di Vladimiro Giacché da Pubblico
Da tempo l’interpretazione dei discorsi dei governanti europei non ha nulla da invidiare, quanto a complessità, all’interpretazione dei discorsi dei leader sovietici ai quali si dedicavano dei veri e propri specialisti, i sovietologi. Da mesi, ormai ogni giorno, stuoli di eurologi si rompono la testa per capire il senso dell’ultima intervista della Merkel o dell’ultimo intervento di Draghi: e in base a quello che hanno capito comprano o vendono titoli di Stato. Anche in questo fine settimana gli eurologi hanno avuto il loro bel da fare con l’intervista rilasciata da Wolfgang Schäuble alla “Welt am Sonntag”.
L’impressione generale è che il ministro delle finanze tedesco si barcameni con difficoltà, dando un colpo al cerchio e uno alla botte. Da una parte Schäuble insiste sul fatto che l’impossibilità per la Grecia di conseguire gli obiettivi fissati dalla troika dipenda dal fatto che i programmi imposti da FMI, BCE e Unione Europea sono stati applicati male e non dalla loro insensatezza. Aggiunge poi che non ci sono spazi “per ulteriori concessioni” (sic) alla Grecia. Sulla Spagna tenta senza grande fortuna uno slalom, prima minimizzando l’entità del problema dei rendimenti – ormai elevatissimi – dei titoli di Stato spagnoli (“non viene giù il mondo se a un’asta di titoli di Stato si deve pagare un paio di punti percentuali in più”), poi dichiarando che gli aiuti sinora offerti sono sufficienti e negando, contro ogni evidenza, che ci sia del vero nei rumors di un’ulteriore prossima richiesta di aiuto da parte della Spagna. Queste parti dell’intervista di Schäuble sono di per sé tali da alimentare lo scetticismo sulla concreta possibilità per Draghi di intervenire “sino a dove necessario” per contrastare l’esplosione dei rendimenti dei titoli di Stato spagnoli e italiani. E da questo punto di vista non c’è niente di nuovo: è almeno da un anno e mezzo che i governanti tedeschi ci hanno abituato a dichiarazioni che gettano benzina sul fuoco, alimentando la convinzione che non potrà esserci alcun intervento risolutivo da parte europea nei confronti dei paesi che hanno difficoltà di approvvigionamento sui mercati dei capitali.
Ma nell’intervista c’è anche dell’altro. Ad esempio, Schäuble afferma a chiare lettere che “la Germania trae vantaggio dalla moneta comune più di ogni altro paese”. Conseguentemente, liquida con fastidio il dibattito sull’uscita della Grecia dall’euro (il vicepremier tedesco Rösler lo aveva riaperto pochi giorni fa), e soprattutto prende a schiaffi i professori del centro di ricerca tedesco Ifo, che avevano dichiarato che un’uscita della Grecia dall’euro costerebbe alla Germania “soltanto” 82 miliardi di euro, a fronte degli 89 necessari per mantenerla se restasse all’interno della moneta unica. Ecco la sua risposta: “credo che i conti della serva li facciano le serve. I professori si comportano diversamente. Da parte di chi ha titoli accademici e da istituti scientifici che sono sovvenzionati con molto denaro dei contribuenti ci si attende un senso di responsabilità particolare”. Questo senso di responsabilità qui è mancato, perché nel calcolo dell’Ifo “i rischi sono equiparati alle sole perdite del bilancio pubblico”, cosa “assolutamente non rispondente al vero”.
Schäuble qui ha pienamente ragione. E le sue parole sono rivelatrici. In Germania ormai sono in molti a fare i conti di cosa significherebbe una fine dell’euro. La risposta possibile è una sola: una catastrofe economica. È significativo che negli ultimi giorni qualche risultato di questi calcoli sia stato diffuso dai principali organi di stampa. La sola bancarotta della Grecia farebbe crescere l’indebitamento tedesco del 3,5%. Ma quello che spaventa è la possibile bancarotta di Spagna o Italia. Qui i calcoli sono semplici: questi due paesi da ora alla fine del 2013 devono procurarsi 750 miliardi di euro sui mercati. Si tratta di 110 miliardi in più di quanto abbiano nella loro disponibilità il Fondo Salva-Stati e il Meccanismo europeo di stabilità. Così Lars Feld, professore all’università di Friburgo, sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung.
Ma il carico lo mette Michael Heise, chief economist del gruppo Allianz, che spiega cosa succederebbe alla Germania in caso di implosione dell’euro, ossia di ritorno al marco. Già la recessione negli altri paesi europei sarebbe un guaio, visto che il 40 per cento dell’export tedesco è diretto verso l’eurozona. Ma, soprattutto, la moneta tedesca si rivaluterebbe del 15-20 per cento, il che comporterebbe una perdita di export sino ad un quinto del totale. E siccome il contributo delle esportazioni al prodotto interno lordo è oggi del 50 per cento, anche considerando che i beni intermedi che entrano nella produzione dei prodotti esportati è pari al 40 per cento del valore di questi ultimi, ne seguirebbe una perdita di ricchezza prodotta del 5 per cento. Considerando il peggioramento della congiuntura e le crisi bancarie che si verificherebbero a seguito della fine dell’euro, entro 2 anni la perdita di prodotto cumulata raggiungerebbe il 15 per cento. Non solo: poiché ogni apprezzamento di una valuta comporta una crescita dei costi di produzione rispetto all’estero, molte imprese delocalizzerebbero o ritirerebbero i loro capitali dalla Germania. E oggi – osserva giustamente Heise – questo genere di movimenti avviene molto più rapidamente che in passato. La chiusura di molte imprese peggiorerebbe la situazione economica anche per le sue conseguenze negative sull’indotto e nelle zone circostanti.
