Dagli anni ’70 uno tsunami si è abbattuto sulle vecchie certezze della scienza economica. Ma è soprattutto negli anni ’90 che i luoghi comuni del neoliberismo hanno definitivamente vinto, piegando gli ultimi riottosi e i progressisti al di là e al di qua dell’Atlantico. Tra questi luoghi comuni due hanno influenzato pesantemente le politiche economiche in Europa e negli USA: la presunta ineluttabile “fine del manifatturiero” (e quindi l’esclusiva attenzione all’ “economia dei servizi”) e l’idea della “crescita senza occupazione” a causa dell’innovazione tecnologica e del suddetto passaggio all’economia dei servizi.
Non tutti i ragionamenti dietro queste proposizioni sono infondati, eppure i fatti più recenti ci costringono a ritornare ai vecchi convincimenti. Ci aiuta a farlo Matias Vernengo con due post [1] [2] sul suo blog Naked Keynesianism.
1. Più industria, più crescita
Nicholas Kaldor negli anni ’60 enunciò alcune “leggi” dell’economia che portano il suo nome. Secondo Kaldor vi è una correlazione positiva tra la crescita del settore manifatturiero e quella di un economia in generale. Se vi sembra qualcosa di vecchio e superato, allora basta guardare questo grafico che rappresenta la distribuzione dell’industria manifatturiera dal 1700 ad oggi.
Concentrandosi sulla seconda parte del ‘900 e sugli anni 2000 balza subito all’occhio come vi sia un evidente spostamento verso la Cina e l’Est Asia. In effetti il Giappone, fino a 20 anni fa (quando è caduto nella trappola delle bolle finanziarie) e ora la Cina, sono i paesi che hanno goduto delle migliori performance economiche. Viceversa è impressionante il declino del Regno Unito ed evidenti gli effetti del crollo dell’URSS. Bene l’Europa pre-2006, grazie soprattutto all’industria tedesca. Come stiano andando le cose negli ultimi anni è cronaca di tutti i giorni.
Se si vuole crescere, insomma, l’industria manifatturiera è ancora un settore fondamentale. Deve aver pensato anche a questo Barak Obama quando ha salvato il settore auto da una morte pressoché certa e chiesto a Steve Jobs di tornare a produrre apparecchi elettronici negli Stati Uniti.
Mentre i salari cinesi crescono a ritmi inimmaginabili in Occidente e lo Yuan diventa progressivamente una moneta forte, gli Americani hanno compiuto alcune scelte strategiche necessarie per ritornare a crescere, pur con ritardi e in modo parziale e contraddittorio. E l’ascesa del manifatturiero negli USA o, come significativamente dicono gli Americani “far ritornare il lavoro a casa”, è ormai una realtà.
2. Più crescita, più occupazione
Un altro vecchio convincimento della teoria economica è lo stretto rapporto tra occupazione e crescita. Empiricamente esso prende il nome di “Legge di Okun”. Negli ultimi decenni alcune caratteristiche di questa correlazione sono state messe in discussione, al punto che si è parlato, come dicevamo, di “crescita senza occupazione” e si è andati all’affannosa ricerca delle cause della rottura di questo rapporto.
Le cose però sembrano stare in modo differente e più aderente alle vecchie idee. Un recente working paper del FMI [link] analizza i periodi di crescita e recessione nei paesi più industrializzati e arriva a concludere che quella tra crescita e occupazione è “una relazione forte e stabile nella maggior parte dei paesi anche dopo la Grande Recessione [2008-2009]e le affermazioni circa una sua rottura sono errate”. Il risultato empirico parla di un punto di disoccupazione in meno ogni due punti di crescita economica. Approssimativamente tale rapporto è comune a tutti i paesi industrializzati. Non solo: secondo i ricercatori del FMI l’idea della rottura tra crescita e occupazione ha avuto successo semplicemente perché dagli anni ’90 la crescita è stata lenta e con essa il riassorbimento della disoccupazione dopo le recessioni.
Obviously there can be full employment with no ‘industry’ as once was the case when everyone needed to work the fields and tend the children to survive. What ‘industry’ adds is productivity, so the same population, fully employed, can produce more output.
In other words, any nation can always get to full employment in short order with the right fiscal adjustment, as unemployment as we define it is everywhere and always a case of govt. spending being insufficient to cover the tax bill and the desires to net save financial assets.
The move to full employment alone today would add maybe 20% to global GDP (and it doesn’t have to mean additional energy consumption, etc!) resulting in prosperity far beyond what most can possibly imagine. And that’s without any increase in productivity. Add that and a great thing gets even better!!!
[…] Continua a leggere » […]
“Viceversa è impressionante il declino del Regno Unito ed evidenti gli effetti del crollo dell’URSS.”
In che senso? Nel senso che la crescita in questi paesi è diminuita dagli anni 70-80 al 2006?
Bisognerebbe vedere dati su crescita in URSS-Russia (peraltro la dimensione del Paese è cambiata drasticamente nel periodo 1980-2006 – il grafico ne tiene conto?…) e UK nel periodo di riferimento altrimenti non si capisce in che senso il grafico supporti la vostra tesi nemmeno in termini di correlazione semplice…
https://www.google.it/publicdata/explore?ds=d5bncppjof8f9_&met_y=ny_gdp_mktp_kd_zg&idim=country:GBR&dl=en&hl=en&q=uk%20gdp%20growth
https://www.google.it/publicdata/explore?ds=d5bncppjof8f9_&met_y=ny_gdp_mktp_kd_zg&idim=country:RUS&dl=en&hl=en&q=russia%20gdp%20growth#!ctype=l&strail=false&bcs=d&nselm=h&met_y=ny_gdp_mktp_kd_zg&scale_y=lin&ind_y=false&rdim=region&idim=country:RUS&ifdim=region&tstart=664675200000&tend=1295827200000&hl=en_US&dl=en&ind=false
Secondo la vulgata comune la crescita senza occupazione si spiega, in generale, con il progesso tecnologico che consente processi produttivi ”leggeri” (postfordisti, come si dice), con l’aumento della produttività dovuto all’ICT,il mantenimento solo delle parti più pregiate del processio industriale anche manifatturiero nei paesi ad economia di mercato matura. Si tratta di giutificazioni non fondate?
La crescita vera passa da investimenti consistenti. Il che significa spesa pubblica. L’America di Obama l’ha capita, e aumenta di 157mila i posti di lavoro a gennaio. Noi italiani seguiamo il rigore di Monti ma la crescita è a zero. Per non parlare della disoccupazione: – 11,2%.
http://taccuinoonline.wordpress.com/2013/02/02/il-fallimento-di-monti-sul-lavoro-disoccupazione-all112-intanto-negli-usa-157mila-posti-di-lavoro-a-gennaio/