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Le svalutazioni servono a poco o nulla

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Da circa due anni su questo blog stiamo cercando di far passare un messaggio molto semplice: se il mondo non compra, svalutare serve a poco. E questo implica sia che la svalutazione dell’euro non tirerà il nostro paese fuori dalle secche né che un’eventuale nuova moneta italiana svalutata servirebbe a darci la domanda necessaria alla ripresa o ad offrire spazi sufficienti ad una reflazione basata sulla domanda interna. La storia secondo cui svalutando aumentano le esportazioni di latte italiano e diminuiscono le importazioni perché la gente compra il latte italiano è una semplificazione che rischia di creare illusioni pericolose.

Ne abbiamo parlato forse per primi in Italia. Ma ora qualcuno sembra giungere alle medesime conclusioni: il Centro Europa Ricerche.

Scrive il CER nel suo rapporto sul 2014 (enfasi nostre):

Gli scambi di merci continuano a crescere a tassi inferiori alla produzione industriale, risentendo negativamente della debolezza di economie molto aperte, come quella europea. […]

I tassi di cambio si muovono in direzioni non sempre coerenti con gli squilibri macroeconomici sottostanti e non sembrano riuscire a esercitare effetti correttivi rilevanti: le variazioni di competitività che ne derivano non riescono comunque a controbilanciare il vuoto di domanda aggregata generato dalla debolezza dei salari e dell’occupazione nei paesi sviluppati e dall’orientamento restrittivo delle politiche fiscali europee.

Tradotto: tu fai austerità, io faccio austerità, lui fa austerità, nessuno compra più nulla, neanche se fai i saldi.japan-export

Gli anni della crisi sono stati contrassegnati, tra l’altro, da marcate oscillazioni dei tassi di cambio reali delle principali valute, che tuttavia non sembrano aver generato gli effetti attesi in termini di esportazioni nette e crescita economica. Ad esempio, il brusco deprezzamento dello yen nel 2013 (-20 per cento) non ha impedito che l’incremento delle esportazioni giapponesi restasse inferiore a quello delle importazioni, […] Analogamente, l’indebolimento del real nell’ultimo triennio si è accompagnato a tassi di crescita modesti del Pil brasiliano, nettamente inferiori alla media dei paesi emergenti.

Ripetiamo il concetto: io svaluto, ma tu continui a non voler comprare. Io vendo magari poco di più a mio cugino, ma intanto con le importazioni che decollano la mia bilancia commerciale peggiora o al più rimane stabilmente in passivo.

E  l’euro? Oggi parliamo di svalutazione in seguito al Quantitative Easing, che dovrebbe fare miracoli, eppure abbiamo già visto come è andata

Non sorprende che nemmeno il deprezzamento dell’euro, nel triennio 2010-12, sia riuscito a stimolare l’attività produttiva dell’Eurozona oltre la crescita media delle altre economie avanzate.

Che dire della storia dei prodotti nazionali che costano meno e quelli esteri di più, per cui compreremo Fiat e Parmalat invece che Volkswagen e Bayerische Milch? Ecco che scrive il CER in proposito:

Gli effetti di sostituzione generati dalle variazioni di competitività non appaiono in grado di compensare gli impulsi recessivi dovuti alla debolezza della domanda aggregata, anche perché, all’interno delle reti produttive internazionali, che stanno cambiando la geografia della produzione globale, si avvertono in misura maggiore i danni che il deprezzamento di una valuta esercita facendo aumentare il costo dei beni e servizi intermedi importati.

Tradotto: non solo le esportazioni non decollano, ma le importazioni mi costano di più, in particolare quelle che mi servono per produrre i beni che dovrei consumare io o esportare ad altri.

Come se non bastasse, il CER si preoccupa anche di mostrare che la perdita di competitività dell’Italia è spiegata da molte altre cose che non sono l’euro. La dimostrazione sta il questo grafico:

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La linea arancione indica la quota delle esportazioni italiane verso il mondo rispetto alla somma delle esportazioni di tutti i paesi dell’area euro. Dal 2002 al 2013 passiamo dal 11,7% al 10,5% con una perdita dell’1,7%. La linea verde indica lo stesso rapporto ma depurato dagli effetti del cambiamento della composizione della domanda estera. La perdita di quote di mercato, se la composizione della domanda estera fosse rimasta immutata, sarebbe stata quasi insignificante, da 11,7% a 11,3% (-0,4%). Questo significa che nel periodo 2002-2013 più di 3/4 della perdita di quote di mercato (relativamente al resto dell’eurozona) è da addebitarsi al fatto che l’Italia non ha saputo adattarsi ai mutamenti della domanda estera. Non è un problema di competitività di prezzo. E’ un problema che riguarda cosa produci e quali sono i tuoi mercati di sbocco. Spiega infatti il CER:

Sia nei dati in valore, sia in quelli in quantità, la tendenza discendente delle quote nell’ultimo decennio può essere spiegata in gran parte con le caratteristiche strutturali del modello di specializzazione delle esportazioni, orientato prevalentemente verso prodotti e mercati a domanda relativamente lenta. Depurando i dati da questi effetti di composizione, la perdita di quota delle esportazioni italiane risulterebbe assai meno marcata.

 

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74 commenti su “Le svalutazioni servono a poco o nulla

  1. Correlazione spuria?
    (La precedente domanda è una provocazione, più o meno.)

    É chiaro che uno è il problema della crisi del mercato globale che sembra essere una crisi di domanda aggregata, l’eccesso di offerta che una volta si sarebbe detta crisi di sovrapproduzione, un altro è quello di vedere se dato questo uno decida di sobbarcarsi il peso dell’intero mondo sulle spalle inibendosi persino la possibilità di pensare a scelte che ritiene potrebbero migliorare la sua posizione, o consentire che, sotto la copertura della rigidità interna del cambio, alcuni facciano i loro bravi e indisturbati interessi, speculandoci spudoratamente sopra, e in proposito anche la recente avventura della Svizzera potrebbe essere motivo di riflessione inibita.

  2. siamo italiani, cosa conviene o no all’Italia lo devono dire studi approfonditi che si basino sulle specificità italiane, che prendano in considerazione la sua storica vocazione manifatturiera, elaborate da centri studi che non diano adito ad alcun sospetto di conflitto di interesse.

  3. da un CER in cui ci sono padoan e napolitano non mi aspettavo nulla di economicamente vero, solo una marea di balle euriste/europeiste. NON CREDETE A QUESTO ARTICOLO, L’ECONOMIA VERA DICE L’ESATTO CONTRARIO, FUORI DALL’EURO E TORNIAMO AD ESSERE LA 5 POTENZA MONDIALE COME QUANDO AVEVAMO LA “LIRETTA”.

  4. Scusate ma temo stiate prendendo un abbaglio. Davvero strano per un blog dedicato al Maestro. L’austerità è un prodotto intrinseco di un regime di cambi fissi come la zona euro una volta entrato in crisi di bilancia di pagamenti. I Paesi in deficit commerciale non possono perseguire politiche fiscali espansive, in primo luogo perchè non controllano l’emissione di moneta e in secondo luogo perchè un’espansione unilaterale creerebbe maggiori importazioni e quindi un rinnovato aggravarsi del debito estero. E’ quindi necessario che ad un’espansione fiscale corrisponda un deprezzamento relativo della moneta, altrimenti una parte più o meno consistente della domanda creata va all’estero. Per questo motivo una svalutazione “esterna” invece di “interna” di Spagna, Italia etc. avrebbe consentito di attuare meno (molta meno) austerità ed avrebbe automatimaticamente aumentato il potere d’acquisto dei cittadini dei Paesi in surplus commercial (Germania, Austria, Olanda, etc.), rovesciandone la bilancia commerciale. La domanda aggregata non sarebbe crollata in questo modo anche perchè permettendo un ripianamento dei debiti esterni si sarebbero liberate risorse per nuovi investimenti (guarda caso la voce di domanda che maggiormente è crollata).

