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La ricetta della BCE contro se stessa

Mario Draghi - BCE

Nell’ultimo bollettino della Banca Centrale Europea compare un box dal titolo “Downward wage rigidity and the role of structural reforms in the euro area”. Secondo i tecnici di Francoforte, la rigidità dei salari verso il basso impedisce l’aggiustamento macroeconomico nei paesi periferici dell’area euro. I tecnici sottolineano che “Per migliorare la resistenza dell’economia agli shock, i salari devono riflettere adeguatamente le condizioni del mercato del lavoro e della produttività; da ciò l’importanza di riforme che favoriscano una maggiore flessibilità salariale e differenziazione tra lavoratori, imprese e settori”. Francoforte plaude quindi ai paesi che hanno implementato le riforme strutturali, riducendo la legislazione a protezione dei lavoratori, e in particolare le forme di indicizzazione salariale, le norme contro i licenziamenti e la contrattazione collettiva.  

In sintesi, secondo la BCE, i paesi in difficoltà devono ridurre le garanzie a favore dei lavoratori così che essi accettino salari minori, i quali porteranno poi a maggiore occupazione. Si tratta della solita, trita e ritrita, teoria neoclassica del mercato del lavoro, secondo la quale la disoccupazione dipende dal fatto che, a causa di distorsioni introdotte dal legislatore, i salari sono più alti del valore di equilibrio che porterebbe alla piena occupazione.

Del perché questa modellizzazione sia profondamente sbagliata ce ne siamo occupati molte volte. Qui però vogliamo affrontare un altro problema: cosa succede se i salari (nominali) si riducono? Un effetto molto probabile è la riduzione dei prezzi (cioè la deflazione), o almeno la loro crescita a tassi irrisori, ben al di sotto del 2% che è l’obiettivo della stessa BCE. Un fenomeno che l’Europa vive da qualche anno e che la BCE, a parole, dice di voler combattere. La conseguenza della deflazione è che i debitori si trovano sempre più indebitati: la famiglia che ha un mutuo, mentre vede i salari ridursi, avrà sempre più difficoltà a pagare le rate; un’impresa che abbia acceso un prestito vedrà ridursi i suoi flussi di cassa e quindi avrà anch’essa più difficoltà a rimborsare i debiti. Il risultato è che le banche vedono aumentare vertiginosamente le sofferenze bancarie e rischiano quindi di fallire. Con le nuove regole del bail-in, poi, i fallimenti comportano la riduzione dei risparmi delle famiglie, come abbiamo visto nel caso delle quattro banche popolari recentemente ristrutturate in Italia. E con i fallimenti bancari torna lo spettro delle fughe di capitali e del congelamento del credito, che la BCE aveva cercato di tamponare con il Quantitative Easing.

Insomma, la ricetta della BCE sui salari rischia di mettere a repentaglio gli stessi obiettivi della BCE e potenzialmente persino la tenuta dell’eurozona. Nel resto del mondo hanno già capito da tempo che ridurre i salari è la ricetta sbagliata e che anzi andrebbero aumentati. In Europa siamo ancora al medioevo della teoria economica e all’età della pietra nelle politiche.

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2 commenti su “La ricetta della BCE contro se stessa

  1. Come scrisse J.M. Keynes per dare una risposta alla depressione degli anni 30:
    “Nel lungo periodo il benessere economico e sociale sarà incrementato da una politica che tenda a rendere i beni capitali abbondanti…
    …occorre cercare di aumentare la quota del reddito che va a coloro che potranno godere di un maggiore benessere economico avendo la possibilità di consumare di più ..”
    Credo pertanto che le riforme strutturali debbano investire proprio la BCE ed il suo Statuto, perchè essa deve diventare il braccio delle politiche economiche che perseguano le finalità previste dal trattato costitutivo dell’Unione, che prevede la lotta alla disoccupazione come obiettivo primario per costruire una Unione fondata sulla coesione economica e sociale.
    La situazione dell’Europa è complicata dal fatto che abbiamo paesi che risentono con tempi ed in modi diversi del ciclo economico per cui ad es. la politica monetaria congeniale adesso alla Germania è devastante per l’Italia e viceversa.
    Le risposte a questo problema possono essere sostanzialmente 2 :

    1) lasciar prevalere il soggetto più forte e conseguentemente distruggere buona parte della ricchezza che produceva quello più debole

    2) gestire la moneta con flessibilità , incrementando i prestiti per investimenti nelle aree soggette a declino in modo massiccio e tempestivo, aggiungendo anche maggior controllo sui flussi di capitali per incoraggiare investimenti esterni e per frenare la grande speculazione.
    Quest’ultima è la scelta privilegiata dall’Amministrazione Obama attraverso l’American Recovery and Reinvestment Act, che ha investito piu’ di 750 mild di dollari per attività pubbliche e riduzioni d’imposta permettendo agli USA di ritornare alla crescita economica e aprendo anche alla possibilità, in prospettiva, di rilanciare lo stato sociale .
    ( https://www.whitehouse.gov/administration/eop/cea/Economic-Impact/)

    A questo io aggiungerei anche una collaborazione più intensa che lasci però maggiore autonomia alle Banche Centrali Nazionali nell’erogazione di prestiti sul mercato secondario (entro limiti concordati con la BCE), acquistando titoli emessi da imprese e da cooperative, un po’ come ha fatto la FED recentemente per neutralizzare la tendenza delle banche ad azzerare il credito alle aziende proprio quando esse ne hanno più bisogno, nei momenti di crisi, operando direttamente anche sul mercato secondario dei titoli.
    Mentre negli Stati Uniti si agisce, in ambito internazionale autorevoli funzionari di istituzioni pubbliche e private promuovono quasi sempre solo le azioni che servono a limitare i rischi che corrono gli speculatori e per tutelare gli interessi dei grandi soggetti creditori, a prescindere dagli effetti su tutti gli altri.
    Siamo ad un bivio: i nostri leader grandi e piccoli, la nostra classe dirigente pubblica e privata, di umili origini o nobile che sia, deve scegliere tra sedersi sul proprio potere o far circolare le immense ricchezze che la speculazione ha accumulato in questi anni.

    PROF. Michele Partesotti

    https://michelepartesotti.wordpress.com/

  2. Effettivamente… sembra che a una parte dei nostri economisti manchi completamente lo studio e la capacità di modellare la domanda aggregata, por non dire della capacità di disegnare politiche atte a stimolarla.

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