Tirate le somme, Heise calcola che la perdita di prodotto interno lordo per la Germania dopo 4-5 anni dalla fine dell’euro sarebbe dell’ordine del 25 per cento. E conclude: “non si fa allarmismo se si osserva che la disgregazione dell’euro sarebbe uno shock ben peggiore della crisi successiva al fallimento di Lehman Brothers”. Le cose stanno precisamente così, e del resto già oggi i problemi economici di molti partner europei stanno minacciando seriamente la crescita tedesca: la fiducia delle imprese è in calo per il terzo mese consecutivo, e a questo punto le stesse previsioni di crescita per il 2012, pur molto modeste (+0,7 per cento), sono probabilmente ottimistiche. Di fatto, con l’atteggiamento oltranzistico tenuto sinora, i tedeschi stanno tagliando il ramo su cui sono seduti.
Ma noi, rileggendo l’intervista a Schäuble, riusciamo a trovarci d’accordo soprattutto sul titolo: “Non tutti hanno ancora compreso la nostra strategia”. Vero. Ma la cosa non è priva di effetti. Se ai tempi dei sovietologi gli esperti si dividevano sul significato da dare ad alcune sibilline affermazioni dei membri del politburo, e i governi occidentali agivano di conseguenza, tra lunedì (asta Btp) e giovedì (asta di Bonos) qualcuno comprerà o no titoli italiani e spagnoli anche a seconda delle frasi di questa intervista che riterrà decisive.
Se i mancati acquisti prevarranno, i rendimenti dei titoli di Stato italiani e spagnoli saliranno ulteriormente. E la fine dell’euro sarà più vicina.
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
L economia della Germania è drogata dall euro, che impedisce ai Paesi in difficoltà di svalutare lasciandole il monopolio delle esportazioni. L euro impedisce ai governi di aumentare la spesa pubblica, di spendere a deficit per i cittadini e per le imprese, e di aumentare il debito, tutte misure che rilancerebbero matematicamente le economie dei singoli Stati in crisi. L euro costringe quindi i Paesi a subire passivamente le devastazioni delle proprie economie, senza che lo Stato possa muovere un solo dito, essendo assoggettato totalmente ai mercati, dai quali dipende per accedere al finanziamento, e privato degli strumenti con i quali attuare politiche economiche funzionali ad affrontare quella che i futuri storici racconteranno come la più drammatica crisi finanziaria della storia. Rigore dei conti e pareggio di bilancio mettono lo Stato in condizione di essere completamente soggiogato e incapace di sovvertire il trend distruttivo nel quale il Paese è avvitato. A tutto vantaggio della Germania che riesce a finanziarsi a tasso quasi zero, essendo considerata un porto sicuro a causa dell’annientamento, che l avvento dell euro ha causato, della capacità degli altri Stati di adottare le politiche adatte ( aumento della spesa e del debito, ossia del metro con il quale è possibile misurare il grado di benessere dei cittadini e delle imprese, quindi dell economia tutta ) . L euro in pratica ci ha sepolti da vivi, impedendo agli Stati di agire. Anzi, li ha trasformati in Stati predatori. Oggi con l euro sono i cittadini a finanziare gli Stati, con le tasse e le extra tasse, e con gli abnormi tagli alla spesa pubblica. Misure sanguinarie, totalmente inutili e peggiorative, ma che sono le uniche perseguibili da uno Stato, privato della moneta sovrana, che è costretto a ripagare senza alternative ogni euro che prende in prestito sui mercati di capitali, non potendolo appunto emettere. Per tutta questa serie di motivi la germania, nonostante l inevitabile insostenibilità di questo sistema, ha tutto l interesse a fare melina e a rinviare sine die la fine della moneta unica, con la complicità di Draghi e della BCE che riprende ad acquistare i titoli solo per continuare a tenerci imprigionati dentro questo lager economico. Sa benissimo le ripercussioni catastrofiche, rapportate al benessere drogato che l euro le ha infuso, che ne conseguirebbero per lei. Per noi no. Al contrario sarebbe una nuova Liberazione, un altro 25 Aprile.