    • L’euro possiede un meccanismo automatico di finanziamento dei deficit esterni nel Target2. Non c’è alcun automatismo euro=austerità. E’ una scelta politica fatta dalle classi dirigenti europee e segnatamente da quelle dei paesi meridionali.

      • Target 2 ha trasferito sui bilanci delle banche centrali della ZE gli squilibri commerciali che prima apparivano nei bilanci delle banche commerciali. È una misura della sfiducia reciproca fra le banche della zona euro e della fuga di capitali dalla periferia verso il core. Non è un meccanismo di finanziamento dei deficit commerciali. Registra solo le transazioni avvenute negli scambi commerciali fra Paesi con il tramite della BCE. L’austeritá non è stata una scelta per i Paesi “meditteranei” ma una necessitá in assenza di un prestatore di ultima istanza e del riallineamento del cambio nominale.

      • Non ti rendi neanche conto di aver detto due cose in contraddizione tra loro. Comunque ti consiglio questa lettura (da pag.7) http://www.boeckler.de/pdf/p_imk_wp_145_2015.pdf

  5. “se il mondo non compra, svalutare serve a poco” che corrisponderebbe a “far bere il cavallo per forza” questo è il punto della questione e anche l’errore che l’autore dell’articolo fa. Quando uno afferma che svalutare la propria divisa serve in quanto gli esteri comprino di più sta indirettamente avvallando, con un ragionamento di sponda, il tipo di capitalismo mercantilista e neoliberista Tedesco che ci ha cacciato in questa situazione, e vederlo scritto in un sito che si pregia del nome di Keynes mi lascia interdetto. Significa in buona sostanza dire che il modello Tedesco pur non funzionando è l’unico possibile. Non è così. Non dobbiamo svalutare per la ricerca del surplus commerciale, dobbiamo riavere la sovranità monetaria per permettere alle monete di ritrovare il giusto equilibrio tra le DIVERSE economie e le diverse capacità produttive. Il punto non è la svalutazione ma L’EQUILIBRIO e lo diceva non io ma Keynes. La svalutazione è solo lo strumento, negato da questo sistema idiota, per il raggiungimento dell’equilibrio. Non mi dovrei dilungare sul resto perché sarebbe ampiamente sufficiente questo a smontare tutto il resto ma grida vendetta la successiva affermazione che”….. l’Italia non ha saputo adattarsi ai mutamenti della domanda estera” : e grazie tante ……….con una perdita di competitività (da euro) prossima al 25% rispetto i prodotti Tedeschi (dati della Bce), a sostanziale parità di costo del lavoro e materie prime, come diavolo si possa pretendere che un’imprenditore si metta ad investire in nuova tecnologia ? l’autore dovrebbe dimostrare……………….. se è nato prima l’uovo o la gallina, secondo lui e secondo Zingales il gap tecnologico ci ha tenuti fermi. Certo che vedere che, da quando c’è l’euro, la capacità produttiva resta sottoutilizzata facendo giustamente, passare la voglia di investire in nuove tecnologia , fa pensare ad altro come causa del mancato adattamento e a me fa pensare all’euro, ma sarò ceco . Così come fa pensare ad altre cause vedere che i grandi capitalisti Italiani (certo quelli a cui conveniva) hanno da decenni (guarda un po’ hanno iniziato con l’euro) de-localizzato la parte produttiva in paesi no euro e la parte finanziaria l’hanno localizzata in luxemburgo, paese a nota fiscalità di favore. Ma sarà solo la mia impressione, come sarà una mia impressione che la confindustria nostrana sia composta proprio da quei de-localizzatori localizzatori luxemburghesi.

    • stai facendo tutto tu, nessuno ritiene che il modello tedesco sia l’unico possibile.

      • Che c’entra, se tu basi il tuo modello sulle esportazioni non sei keynesiano e basta. Ognuno può avere le opinioni che vuole, ma non stravolgere quelle degli altri.

      • Ma di che parli? Non capisci la differenza tra una critica e una proposta?

      • ottima e completa la risposta a questo articolo data da luca ZAMARCO a cui non bisognava aggiungere niente tanto era precisa ……ma si rispondeva questo:”STAI FACENDO TUTTO TU,NESSUNO RITIENE CHE IL MODELLO TEDESCO SIA L;UNICO POSSIBILE” salvo poi postare un link (sopra)di cui si dice che gli squilibri interni alla zona euro siano rifinanziati attraverso il meccanismo del target 2 a tassi bassi. non è cosi ma anche se lo fosse questo non elimina il problema in quando un paese come l,italia le sue politiche economiche li deve basare su quelli che sono i propi interessi,e non quelli della germania ,o di altri paesi.MA la cosa piu importante e che mette bene in rilievo zamarco e propio l,incompatibilita di keynes con l,attuale sistema mercantilista, infatti nella logica di keynes (il punto di partenza )di ogni suo contributo era propio la ricerca dell,equilibrio.o dell,equilibrio dei vari sistemi finanziari. comunque sembra che tutto questo discorso sia inutile sia per la discordanza di interessi tra i popoli sia perche la classe dirigente germanica è ancorata ad un modello a cui ben pochi hanno interessi reali a perseguitare ,salvo la parte della confindustria a cui parla zamarco

  6. In un mondo globalizzato le produzioni si spostano da un paese all’altro, ecco perché non si sente l’effetto della svalutazione…Indesit produce in Russia, apple in Cina…certo se i salari si abbassano come effetto della svalutazione, allora attiri produzioni estere, ma occorre svalutare tanto ed è un processo lungo e pieno di ostacoli, rilocalizzarsi non è semplice, poi occorre dare garanzie che i salari rimarranno bassi a lungo…

  7. Certo che siete di una scorrettezza unica. State continuando a propalare la fola che chi propone l’uscita dall’eurozona creda che la panacea dei mali del paese sia la svalutazione! Intanto questa, Iodice, sarebbe un fatto naturale (ha letto bene, Iodice, naturale!) perchè, chissà per quale mai ragione, il mercato dei cambi ha la brutta abitudine di riflettere la forza economica dei singoli paesi e di ridurre gli squilibri.
    Secondo, perchè solo uscire dall’eurozona permetterà, ad esempio, di fare politiche industriali che, Iodice, non sono possibili in un sistema fascista ed oligarchico che ha ben chiaro l’obiettivo di ridurre i paesi del sud europa ad immagine delle economie latino-americane prima della rivoluzione bolivariana. E non è possibile che questa cosa non vi sia chiara: ergo, siete in malafede e complici di questo sistema.
    Terzo, perchè le mitiche “catene di subfornitura mondiale” sono una grande scemenza come quella della Ciiiina! Sono anni ed anni che, per quanto riguarda l’Italia, la quota di subfornitura dall’estero si aggira intorno al 30%. E certamente non crescerà se diventerà più conveniente produrre in Italia. Ma non crescerà (e non è cresciuta) anche per il semplice e banale fatto che costi di trasporto e just-in-time richiedono distanze limitate. Basterebbe poi una bella norma che imponga di evidenziare quanto, del prodotto venduto, è fatto in Italia e quanto all’estero e una bella campagna pubblica “acquista italiano” per risolvere un problema che a voi sembra insormontabile e che invece è banalissimo.
    Quarto, che la “domanda estera” sia mutata è, se ho inteso il senso letterale delle parole, una enorme castroneria. Se la domanda è mutata è semplicemente nel senso di una maggiore sensibilità all’aspetto di prezzo proprio nei principali mercati di sbocco dell’Italia, ovvero la zona euro. D’altronde basterebbe chiedere ad un qualunque operatore della GDO: questi vi risponderebbe che ormai oltre il 40% del fatturato viene dalle promozioni, quando prima della crisi era meno della metà. Alla faccia della competitività di prezzo!
    Il mercato interno, Iodice, il mercato interno! L’ideologia mercantilista vi ha ormai preso del tutto!
    Leggerò il rapporto per capire se davvero hanno scritto una tale castroneria (e per vedere se avete fatto un bel cherry picking). Dopo di chè chiederò a Giacchè cosa ne pensa

