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Se l’Italia facesse come Roosevelt…

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di Pier Giorgio Gawronski e Giorgio La Malfa, dal Sole 24 Ore, 11 gennaio 2014

Nel 2013 il mondo ha raggiunto nuovi vertici di benessere: +8% la produzione industriale, +11% il commercio mondiale rispetto al 2008. Le performance, tuttavia, sono molto diverse a seconda delle politiche economiche seguite. Dove, nel 2009, si è reagito con politiche espansive e si è mantenuta la barra dritta – Cina, Polonia – la crisi globale non è stata avvertita. Dove si è evitata l’austerità – come negli Usa – l’economia si è ripresa, il debito pubblico comincia a scendere, ed è stato possibile limitare una prolungata disoccupazione di massa. Anche dove sono state seguite politiche restrittive – in Gran Bretagna e in Giappone – non appena sono cessate, l’economia è ripartita.


In tutti questi Paesi, le banche centrali hanno collaborato allo stimolo fiscale garantendo tassi d’interesse prossimi a zero; stabilità dei titoli pubblici qualunque fosse il livello del debito e del deficit; finanziamenti diretti all’economia reale; acquisti sul mercato dei titoli pubblici e versamento degli interessi nelle casse del Tesoro.

Questi risultati mettono in luce, per contrasto, l’inaccettabile e gratuita performance dell’Eurozona: qui la produzione industriale e il Pil sono ancora inferiori del 15% e dell’1,6% rispetto al 2008; la crescita è minima, tutta importata dall’estero, non in grado di abbattere la disoccupazione. I Paesi periferici, come Irlanda e Portogallo, le cui politiche economiche vengono da anni additate a modello dalla Commissione Europea, patiscono l’emigrazione, ogni anno, di quasi l’1% della popolazione. La classe dirigente europea continua a nascondersi dietro alla favola della crisi mondiale: ma quel che succede nella zona Euro, dal 2010 in poi, non assomiglia affatto a quanto accade altrove. Se l’Europa – solo l’Europa – adotta un sistema monetario simile al gold standard, a cui aggiunge politiche del cambio, monetarie, e fiscali Hooveriane, non sorprende che le conseguenze siano simili a quelle degli anni ’30.

Fra queste conseguenze, vi è anche l’isolata prosperità di un grande paese europeo che gode di un tasso di cambio sottovalutato. Il suo enorme surplus commerciale drena domanda dal resto del continente; i capitali affluiscono copiosi; i tassi d’interesse sono ai minimi; il bilancio è in pareggio senza austerità. Scambiando la buona sorte per virtù, impartisce lezioni ai vicini. «La nostra nazione merita l’ammirazione di tutti» – diceva nel ’32 il presidente del Consiglio francese, Tardieu – per la sua «struttura economica armoniosa», la «parsimonia» dei suoi abitanti, «la flessibilità del sistema economico», la sua «modernità…». La Francia, ultima ad entrare nella Grande Depressione (quando gli altri svalutarono), ultima ad uscirne, insegna che un Paese in surplus non ha alcun incentivo a modificare la situazione. Così è per la Germania. Nel suo recente discorso al Bundestag, la Cancelliera ha ribadito che la deflazione è la strada obbligata per i paesi in deficit commerciale. Dunque, tagli ai salari e ai bilanci pubblici; aiuti, sotto pesanti condizioni, solo quando si fosse sull’orlo di una crisi sistemica. Ed in futuro, “contratti” per imporre le riforme strutturali: le nazioni europee – ha osservato Carlo Clericetti – dopo aver rinunciato alla moneta e alla sovranità di bilancio, dovrebbero anche lasciare ad altri le decisioni su quali riforme fare e come; se non sono d’accordo, dice la Merkel, «li spingeremo» ad accettare. Ma di fronte all’inchiesta europea sugli aiuti di Stato legati ai sussidi energetici «la Germania non tollererà un indebolimento delle sue industrie o la perdita di posti di lavoro». Stessa risposta era stata data ai richiami della Commissione sul surplus commerciale.

La storia degli anni 30 offre un altro insegnamento: nonostante i pessimi risultati, le politiche deflazioniste non vennero mai abbandonate dalle élite democratiche del tempo, trincerate dietro il motto: «L’austerità non ha alternative!». Solo i partiti anti-sistema o perfetti outsider come F.D.Roosevelt risposero al grido d’aiuto dei disoccupati. La crisi odierna è per certi versi ancora più complessa: l’Euro è più rigido del gold standard, non è così facile uscirne; la Bce, pur mantenendo alta la tensione (ieri sugli spread, oggi flirta con la deflazione), impedisce comunque l’esplosione finanziaria del sistema. Ma negli anni 30 non esisteva la teoria macroeconomica, oggi la scusa dell’ignoranza non vale più. O non dovrebbe valere. Eppure, in questi anni ci è stato detto, prima, che non c’era una crisi della domanda; poi, che l’insufficienza della domanda era reale, ma “di breve termine”; infine, si fa capire che la crisi è necessaria per imporre le riforme. La saldatura degli interessi della Germania, dei riformatori neoliberali, e degli eurocrati che puntano all’unione politica europea sta prolungando la crisi. Il problema non è economico, è interamente politico.