Vladimiro Giacchè scrive sempre dei pezzi eccellenti, pone in evidenza l’assurdità delle politiche europee con l’evidenza dei fatti e dei dati. E’ abbastanza ovvio che la Germania, con un export drogato dall’euro, ha un eccesso di capitali che cede in prestito al settore privato dei paesi europei periferici, che s’indebitano per sostenere l’export tedesco. L’euro droga l’export tedesco nell’eurozona, dove è concentrato il sogno egemonico tedesco… chissà perchè? caro Schäuble il giochetto inizia a venir fuori… Quando il crescente debito privato è insostenibile, le sofferenze bancarie sono appianate dagli stati, attraverso l’aumento del debito pubblico. Ora vorrei capire il perchè gli stati del sud sono spendaccioni con la spesa pubblica, ma non con la spesa dei privati che comprano i prodotti tedeschi? e se un privato non è in grado di sostenere un debito (ipotizziamo un salariato con €25000/annui che chiede un mutuo di €300000 per comprarsi una villa) perchè continui a prestargli soldi se prima o poi va in bancarotta? Le cretinate che scrissero i giornali italiani degli interventi del tanto decantato fondo salva stati (la vittoria di Monti sulla Merkel… roba da giornaletti da 4 soldi..) si dimostrano delle falsità che svelano la pantomima dei tecnocrati europei che cercano unicamente di prolungare l’agonia dell’euro, senza rinunciare ai privilegi che per molti comporta. Tanto per iniziare la BCE, con l’acquisto dei titoli sul mercato secondario, farà calare lo spread di 100-150 punti per un semestre, tanto per far vedere che l’euro funziona, e che i leader europei hanno salvato l’euro.. ma nel mentre assicureranno agli speculatori uno spread abbondantemente remunerativo attorno ai 300-350 punti e alla Germania di mantenere le sue quote di export in Europa e ai paesi periferici di tirare a campare. Poi il bazooka smetterà di sparare e lo spread risalirà e si rinizia daccapo. Ma il giochetto quanto potrà durare? oltrettutto con le politiche di austerità e il fiscal compact che sottraggono risorse per sostenere le imprese dei PIIGS? L’euro imploderà e il botto più grosso lo farà la Germania che dovrà ripianare con debito pubblico le sofferenze delle sue banche che hanno prestato soldi ai paesi periferici non solvibili, oltrettutto questi paesi ridotti alla fame non garantiranno più le importazioni tedesche e troveranno conveniente uscire dall’euro, così a cascata usciranno tutti e l’euro viene rottamato. Il marco si rivaluterà pesantemente e le monete degli altri paesi si svaluteranno altrettanto pesantemente, con evidenti conseguenze sui salari di tutti gli europei e con la rovina della Germania (sarebbe la terza volta nella storia..)
Che la Germania ci guadagni con l’euro non vi è ombra di dubbio: le esportazioni verso l’interno dell’area sono almeno il 50% e sono favorite da un tasso di cambio favorevole all’industria tedesca. Che ci guadagni pagando meno anche sul proprio debito pubblico è sotto gli occhi di tutti.
Ma la teoria che il problema sia negli squilibri della bilancia dei pagamenti non mi convince.
Innanzi tutto, fino al settembre 2008, quando è scoppiata la crisi finanziaria, il differenziale tra i tassi italiani e quelli tedeschi era inferiore al punto percentuale e per buona parte degli anni 2000 non ha superato di 2-3 decimi di punto. E’ vero che i grandi investitori (banche) possono ottenere guadagni consistenti anche su differenziali così piccoli, se non vi è rischio cambio. Ma parallelamente l’Italia si indebitava a tassi ampiamente contenuti per i suoi standard storici. E pagare in euro gli italiani o i tedeschi, non cambia nulla per i conti pubblici. Non si pone in altri termini nessun problema di sostenibilità nè dei conti pubblici nè della bilancia dei pagamenti (dato che il pagamento è in euro!).
Scoppiata la crisi finanziaria e scoperti i conti truccati della Grecia, una concezione moralistica ha imposto a quel paese di pagare il fio. Ma ciò ha ingenerato la convinzione tra gli investitori che i debiti sovrani, per quanto denominati in euro, non siano così sicuri e che la Bce o l’Unione Monetaria non sarebbero accorsi a garantire il debito dei propri stati membri.
E’ evidente che in questo quadro cambia completamente lo scenario di riferimento. Il debito greco, spagnolo, italiano, ecc. diventano a quel punto debiti nazionali espressi in euro, non più debiti “europei”. E se c’è il rischio che un paese sia insolvente come è successo con la Grecia (o esca dall’euro), ecco che i tassi di interesse non possono più essere uguali (di fatto) a quelli tedeschi. E non perchè i conti italiani non siano in ordine o sostenibili (balla colossale che ho smontato in https://keynesblog.com/2012/07/27/super-mario-draghi-e-i-suoi-poteri-poco-super/#comment-1654),
ma perchè vi è il potenziale rischio che possano essere pagati in lire, anzichè in euro.
D’altra parte se fosse vera la teoria degli squilibri della bilancia dei pagamenti (ossia deficit commerciale e indebitamento), vi sarebbe un modo molto semplice per risolvere il problema, senza atti traumatici come l’uscita dall’euro: basterebbe ridurre la domanda interna fino al punto di ottenere un attivo. Ed è quello che sta succedendo! Le politiche economiche del governo Monti, essendo recessive, stanno comprimendo i consumi sia privati che pubblici e con essi si stanno riducendo le importazioni. Nei dodici mesi terminanti a maggio, le importazioni sono scese dell’1,3% e dell’8,1 in termini reali, rispetto ad un anno prima.
Coloro che sono preoccupati della crescita dell’indebitamento estero italiano, dovrebbero poi fare salti di gioia: negli ultimi dodici mesi hanno gli investiori esteri hanno venduto i nostri titoli per quasi 140 miliardi di euro! Si è forse ridotto lo spread? Per nulla. Anzi, lo spread aumenta proprio perchè il debito italiano è venduto!
