La nuova strategia europea di austerità morbida, di cui Enrico Letta appare oggi l’alfiere, è più che altro un’operazione cosmetica. La Germania non accetterà di attuare stimoli fiscali per il bene dell’Europa meridionale. E grazie al fiscal compact l’austerità durerà per quasi un’intera generazione.
di Wolfgang Munchau dal Financial Times del 5 maggio 2013
Vi è un grande brusio in Europa circa il fatto che l’austerità potrebbe finire presto. Le elezioni italiane hanno impaurito i politici in altre parti del Sud Europa. Anche la Commissione europea sembra amichevole. Di conseguenza, mi aspetto di vedere cambiamenti di portata minore sulle politiche economiche. Tuttavia, il principale cambiamento non sarà la politica in sé, ma il modo in cui viene venduta.
Un buon esempio della nuova strategia anti-austerità basata sulle pubbliche relazioni è venuto dal discorso della scorsa settimana di Enrico Letta, il nuovo primo ministro italiano. Ha inveito contro l’austerità, ma allo stesso tempo ha sottolineato il suo impegno per rispettare gli obiettivi di bilancio dell’Italia, come se le due cose fossero in qualche modo non correlate.
Egli ha in programma di sospendere l’impopolare tassa di proprietà [l’IMU, ndt], la cui abolizione provocherebbe un buco di 8 miliardi di euro nel bilancio. Si dice che il suo governo stia lavorando ad una imposta sostitutiva per colmare questa lacuna.
La mia ipotesi è che l’Italia probabilmente si attenerrà al piano di riduzione del deficit strutturale. Tuttavia, poiché la crescita economica sarà inferiore a quella prevista in precedenza, c’è una buona probabilità che i disavanzi nominali supereranno gli obiettivi. Il cambiamento più probabile di politica sarà quello di permettere che avvenga il superamento, almeno in parte.
Per vedere più in dettaglio perché il cambiamento sarà tanto limitato, si deve comprendere la scala dell’austerità nei bilanci 2012 e 2013.
Il saldo strutturale per l’Italia era -3,6% del prodotto interno lordo nel 2010 e -3,5% nel 2011. Tuttavia, nel 2012 è balzato al -1,3%, secondo i dati di aprile del World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale. La previsione per il 2013 è di un altro salto a -0,2% del PIL. Quindi l’aggiustamento cumulato nel 2012 e nel 2013 dovrebbe attestarsi intorno al 3,4% del PIL.
Questa correzione fiscale estrema ha causato la recessione in atto, la cui entità è stata sottovalutata dalla Commissione europea e dal precedente governo italiano.
Cosa succederà adesso? I responsabili politici europei hanno una certa flessibilità nella loro capacità di attivare una clausola nel quadro della governance economica della zona euro e ciò consente loro di adeguare gli obiettivi durante le recessioni.
La zona euro ha percorso una lunga strada da quando la regola consisteva in un obiettivo nominale inflessibile del 3%. La regola del 3% è ancora lì, ma l’attenzione è ora principalmente sui deficit strutturali. Questo è un miglioramento, ma il quadro applicato rimane pro-ciclico, anche se forse non proprio la stessa misura di prima.
Inoltre l’Italia potrebbe uscire dalla procedura di deficit eccessivo, che fornirebbe una maggiore flessibilità con lo sblocco di fondi per gli investimenti che sono attualmente bloccati.
La lieve moderazione del ritmo di austerità offre un ulteriore vantaggio. Ci saranno meno danni collaterali da tagli alla spesa frettolosamente decisi dall’Italia. Il governo italiano ha applicato l’austerità non tanto consumando meno, ma semplicemente non pagando per i servizi. Italia ora ha bisogno di introdurre una nuova legge per consentire la ripresa di tali pagamenti. Direi che questo comportamento è un default.
L’effetto del cambiamento di strategia è quindi maggiore di zero, ma non è abbastanza. La zona euro continua a muoversi verso l’equilibrio strutturale, a differenza degli Stati Uniti, il Regno Unito e Giappone. La politica fiscale continuerà ad avere un effetto negativo sulla crescita.
Se la zona euro fosse sul serio in una inversione a U sulla austerità, l’unico modo efficace per raggiungere questo sarebbe per i paesi creditori l’espansione dei loro bilanci durante la recessione. Ma accade l’opposto.
