesiane, vincenti sin dagli anni ’30, della spesa pubblica in fase di recessione, in quanto l’inflazione galoppante degli anni ’70 la si attribuì alle spese pubbliche sul welfare degli stati avanzati e non, più correttamente, alla decuplicazione in 6 anni del prezzo del petrolio, risorsa alla base del costo di ogni bene-prodotto.
    L’errore fu fatto in mala fede, perché la spesa pubblica non può generare inflazione non controllabile, finche ci sono fattori della produzione non occupati. Detto in altro modo, finchè ci sono disoccupati e imprese in crisi.

    La saga si concluse negli anni ’90 con l’inizio di importanti “RIFORME” planetarie suggerite da FMI e Banca Mondiale, prime fra tutte quelle legate all’eliminazione dei divieti per le banche di occuparsi contemporaneamente della raccolta commerciale dei risparmi (intermediazione finanziaria) e di attività speculativa con prodotti innovativi a danno delle casse pubbliche e dei risparmiatori.

    Vediamo allora di fare una breve cronistoria di quello che è stato il suicidio nazionale.

    1 – 1981 – il divorzio tra Banca d’Italia (C.A. Ciampi) e Ministero del Tesoro (Beniamino Andreatta), ha fatto esplodere i tassi degli interessi sul debito pubblico in quanto la sovranità monetaria è rimasta solo formalmente, in quanto sostanzialmente lo Stato si poteva, da allora, finanziare solo a debito sui “mercati”. La conseguenza è stata il raddoppio del debito pubblico in 10 anni (dal 60% del 1981 al 120% del PIL nel 1991, proprio a causa della capitalizzazione degli interessi passivi). L’intento di Andreatta era di indebolire la politica, togliendogli il controllo della moneta. C’è riuscito ma siamo finiti in balia dei mercati.

    2 – l’allievo di Andreatta, Romano Prodi, presidente dell’IRI, già nel 1984 stipula a trattativa privata, in compagnia di Cuccia, un pre contratto di vendita della SME (Cirio, Bertolli, De Rica, Motta, Alemagna, Autogrill, GS supermercati, Italgel) a Carlo De Benedetti per poco meno di 500 miliardi di lire. Nonostante l’appoggio di de Mita a De Benedetti, Craxi riesce a bloccare tutto con contro cordate (ad es. Barilla-Ferrero-Fininvest). Andrà a finire, dopo innumerevoli controversie giudiziarie, che Franco Nobili, nuovo presidente IRI, nel 1993 decide di privatizzare la SME spacchettandola in tre tronconi. Viene colpito e affondato da mani pulite e Prodi che subentra a Nobili tratta la vendita. Alla fine della giostra, l’Italia incasserà 2000 miliardi lordi (bisognava pagare le consulenze delle varie Goldman Sacks, JP Morgan ecc.) dalla cessione della SME. A chi? Bertolli va alla Unilever. La Italgel alla Nestlè. Benetton prende per 700 mld di lire GS e Autogrill. Dopo pochi anni vende i soli supermercati GS alla Carrefour per 5000 mld. Tiene immobili per 1500 mld.

    3 – negli anni ’90, essendo riusciti (con il punto 1) a creare forti vincoli alla finanza pubblica, con la prospettiva dell’euro, si avvia la più imponente campagna di privatizzazione planetaria: si vende la Telecom (che nel 2013 passerrà agli spagnoli); si vendono le banche nazionali favorendo grandi gruppi in regime di oligopolio a danno dei risparmiatori; si smantella l’IRI; si vende la rete telefonica delle ferrovie (Infostrada) a Carlo De Benedetti per 740 mld di lire pagabili in 14 anni (!!!). De Benedetti cede poi Infostrada ai tedeschi di Mannesman per 14.000 mld (non a rate!!!).

    Il risultato è quello che scrisse il politico francese Edouard Balladour: “gli italiani, nella loro follia moralizzatrice, stanno abbattendo tutte le loro querce più grandi”.

    Il tutto condito allora da Manipulite, che decapitò i vertici di ENI, Ferrovie, ecc. e dall’uso suicida delle norme antitrust che parevano valere solo per impedire lo sviluppo di compagnie italiane come STET, Telecom, ENEL o dell’ENI, mentre non valevano per la svendita ai nostri grandi competitor internazionali.
    Altro fattore di contesto era la prospettiva dell’euro (identificata erroneamente con l’Europa). Tutti volevamo sentirci “europei” e suicidammo con senso di inferiorità gli interessi (e le prospettive) nazionali, pur di entrare in un circolo, che alla luce dei fatti ha dato solo il grande vantaggio di non dover più andare a Parigi e cambiare lire con franchi.