Sarebbe quindi meglio uscire dall’euro? Certo è una misura alternativa all’attuale politica di recessione portata avanti dal governo Monti. Ma non è come decidere se aumentare i tassi o lasciarli fermi. Si potrà in tal caso sbagliare, ma ci sarà sempre il modo per correggere successivamente. Una volta usciti dall’euro, non è che si potrà rientrare un anno dopo! Si dice giustamente che si ritornerebbe ad avere la sovranità monetaria. Ma se questa si esplicherà unicamente nella svalutazione della nuova moneta nazionale, useremo solo un palliativo e non risolveremo i veri problemi che affliggono il nostro apparato produttivo e che provocano l’attuale declino industriale ed economico del paese.
Il deficit della bilancia commerciale è certamente dato dai vantaggi competitivi che la Germania sfrutta grazie all’euro. Ma è anche la conseguenza di una classe imprenditoriale nella maggioranza dei casi, e in media, incapace e inadatta, che non vede al di là del proprio naso. Basti pensare al caso Marchionne che chiede ai concorrenti di produrre di meno e di non fare concorrenza sui prezzi (alla faccia del libero mercato), quando la crisi della Fiat deriva dalla totale assenza di politiche innovative e di prodotto. Se questo è il livello del management della maggiore industria privata italiana, potete immaginare il resto!
Certo, c’è il rischio che Draghi riduca solo di 100-200 punti base lo spread per un periodo limitato di tempo e il gioco ricominci. Ma questo avverrebbe per ragioni politiche, non economiche. A causa, cioè, di una classe politica a sua volta ideologicamente orientata, imbevuta di teorie fallaci, ma che non esita a procurare sofferenze enormi pur di mantenere gli attuali assetti politici, economici e finanziari.
Rovesciare il tavolo e uscire dall’euro? E con chi? Certo non con Monti e nemmeno con Bersani. Grillo? Bene. Ma come ho detto, non saranno le svalutazioni a toglierci le castagne dal fuoco. Neanche le svalutazioni risolveranno i nostri problemi, se continueremo ad avere l’attuale classe dirigente (politica e imprenditoriale) che riproporrà il solito schema che per crescere bisogna ridurre il costo del lavoro (una volta con la moderazione salariale, un’altra attaccando i sindacati e un’altra ancora con la svalutazione).
Non ho capito cosa intendi dire con “… Non si pone in altri termini nessun problema di sostenibilità nè dei conti pubblici nè della bilancia dei pagamenti (dato che il pagamento è in euro!)….”
Per il resto io sono sostanzialmente d’accordo con il fatto che gli squilibri commerciali regionali non costituiscono l’unico problema e che l’aumento dello spread è determinato unicamente da questo. La crisi è dei debiti sovrani perchè il rapporto debito pubblico/PIL è tendenzialmente destinato ad aumentare per effetto delle note politiche di austerità, che trascurano che i consumi pubblici, al pari di quelli privati, generano ricchezza. Se la propensione media al consumo è pacificamente accettato sia del 60%, l’effetto moltiplicatore Keynesiano dovrebbe tendenzialmente favorire anche nel breve, un aumento del PIL e migliorare il rapporto con il debito. Soprattutto in periodi di recessione/depressione, l’aumento del risparmio pubblico, soprattutto delle dimensioni attuali e previste per il futuro (v.fiscal compact), non ha senso e produce l’effetto contrario. Si aggiunge in questo contesto la criticità non poco rilevante degli squilibri commerciali, a cui segue un aumento sempre maggiore del debito privato, una sottocapitalizzazione delle banche, che puntualmente sono salvate dagli stati con botte di ulteriore debito pubblico. Le basse prospettive di crescita degli stati (determinate dalla concorrenza sleale della Germania e dalla inefficienza del nostro tessuto industriale, per non parlare di quello politico e amministrativo), a causa dell’indebitamento complessivo (pubblico e privato, che generalmente diventa pubblico), determinano il nervosismo dei mercati. A ciò si aggiunge il fatto che non abbiamo una moneta sovrana, altrimenti gli spread sarebbero stati sicuramente molto bassi. Gli spread aumentano, come sostiene anche lo stesso Giacchè in altri articoli, perchè non si è in grado di garantire che il debito si stabilizzi nel medio-lungo termine e perchè se il rapporto debito/PIL ha un numeratore e un denominatore che non sono indipendenti tra di loro. Se aumenti il deficit (che a fine anno cumula sul debito) aumenta il PIL (secondo il moltiplicatore Keynesiano in un rapporto di 2,5), se diminuisci il deficit, diminuisce anche il PIL, ossia quella ricchezza che i mercati ritengono sia la fonte da cui paghi il debito. Secondo me è la somma di tutti questi problemi che avvita la crisi su se stessa, ma non credo che la crisi parta dal debito pubblico, in quanto Irlanda e Spagna erano praticamente nei paramentri di Maastrich e l’Italia aveva il debito alto anche prima della crisi. I motivi per cui la crisi continua sono noti, ma non ho mai compreso fino in fondo come si è generata… Ribadisco comunque la criticità enorme in ordine alla battaglia commerciale in europa che crea degli squilibri che alla lunga ci porteranno a ritenere conveniente difenderci attraverso il cambio della valuta nazionale. Che non è solo svalutazione, ma come propone l’articolo, è anche rivalutazione della valuta dei concorrenti.
Non so se riuscirò ad affrontare tutti i punti che sollevi nel tuo intervento. Vediamo quelli più rilevanti.