Ha notato Paolo Savona sul Sole del 22 dicembre che le ricette deflazioniste – sconfitte alla prova dei fatti – tuttavia hanno vinto sul piano politico. Ma questa “vittoria” comporta alti prezzi politici: una deriva tecnocratico-autoritaria in Europa, e una forte riduzione dei consensi alle istituzioni democratiche nazionali. Perciò un compromesso dovrebbe essere nell’interesse anche dell’establishment, per favorire la vera pacificazione nazionale: quella fra chi non ha lavoro e chi governa. In Italia, si tende a cavalcare le pulsioni maggioritarie, peroniste, e anti-costituzionali nella speranza di contenere gli effetti del calo dei consensi. Ma la Corte Costituzionale ci ricorda che non si può favorire la governabilità a scapito della rappresentanza oltre un certo limite. Bisogna essere davvero miopi per non vedere la fragilità di questo disegno. Meglio sarebbe rappresentare gli interessi del corpo elettorale, e ritrovarne il consenso. Come fare?

Una strada c’è. La Confindustria prevede una crescita dello 0,7% quest’anno e dell’1,2% nel 2015. Sono cifre che non cambiano il quadro generale e non consentono in alcun modo di incidere né sul tasso di disoccupazione, né sulle condizioni di povertà. La nostra proposta è questa. Stabiliamo un obiettivo di crescita del 2% nel 2014 e del 3% nel 2015. Supponendo che, in assenza di politica economica, gli andamenti siano quelli previsti dalla Confindustria, si tratta di aggiungere 1,3% di crescita nel 2014 e 1,8% nel 2015. A parità di politica monetaria e di tasso di cambio dell’euro, l’onere di una accelerazione della crescita ricade sul deficit pubblico. A sua volta la misura del deficit necessario dipende dai moltiplicatori fiscali. Recentemente i moltiplicatori in Italia sono stati pari a circa 1, ma quelli di alcune poste del bilancio – in particolare gli investimenti pubblici, gli acquisti di beni e servizi, i trasferimenti alle fasce in condizioni di povertà assoluta (come le spese sociali studiate dal sottosegretario Guerra per le famiglie più bisognose) – paiono avere valori pari o superiori a 2. Sarebbe dunque sufficiente uno stanziamento – rispetto alle cifre di finanza pubblica indicate nella Legge di Stabilità – dell’ordine dell’1% del Pil nel 2014 e del 0,6% nel 2015. L’impatto iniziale degli aumenti di spesa parrebbe portare il deficit dal 2,7% al 3,9% nel 2014 e dal 2,4% al 3% nel 2015. Ma già nel 2014 l’allargamento della base imponibile darebbe un maggiore gettito fiscale e risparmi di spesa, per 0,5% del Pil (deficit al 3,3%) e nel 2015 per 0,7% (deficit al 2,3%). Il rapporto debito/Pil nel 2017, grazie all’effetto sul denominatore, cioè sul Pil, sarebbe inferiore di 3,5 punti percentuali rispetto a quello che si avrebbe in assenza di tale manovra; e vi sarebbero quasi mezzo milione di disoccupati di meno. Inoltre questi scostamenti modesti, rispetto al vincolo del 3%, non farebbero scattare alcuna sanzione nei confronti dell’Italia.

Questo è il minimo che le classi dirigenti devono al Paese. Se non lo si vuol fare, si ha il dovere di spiegare il perché.

(titolo originale “Serve un acceleratore della crescita”)

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39 commenti su “Se l’Italia facesse come Roosevelt…

  1. Il presidente americano divenne famoso per aver ottenuto, contro le lobby economiche, il “New Deal”. Si tratta di una conquista a livello sociale in quanto si viene a limitare un principio della loro costituzione che sancisce la massima libertà contrattuale. Detto limite impone legalmente criteri di salvaguardia per i diritti dei lavoratori americani, parte debole nel contratto di lavoro. Questo 35 anni prima della nostra legge 300 del 1970 (meglio nota come statuto dei lavoratori).
    Detto ciò, non capisco l’accostamento di Roosvelt alle politiche da voi suggerite di deficit in bilancio per rilanciare l’economia, quando in tutto il mondo occidentale si è ormai raggiunta la convinzione dell’assoluta infondatezza di detta strategia.
    Devo evidenziare inoltre che la crescita registrata è quasi tutta da imputare ai Paesi asiatici, in particolare la Cina, in piccola parte ai Paesi emergenti, quasi nulla o niente per i Paesi OCSE. In particolare per l’Inghilterra è prevista una recessione per il 2015.
    Allego qui link esplicativo:
    http://www.ft.com/intl/cms/s/2/918a42a8-8291-11e3-8119-00144feab7de.html?segid=0100320#slide0

    • Lo stimolo fiscale (o deficit di bilancio) segue l’ovvietà di un’uguaglianza matematica e quindi è sempre valido. Certamente non funziona in astratto. Per esempio se non si seguono investimenti diretti da parte dello stato la liquidità spesa a deficit finisce chissà dove……come quando, per esempio, le banche centrali sparano soldi col cannone salvando i soggetti (banche, speculatori) che hanno distratto la liquidità vs. impieghi finanziari e non produttivi. Oppure quando i lavoratori cinesi e altri sono sottopagati e la competitività sui mercati internazionali finisce per essere del produttore peggiore che sottopaga i lavoratori e inquina l’ambiente.