    • 2 considerazioni: “basta fare una norma sul made in Italy”…suvvia, cerchiamo di non dire castronerie, ad oggi il made in italy, che ha un certo plusvalore sull’abbigliamento e basta, non è che puoi mettere il made in Italy sulle auto o sull’acciaio, si può dare se l’Italia è il paese dove viene svolta la lavorazione principale, poi non è specificato in cosa consista la lavorazione principale, il che vuol dire che non esiste made in Italy, perche’ un prodotto made in turchia può essere fatto in italia in percentuale maggiore di un prodotto made in italy. Non è un problema di norme, tu come la scriveresti una norma del made in Italy? Tutta la produzione e il concept in Italia? I prodotti costerebbero 10 volte di piu’ e sta tranquillo che il consumatore italiano compra cio’ che costa meno. In realta’ tutta la regolamentazione del “made in” nel mondo di oggi non ha più senso, e i grossi marchi da anni se ne fottono, trovami un capo firmato che non sia made in china o in Turchia o in Vietnam ecc, i consumatori vedono il marchio e basta, il marchio e il prezzo ovviamente, e han ragione tutto sommato se non hanno, come nel 95% dei casi, informazioni aggiuntive

      • Egregio, si limiti, se ne è in grado, di rispondere nel merito per evitare di apparire più diversamente intelligente di quanto, mi auguro, non sia.
        Esistono decine di proposte di legge giacenti in parlamento, sia in Italia che a Bruxelles, che si propongono di disciplinare la normativa sull’origine dei prodotti (il made in Italy come lo intende lei non c’azzecca un bel nulla, come vede). Facciamola semplice: si modifica la normativa sull’etichettatura per imporre di applicare sull’etichetta due diciture grandi come una casa: “Prodotto italiano” se almeno il 90% del processo produttivo (dalle materie prime alle ultime lavorazioni) è realizzato in Italia; “Prodotto straniero” se non rispetta tale requisito minimo. In volume, i prodotti che si trovano normalmente nei negozi rappresentano oltre il 60% dei consumi italiani. Una martellante campagna promozionale, fatta come si deve, non quelle penose comunicazioni istituzionali che ogni tanto si vedono in TV, a partire dai bambini delle scuole elementari, sarebbe in grado di produrre risultati nel giro di 3 mesi, e forse anche prima. Vuol sapere quale quota di mercato la busta di patatine di colore giallo è riuscita a conquistari, da nuova entrante, in Italia nel giro di sei mesi?
        Il problema riguarda prodotti come le autovettura o l’ICT (telefonini e computer), in cui non esistono (o quasi) produttori italiani. Ma gli elettrodomestici (bianchi o bruni) pur avendo proprietari esteri sono (ad oggi) ancora in quota maggioritaria prodotti in Italia.
        Quanto all’aumento dei costi, beh, mi scusi la franchezza, ma qui ha poche idee e ben confuse: la struttura dei costi industriali è largamente identica in quasi tutta Europa, la differenza la fanno i costi di marketing e commercializzazione ed il mark up.
        Faccio un esempio: esistono produttori italiani (totalmente italiani) di giocattoli il cui prezzo di vendita al dettaglio è anche la metà di quello di nomi blasonati che producono totalmente in Cina, a parità di qualità. Come se lo spiega?

    • Secondo punto: mercantilista è chi lega tutto alla bilancia commerciale, alle esportazioni e alla competitività. Mercantilisti sono sicuramente i tedeschi, ma attenzione mercantilista è in massimo grado anche Bagnai, perché denunciando la concorrenza sleale tedesca nei confronti dell’ Europa sul piano monetario, a ragione, non fa altro che mettersi sullo stesso piano mercantilista di Schauble e compagni…chi invece afferma, come fai tu, che occorre uscire dall’ euro per avere piu’ libertà fiscale sostanzialmente, non è mercantilista, è uno che ignora semplicemente la materia….se torniamo alla lira l’ Italia avrà meno libertà fiscale, potremo fare molto meno del poco di oggi per sostenere la domanda interna, perche’ i tassi andranno in doppia cifra senza se e senza ma e lo stato dovrà fare meno deficit possibile e restringere il più possibile l’offerta monetaria per mantenere a galla la baracca, almeno di non voler considerare l’inflazione una variabile indipendente come in Venezuela per dire…nel mondo di oggi, che è molto più complesso di quello che pensi tu, pieno di retroazioni, soprattutto in campo economico, la domanda interna la puoi sostenere solo se hai una moneta Fiat forte, e fintantoché essa rimane forte, le monete fiat forti non sono tantissime, te le elenco: dollaro usa, australiano e canadese, british pound, yen ed euro e (forse) le corone. Se non stampi una di queste monete scordati di poter sostenere la domanda interna per via monetaria, ergo scordati la sovranità monetaria…altro che chiacchere…

      • Ho scordato ovviamente il franco svizzero

      • Veramente Bagnai ha semplicemente anticipato quel che ha pubblicamente detto il vicepresidente BCE, Constancio, un paio di anni fa: la crisi dei PIIGS era una crisi di bilancia dei pagamenti, non una crisi di debito pubblico. Allora sulla bilancia dei pagamenti occorre concentrarsi relativamente a questa crisi causata dall’euro. Sono coloro che sostengono che si possa uscire da questa crisi senza abbandonare l’eurozona sono piegati al mercantilismo tedesco, poichè – Tsipras docet – non esistono alternative dentro la gabbia dell’euro.
        Lei inoltre, nella foga ordoliberista della “moneta grande” (Bagnai, in una delle pagine migliori del suo ultimo libro, fa un efficacissimo paragone con il “pennello grande” di una famosa pubblicità di qualche anno fa) dimentica che tutte le monete elencate hanno il piccolo, insignificante vantaggio di avere una propria banca centrale.
        E che l’indipendenza della banca centrale non è un fenomeno naturale come la rotazione della Terra, ma una precisa scelta di politica economica che sottrae alla democrazia il diritto di determinare il tasso di interesse.

      • Saverio, ma perchè complicarsi la vita con etichettature italiane e campagne promozionali? Si mettono dei dazi commerciali, come è sempre avvenuto. Il protezionismo era la norma durante il Trentennio glorioso. I Trattati europei non lo consentono, e già solo per questo andrebbero aboliti.

