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Buon primo maggio: l’importanza dei sindacati

Dei sindacati forti non fanno male all’economia. Questo grafico mostra la relazione tra la percentuale di iscritti ai sindacati americani e la percentuale di PIL della “classe media”, termine con il quale negli USA si indicano impiegati, operai e in generale coloro che hanno un reddito che ricade nella fascia media, né ricchi, né poveri.

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Il crollo della quota di reddito nazionale della classe media è collegato direttamente all’indebolimento dei sindacati. E proprio le crescenti disparità di classe sono da molti individuate tra le principali cause dell’instabilità finanziaria. Quando la classe media non ha abbastanza reddito per comprare ciò che si produce, l’unico modo di far andare avanti il circuito economico è creare potere d’acquisto attraverso l’indebitamento dei consumatori…

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Ma quando i debiti crescono e i redditi degli indebitati no, è solo questione di tempo prima del crollo.

Se si vuole far funzionare il capitalismo i lavoratori devono avere la loro parte. 

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Segnalazioni: una spiegazione kaldoriana per il declino italiano e politica monetaria ottimale dopo una crisi

Segnaliamo due Working Paper che potrebbero risultare interessanti ai nostri lettori. Il primo riguarda il declino italiano spiegato tramite la legge di Kaldor, secondo cui la produttività è una funzione della domanda aggregata nel lungo periodo, attraverso la catena causale domanda -> investimenti -> produttività. Il secondo paper invece analizza l’effetto delle politiche monetarie sul ciclo economico in particolare riguardo lo scoppio delle bolle speculative, concludendo che una politica di tassi di interesse a zero è la più appropriata per evitare una doppia recessione.

 

The Italian Economic Decline in a Kaldorian Theoretical Perspective
Guglielmo Forges Davanzati, Rosario Patalano, Guido Traficante; Post Keynesian Economics Study Group Working Paper 1606, March 2016

Il working paper affronta il tema del “declino” economico italiano in un quadro teorico kaldoriano. Sul terreno teorico, l’interpretazione del declino economico italiano proposto si basa sul continuo declino della domanda interna, come causa della costante riduzione della produttività del lavoro, a partire dall’inizio degli anni 1990: consumi privati e gli investimenti si muovono di pari passo con la produttività del lavoro. Tramite un modello VAR, emerge che la produttività del lavoro cresce dopo un aumento degli investimenti e dei consumi privati. Aggiungendo anche l’offerta di credito all’analisi, si mostra che essa svolge un ruolo cruciale nell’influenzare la domanda aggregata e, a sua volta, la produttività del lavoro. In particolare, quando le banche stringono le condizioni di credito, le imprese diminuiscono gli investimenti e le famiglie riducono i consumi. Entrambi gli effetti concorrono alla riduzione della produttività del lavoro.

http://www.postkeynesian.net/downloads/working-papers/PKWP1606_gB58IUN.pdf

 

Monetary Policy and Large Crises in a Financial Accelerator Agent-Based Model
Federico Giri, Luca Riccetti, Alberto Russo, Mauro Gallegati; MPRA Paper No. 70371

Una politica monetaria accomodante seguita da un improvviso aumento del tasso di interesse a breve termine, spesso porta allo scoppio delle bolle e al rallentamento dell’economia. Due esempi sono la Grande Depressione del 1929 e la Grande Recessione del 2008. Attraverso l’implementazione di un Agent Based Model (ABM) con acceleratore finanziario siamo in grado di studiare la relazione tra politica monetaria e grandi eventi di crisi su larga scala. I risultati principali possono essere riassunti come segue: a) improvvisi e forti aumenti del tasso di interesse sono in grado di generare recessioni; b) dopo una crisi, il ritorno troppo improvviso e anticipato ad un regime di politica monetaria normale è in grado di generare una seconda recessione, mentre c) tenere il tasso di interesse a breve termine ancorato allo zero nel breve periodo può evitare con successo un ulteriore rallentamento.

https://mpra.ub.uni-muenchen.de/70371/

 

 

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Blanchard e la contaminazione del mainstream

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di Emiliano Brancaccio e Francesco Saraceno *

[…] E’ interessante esaminare un’intervista che Olivier Blanchard ha rilasciato nell’agosto 2015, a poche settimane dalla scadenza del suo mandato di capo-economista del Fondo Monetario Internazionale. In essa, parafrasando la nota esortazione maoista alla competizione tra scuole di pensiero, Blanchard ha dichiarato che «a seguito della crisi cento fiori intellettuali sono sbocciati». In particolare egli si è soffermato soprattutto su “fiori maledetti” di antiche origini, come «l’ipotesi della instabilità finanziaria di Hyman Minsky e i modelli Kaldoriani sulla crescita e le disuguaglianze, proposizioni che un tempo sarebbero state trattate alla stregua di anatemi e che oggi vengono riproposte da economisti ‘seri’» (IMF Survey 2015).  Continua a leggere »

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Il costosissimo flop delle decontribuzioni

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Marta Fana e Michele Raitano si propongono di stimare quanto inciderà sul bilancio pubblico la decontribuzione sul costo del lavoro prevista dalla Legge di Stabilità per il 2015. A questo scopo, essi formulano diverse ipotesi su variabili rilevanti fini del calcolo, come la durata media dei nuovi contratti e la distribuzione delle retribuzioni. La conclusione alla quale giungono è che il costo lordo per il bilancio pubblico nel triennio di sgravio oscillerà, a seconda delle ipotesi, tra i 22 e i 14 miliardi, con un’incidenza sull’occupazione molto modesta che porta il costo per occupato ad una cifra che varia da 25 a 50mila euro.