    Gli inglesi sono stati più fessi di noi. Si sono tenuti la “sterlinetta” ed hanno rifiutato, in tal modo, ingenti flussi finanziari nella loro borsa, o grandi flussi turistici o i tanti italiani che avrebbero acquistato case a 15.000 sterline a mq a Londra. Che fessi, si sono tenuti le loro leve sovrane e politiche, anziché accettare burocrati europei che arrivano a spiegargli il bene e il male.
    Talmente fessi che nel 2012, anziché massacrare la propria economia con più tasse per 70 mld di sterline, hanno fatto riacquistare (riducendolo) debito pubblico alla Banca D’Inghilterra, per lo stesso importo. Che fessi… faranno aumentare l’inflazione!

    Ma torniamo all’Italia.
    Arrivano un giorno si ed uno no commissari europei per ridisegnare le nostre manovre finanziarie.

    Letta, allievo di Andreatta, a Cernobbio (!!!), prima che in Parlamento, ha insistito con la necessità di privatizzare ENI, ENEL, Finmeccanica.

    Bene… pagheremo altre provvigioni a quella stessa Goldman Sacks che ha ridotto i propri investimenti in titoli pubblici italiani (da 2000 mld di euro ad un 100 di milioni) per ringraziarci delle provvigioni degli anni ’90 e 2000. Ma GS è quella stessa compagnia di cui sono o sono stati advisor i vari Prodi, Amato o Gianni Letta…?

    Boh?!

    Bene… cederemo quelle compagnie pubbliche che danno tanti utili allo Stato, grazie ai quali siamo in avanzo primario (al netto degli interessi passivi di cui al punto 1).

    Bene… favoriremo la concorrenza delle imprese estere verso quelle italiane.

    Bene… perderemo know how e brevetti

    Bene… resteremo nell’euro che evita che ci autodeterminiamo da noi, popolo corrotto e mangione, delegando a terzi (etnicamente e moralmente superiori) il governo in nome e per conto dei popoli sovrani del “club med”.

    Bene… avremo tanti giornali che perpetreranno tutti i giorni il lavaggio del cervello a favore della finanza, facendo venire la paura dell’inflazione ai pensionati elettori.

    P.S.
    Attenti alle menzogne.
    La crisi non è colpa del debito pubblico. Se così fosse Irlanda, Spagna, Cipro e Portogallo non si sarebbero mai incasinate. Tutto, per loro, è nato dal settore bancario in crisi. La finanza infatti manovra i governi i quali tentano di risanare la finanza con risorse prese sempre A DEBITO SUI MERCATI, cioè da loro.

    • Bravo Maximus, concordo su tutta la linea.

    • > Potremo anche aggiungere: “controlla l’indebitamento degli stati e controlli tutto”.

      O come dice Stephen Zarlenga: “Over time, whoever controls the money system controls the nation.”

  10. “1981 – il divorzio tra Banca d’Italia (C.A. Ciampi) e Ministero del Tesoro (Beniamino Andreatta), ha fatto esplodere i tassi degli interessi sul debito pubblico in quanto la sovranità monetaria è rimasta solo formalmente, in quanto sostanzialmente lo Stato si poteva, da allora, finanziare solo a debito sui “mercati”. La conseguenza è stata il raddoppio del debito pubblico in 10 anni (dal 60% del 1981 al 120% del PIL nel 1991, proprio a causa della capitalizzazione degli interessi passivi). L’intento di Andreatta era di indebolire la politica, togliendogli il controllo della moneta. C’è riuscito ma siamo finiti in balia dei mercati.”

    Su questo punto mi piacerebbe porre una domanda, rilevante anche per il discorso sui cambi e sull’endogenità della moneta.

    Premessa: nel ’79 ha inizio la cd stretta Volcker, con il tentativo (fallito) di controllare la quantità di moneta USA in funzione anti-inflazionistica. Risultato: tassi di interesse a due cifre su strumenti in $ e generalizzazione degli aumenti a livello internazionale.

    La posizione keynesiana (post-k) è che le banche centrali in quanto monopolisti della propria valuta sono sempre in grado di controllare i tassi di interesse interni ma che, anche per ragioni legate alla stabilità del sistema bancario non controllano la quantità di moneta. Corretto ancorché semplificato?

    Il controllo dei tassi interni su target prefissati ha come corollario l’abbandono del cambio alla libera fluttuazione.