      • Scusami ma non posso condividere ciò che ti sembra così ovvio. Per stimolo fiscale si intende, a prescindere dalla possibilità di successo, uno sconto sulle imposte oppure una maggiore detrazione sulle stesse. Azione che in concreto vuole applicarsi a chi intende assumere persone con un nuovo contratto che potrà beneficiare di agevolazioni sulla contribuzione obbligatoria. Deficit di bilancio è concetto più ampio che vede la copertura con un aumento della pressione fiscale (ma sarebbe un controsenso) oppure più coerentemente, con una emissione di titoli pubblici, che vanno poi ad aumentare il debito pubblico. Anche questa soluzione, in un Paese già enormemente indebitato, non può essere condivisibile.

      • Deficit di bilancio vuol dire deficit di bilancio ed implica la copertura con titoli o moneta.
        Se lei copre il deficit di bilancio con aumento di tasse o riduzione di spesa non avrà un deficit di bilancio, ma un pareggio di bilancio.

        Entrambe le manovre (aumento di tasse o riduzione di spesa) comportano una riduzione dei redditi del settore privato e sono quindi – queste sì – recessive.

        Se non le piace che il deficit sia coperto con titoli pubblici si può intervenire con emissione di moneta (e non mi tiri fuori l’inflazione, dato che non vi è alcuna relazione evidente (nemmeno teorica) tra moneta e inflazione, almeno fino a quando non si è prossimi alla piena occupazione (negli Usa la M1 nel 2013 è cresciuta dell’8,3% e i prezzi dell’1,5)).

    • Per quel che valgono le previsioni per il 2015, il Regno Unito crescerà secondo il FMI, a cui conduce il suo link, di oltre il 2%. Il fatto che cresca un po’ meno di quanto previsto per il 2014 non si definisce recessione, ma rallentamento. La recessione implica una caduta del pil (una variazione ASSOLUTA negativa del pil rispetto al periodo precedente).

      Quanto al fatto che in Occidente “si è ormai raggiunta la convinzione dell’assoluta infondatezza” dei deficit di bilancio ai fini del rilancio dell’economia è vero forse solo per gli autori che lei legge.

      I fatti (Usa, Giappone, UK, ecc.) e fior fiore di economisti americani (e non solo) si stanno sgolando per convincere l’Europa che le politiche di austerità sono fallimentari (come è sotto gli occhi di tutti, tranne forse i suoi, caro avvocato).

      • Per definizione una recessione è evento opposto a crescita, ciò che si verificherà (probabilmente) in UK nel 2015 rispetto al 2014. Quanto al deficit di bilancio, ormai dovrebbe essere noto a tutti che non solo è controproducente, ma addirittura potrà solo, costituzionalmente considerarsi, solo la PARITÀ DI BILANCIO, art. 81.

      • Infatti il Regno Unito nel 2015 cresce di oltre il 2%. Si vada a vedere i grafici che lei ha linkato.
        E recessione vuol dire pil inferiore all’anno precedente. Non che cresce meno dell’anno precedente. Avere una crescita nel 2014 di 3 e nel 2015 di 2 non è recessione (in Cina la crescita passerà dal 7,8 al 7%; è in recessione?). La recessione c’è in Italia dove il pil è sceso, è diminuito, non so come altro dirlo, è più basso rispetto al 2012 dell’1,8%. Vede la differenza: tra +2 e -1,8?

        Il fatto che in costituzione si sia introdotto il pareggio di bilancio è una emerita CAZZATA. Gli USA, il Giappone e il Regno Unito hanno avuto recentemente dei deficit di bilancio dell’ordine del 10-12%. Le sembra che siano dei paesi allo sbando o non lo è piuttosto l’Italia, con la vostra ossessione del 3% o del pareggio di bilancio?

    • Ma quando si abbassano le tasse e non si taglia la spesa, lo stesso flusso di cassa è assicurato da un aumento del deficit. Quindi lo stimolo fiscale si accompagna agli sgravi fiscali o meglio dovrebbe. Lo stimolo fiscale è l’altra faccia dell’aumento del deficit. Per quanto riguarda l’indebitamento, un paese a moneta sovrana, emette la moneta per “ripagare” gli impegni a scadenza. La tassazione e il debito hanno la funzione non tanto o non solo di finanziamento di uno stato quanto per il controllo della massa monetaria, la quale massa, finiti gli accordi di bretton woods, è realtiva alla moneta fiat e quindi è emessa dal nulla in quantità e la quantità giusta è funzione della domanda. I nipoti quindi sono salvi, ogni generazione consuma ciò che produce.

      • Abbassare le tasse a parità di spesa pubblica, significa trovare le risorse necessarie attraverso emissione di titoli, aumentando il debito pubblico. Aumentare il circolante significa svalutare la moneta con evidente svantaggio nelle importazioni che, come sai, sono componenti fondamentali dell’equilibrio economico (Keynes).

      • Lei confonde l’inflazione – a cui le ho risposto in un precedente commento – con svalutazione.

        Quest’ultima ha a che fare con i rapporti di cambio con le altre valute. Qualora lei fosse preoccupato per la svalutazione (che non è uguale all’inflazione), la svalutazione facilita le esportazioni (effetto positivo sul pil) e deprime le importazioni (effetto positivo sul pil).

        Ritornado al deficit pubblico, che fa aumentare il debito pubblico, potrà preoccupare lei. Personalmente mi preoccuperei della disoccupazione.

        L’intervento pubblico – mediante deficit – in linea di massima stimola il settore privato, in quanto offre risorse superiori a quanto ne preleva con le tasse. E la crescita dei redditi del settore privato stimola la domanda per le imprese. Le quali a loro volta sono invogliate ad investire ed ampliare la capacità produttiva (= aumento occupazione).