La Germania, un paese con molto più spazio di manovra fiscale che l’Italia, ha intrapreso un aggiustamento fiscale di dimensioni quasi simili. Tra il 2010 e il 2012 il miglioramento netto cumulato del saldo strutturale è pari al 2,5% del PIL. Italia e Germania sono entrambi proiettate verso l’equilibrio strutturale, più o meno, questo anno e nel 2014.
Non c’è possibilità che la Germania, in particolare, accetti uno stimolo fiscale per il bene dei paesi dell’Europa meridionale. Questo perché la stessa Germania ha bloccato se stessa facendo passare una legge di bilancio in pareggio che impone al governo di perseguire deficit strutturali quasi nulli a tempo indeterminato.
Il patto di bilancio europeo [fiscal compact, ndt], il trattato intergovernativo che è entrato in vigore a gennaio, lascia molta meno flessibilità ai paesi che cercano di raggiungere i loro obiettivi di riduzione del disavanzo rispetto agli accordi precedenti. Sotto il fiscal compact, l’Italia sarà tenuta a ridurre il debito di oltre il 2% del PIL ogni anno. Per raggiungere tale obiettivo, l’Italia avrà bisogno di enormi avanzi strutturali per quasi una generazione.
Quindi, se si vuole far cessare l’austerità, è necessario iniziare abrogando il fiscal compact e modificando alcuni atti di diritto derivato in materia di politica fiscale di coordinamento. Non credo che questo accadrà. La mia conclusione è che l’austerità è qui per restare, ma verrà semplicemente presentata con parole più dolci.
E durerà per tutto il tempo in cui esisterà l’euro.
Fonte: Financial Times
L’ha ribloggato su L'homo sapiens sapiens è anche sapiens al quadrato?.
[…] Traduzione da:https://keynesblog.com/2013/05/08/munchau-fine-dellausterita-con-letta-sono-solo-chiacchiere/#more-41… […]
La cosa pazzesca è che questo articolo è stato usato su giornali e televisioni italiani come una giustificazione del fatto che le politiche di austerità non possono essere abbandonate, come se questa fosse l’unica strada da percorrere ! Invece leggendo l’articolo è evidente che Munchau ha solo detto che se si resta nell’euro la strada alternativa sarebbe che i paesi in surplus aumentassero la loro spesa in modo da rimettere in moto le economie periferiche, ma visto che la Germania sta facendo l’opposto e visto che nessuno dei nostri politici ha intenzione di mettere in discussione il totem euro dobbiamo prepararci a una ventina d’anni di austerity.
La colpa non è delle televisioni o dei giornali….La grande colpa è dei giornalisti prezzolati. Basta pagarli bene,come alcuni sedicenti economisti appecorati.
La Germani fa solo i suoi interessi, come sempre nella sua Storia….La Thatcher lo disse 20 anni fa, era contro la sua riunificazione.
L’Europa sarebbe diventata Germanocentrica.Beh il resto lo vedete Oggi.
non c’è il due senza il tre….
Condivido pienamente l’ articolo.A parte che tale politica economica risulta completamene fallimentare , basta prendere in considerazione che il rapporto Debito/Pil Eurozonale era al inizio della crisi 66% ,nel 2012 sali’ al 91% e quest’ anno si stima al 95%, con la disoccupazione 7.3% e 12% rispettivemente, l’ Euro comporta in se la fine della democrazia parlamentare ,a favore di una di stato di emerzenza perpetuo dove comandera’ la burorazia di Bruxelles, con la conseguente perdita della sovranita’ nazionale. Inoltre dentro in una situazione di austerita’ continua che “durerà per tutto il tempo in cui esisterà l’euro”. Vorrei sapere qualli i vantaggi traggono i paesi del Sud Europa rimanendo nella Zona Euro? Rispondo , nessun vantaggio solo svandaggi, in un Europa Germanica bisogna sottolineare.
La colpa è degli elettori che continuano a bersi qualsiasi cosa e a perdonare tutto a questa gente. Dovrebbero svegliarsi.
Il problema italiano è aggravato dalla campagna elettorale permanente di Berlusconi che dirotterà sui suoi qualunque spicciolo e farà leggi a favore delle sue lobby (tra cui, mai citata dai media, quella degli importatori e noleggiatori delle macchinette mangiasoldi9.
[…] di Wolfgang Munchau dal Financial Times del 5 maggio 2013 – Fonte: http://keynesblog.com […]