Il riferimento alla sostenibilità era sicuramente riferito al passato, quando i tassi erano vicini a quelli tedeschi: non c’è stata nessuna crisi, nè nella bilancia dei pagamenti nè nei conti pubblici. Il fatto che gli interessi alimentino il debito (non il deficit, dato che non c’è nessun deficit, ma un avanzo primario) è sicuramente un aspetto da tener sotto controllo. Ma nel periodo che va dall’introduzione dell’euro al 2008, i tassi erano per gli standard italiani ai minimi storici (nel settembre 2005 i decennali erano al 3,29%, solo due decimi in più di quelli tedeschi).
Dubito fortemente che gli spread con una valuta nazionale siano inferiori a quelli attuali. Temo che possano essere invece ancor più alti, anche se i tassi tedeschi probabilmente aumenterebbero. In tal caso, anche a parità di spread, i nostri tassi di interesse in termini assoluti sarebbero più alti di quelli attuali e contribuirebbero ad ostacolare la crescita (frenando gli investimenti e i consumi) da un lato, ed alimentare la spirale del debito dall’altro.
Non credo infine che il problema sia il debito. Non in senso assoluto e ove uno Stato possa battere moneta. Non è ovviamente il nostro caso. Ma il problema allora non è del debito, ma nelle carenze dell’Unione Monetaria, che impedisce alla Banca Centrale di agire come garante di ultima istanza e vieta gli interventi sul mercato dei titoli (primario e secondario). Questa circostanza permette che all’interno dell’area vi siano tassi differenti (troppo differenti) tra un paese e l’altro. Il risultato paradossale è che i fautori dell’austerity e dei conti a posto, accettando questa situazione come inevitabile, non si rendono conto che la crescita dello spread impedisce o rende sempre più difficile raggiungere il loro tanto agognato pareggio di bilancio, se non continuando a chiedere sacrifici alle famiglie. Le manovre finanziarie aggravano poi la situazione, perchè deprimento la domanda, riducono i redditi e l’occupazione e quindi il gettito fiscale, aprendo un altro buco, che induce i mercati a chiedere tassi ancor più alti per tutelarsi dall’insolvenza degli stati … e via con un altro giro!
Diciamo che i tedeschi hanno iniziato la politica del dumping salariale (se non erro, poi verifico), fra il 2003 e il 2005, quando hanno fatto delle riforme, fra le quali quella del mercato del lavoro, oltrechè cospicui incentivi alle imprese. Il tutto ovviamente violando il trattato di Maastrich, ossia aumentando il debito oltre il parametri concordati… quello stesso debito che oggi chiedono a noi cicale di tagliare. L’accresciuta competitività delle imprese, ma soprattutto la performance in termini di tendenziale e dinamico miglioramento della produttività del lavoro ha prodotto i suoi effetti appunto negli anni successivi al 2005. Ovviamente la capacità della Germania risiede anche nell’innovazione, ma il successo delle sue esportazioni attualmente è molto dovuto alla “svalutazione competitiva dei salari” (è stato ammesso dagli stessi consulenti economici della Merkel, se recupero l’articolo lo posto.. semmai ce ne fosse bisogno) che è l’unica cosa che puoi svalutare, giacchè l’euro non può svalutarsi. Tale svalutazione abbassa l’inflazione tedesca che è stabile da anni fra l’1,6-1,7%, mentre gli spreconi del sud viaggiano fra il 2 e il 3%. Pertanto, non si può negare che il problema degli squilibri commerciali non sia rilevante, visto che nel 2010, quando l’Euro-pa fu investita dalla crisi, si assisteva ad un crescente aumento del debito complessivo (pubbl+priv.) e una crescente dipendenza dall’estero di diversi paesi. Una economia che si regge sull’afflusso di capitali esteri non si può dire sia sanissima, in quanto i capitali vanno remunerati sotto forma d’interessi o profitti ai legittimi possessori esteri (grava negativamente sul saldo delle partite correnti).
Io comunque credo che se la BCE divenisse prestatrice di ultima istanza ed il debito pubblico venisse in parte condiviso, si aumentasse il bilancio comunitario, con trasferimenti compensativi di bilancio fra Stati .. insomma si mutuasse il sistema FED, gli spread scenderebbero ad un livello sostenibile e passerebbe la crisi, ma permarrebbero comunque gli squilibri regionali, come ammesso da Krugman o italiani come Cesaratto, Brancaccio e spiegato con un eccellente sforzo didattico da Bagnai. L’uscita dall’euro, a mio avviso (con le dovute cautele di limitazione del mercato unico e indicizzazione dei salari) è l’unico mezzo per difenderci attualmente, atteso che di sforzi politici per l’integrazione non se ne stanno facendo abbastanza. Meglio uscire ordinatamente che in maniera sconclusionata.. da grillini. Io preferisco tornare a pagare interessi un pò più alti e avere inflazione anche maggiore, ma essere ragionevolmente più sicuro di mantenere il lavoro
Nel 2010 il deficit della bilancia commerciale fu di 30 miliardi. Nel 2011 di 24,6 miliardi. Stiamo parlando di meno del 2% del pil nominale. Di questi, 16,4 e 12,7 erano verso la zona euro rispettivamente nel 2010 e nel 2011. Un deficit che, espresso in euro, viene pagato dagli importatori e coperto con la rivendita sul mercato interno. Quindi qual è il problema? La perdita di quote di mercato delle imprese nazionali? Bene, ora le imprese stanno riguadagnando, dato che negli ultimi dodici mesi a maggio avevamo un surplus di 1 miliardo di euro, mentre con la zona euro il deficit è solo di mezzo miliardo (solo cinque mesi fa eravamo in deficit di 12,7).