        Ma se la può confortare, dal 1992 abbiamo avuto sistematicamente degli avanzi primari (ossia il deficit al netto degli interessi diventa in realtà un surplus). E ciò vuol dire che – a parte gli interessi sul debito andati prevalentemente al settore bancario italiano e internazionale (circa 90%) – il settore privato si è visto prelevare più risorse di quante ne abbia avute in termini di servizi pubblici, stipendi pubblici, pensioni, investimenti, acquisti pubblici dalle imprese. E questa bella politica (di avanzo primario) ha dato i suoi frutti: il reddito delle famiglie è sceso e la disoccupazione è aumentata.

        E oltre al danno, la beffa. Tutti questi sacrifici pagati dal 1992 non hanno ridotto il debito, che è passato da meno del 98% del 1991 al 133% odierno. Come mai?

        Perché perseguire l’avanzo primario deprime i redditi del settore privato e ciò implica da un lato un calo delle entrate fiscali (a cui si supplisce aumentando le aliquote ed introducendo nuove tasse) e dall’altro innalza la spesa pubblica a causa degli interventi di sostengo che si attivano mediante gli ammortizzatori sociali.

        Risultato: si insegue un rigore dei conti che – deprimendo i redditi e l’attività economica – non fa che aggravare il peso del debito (il denominatore del rapporto debito/pil cresce meno o peggio il pil diminuisce!). Quindi anziché preoccuparsi del deficit converrebbe preoccuparsi della crescita del pil (e dell’occupazione).

    • Forse se l’aumento di liquidità trova una produzione interna possono anche aumentare le esportazioni……Eh si, penso sia così che spesso funziona. Certo se quello che produci all’estero non lo vuole nessuno, certamente hai problema. In ogni caso quando la domanda interna langue, lo stimolo è sempre servito per ravvivarla. In altri termini uno spostamento su una curva non è lo spostamento della curva e soprattutto la velocità con cui le due cose accadono costituisce la discriminante della scelta e quindi le considerazioni di causa ed effetto su un fenomeno non possono essere le stesse in ogni tempo e luogo. Ai tempi di Keynes e oggi.

      • Molto giusto, quindi buona parte del problema si trasferisce a considerazioni microeconomiche e di potenziale mercato, di capacità produttive. Mancando queste possibilità, un aumento di liquidità, non solo è inutile, ma addirittura controproducente, (stagflazione).

    • Lo stimolo fiscale funziona sempre se ha un politica industriale espansiva fatta di risorse, uomini e mezzi. I cosiddetti fattori produttivi ci devono essere (è ovvio) ecco perché l’economia politica non è solo moneta e la stagflazione non è determinata da eccesso di liquidità ma si verifica quando essendoci già inflazione chi offre contrae l’offerta per avere margini più alti. Quindi non è un enigma ma un furbata e la massa monetaria non c’entra un granché. La spesa a deficit è e sarà sempre uno degli elementi indispensabili per una crescita economica, non ci sono e non ci saranno mai inferenze scentifiche contrarie (se non quando la liquidità è in eccesso enon come legge scientifica generale) perché è già confermata da semplice logica espressa nei miei interventi precedenti. Se l’Italia uscita dalla guerra non avesse beneficiato di molti investimenti non sarebbe diventato un paese industriale superando di gran lunga la sua condizione precedente la guerra. E così decine di altri paesi dal dopo guerra in poi. La spesa a deficit è proprio ciò che serve oggi accompagnata da investimenti mirati. Non è perché ormai lo dicono molti economisti, è stato sempre così, perché non può che esserlo. Lo stato spende, i privati incassano e investono.

      • Non posso condividere nel caso in cui il debito pubblico sia già eccessivo. Significa un rischio finanziario aggiuntivo per investimenti di dubbia riuscita. Il complesso delle problematiche a livello microeconomico si inizia a risolvere attraverso una educazione di alcuni anni per acquisire nozioni a livello gestionale che l’Italia ancora non possiede. Sarebbe come concimare un terreno che non riesce ad essere fertile nonostante gli sforzi. Occorre tempo e preparazione. Nel frattempo è necessario ridurre il debito e la pressione fiscale. Non dimentichiamoci che a livello globale la competitività è a favore dei popoli asiatici, di gran lunga. Quindi lo studio di strategie commerciali deve tener conto di costi dei fattori produttivi inimagginabili per noi.

  2. AIUTI DI STATO
    Il successo economico attuale della Germania e la crescita della sua competitività poggiano anche su 7 milioni di mini job retribuiti 400 € al mese (sulle riforme Haartz – varate sotto il governo Schroeder – e i cosiddetti lavori minori, v. questa ampia e dettagliata analisi “Il ruolo del diritto del lavoro e della sicurezza sociale nella crisi economica. L’esperienza tedesca” di Maximilian Fuchs
    XXhttp://www.aidlass.it/documenti-1/Fuchs_Aidlass_2013.docXX ). E così può rinfacciare ai partner europei di aver già fatto le cosiddette riforme ed imporre misure analoghe agli altri (v. Grecia, Portogallo, ecc.).
    Ma i mini job sono integrati dal robusto welfare tedesco con:
    a) un reddito minimo garantito (364 € al mese, compatibile coi mini job); e
    b) un sussidio integrale all’affitto.
    Una domanda provocatoria (da non esperto): non si potrebbero equiparare questi sussidi ad aiuti di Stato alle imprese?
    A questa domanda, Vincenzo Comito, su Sbilaciamoci, ha risposto affermativamente:
    “Il lato oscuro della crescita”
    http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/globi/Il-lato-oscuro-della-crescita-21128