  8. “il mercato dei cambi ha la brutta abitudine di riflettere la forza economica dei singoli paesi e di ridurre gli squilibri.”

    Dal 1971 gli squilibri commerciali sono AUMENTATI. Lei non conosce nulla di quello di cui ha scritto.

    • Perchè lei può replicare e noi no?

    • Non giochi sulle parole, Iodice, ha capito bene cosa intendo con quella frase. Gli squilibri commerciali sono aumentati non certo per colpa del cambio fluttuante (che era fluttuante anche quando qualcuno pensava che fosse fisso), ma la fluttuazione del cambio rende possibile il tendenziale riequilibrio, cosa che l’eurozona NON permette

      • Se i costi sono più bassi già cosi’ in italia o cmq competitivi, a che serve la campagna mediatica, il 90% e le altre fregnacce che scrive? Poi il 90% di cosa? Delle ore lavorate? E chi puo’ controllare? In Italia poi…le ho gia’ scritto che i consumatori italiani se ne fottono del made in Italy e guardano 90% al prezzo e 10% la qualità, ma continua pure a credere quello di cui ti sei autoconvinto.
        In secondo luogo: la zona euro ha una banca centrale, è la stessa banca centrale che da liquidità alle banche e compra titoli di stato, se la Grecia uscisse dall’euro domani le sue banche fallirebbero anche in presenza della banca nazionale greca, al contrario oggi con l’euro e senza la banca nazionale greca, le banche greche NON sono fallite. Quello che sostengo io è che occorre fare un passo avanti e far garantire l’intero debito pubblico europeo alla bce, azzerare la regola del deficit/pil a favore della regola avanzo primario/pil e rendere quest’ultima flessibile e simmetrica, cioe’ non il 3% ogni anno e ci deve essere un limite inferiore e superiore, non solamente inferiore come oggi…ma rispetto chi ha idee diverse e dice che sarebbe meglio uscire dall’euro, quelli che non rispetto sono colore che dicono che, usciti dall’ euro, la grecia o l’Italia possano iniziare ad applicare un programma di sostegno alla domanda interna, stampando e facendo deficit, perché e’ una cialtronata, fuori dall’euro l’export italiano aumenterebbe, soprattutto quello verso l’Europa (ammesso che non ci facciano embarghi per ritorsione), questo è vero, i vantaggi però iniziano e finiscono qui, poi ci sono gli svantaggi e la lista in questo caso è lunghetta…

      • Ma negli Usa gli squilibri commerciali non ci sono? E nella Svizzera? E in Italia tra la Calabria e il Friuli non ci sono squilibri commerciali? Se la panzana che ad ogni squilibrio commerciale deve corrispondere una moneta diversa fosse vera il mondo dovrebbe avere un milione di monete diverse…

      • No il suo errore è che basa la sua analisi solo sui prezzi e non si accorge che il problema dell’equilibrio è in larghissima parte sulle quantità. Lo dimostra l’esperienza recente dei paesi che hanno svalutato e non solo non hanno riequilibrato la bilancia con l’estero ma in diversi casi l’hanno peggiorata.

    • il sitema di Bretton Woods prevedeva aggiustamento

  9. L’ha ribloggato su ABC Economics – Abbiamo Bisogno di Crescitae ha commentato:
    Nuovo editoriale di Keynes Blog.

  10. Le svalutazioni servono a poco mentre quelle salariali vi piacciono?

    • Forse non hai capito che la svalutazione del cambio si deve accompagnare alla svalutazione salariale, altrimenti non recuperi competitività di prezzo.

      • Ah si, lo chieda ad Herr Hartz

      • @Saverio: e cosa c’entra? Si può fare svalutazione salariale sia con il cambio fisso che con quello flessibile, in entrambi i casi ha senso. Sotto un cambio flessibile, se fai recuperare i salari nominali, dopo breve tempo l’effetto della svalutazione nominale sul cambio reale svanisce. E difatti, Roger Bootle (vincitore del Premio Wolfson per il suo ‘piano’ di uscita dall’euro) dice a chiarissime lettere che i salari nominali non devono aumentare, altrimenti la svalutazione del cambio non serve. Non solo, aggiunge che invece ciò che va indicizzato sono i titoli di stato, così da ridurre le fughe di capitali promettendo un tasso di interesse maggiore. O forse credi che una volta uscita dall’euro la Grecia dovrebbe fare un bel QE?

  11. Per gio d
    Certo che ci sono squilibri commerciali anche tra Calabria e Friuli ma in Italia c’è (o meglio c’era) quella cosina che prevede che le tasse recuperate in Friuli possano essere spese più in Calabria che in Friuli.
    Lo dice lei ad un bavarese che le sue tasse devono servire a sostenere i poveri sfaticati greci?

    • Glielo diciamo tutti insieme, spiegandogli anche che non si tratta di aumentare le tasse, ma di permettere alla Bce di coprire e garantire il debito greco, che cmq sarà sempre uguale a quello tedesco, il rapporto avanzo primario/pil infatti dovrà essere sempre uguale ogni anno in tutti i paesi della zona euro. Gli spieghiamo anche che fare in un altro modo significa impoverire i mercati dove la germania esporta e rendere sempre piu’ difficili le esportazioni per la germania…poi se non capisce a quel punto tutta l’Europa meno la Germania esce dall’euro. Ma il punto è che io a parte varoufakis ultimamente, non vedo nessuno che fa questi discorsi, non c’è nessuna coalizione anti Germania in Europa, solo stupide tiritere anti euro, recriminazioni, insulti, distinguo…

  12. Gio d
    Egregio, prima di rispondere la prego di leggere con attenzione i commenti, fare un bel respiro e poi pigiare sui tasti. Sono un tipo abbastanza paziente ma se qualcuno continua ad insultare poi arriva il momento in cui faccio il cattivo.
    Premesso questo: a) come si intuisce, lei non lavora in alcun settore manifatturiero: saprebbe altrimenti che la rintracciabilità dei prodotti è operazione in alcuni casi addirittura obbligatoria (vedasi l’intero settore agro-alimentare) e dunque sapere il “90% di cosa” è non solo facile ma cosa oserei dire già vecchia quanto a tecnologia. Sul “cosa”, rilegga il commento.
    b) che i consumatori italiani guardino solo ai prezzi è il classico caso di chi pensa di dire cose di buon senso senza sapere di aver detto una “lieve imprecisione”: gli italiani, come qualunque altro consumatore occidentale, bada al rapporto prezzo/qualità percepito. Esistono catervate di pubblicazioni in economia aziendale sulla materia. E il fatto che nella GDO ormai le promozioni rappresentino una quota vieppiù importante del fatturato dimostra che i consumatori cercano il prezzo basso, certo, ma di prodotti di cui si fidano, altrimenti comprerebbero tutti i primo prezzo, cosa che evidentemente non accade.
    c) come conseguenza del punto b), un’impresa che pur produce cose ottime dal punto di vista del rapporto prezzo/qualità farà fatica ad imporsi nei mercati senza sviluppare brandizzazione (termine orrendo, ahimè, lo so) ed investire nei canali commerciali. Vedi esempio del produttore di giocattoli di cui sopra.
    d) una volta che, a seguito della svalutazione, i prezzi dei prodotti stranieri saranno diventati relativamente più altri rispetto a quelli italiani, la campagna promozionale servirà a stimolare/accelerare/fidelizzare (in ordine) gli acquisti di prodotti italiani e a dare ai medi produttori italiani (quelli di cui al punto c) la ragionevole sicurezza di poter avere un ritorno sull’investimento in marketing e commerciale che, oggi, non può permettersi.