Il problema però è che se si individua la causa sbagliata, le cure saranno a loro volta sbagliate. Perchè se il problema è il deficit commerciale, il modo tradizionale per ritornare in surplus è comprimere la domanda interna. Ed è quello che fa il goveno Monti. Infatti il ritorno in surplus della nostra bilancia commerciale avviene attraverso una caduta delle importazioni dell’8,1% in termini reali!
Ma in tal modo abbiamo forse risolto il problema degli spread? La crisi dell’euro è finita perchè ci avviamo verso il pareggio della bilancia commerciale (se non addirittura di un surplus)? No. Lo spread è ancora lì e per di più aumenta perchè stiamo riducendo l’indebitamento con l’estero (non perchè lo stiamo incrementando)!
Con ciò non voglio dire che dobbiamo aumentare l’indebitamento estero. Ovviamente. Ma che non è da lì che arriverà la soluzione della crisi. La quale è nata, lo ripeto, quando si è deciso di far fallire la Grecia (la Grecia ha dovuto rinegozionare i propri debiti ed è quindi tecnicamente fallita). Da quel momento in poi, ossia dal 2010, è diventato evidente che i debiti sovrani non sarebbero stati così sicuri e sono stati trattati come debiti nazionali, anzichè europei. Vale a dire, nel momento in cui gli investitori esteri hanno il dubbio che l’Italia possa non essere in grado di ripagare il debito (come la Grecia) o possa usicre dall’euro (come diventerà inevitabile se rimangono questi differenziali), le banche internazionali hanno cominicato a vendere i nostri titoli e ciò porta automaticamente ad un aumento dei tassi (che incideranno sui nostri conti pubblici in fase di rinnovo del debito, rendendo in futuro sempre più insostenibili le politiche di rigore).
Che fare?
La risposta più logica è rendere la Bce come la Fed.
Bagnai ed altri sostengono, senza se e senza ma, l’usicta dall’euro. Questa soluzione può appagare lo spirito “nazionalistico”, ma dubito che risolva i problemi di fondo dell’economia italiana, ivi inclusa la competitività delle imprese in chiave di avanzi commerciali con l’estero (che ha altre cause, come ho detto più sopra). E comunque, prima di arrivare a questa soluzione traumatica, se il problema è solo quello di ritornare ad avere un avanzo delle partite correnti, le politiche del governo Monti rispondono perfettamente allo scopo e stanno funzionando egregiamente.
Un altra cosa: se fossi un tedesco non accetteri argomenti del tipo “condivisione del debito”. Ed è un errore impostare il problema della Bce in questi termini. Non si tratta di chiedere ai tedeschi di pagare per noi (chi l’accetterebbe a parti invertite?). Si tratta di convincere i tedeschi che stampare moneta non significa automaticamente inflazione. Questa loro ossessione è sbagliata teoricamente ed empiricamente. Come riportato dal nuovo post del Keynes Blog, l’inflazione americana è all’1,7%. Ma si sono dimenticati di aggiungere che la quantità di moneta M1, ossia il circolante e i depositi a vista, quelli solitamente utilizzati per gli scambi, è cresciuta nel secondo trimestre ad un tasso annuo del 16%.
I fanatici della teoria quantitativa della moneta (e i tedeschi) dovrebbero rivedere i loro presupposti teorici.
L’Economica non è una scienza come la fisica, ma innnazni ad una così clamorosa smentita delle loro teorie, buon senso vorrebbe che si rivedesse il paradigma. Invece si preferisce ignorare la realtà e continuare a ripetere i soliti luoghi comuni (falsi) sull’inflazione e sulla spesa pubblica. Per puro interesse ideologico.
Riprendo la notizia dal sito Wall Street Italia:
“Mentre il presidente francese Francois Hollande, che ha incontrato a Parigi il premier Mario Monti, ha ripetuto la solita cantilena dicendo che sara’ fatto tutto il possibile per difendere e salvaguardare l’euro, la Bundesbank ha sottolineato che il ruolo della Banca Centrale Europea e’ “unicamente” quello di mantenere la stabilita’ dei prezzi.
In seguito ai commenti dell’inquilino dell’Eliseo l’euro si era rafforzato portandosi sopra quota $1,23. Ma le dichiarazioni dell’istituto nazionale tedesco, riportate dall’emittente CNBC che cita una fonte interna alla banca, hanno avuto un impatto negativo sulla moneca unica.
“La politica monetaria dovrebbe essere focalizzata solamente nel mantenimento della stabilita’ dei prezzi, mentre spetta agli stati passare a interventi fiscali”.
Cio’ significa che la Bundesbank non e’ proprio pronta a tutto per preservare l’euro. Le promesse di Draghi rischiano di rivelarsi un bluff e i mercati lo hanno capito”.