  3. Sempre più ridicolo …
    Si continua a ragionare su numeri aggregati, “aggiungiamo un più tot % di crescita …” senza minimamente ragionare su due fatti che pure sarebbero chiarissimi: 1) il nostro Stato NON è gli USA prima del New Deal; qua lo Stato già spende troppo; 2) soprattutto, lo fa MALISSIMO. Il punto non è aumentare la spesa pubblica, sia essa finanziata da tasse o da debito; ma ELIMINARE quella enorme parte di spesa pubblica che non serve a niente se non “redistribuire” tra chi non avrebbe né titolo né meriti né bisogno la ricchezza generata dai deti produttivi ed estorta tramite il fisco. Parlo come al solito di autostrade inutili, cacciabombardieri che non volano ed anche se volassero non servirebbero, fiere della gastronomia di centinaia di ettari, buchi sotto le Alpi che non interessano nessuno se non chi ci lavora, stipendi stellari elargiti a manager che si occupano di ambiti per definizione non competitivi (addirittura il presidente INPS ed il DG dell’agenzia delle entrate!!!), pensioni d’oro nemmeno lontanamente giustificate dai contributi pagati, … Per logica, giustizia, equità ed ormai anche necessità dovremmo chiedere a gran voce di liberarci di questo fardello e ridurre corrispondentemente il prelievo fiscale. Cosa che equivarrebbe ad un’enorme iniezione di liquidità, per di più distribuita automaticamente ESATTAMENTE DOVE SERVIREBBE, cioé a favore della capacità di spesa delle famiglie, che immancabilmente genererebbe una crescita dei consumi interni … eccetera eccetera.

    Invece di cosa si parla? Di aggiustare di uno zerovirgola la spesa dello Stato … Ma basta. Mi sembra ormai largamente dimostrato che, rispetto all’asse “Stato – mercato”, noi ci troviamo fortemente sbilanciati verso uno degli estremi, ovvero spesa gestita dallo Stato; e che lo Stato si sta dimostrando pateticamente inefficiente nel suo ruolo di allocazione delle risorse. NON HA ALCUN SENSO LOGICO continuare a parlare di spesa pubblica in un Paese che di questa – e dell’altra faccia di questa, l’imposizione fiscale – sta morendo. Il tutto come sempre condito da un’uso dei numeri perlomeno spregiudicato, non capendo che in economia NON HANNO nemmeno lontanamente lo stesso significato che hanno in fisica o in geometria.

  4. La spesa pubblica per abitante in Italia (inclusi gli interessi passivi che vanno per il 90% al sistema finanziario nazionale e internazionale) è più bassa che in Finlandia, Austria, Olanda, Belgio, Francia, Irlanda e Germania. Tutti paesi che si permettono, non si sa bene a quale titolo, di dare lezione a chi spende meno di loro!
    http://noi-italia.istat.it/index.php?id=7&no_cache=1&user_100ind_pi1%5Bid_pagina%5D=518&cHash=1c710b54e87fcdde89fbecb2faca063d

    Dopo di che, se vi sono sprechi, inefficienze, privilegi non li ho creati io, nè ho votato quelli che hanno governato negli ultimi 30 anni (DC, Psi prima, FI, PD adesso). Ma per quanto vi siano sprechi, inefficienze e privilegi, la contabilità nazionale o la si conosce o si parla a vanvera di fisica e geometria. La spesa pubblica è reddito o domanda per il settore privato. Il debito pubblico è il risparmio del settore privato. Comprimere uno significa comprimere l’altro.

    Quindi, bene per un uso più efficiente della spesa pubblica. Ma pensare di uscire dalla crisi riducendo la domanda pubblica non funziona. Lo dimostra la realtà. Paesi come gli Usa (quelli di oggi, non di un secolo fa), il Giappone e il Regno Unito dimostrano che stanno uscendo o sono già usciti dalla crisi più grave dagli anni ’30 del secolo scorso con più intervento pubblico e/o con politiche monetarie espansive, non con meno domanda pubblica e/o con politiche monetarie barocche e inefficaci.

  5. Buona notte.

    “Il debito pubblico è il risparmio del settore privato”. Sarebbe a dire che il risparmio DEVE NECESSARIAMENTE essere investito nel debito pubblico? Se espando ulteriormente il debito, segue necessariamente un aumento del risparmio? E se il risparmio aumenta, ma viene investito per esempio in borsa o in titoli di Stato esteri, quale sarebbe la relazione col debito pubblico? Uno Stato con poco debito, i cui cittadini hanno molto risparmio e lo investono in borsa (finanziando così attività produttive), sarebbe un male?

    “La spesa pubblica è reddito o risparmio per il settore privato”. Se è reddito, è la stessa cosa garantire il reddito (giustamente guadagnato) di un impiegato della PA che fa il suo lavoro, elargire uno stipendio milionario ad un banale contabile messo a capo di un Ente che non produce nulla, o assegnare un mega appalto per una cattedrale nel deserto? Ovvero: dare 1.500 € al mese ad un lavoratore, darne 50 – 100.000 ad un raccomandato o farne guadagnare milioni ad un corruttore o ad un camorrista? Anche a voler dire che sono comunque soldi immessi nel circuito economico, “gireranno” tutti allo stesso modo e negli stessi ambiti?