    Se questo è corretto, mi chiedo se la Banca d’Italia aveva margini di manovra per opporsi all’aumento dei tassi sugli strumenti di debito interni, quale sarebbe stato il prezzo da pagare in termini di svalutazione del cambio della lira e se vi sono paesi che vi si siano opposti con successo.

    • Nel ’79 ci fu tanta inflazione a livello mondiale, non per la quantità di moneta (e l’idiota tentativo di controllarla con la logica monetarista) ma per l’esito del secondo shock petrolifero.
      Nel ’79 ci fu la rivoluzione in Iran. Lo scià fu cacciato. Scoppiò un conflitto tra IRAN e IRAQ ed il prezzo del petrolio TRIPLICO’!!!

      Cosa ne pensi? L’inflazione sarà aumentata perchè c’era troppa carta o perchè il petrolio è alla base della catena della produzione del valore?

      • Non penso assolutamente che l’inflazione sia dovuta alla quantità di moneta (riserve, depositi o cash) nel sistema. Le scelte di portafoglio (come detenere la propria ricchezza) non credo siano legate alle scelte di spesa “reali”. Io almeno non lo faccio.

      • La mia era infatti una risposta alle pretese di Volker.

    • Certo che la Banca d’Italia aveva margini per controllare l’aumento dei tassi passivi sugli interessi.
      Lo ha fatto egregiamente nel 1973 (primo shock petrolifero) e nel 1979 (secondo shock petrolifero). Poi dall’81 (divorzio bankitalia – tesoro) siamo andati gambe all’aria.

      • Quindi, secondo te, perché non lo ha fatto?
        Vi è stato un’ordine di scuderia da parte degli USA di assecondare la manovra monetaria di Volcker nei confronti dei paesi satelliti (non mi stupirebbe più di tanto) o cosa?

        Ci sono stati paesi che negli anni ’80, dopo l’abbandono del paradigma keynesiano, si siano opposti con successo?

        E’ una domanda vera non una provocazione. Semplicemente: non so.

      • Proprio perchè col “Divorzio” ha abdicato dal sostenere la politica economica del governo e si è limitata a fare i compitini monetaristi totalmente inefficaci.

  11. per gggmarini

    scrivi:
    “””Temo che se si uscisse sarebbe difficile ripagare in euro… Per quante (nuove) lire si disponga la semplice notizia dell’uscita dall’euro e della necessità di dover disporre ingenti acquisti sul Forex per pagare il debito in scadenza potrebbe determinare una caduta verticale della nuova valuta… Chissà come la prenderebbero i creditori esteri. Molto dipende dalla reazione delle autorità monetarie europee e dalle posizioni degli stati membri. Ho paura di un’escalation di sanzioni (anche commerciali) e di posizioni molto dure da parte dei nostri partner.”””

    Non è così, vige la lex monetae (cerca in internet, o leggi il codice civile articoli 1277, 1278 e 1281).
    Ricordi infatti che il nostro debito pubblico emesso in lire, prima di entrare nell’euro, lo ripagammo subito dopo in euro e non in lire. Ciò avvenne proprio per l’art. 1277 del cod. civile.

    Così sarà per l’uscita dall’euro.
    Il debito emesso in euro verrà ripagato in lire/fiorini/dobloni.
    L’euro smetterebbe di avere “corso legale” in Italia.

    Quei furboni di Alternativa per la Germania lo sanno e infatti propongono di far uscire il “club med” dall’euro, costringendoci a pagare i debiti sempre in euro.
    Ma è illegale e non applicabile all’Italia.

    • Non dubito della correttezza giuridica della scelta, ma mi chiedo se l’Italia sarebbe in grado di opporsi con successo all’offensiva politica degli stati creditori.

      La questione è politica e non tecnico-economica-giuridica.

      • Beh intanto fissiamo i paletti.
        Giuridicamente è possibile.
        Economicamente pure:

        STIAMO MORENDO.

        I creditori debbono sempre assumersi il rischio, come fanno tutti gli investitori (Parmalat, Leman Br. ecc.).
        La politica deve esercitare la delega affidata dal popolo sovrano. Sempre che non siamo così mercantilisti da dover rispondere al mercato sovrano.

  12. A conferma di quanto da me scritto inizialmente… non per auto piaggeria ma per essere consapevoli, leggasi il corriere di oggi, in particolare:

    http://www.corriere.it/editoriali/13_settembre_19/strano-caso-telecom-italia_de588ee6-20e9-11e3-abd6-3cb13db882d4.shtml

  13. […] le cose come stanno: se l’Argentina è nei guai, e non da sola, molte delle responsabilità vanno ascritte all’Europa. Ma è sempre comodo e semplice prendersela con il […]

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