    P.S. le banche greche non sono fallite, così come non sono fallite quelle tedesche che, più di tutte, sono, secondo l’efficace definizioni di Mazzalai, delle voragini con una banca intorno. Le hanno salvate, a suon di miliardate, non la BCE, ma i governi nazionali, ovvero i suoi ed i miei soldi.
    Ribadisco: lei ha la tendenza a considerare il mercato come un elemento naturale. Io, che nei mercati ci opero da quasi 25 anni, le posso dire, e non è solo un opinione, che esso è un fatto umano e come tale può essere modificato a proprio piacimento solo che lo si voglia

    • Io non ho mai scritto che la filiera non sia rintracciabile, solo che ha un costo fare i controlli per verificarlo e, siccome l’ Italia ha una atavica repulsione a fare controlli che non siano a costo zero, lo so perche’ è questo l’ ambito in cui lavoro, visto che insisti, è facile immaginare che fine farebbe questa ipotetica regolamentazione. Poi la mia domanda iniziale era: come scriveresti la regola del made in? E tu hai risposto il 90%, io ho osservato: il 90% di cosa? E tu rispondi: si può tracciare il ciclo del prodotto. Embè? Non hai risposto, il 90% di cosa? Devi sempre mettere una regola quantitativa, se no tutto è opinabile…ok lasciamo perdere l’ agroalimentare, anche se pure li’ a parte il luogo di produzione occorre capire da dove vengono le sementi, gli animali, i concimi, le tecniche di coltivazione ecc. Ma parliamo di una giacca: come fai a dire se è fatta in italia o in vietnam? Il tempo trascorso all’ estero? Come fai a calcolarlo? Il numero di lavorazioni all’ estero? Facile sviare la regola. Tu dici che tutti guardano il rapporto qualità/prezzo e per lo piu’ identificano la qualità con il marchio, perfetto, è quindi cosa c’entra il made in? Quel che conta è il brand non il made in, ragione per la quale i grossi marchi ormai non si fanno scrupoli di riportare sui loro prodotti made in china o in Vietnam…dici poi che i prodotti Italiani sarebbero piu’ competitivi con la lira: ok è vero, chi lo mette in dubbio, però devo farti notare che c’ è una notevole differenza tra essere più competitivi e essere abbastanza competitivi da fare le scarpe ai tuoi concorrenti esteri…

      • Ok, allora entriamo nel tecnico. Premetto che i sistemi di tracciabilità, e più in generale, di controllo sulle produzioni agro-alimentari in Italia sono tra i migliori in Europa ed oserei dire al mondo. Sin dai tempi del vino all’etanolo non si sono avuti grandi scandali, a differenza, ad esempio, della mucca pazza “nata” in Gran Bretagna o del pollo alla diossina belga o della mozzarella blu tedesca. Gli organismi di vigilanza italiani (NAS, ASL, NOE ecc.) sono forse fin troppo efficienti e pedanti.
        Faccio notare che già oggi su diversi prodotti, se si avesse la voglia di leggere l’etichetta o rectius se questa fosse più leggibile sarebbe possibile individuare prodotti “italiani” che di italiano hanno assai poco: ad esempio, sulle bottiglie di olio di oliva extravergine c’è la dicitura “miscela di oli comunitari” che significa, banalmente, che in Italia c’è stato solo l’imbottigliamento ma che stiamo usando olio greco, spagnolo ecc.
        Parliamo della giacca: quando si può dire che essa sia prodotta in Italia? Mettiamo due alternative: 1) l’intero ciclo di lavorazione di una materia prima acquistata all’estero viene svolta in Italia: dal disegno al modello al taglio alla lavorazione alla stiratura al confezionamento alla distribuzione. 2) la materia prima viene prodotta in Italia ed uno solo dei processi sopra elencati viene svolto all’estero, ma deve trattarsi di un processo che non incida per oltre il 10% del valore aggiunto; ovvero: fatto pari a 100 il valore del prodotto finale, al massimo 10 deve essere realizzato all’estero.
        Poi c’è un’altra ipotesi, quella che preferisco in assoluto: che solo ciò che è prodotto al 100% in Italia (inclusa la materia prima) possa essere definito “Fatto in Italia”. Ma comprendo che, specie con riguardo alle materie prime, ciò potrebbe rappresentare una eccessiva limitazione alla concorrenza.
        Quanto alle modalità tecniche, non pretendendo che tutte le imprese si dotino di tecnologie RFID, basterebbe che si riuniscano, per lotti di produzione, come per le imprese agroalimentari, i documenti relativi: nel caso della giacca: fattura di acquisto delle materie tessili, fatture/ricevute dei designer e dei modellisti (se non interni), distinte base per la lavorazione se fatte in casa o fatture del subfornitore o faconista ecc. La cosa è, in definitiva, molto più semplice (e meno costosa) di quanto di possa apparire. Quanto all’allergia ai controlli, non credo proprio che, una volta fatta l’abitudine, e spiegate le ragioni dell’adempimento, gli imprenditori onesti si ritrarranno.
        Ribatto anche all’obiezione della preferenza per il solo marchio e non per la sua origine nazionale: vero, ma parliamo di alto di gamma, non di mass market. E credo che tutti, per evitare il biasimo di fare affari disinteressandosi delle sorti del paese, possano avere un incentivo a riportare in Italia produzioni o lavorazioni.
        Ultima notazione, con la quale mi scuso anche per la lunghezza del commento, sulla competitività: credo di esser stato chiaro, ma nel caso in cui lo fossi stato, lo ribadisco, che il riallineamento dei cambi (o svalutazione, se preferisce) è condizione necessaria ma non sufficiente, in quanto va accompagnata da misure quali: indicizzazione dei salari, ri-accasamento Tesoro/BdI, politiche industriali ecc.

    • X Saverio: viviamo evidentemente in mondi diversi, le conclusioni alle quali giungiamo sono pertanto agli antipodi…sui controlli io la penso esattamente al contrario, in Italia i controlli NON si fanno, in nessun campo, tantomeno in questo di cui stiamo ragionando, per svariate ragioni, ci sono milioni di veicoli che circolano senza assicurazione per dire e lo stato è impotente, tanto da vaneggiare fantasiosi sistemi di autovelox e data base, a proposito quando senti questa parola magica: “data base” associata ai controlli, significa che i controlli in quel particolare ambito sono del tutto terminati, e d’ ora in avanti si demandera’ l’attività ad un software stupido, gestito da addetti che non sanno come funziona…per me se in altri paesi emergono piu’ scandali che in Italia è semplicemente perche’ i controlli qui non si fanno, in un paese con zero controlli, ci sono zero problemi statisticamente e in un paese senza polizia, zero denunce evidentemente…sono contento che ti ho fatto fare uno sforzo per entrare nel tecnico, ho avuto la conferma di ciò che sospettavo: stai vaneggiando! Le fatture, la catalogazione sistematica di tutte le spese e soprattutto la gdf che si mette a controllare tutto questo! A parte che poi non vedo come questo risolva il problema: innanzitutto i costi saranno funzione dell’economia dei vari paesi, l’etichettatura in italia può costare quanto il confezionamento in Romania faccio per dire, questo non significa certo che il prodotto e’ stato fatto al 50% in Italia! E soprattutto come ripartire il valore aggiunto sulle varie lavorazioni e’ una scelta del tutto arbitraria evidentemente, per d&g la lavorazione più a valore aggiunto è il controllo di qualità finale e l’etichettatura, e il concept ovviamente, basta che queste 2 cose siano fatte in italia per avere tutto il valore aggiunto concentrato in Italia, come fai a contestarli?