Come dice una vecchia canzone “era già tutto previsto”.
se limiti il discorso al saldo commerciale i progressi dell’Italia sono evidenti, come suggerisci tu stesso, in quanto l’aumento della disoccupazione (a cui si aggiunge la riforma del mercato del lavoro) crea moderazione salariale… sai che gran successo italiano… mi ricorda quello tedesco… bisognerebbe spiegarlo ai 7 milioni di mini-jobs tedeschi a 400 euro al mese e a tutti i cassaintegratidisoccupati italiani! ma se analizziamo il volume del debito privato e pubblico evidenzia che l’Italia ha una dipendenza dall’estero ancora critica, per via del debito complessivo accumulato negli anni. Se poi limiti il discorso ad un paese tosto come l’Italia (che se ne dica siamo la 3° potenza europea) ti mancano pezzi a sostegno del tuo ragionamento. Ma come la mettiamo con paesi come la Grecia? e la Spagna, che cresceva grazie al boom dell’edilizia? scoppiata la bolla immobiliare sono emerse le criticità. Quindi consideriamo nel ragionamento tutto il saldo delle partite correnti, che include anche le passività finanziarie che remunerano i capitali esteri a titolo d’interesse o profitti. Come ho già sopra specificato mutuare il modello FED per la BCE, risolverebbe quasi tutti i problemi e usciremmo, anche secondo me dalla crisi, soprattutto se gli squilibri regionali vengono compensati da ingenti trasferimenti di bilancio fra zone depresse e quelle più fiorienti (come avviene in USA), con una politica di coesione economica solidale e federalista. Ma politicamente è una via che attualmente nessuno vuole seguire. L’attuale politica del taglia e cuci, rattoppa e ritocca, non fa altro che mantenere in vita un vegetale prossimo all’eutanasia. Lo capisci che non vogliono fare neanche gli eurobond? anzi neanche i project bond!! figurati la BCE come la FED!!! magari. Resta il fatto che anche se la BCE diverrà una vera banca centrale permarranno gli squilibri regionali, superabili unicamente con una politica sindacale europea comune, con un salario minimo europeo, indicizzazione dei salari (vaglielo a dire ai tedeschi di aumentare i salari!), alta mobilità dei lavoratori nella UE, politiche di convergenza dell’inflazione e trasferimenti di bilancio fra Stati. Insomma una politica economica comune. Il modello FED funziona perchè un lavoratore americano si sposta coast to coast per lavorare e all’americano dello stato del Texas non sa e non gliene importa niente del debito pubblico di un californiano. E’ come un ragazzo calabrese o campano che va facilmente a lavorare nella Lombardia, dove tra l’altro parla la stessa lingua (dialetti a parte)… quanti ce ne sono? si chiedono se la spesa sanitaria lombarda è in bancarotta come quella calabrese o campana? Eppure ci sono squilibri fra nord e sud Italia irrisolti da 150 anni. Non altrettanto facilmente lo stesso ragazzo del sud si sposta in Germania dove parlano una lingua allemanna sconosciuta e pertanto la crescita trainante di un paese in surplus non assorbe i salariati disoccupati del sud e i tedeschi, olandesi, finlandesi non vogliono che noi spendiamo a deficit per sostenere la nostra domanda interna, perchè ci contano i debiti di bilancio e loro non devono pagare per noi… il problema è politico, politico, politico. Se poi vogliamo parlare di cosa si dovrebbe fare per risolvere la crisi.. io e te, caro Giorgio, modestamente potremmo fare anche meglio di Draghi, Van Rompuy, Barroso, Monti e Merkel (in verità… non ci vorrebbe molto), ma stiamo ragionando su ipotesi da scuola che rimarranno dentro questo magnifico blog, ma che nessuno mai realizzerà. Ciao è un piacere confrontarmi con te.
Non parlo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti perchè non ho dati disaggregati tra zona euro e non euro (fondamentale per sostenere la tesi di Bagnai). Il saldo delle partite correnti (complessivo) è comuqe stato, rispetto al pil, nel
2009 del -2%
2010 -3,5%
2011 -3,2%
Le previsioni sono che per quest’anno scenda al -2,2 e a -1,3 nel 2013.
Facciamo l’ipotesi che sia in buona parte determinato entro la zona euro. Vorrebbe dire che stiamo trasferendo reddito agli altri paesi (Germania e altri). Tutto si ridurrebbe quindi nel vedere se siamo in grado di sostenere simili trasferimenti (per interessi, dividendi, ecc.). La risposta è sì, perchè l’abbiamo già fatto. E secondo Daniel Gross possiamo tranquillamente sostenere tassi del 6-7% (tra l’altro lo sostiene anche la Banca d’Italia). La cosa ci penalizza e non ci piace?
Bene, la risposta tradizionale è ridurre le importazioni di beni e servizi. Ed è quello che sta facendo il governo Monti.
Una volta usciti dall’euro, invece, dubito che si ottenga chissà quali risultati. Mettiamo pure che si vada in attivo nella bilancia commerciale grazie alla svalutazione e che ci consenta di pagare gli interessi sul debito (che non saranno per nulla più bassi). E allora? Continueremo comunque a pagare il debito verso l’estero a tassi di interessi elevati, che deprimono però la domanda interna.
D’altra parte, per avere una svalutazione, in presenza di un avanzo delle partite correnti, occorre avere un disavanzo assai maggiore nei flussi finanziari, ossia un uscita netta di capitali e quindi tensioni sui mercati finanziari interni e problemi di finanziamento del debito pubblico!
La soluzione che di solito si ipotizza è il controllo amministrativo dei movimenti dei capitali. Penso che una simile misura valga per i residenti non certo per gli investitori stranieri (o li si obbliga a tenere i capitali in Italia? perchè se è così scordatevi che la Germania resti a guardare!). Chiudiamo quindi il paese ai capitali esteri, perchè non vorrano investire su una valuta destinata a svalutarsi, salvo che i tassi di interesse compensino più che adeguatamente il rischio.