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La disuguaglianza fa male all’economia e alla democrazia

La disuguaglianza fa male alla crescita, alla democrazia e prima o poi porterà le masse a ribellarsi a quell’1% che detiene tutto il potere economico. Nick Hanauer è un venture capitalist, innamorato delle meraviglie che il capitalismo può produrre ma preoccupato per le crescenti disuguaglianze che stanno minando la base del capitalismo stesso: la classe media. Se si va avanti così, prevede Hanauer, non passerà molto tempo prima che la classe media impoverita prenda i forconi e assalti la diligenza. Prima che accada, i plutocrati (si definisce così) devono abbandonare la teoria dello “sgocciolamento” secondo la quale se i ricchi diventano più ricchi il resto della popolazione se ne avvantaggerà. Aumentare i salari è la prima, fondamentale, riforma del capitalismo oggi necessaria.

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Immigrazione e neoliberismo

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Perché i paesi occidentali adottano politiche restrittive sull’immigrazione ma poi non le applicano? La risposta la fornisce Milton Friedman.

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In libreria “La battaglia contro l’Europa” di T.Fazi e G.Iodice

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Esce oggi in libreria “La battaglia contro l’Europa” di Thomas Fazi (eunews.it/oneuro) e Guido Iodice (coautore di Keynes blog). Il libro è anche acquistabile, scontato, on line nei principali store, tra cui: Amazon (anche in formato e-book Kindle), IBS, Feltrinelli (anche come e-book EPUB)

A otto anni dallo scoppio della crisi finanziaria, l’Europa è stremata dall’austerità, dalla stagnazione economica, da disuguaglianze sempre più gravi e dal crescente divario tra paesi del centro e della periferia. La stessa parola “crisi”, che rimanda a un fenomeno di rottura e di breve periodo, è ormai inadeguata a descrivere quello che appare come un cambiamento strutturale – ma forse sarebbe meglio dire una ristrutturazione deliberata – dell’economia e della società.

La democrazia viene esautorata a livello nazionale e non viene sviluppata a livello europeo. Il potere è sempre più concentrato nelle mani di istituzioni tecnocratiche che non rispondono delle loro decisioni e in quelle dei paesi più forti dell’Unione. Allo stesso tempo, cresce in tutto il continente un’ondata di populismo, con l’affermarsi in alcuni paesi di pericolosi movimenti nazionalisti. Eppure non vi è ancora un consenso sulle ragioni che ci hanno condotto fino a questo punto, e su come uscirne. Il perdurare della crisi economica e la vergognosa gestione della vicenda greca hanno sì trasformato la crisi in un argomento di dibattito diffuso, ma hanno anche determinato un progressivo imbarbarimento del dibattito pubblico, sempre più dominato da logiche nazionalistiche («prima gli italiani») e semplificazioni illusorie e solo apparentemente radicali («fuori dall’euro»).

Nel frattempo molti dei miti fondativi alla base del “regime di austerità” – dobbiamo stringere la cinghia perché stiamo finendo i soldi; abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità; il problema è l’eccessivo debito pubblico ecc. – si sono persino rafforzati.

La battaglia contro l’Europa mostra come le élite europee abbiano sfruttato la crisi per imporre scellerate politiche neoliberali e smantellare lo stato sociale – e come questo processo può essere invertito. Secondo gli autori, la via d’uscita dalla crisi non passa né per una maggiore integrazione («più Europa»), né per l’uscita dall’euro, quanto piuttosto per l’apertura di un conflitto tra periferia e centro che parta dalla disubbidienza ai memorandum della troika e arrivi a delineare un’esplicita alternativa (o almeno un significativo emendamento) all’attuale assetto istituzionale dell’unione monetaria.

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Quando la crescita è un’illusione statistica

Cassidy-Varoufakis-1200I leader europei si congratulano per il ritorno della crescita in diversi paesi della periferia. Ma in molti casi si tratta di un’illusione statistica dovuta al fatto che i prezzi calano più velocemente dei redditi.

di Yanis Varoufakis

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I titoli di stato indicizzati alla crescita per i paesi dell’eurozona

Olivier Blanchard, Paolo Mauro, Julien Acalin, 16 febbraio 2016
tratto da VoxEU.org, traduzione Faber Fabbris

L’ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale Olivier Blanchard e due suoi colleghi del Peterson Institute in questo articolo pubblicato da VoxEU spiegano i vantaggi per i paesi industrializzati,  in particolare quelli dell’Eurozona,  di una forma di debito pubblico ben nota ai paesi in via di sviluppo: i titoli di stato indicizzati alla crescita. Questa proposta, lo ricordiamo, fu avanzata da Yanis Varoufakis nel corso delle trattative tra il governo greco e i suoi creditori. Si tratta di un articolo di sintesi dedicato agli addetti ai lavori, ma il senso dovrebbe essere chiaro anche al pubblico generale.

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La Teoria Generale di Keynes compie 80 anni

neoclassical

di Robert Skidelsky

Nel 1935, John Maynard Keynes scrisse a George Bernard Shaw: “Credo che scriverò un libro di teoria economica che rivoluzionerà in gran parte – non credo immediatamente, ma nel corso dei prossimi dieci anni – il modo in cui il mondo guarda ai problemi economici.” E, in effetti, l’opera magna di Keynes, la Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, pubblicata nel febbraio del 1936, ha trasformato la teoria e la politica economica. Ma la teoria keynesiana regge ancora dopo ottanta anni?

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