      • Smentisco categoricamente che in Italia non si facciano controlli: le ho fatto l’esempio della filiera agro-alimentare. Quella italiana è tra le più controllate e sicure al mondo. I controlli, quando non si fanno, è perchè non si vogliono fare, non perchè non si possano. Mi fanno ridere i casi dei “cinesi” a Prato: ma qualcuno davvero pensa che non faccia comodo ai grandi faconisti italiani avere un pezzo di Cina, e della peggiore Cina, in Italia? Suvvia! E i controlli, quando vengono fatti, vergono sempre e solo sulle carte: l’Italia è il paese fondato sulle carte. Le carte sono a posto? Tutti contenti! Ma non per colpa dei controllori: ad essi è affidato il compito di recuperare soldi ed i soldi li recuperi controllando le virgole fuori posto, perchè così non devi sforzarti di dimostrare che è la sostanza che non va piuttosto che l’apparenza! Come vede, i controlli non è che non si possono fare, ma non si vogliono fare perchè fa comodo così a molti “signori” di certe filiere che poi, guarda caso, finanziano le fondazioni…
        Dunque il problema non è tecnico, perchè ribadisco che già si fa da anni per l’agro-alimentare, anche perchè non deve essere certo la gdf a fare questi controlli (per l’amor di dio! se abolissero la gdf sarebbe un bene per il paese!), ma soggetti specializzati, come le camere di commercio, o le asl per l’agroalimentare, o l’icrfq per i prodotti tipici.
        Quanto alla catena del valore, suvvia, non filosofeggiamo! Il “valore” fa riferimento al mercato italiano, non certo a quello rumeno. E tanto meno quei due che vendono straccetti a peso d’oro potranno accampare la pretesa che il disegnino che fanno valga da solo la metà dell’intera catena del valore! A parte che di quei due e dei loro emuli francamente non mi interessa nulla, non stiamo parlando di minuscole fasce di mercato, ma di mass market. Quei due possono anche andare in… Olanda, ce ne importa poco

  13. l’effetto del cambio svalutato non è solo sulle esportazioni come mostrano i grafici e dati citati qui, ma anche sulle importazioni che si riducono. Ad esempio si importano prodotti alimentari di ogni genere da tutto il mondo con il cambio forte e l’agricoltura è sparita, salvo il vino…prima dell’euro intorno a me c’erano produzioni di mais, barbaietole, stalle, frutta e c’è rimasto ora poco e intanto si importano formaggi e ogni sorta di latticini da austria e germania. Nel caso dell’italia la Lira si svaluterebbe parecchio verso la Germania e i flussi si invertono, per i prodotti non complessi perlomeno. Anche verso la Cina, una svalutazione del 20% verso lo yuan stoppa un sacco di importazioni cinesi, perchè hanno margini risicati…
    Riguardo al Giappone la svalutazione funziona, ovviamente non molto perchè è un momento in cui la Cina in particolare sta frenando bruscamente, ma funziona…
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    Associated Press March 17, 2015 | 10:39 p.m. EDT + More
    Japan’s exports to the U.S. jumped 14 percent from a year earlier to 1.2 trillion yen (about $10 billion), but shipments to China fell more than 17 percent as the economy there slowed.
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    Non bisogna negare l’evidenza, il cambio dell’Italia è sopravvalutato, specie con il nord-europa e la produzione di beni italiani ne soffre. Non è il fatto decisivo magari, ma è un effetto rilevante, lo è sempre stato e lo sarà sempre, la storia economica è piena di paesi che hanno tenuto artificialmente elevato il cambio e l’economia ne ha sofferto. Gli USa stanno rallentando ora di colpo sotto in buona parte perchè il dollaro è troppo forte (e anche per lo shale gas ok,…)

    Chi beneficia del cambio sopravvalutato è essenzialmente la ricchezza finanziaria, chi ha i soldi e li tiene fermi in Btp e simili e non vuole fare fatica per campare. Chi i soldi li vuole muovere invece fa meglio con un cambio più debole.

    • Certo che ha effetto anche sulle importazioni, che si riducono, cosa che rende estremamente pericoloso battere questa strada se non sei del tutto autosufficiente, alla fine le importazioni si riducono così tanto che non si trovano più le medicine o i generi alimentari….

    • Le importazioni sono molto più correlate alla domanda interna che al tasso di cambio.

      Difatti quanto al Giappone, quando dici: “Japan’s exports to the U.S. jumped 14 percent from a year earlier to 1.2 trillion yen (about $10 billion), but shipments to China fell more than 17 percent as the economy there slowed.”

      Stai dicendo proprio che il Giappone esporta in USA perché gli USA stanno crescendo di più mentre le esportazioni verso la Cina sono crollate perché la Cina sta crescendo meno.
      Ergo, il tasso di cambio c’entra davvero poco.

      • Hai centrato il punto nel commento precedente, questi pensano che una volta usciti dall’euro la grecia o l’italia possano mettersi a stampare a manetta, come se fossero Giapponesi o Statunitensi o Svizzeri, tanto è la confusione sotto il cielo. Non han capito che fuori dall’euro diventeranno per forza di cose molto più austeri, deflazionati e mercantilisti, se vogliono evitare lo scenario “maduro”…non sanno che è proprio per cercare di continuare a fare un po’ di deficit e sostenere la domanda interna che siamo entrati nell’euro…in realtà è inutile parlarci