E la nostra bella svalutazione servirà per rimpinguare i margini di profitto delle imprese, mentre i lavoratori (se non saranno protetti) vedranno i loro redditi reali deteriorarsi. Avremo cioè un’economia orientata all’export, anzichè alla crescita della domanda interna, e che gioca le sue carte ancora una volta sulla competitività di prezzo. Fino a quando?
Prima o poi tornerà in auge la necessità di comprimere ancor di più la domanda interna (ossia i salari e gli stipendi), sempre per rimanere competitivi, e a quel punto avremo ripristinato in tutto il suo fulgore il vincolo esterno della bilancia dei pagamenti. Ammesso che questo sia il problema, ce lo ritroveremo pari pari e ancor più grande di prima, perchè dovremo cercare di ottenere anno dopo anno un avanzo delle partite correnti che compensi almeno in parte le uscite dei capitali (dato che non si può dare una svalutazione con un avanzo della bilancia dei pagamenti).
Quanto agli altri paesi in difficoltà, come la Spagna, non li conosco così bene. Ma il caso spagnolo è diverso dal caso italiano: là vi è un problema del sistema bancario che viene fatto ricadere sul debito pubblico con annesse politiche inique e recessive; in Italia l’attacco dei sadomasochisti liberisti è alla spesa pubblica e al debito. La prima, come ho già scritto, è in realtà sotto controllo da tempo. Il secondo non è più grande di quello tedesco. Ma la posizione succube assunta dalle nostre classi dirigenti alle argomentazioni di Bruxelles e di Francoforte è utile per consentire loro di ridimensionare lo stato sociale, aggravando ulteriormente la crisi (quando dico che non vanno oltre il loro naso ….).
Un’ultima cosa (poi mi dò una calmata). Si dice che chedere una Bce come la Fed è impossibile perchè i tedeschi sono contrari. I tedeschi contano per un paese (vogliamo aggiungere i finlandesi e gli olandesi?). Sono sempre una minoranza. E se Draghi avrà il sostegno della maggioranza dei paesi dell’euro e avrà coraggio di procedere in questa direzione, per salvare l’euro, la Germania dovrà adeguarsi. Altrimenti, se non le piace, può sempre andarsene (la porta è quella …). Ma per ottenere questo risultato occorre essere convinti delle proprie ragioni e non cedere: occorre ottenere una Banca centrale nel pieno delle sue funzioni, come avviene in tutti i paesi del mondo.
Che esca la Germania dall’euro, non l’Italia!
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scusate la domanda non sono cosi ferrato come voi , ma un uscita dall’euro , con la nazionalizazzione di bankitalia , riallacciandola al tesoro come prima del 1981 , e come lo sono altre banche centrali , ad esempio giappone e inghilterra , per quale arcano motivo dovrebbe fare salire i tassi di interesse sui titoli ?
L’aumento dei tassi di interesse in seguito ad un’uscita dall’euro è la naturale evoluzione, poichè la tradizionale risposta delle banche centrali ad una fuga dei capitali (dei residenti), finalizzato ai guadagni derivanti da una svalutazione, consiste nell’elevare i rendimenti, nella speranza di trattenerli (e far sottoscrivere il debito pubblico).
Tuttavia, l’uscita dall’euro è di solito proposta in abbinamento ad un controllo dei capitali (residenti in uscita ed esteri in entrata). L’efficacia di questa misura non è assoluta (si pensi che abbiamo delle esportazioni illecite dei capitali pur con la libertà dei movimenti!), sebbene possa attenuare almeno in parte la pressione sul cambio (che si vuole tuttavia svalutare, altrimenti perchè saremmo usciti dall’euro?).
Se poi si abolisce il “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro, dando ordine alla banca centrale di acquistare i titoli pubblici non collocati sul mercato primario, il governo potrà indebitarsi a tassi “moderati”. Ma se la banca centrale non interviene sul secondario, i tassi potrebbero essere su altri livelli, poichè le logiche degli operatori internazionali valgono anche per quelli nazionali (saranno disposti a tenere titoli di un debito pubblico in costante crescita e tendenzialmente inflazionistico?).Con i tassi sul mercato secondario più elevati, saranno più elevati anche tutti gli altri tassi di riferimento (prestiti alle imprese e alle famiglie, frenando la crescita della domanda, che si vuole invece favorire).
Se oltre al primario, la banca centrale inrterviene in acquisto sui titoli venduti dagli operatori esteri e nazionali, avremo di fatto una monetizzazione del debito. Non è detto che ciò sia una cosa brutta e cattiva, ma non può essere “incontrollabile” e per sempre. La teoria quantitativa della moneta fallisce il 99% delle volte. Ma se la manovra dovesse sfuggire di mano, quell’1% sarà vera inflazione (e logica vuole che prima o poi si alzino i tassi di interesse). Si potrebbe sperare che l’indebitamento del Tesoro sia stato utile per sostenere la domanda e creare occupazione. Ottimo e lodevole obiettivo. Ma tutto questo è in teoria e sulla carta, come andrebbero realmente le cose sarà tutto da vedere (potremmo ritrovarci ad esempio con un debito molto più elevato e nuovamente con tassi crescenti).
[…] italiani e spagnoli saliranno ulteriormente. E la fine dell’euro sarà più vicina. fonte keynesblog.com tratto da Altra realtà Condividi su […]