    La smetto qui perché mi sto già annoiando. Al solito. Ennesima dimostrazione che in economia si parla troppo spesso a vanvera. Oh, e non si offenda, eh! Ché nessuno la sta insultando. Sto solo constatando un fatto evidente.

  6. 1) No.il risparmio non deve necessariamente andare al debito pubblico. Ma il debito pubblico chi lo compra se non il settore privato? i marziani?

    2) idem per la spesa pubblica. Pagare gli stipendi pubblici, i servizi, gli investimenti , le pensioni significa trasferire risorse al settore privato (consumano, e quindi costituiscono domanda per le imprese anche i dipendenti pubblici e i pensionati). Se poi vi sono pensioni d’oro, alti dirigenti strapagati o investimenti che favoriscono la camorra è un problema politico. Lo ripeto. Io non ho votato partiti di governo negli ultimi 30 anni. Se lei li ha votati, se la prenda con loro (che hanno governato), non con Keynes o Roosevelet. Glielo già detto una volta: Keynes ha scritto al Teoria Generale per risolvere il problema della disoccupazione. Non per combattere la mafia o la corruzione. Se in Italia abbiamo mafia e corruzione è problema politico, non di macroeconomia. Non è compito della politica economica sconfiggere la camorra. Non è compito della contabilità nazionale impedire i privilegi. E’ compito che ricade alla magistratura e alle forze dell’ordine.

    Continui pure a dormire e sogni d’oro, se preferisce. Senza offesa, ovviamente. Anche questa è una constatazione.

    Oppure: Si svegli!

    • 1) Il debito pubblico lo comprano (anche) i privati risparmiatori, ma il debito pubblico NON “è” il risparmio del settore privato. Starò dormendo, ma credo di averle fatto anche un esempio; o forse me lo sono sognato.

      2) NON è “un problema politico”, è IL problema. Se i soldi vengono spesi “bene”, portano frutto. Se vengono spesi “male”, fanno danni. Da noi si fanno quasi solo danni. Esistono Paesi che scelgono strade più rigoriste (Germania), altri che ne preferiscono di più “allegre” (USA), ma se la cavano COMUNQUE sempre molto meglio di noi. Perché? Perchè loro i soldi pubblici, pochi o tanti che siano, ottenuti da tasse o da indebitamento, più che altro li spendono; NON li sprecano.

      Perfettamente banale osservare che la politica economica non ha il compito di impedire lo sperpero né quello di combattere la criminalità organizzata. Resta il fatto che le costanti della nostra storia recente sono state la pessima gestione della cosa pubblica e l’arretratezza rispetto alle nazioni “concorrenti”; non la politica rigorista.

      Faccio presente un’altra banalità (amo le banalità). Non sono un tifoso né dello Satto né del mercato, per quanto riguarda il ruolo di allocatore delle risorse; l’importante è che tale ruolo venga svolto, in maniera preponderante, dal più efficiente tra i due. Bene, ormai il ticket per una radiografia in Ospedale mi costa poco meno del prezzo pieno della stessa radiografia presso un centro privato; in più, pago le tasse. E allora? Allora, da noi lo Stato ha FALLITO in questo suo ruolo.

      Ora torno a dormire, ché è meglio.

      Ah, dimenticavo: mai mai MAI votato per FI PD PDL AN UDC SC Lega SEL, e spero di non aver trascurato nessuno.

      • Il debito pubblico può essere acquistato SOLO dal settore privato o dall’estero (prevalentemente settore privato). Eventuali acquisti di titoli da parti di enti decentrati dello Stato sono di fatto solo una partita di giro all’interno del settore pubblico. Il settore privato comprende sostanzialmente: famiglie, imprese, sistema bancario. Il debito pubblico è quindi in mano esclusivamente al settore privato interno (od estero), SENZA CHE per questo COSTITUISCA TUTTO il risparmio del settore privato.

        Ma resta il fatto che il debito pubblico è una attività del settore privato. Ad un debito corrisponde un credito. Ad una passività corrisponde un’attività. Al settore pubblico che vende titoli si presenta solo il SETTORE PRIVATO.

        Sulle altre questioni, la lascio alle sue convinzioni. Vorrei solo farle notare che gli “allegri” americani con un deficit che è arrivato all’11% sono usciti rapidamente dalla crisi. Noi con le nostre assurde politiche di austerità, ne siamo tuttora immersi a distanza di sei anni dall’inizio della crisi. Lei dice che loro spendono bene (o comunque se la cavano) e noi no. E se loro spendono bene e noi no, è un problema di spesa pubblica o di chi gestisce la spesa pubblica. E chi la gestisce la spesa pubblica? non è forse il governo? E non è allora un problema politico? Un problema politico purtroppo molto grosso per il nostro paese. Ma che non ha nulla a che fare con la bontà dei fondamenti che guidano la politica economica di un paese. E qui mi fermo.

    • 1) quindi, banalmente, i soldi che un privato ha speso per comprare debito pubblico, avrebbe potuto utilizzarli in qualsiasi altro modo. diminuire il debito pubblico, quindi, NON implica minimamente ridurre il risparmio privato.
      2) “trasferire risorse”. bello quel “trasferire”. ma ste risorse si generano da sole, spontaneamente? o, appunto, sono trasferite? bene. sono trasferite AL settore privato.
      ma precedentemente vengono trasferite DAL settore privato allo stato. che agisce quindi semplicemente da tramite, e non certo da miracoloso generatore di risorse.

      questa, ovviamente, non è economia.
      è soltanto logica elementare.