  14. Non sono un economista ma un cultore di storia e filosofia poltica. Ma amo l’interdisciplinarietà. Questo a cui avete dato vita è un dibattito molto interessante e persino divertente, proprio sotot un profilo storico e filosofico. Permettetemi, pertanto, alcune considerazioni di tipo, appunto, storico e filosofico-politico. C’è in questa discussione chi accusa l’attuale sistema eurocratico a trazione tedesca ed ordoliberale di “fascismo”. Parola facile e buona per tutti gli usi. A meno di non conoscere un po’ di storia e di filosofia politica. Ora, si da il caso che cose come la sovranità monetaria, la pubblicizzazione della Banca Centrale, il protezionismo (con tanto di surrogati per le merci di importazione), l’intervento “keynesiano” dello Stato in economia attraverso l’IRI, l’IMI e l’Agip (l’antesignana dell’ENI di Mattei), tutte cose che poi aprirono la strada al decollo economico del dopoguerra, sono esattamente le politiche attuate, dopo il 1929, dal fascismo in Italia, per rispondere alla crisi. Non a caso Roosevelt inviava i suoi tecnici in Italia per imparare come lo Stato potesse intervenire e pianificare l’economia in senso dirigista. Solo chi non conosce le radici socialiste, in quei frangenti tornate a riaffiorare, del fascismo (che rappresentò una forma di democrazia autoritaria giacobina, dal forte consenso di massa) può non rendersi conto che anche Keynes quando scriveva a proposito di domanda aggregata interna era figlio del suo tempo, ossia del tempo nel quale lo Stato nazionale ottocentesco stava trasformandosi nello Stato sociale novecentesco. Se questa trasformazione ebbe connotati democratici in America (ma Roosevelt fu un inflessibile decisionista che ruppe con la tradizione conservatrice americana, tanto è vero che entrò in forte conflitto con la Corte Suprema roccaforte del conservatorismo liberale) altrove la medesima trasformazione, per ragioni storiche e nazionali, seguì la via della mobilitazione di massa dei regimi dirigisti ispirati al mix ideologico, “eterodosso” rispetto alla matrici originarie, di socialismo e nazionalismo. Quando, oggi, un Sergio Cesaratto, mettendo a paragone l’illusorio internazionalismo di Marx (la vera unità mondiale l’ha realizzata il capitale, in particolare quello finanziario, non i proletari), con il realismo dell’economia politica dirigista e nazionale di List, non fa altro che, forse senza neanche rendersene conto, ammettere le ragioni di quello Stato nazionale e sociale che molti altri a sinistra considerano “fascista”. Infatti, poi, lo stesso Cesaratto simpatizza con il neoperonismo argentino, erede di quell’esperimento di socialismo nazionale che fu il peronismo anni ’40 quasi contemporaneo del socialismo nazionale arabo di Nasser. Quando, oggi, un Alberto Bagnai, lodando persino un liberal-nazionale come Ernesto Galli Della Loggia, afferma che bisogna che lo Stato nazionale si riappropri della sovranità sul cambio e che questo è necessario perché storicamente la classe lavoratrice ha raggiunto si suoi progressi sociali soltanto nella cornice istituzionale dello Stato nazionale, non fa altro che difendere insieme Classe e Nazione come fecero certi settori del socialsimo all’inizio dle secolo scorso. Anch’egli, forse senza saperlo per quanto ne dubito (leggete sul suo blog la sferzante e realistica critica che Bagnai fa a coloro che si illudono sul globalismo benchè di segno terzomondista: “Il troskista ed il vandeano”), non fa altro che ammettere che è necessaria la stessa politica “autarchica” degli anni ’30. Che non era solo quella italiana ma anche quella del New Deal americano. Ora, mi sembra che nelle discussioni come questa, su questo ottimo blog, vengano al pettine tutti i nodi irrisolti della sinistra: perorare ancora l’internazionalismo, oggi il globalismo, oppure difendere il lavoro dentro lo e con lo Stato che, per sua natura e storia, è la forma politica della Nazione? Esattamente questo stesso dibattito animò la sinistra europea, a cavallo tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, sospesa, come era, tra massimalisti rivoluzionari (la cui punta avanzata era il sindacalismo rivoluzionario) ed il riformismo alla Turati. I socialisti massimalisti finirono per incontrarsi con la Nazione e videro nella stessa prima guerra mondiale l’occasione storica per la trasformazione sociale modernizzatrice dei rispettivi Paesi. Non a caso anche i socialisti francesi e la socialdemocrazia tedesca finirono per scendere in campo a favore della guerra. E non a caso Lenin, alludendo a Mussolini, rimproverò i comunisti, esuli nel 1924 in Urss, per essersi lasciati sfuggire l’unico socialista capace di fare la rivoluzione in Italia. Altri, cruciali, tempi, senza dubbio. La storia non si ripete mai identica a sé stessa. Però spesso idee e dibattiti, quelli sì tendono a riproporsi in forme neanche tanto dissimili. Appunto, come accade ora all’interno della sinistra tra globalisti e sovranisti. Chi vincerà? Ai posteri l’ardua sentenza …

    • Ottima analisi, complimenti. Fascista o nazista ormai sono insulti puri, equivalenti a figlio di o pezzo di….per come la vedo io, oggi come oggi, qualsiasi scelta che va nella direzione autarchica di protezione dei confini e delle economie nazionali e’ senza senso, anacronistica e fonte di guai…

    • Il suo è un bel intervento, certamente pregevole, e sono lungi dal poter contestare l’aspetto storico-filosofico per mia insufficiente preparazione, ma mi ribello al temine “autarchico” come scelta di politica economica indirizzata al Bagnai. Capiamoci, non che il Bagnai abbia bisogno di essere difeso, ma la sua critica o osservazione è ingiusta dato che Bagnai non mira all’autarchia ne la propugna, ma indica come soluzione desiderata un semplice equilibrio della bilancia commerciale: dice in sostanza che è auspicabile esportare quanto s’importa, dato che lo squilibrio prima o poi genera inevitabilmente delle situazioni a “bolla” da qualche altra parte, che a loro volta prima o poi esploderanno. Adesso vedo anch’io che esistono dei punti in comune tra socialismo fascismo riformismo leninismo ecc.. ma la Storia oggi è diversa per il semplice motivo che la sinistra riformista ha riformato in senso ordoliberale (nel suo significato attuale di neoliberismo spinto con matrice mercantilista unito ad un rigido controllo Statale sulle regole liberiste -il non sense logico non è colpa mia ma dei fatti storici) trasformando se stessa in un “qualcosa” che non saprei definire, ma che comunque, se fossi contadino, terrei “sulla vanga ad una certa distanza” almeno per evitare la puzza. La situazione, comunque volge al peggio per cui, sebbene il suo parallelismo tra socialismo massimalista e guerra non lo vedo oggi, il risultato non cambia e vedo un parallelismo tra contrazione della democrazia nei paesi europei e sinistra monetarista votata al mercantilismo e in un futuro non lontano una guerra, per sanare, sempre se resterà qualcosa da sanare, le contraddizioni della sinistra con un ritorno al Keynesismo, non quello sociale del “faccio una buca copro una buca” ma quello militare, nella migliore tradizione Reganiana: aumento la spesa pubblica comprando i missili anti missile dello scudo spaziale e utilissimi carri armati.

  15. A Gengiss
    Fosse per me, l’applicazione di dazi doganali sarebbe una delle prime misure da prendere! Ma mi rendo conto che una misura del genere significherebbe mandare a monte l’intera ue. Non che, ormai, mi interessi più nulla di questo mostro (tutti i palazzi europei potrebbero crollare all’istante per me) ma non so se questo potrebbe scatenare una guerra doganale che saremmo in grado di vincere
    A Iodice
    Certo che si può fare svalutazione salariale sia col cambio fisso che con quello fluttuante. Ma con l’euro non si può fare altro che svalutazione dei salari, egregio. Ormai credo che sia chiaro a chiunque. L’indicizzazione dei salari serve ad impedire effetti negativi causati dalla (modesta) inflazione che seguirà (e non è detto che segua!) la svalutazione, niente di più niente di meno. Quanto a Bootle non vedo davvero per quale ragione il governo dovrebbe preoccuparsi di rendere “allettanti” i titoli di stato ai mitici investitori con tassi di interesse maggiori. Se la banca centrale può acquistare qualunque eccedenza invenduta, se le banche sono costrette a detenere una quota in titoli, se i flussi di capitale sono controllati, Iodice, dell’indicizzazione dei titoli di stati possiamo allegramente infischiarcene. Glielo ripeto: lei ha la tendenza, tipica degli ordoliberisti, a mitologizzare i fantomatici mercati. Sono fatti di carne, sangue ed ossa, i mitici mercati, sa, non di divinità

    • “lei ha la tendenza, tipica degli ordoliberisti”

      Io ordoliberista? Siamo alle comiche. Semplicemente lei non sa neanche di cosa parla quando dice “Se la banca centrale può acquistare qualunque eccedenza invenduta, se le banche sono costrette a detenere una quota in titoli, se i flussi di capitale sono controllati”.