      • Si va beh, ma le virgole?

      • Ooops, la mia risposta precedente era ovviamente destinata all’intervento di avvocationline.
        Grazie, un pò di logica è come un raggio di Sole; ma da queste parti a volte mi sento un marziano.
        L’osservazione sui “trasferimenti” è a mio avviso IL nocciolo della questione. Il punto è che lo Stato presume di funzionare sempre e comunque meglio del mercato nell’allocare risorse; mentre ormai da decenni (almeno) è evidente che non lo è. L’effetto dell’intervento dello Stato su risorse “generate” tramite debito è molto spesso distorsivo; quello su risorse “trasferite” prelevandole tramite tassazione è invece ormai del tutto devastante. Provate ad immaginare un’Italia in cui NON esiste il “nero” a basso livello: piccoli esercenti ed artigiani che dichiarano il 100% e pagano le tasse su tutto. Saremmo andati gambe all’aria da un pezzo. L’evasione di chi con l’evasione non sopravvive ma ci si arricchisce, ovviamente, è cosa del tutto diversa.

  7. Ringrazio Giorgio per la pazienza e capiacità che ha mostrato nel cercare di esporre alcuni concetti di economia elementare agli intervenuti , evidentemente le persone che frequentano questo blog si documentano da altre parti , certo che dopo quello che è successo, con gli enormi danni creati dalla speculazione finanziaria selvaggia mi soorprende che ci sia ancora qualcuno che creda alle virtu del mercato come modo migliore di allocazione delle risorse e forse anche alla “mano invisibile”, come dice Fitoussi nel Teorema del lampione se cerco le chiavi solo dove ce la luce perchè si vede meglio non è detto che ritrovi le chiavi , ovvero allargate il vostro orizzonte e forse scoprirete cose interessanti e che non è tutto oro cio che luccica.

    • Ma che accidente c’entra la “speculazione selvaggia” col mercato. Quella semmai è una DISTORSIONE del mercato, dovuta ad assenza di regole opportune. E le regole dovrebbe imporle lo Stato, non il mercato. Tra l’altro, risorse finanziarie a baso costo di questi tempi sarebbero anche disponibili, almeno in linea teorica. Ma le banche, anziché usarle per sostenere gli investimenti dei privati, le usano per comprare titoli del debito pubblico. Perché? Perché lo Stato si è dimenticato di separare le attività delle banche di investimento da quelle delle banche commerciali, tra l’altro perpetuando la situazione che ha determinato la pericolosità delle crisi bancarie. Ma guarda il caso. Negli USA lo hanno fatto, invece, e dopo qualche anno di cordoni della borsa allentati ora arrivano i risultati.

      Non credo nel neoliberismo (e come potrei …). Ma essere liberali significa accettare, anzi, pretendere che lo Stato imponga regole, volte a regolamentare il mercato ed a perseguire il migliore benessere per tutti. Regole. Non interventi diretti nell’economia.

    • PierPier, Geo scrive: Ma che accidente c’entra la “speculazione selvaggia” col mercato.

      Ha avuto l’indubbio merito di farmi fare una bella risata. E di questo lo ringrazio,
      Anche la speculazione viene da un altro pianeta? Non è che per caso sono gli stessi operatori di MERCATO che ci sguazzano?

      Oh sì, ci vogliono regole. E le regole le deve mettere lo Stato (cit).
      Peccato che i vari governi a partire dagli anni ’80 abbiano fatto di tutto per allentare o togliere le regole che c’erano nel mondo finanziario.

      E di nuovo si ritorna al punto di prima: chi le ha tolte o le ha allentate, se non i governi?
      E quindi bisogna ammettere che i governi che si sono succeduti a partire dagli anni ’80 (inclusi quelli dei democratici americani, ma anche i nostri per quanto ci compete) hanno cavalcato l’onda neo-liberista. Bene. Abbiamo la prova che le loro politiche sono state fallimentari.

      E’ ora di cambiare paradigma e di cambiare personale politico.

      • Perfetto. Allora cambiamo paradigma. Magari saprà anche indicarci in che modo, non appena avrà finito di sghignazzare. Nel frattempo però magari cominciamo a pretendere norme che escludano la speculazione selvaggia dal mercato. In USA per esempio hanno fatto un bel passo avanti, separando per l’appunto le attività bancarie PRIMA di allentare i cordoni della borsa. Segno chiaro che si può fare.

        Ovvio, poi, che i pescecani sguazzino nelle “dimenticanze” più o meno volute dello Stato. Il che non implica che non possa esistere un mercato sano.

  8. non si annoi lei da molto tempo dice queste cose anche con una certa ragione ma sembra che il compito per un economista non sia quello di analizzare dettagliatamente le singole voci di spesa (questo è un compito che spetta alla politica ed agli amministratori) il fatto che la spesa potrebbe essere meno dispersiva ed è male utilizzata non significa che essa sia al di sopra dei parametri necessari per il buon mantenimento dei servizi ed è questo che sembra che molti economisti ci dicono da molto , ma ci dicono pure che se i risparmi privati vengono drenati oltre al necessario cioe con avanzi primari cioe (spesa + interessi sul debito)alla lunga e specialmente in momenti di difficolta economici il rapporto consentito di deficit al 3% non basta piu ma ci vogliono deficit piu alti per creare posti di lavori……su questa non ci piove che poi la spesa potrebbe essere meglio utilizzata e distribuita anche su questo non ci piove inoltre sul fatto che i risparmi potrebbero andare in borsa non si crei problemi a quelli i soldi non mancano ci pensa mamma bce

  9. Vale a dire se l’Italia facesse come Mussolini.
    Infatti il presidente americano prima di decidere la sua politica economica mandò in Italia due personaggi per studiare il “miracolo italiano” che appicò con lodi spericate al dittatore italiano. Da ciò naque il NEW Deal.

  10. Roosevelt mi sembra che poi diede una bella lezione al nazifascismo (una guerricciola durata qualche anno) … o mi sbaglio?

    Ricordo male o Roosevelt fu rieletto anche in periodo di guerra?

  11. Anche qui non facciamo di ogni erba un fascio (o un fascista). Mussolini ha fatto le leggi razziali e si è alleato con un pazzo; ciò non significa che abbia sbagliato proprio proprio proprio tutto. Magari un paio di cose decenti le ha fatte.

    • Mussolini avrà anche fatto le leggi razziali ma ha salvato quantità rilevanti di ebrei sfidando le ire dei nazisti che comune non erano comandati da un pazzo ma da un lucido calcolatore che voleva ridare alla Germania quanto gli era stato rubato dalla prima guerra mondiale. Quindi non un paio di cose ma qualcosa di più. Lo sanno coloro che hanno studiato la storia scritta anche da chi l’ha persa e non solo dai vincitori.

  12. Aggiungo in tema di Stato e mercato , che è appunto il fatto che negli Stati Uniti che abolendo la Stegall-Glass varata negli anni 30 per separare banche d’investimento e non, sulla base dei paradigmi iberisti si è dato l’avvio alla speculazione. Poi lo stesso Stato in America e in Europa ha tirato fuori miliardi di dollari per salvare le banche e non mi risulta che siano state fatte riforme efficaci sul sistema finanziario, anzi basta vedere i soldi che da la Bce alle banche a tasso irrisorio e non rientrano nel circuito dell’economia reale, provate a farvi fare credito. Il problema non è di non essere liberali , cito solo due autori certamente non marxisti : Schumpeter che diceva che per far funzionare lo Stato ci vuole un “autocontrollo democratico” e Popper “Al potere economico non si deve permettere di dominare il potere politico, se necessario deve essere combattuto e riportato sotto il suo controllo”, invece mi pare che in Europa le decisioni vengano prese dalla Troika ovvero istituzioni non democraticamente elette.

  13. Reblogged this on The Link.

  14. Sembra che, un buon equilibrio iniziale debba riporsi fra potere politico e potere economico. Anche se, quest’ultimo tende a prevalere.
    Sulla Troica, non dovrebbe farsi troppa semplificazione. Basti pensare che già nel 2010, Mario Draghi, allora Governatore della Bankitalia, oggi della BCE, aveva dichiarato nella relazione della Banca d’Italia, sia la necessità di regole più severe, per contrastare i fenomeni dello Shadow Banking e del Moral Hazard, sia la separazione di banche d’investimento dalle banche commerciali. “.. non si può più tollerare istituti con utili privati e debiti pubblici..” (vedi il ben noto caso Islanda).
    Relativamente agli USA, vorrei evidenziare il caso dello “Shutdown” dove Obama si è trovato in seria difficoltà nel rompere, anche se momentaneamente, il tetto del debito pubblico. Segno che non esiste per nessuno la possibilità di stampare moneta all’infinito o di finanziare la spesa pubblica senza criterio.
    Chiaro che i fondamenti Keynesiani sono validissimi, c’è da riflettere sul fatto che questi siano andati in crisi negli anni ’70. Sul fatto che sia seguito una bolla finanziaria con una aumento graduale dei prezzi sia sui titoli sia sui beni, che poi ha determinato un inflazione galoppante negli anni ’80, Infine la grande crisi del ’87, di cui, anche allora, le conseguenze sono state subite da tutto il mondo. Eppure la politica non ha saputo reagire nella giusta direzione, Alla fine degli anni ’90 inizia una nuova corsa agli aumenti, con relativa scoppia della bolla nella crisi Dot.com.

    Nel nuovo millennio però si aggiunge un nuovo elemento importantissimo,
    Il notevole differenziale del costo del lavoro fra Occidente e Oriente. Dalla ciclica sottoproduzione, ci troviamo alla più pesante delle disoccupazioni.
    Il 2007 è conosciuto come quello della crisi dei “subprime” fra i tanti vedi R. Shiller,
    Ma se la bolla dei mutui e loro derivati è stata senz’altro un notevole protagonista, è innegabile che l’apertura al mondo economico decretato dalla Cina di Deng Xiao Ping nel 1979, ha aperto la strada all’uso (abuso) di manodopera al costo di un ottavo rispetto a quello occidentale.

    Quindi non solo una mancanza di democratizzazione della finanza, non solo un problema crescente occupazionale, ma, a causa di, oppure per conseguenza di, anche di un crescente esponenziale del debito pubblico.
    Debito che sembra prioritario perfino alla crescita occupazionale. Il pensiero prevalente potrebbe essere, ” se non paghiamo i debiti, nessuno investirà più in questo Paese, di conseguenza diminuisce ogni voce di attività”.

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