      • E me lo spieghi lei, Iodice, mi spieghi perchè dovremmo “indicizzare i titoli di stato” per “renderli allettanti” ai cocainomani sociopatici che normalmente frequentano le borse e le banche d’affari

      • <>

        ma non lo dico io, lo dice un premiatissimo noeuro, vincitore del premio Wolfson.

    • Chissà perché la Russia, il Brasile, l’Argentina e una dozzina di altri stati con la banca centrale che può comprare i titoli invenduti se ne preoccupano invece di alzare gli interessi e il costo del denaro…devono essere tutti matti…ancora più matti quando iniziano ad emettere titoli di stato direttamente in valuta estera, mandagli uga raccomandata e spiegagli quanto sono coxxxoni…

      • Non so se le banche centrali di Brasile ed Argentina lo siano, ma anche in Russia la banca centrale è indipendente dal governo ed il suo comportamento totalmente mainstream ha provocato quel folle innalzamento dei tassi di interesse fatto – nella più totale ortodossia ordoliberista – per frenare la speculazione sul rublo (cosa c’azzeccano i titoli di stato?).
        Si faccia una bella lettura del blog di Jacques Sapir, il maggiore esperto occidentale di economia russa; scoprirà che qualcuno le raccomandate alla banca centrale russa le ha già mandate

    • X Saverio: la banca russa indipendente da Putin? Uauaaaaaa sei sempre più divertente…si discute se han fatto bene ad alzare i tassi dal 14 al 17, ma al 14 già c’erano eh e nessuno si sogna di abbassarli…né tantomeno di azzerarli, né di fare deficit per stimolare la domanda interna, anzi Stan tagliando pensioni e sanita’…non la banca russa “indipendente”, proprio il governo! Strano considerando che sono un magnifico stato sovrano…eppure se stampassero e azzerassero i tassi sai le loro esportazioni in rubli dove arriverebbero? Invece no, tutti giù per terra a pedalare, fare austerity e tassi a doppia cifra…ah dimenticavo l’embargo sulle merci estere (propagandato per risposta alle pseudosanzioni occidentali, in realtà necessario per non finire come il Venezuela) e le riserve in valuta estera che si riducono di 100 miliardi di dollari al mese…ma che vuole che sia signora mia per uno stato sovrano?

      • Continuo a notare che le sue idee sono ben confuse. Le avevo suggerito di leggere gli articoli postati da Jacques Sapir sul suo blog Russeurope. Tra gli ultimi: Du rouble et de l’économie russe, in cui la politica monetaria della banca centrale russa viene fortemente criticata.
        Lei, come tanti, ha l’immagine da cartone animato che i media di regime dipingono di Putin e della Russia, descrivendo il primo come una sorta di novello zar. Sono, mi scusi il francesismo, emerite idiozie. La Banca Centrale Russa è indipendente dal governo e se accuse possono essere rivolte a Putin non sono certo quelle di essere novello zar, ma di essere troppo liberista.
        Ah, a proposito: Putin ha aumentato le spese sociali, non le ha ridotte: http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=11080. Manovra demagogica, magari. Esattamente come gli 80 euro di Renzi.
        Ascolti il mio suggerimento: si convinca che i media di regime non fanno informazione, ma disinformatsjia, ma oggi, per fortuna, le informazioni vere si possono trovare in rete sol che lo si voglia

  16. Caro Iodice. E’ il titolo dell’articolo ad essere fuorviante, più che il contenuto. Prima di tutto. Il ruolo delle svalutazioni. Paul De Grauwe fa tre esempi di svalutazioni del cambio di successo (cioé capaci di portare equilibrio durevole sia esterno, in termini di bilancia dei pagamenti, sia interno, in termini di occupazione, senza pesanti pressioni deflazionistiche sull’economia nazionale): Francia, Belgio, Danimarca tra il 1982 e 1983 (De Grauwe, Economia dell’Unione monetaria, 2007, pp.50-51). E’ un fatto poi che l’uscita dallo SME dell’Italia (1992-1997) abbia portato ad un surplus nel current account nel nostro paese. Vedasi immagine ( http://1.bp.blogspot.com/-ZvhuxjyoYPw/UDjuD1dJm3I/AAAAAAAAA0Y/3DFU5JEpEQA/s400/ITALIA_partite+correnti.gif .
    Un certo ruolo lo ha giocato anche l’attuale svalutazione dell’euro su current account dell’Eurozona ( http://gemmerllc.com/blog/wp-content/uploads/2014/11/13.png ).
    Le svalutazioni del cambio, dunque possono portare benefici, anche durevoli.
    Se invece vogliamo discutere di deflazioni salariali (svalutazione reale). Allora è altro discorso. La Germania sta imponendo all’intera EMU il proprio modello neomercantilista che però non può funzionare semplicemente perché non generalizzabile: il mondo non può essere esportatore netto (a meno di poter esportare su Marte). Tale strategia ci porta tutti verso la deflazione (che in Europa è realtà), vista come unico modo per guadagnare competitività. Ciò crea riduzione perpetua della quota salari e una crisi di domanda europea. L’Europa insomma tenta di vivere alle spalle dei partner globali. I quali però saranno tentati ad un certo punto di adottare medesima strategia. E la crisi di domanda si fa globale. La deflazione europea, si fa globale. Su questo siamo d’accordo. Però allora cambiate titolo. Altrimenti pare una difesa dell’euro. Al contrario, proprio il cambio fisso determinato dall’Unione monetaria, e la mancanza di meccanismi di aggiustamento all’interno dell’EMU, ha costretto i paesi periferici a giocare allo stesso gioco della Germania: svalutazioni salariali vista l’impossibilità di raggiungere un pareggio nel current account con una svalutazione nominale del cambio, che se possibile non avrebbe permesso alla Germania di accumulare tale surplus e ai paesi di accumulare nel primo decennio dell’euro tale deficit. Oggi l’europa-tedesca, che ha distrutto la domanda interna con con le cosiddette politiche di austerità (tagli salari e spesa pubblica), mostra un surplus nel current account ma non è in grado di crescere. Proprio per la mancanza di domanda interna. Evidentemente quella esterna non potrà mai bastare a soddisfare l’eccesso di offerta di un gigante come l’EMU. Ciò però non significa, ripeto, che le svalutazioni nominali non funzionino. Con valute nazionali avremmo evitato molti problemi accumulatasi e poi esplosi negli ultimi anni in Europa. L’euro insomma ha alimentato gli squilibri, anziché risolverli. Ha creato tensioni anziché placarle.

  17. —- “….quanto al Giappone, quando dici: “Japan’s exports to the U.S. jumped 14 percent from a year earlier to 1.2 trillion yen (about $10 billion), but shipments to China fell more than 17 percent as the economy there slowed.”
    Stai dicendo proprio che il Giappone esporta in USA perché gli USA stanno crescendo di più mentre le esportazioni verso la Cina sono crollate perché la Cina sta crescendo meno. Ergo, il tasso di cambio c’entra davvero poco.
    ——
    eddai, forza… su…cerchiamo di essere obiettivi… prendiamo qualche dato recente sugli effetti della svalutazione. Hai l’esempio macroscopico del Giappone che punta tutto sulla svalutazione negli ultimi due anni (seguito a ruota ora dall’Eurozona), per cui come minimo devi ammettere che oggi nel mondo si punta alla svalutazione e non sono solo Grillo, Salvini, Borghi e Bagnai, ma anche Kuroda e Shinzo Abe. E in realtà sotto sotto anche Draghi…
    Bene, ma funziona ? Oggi è uscito un altro dato dalla Cina che mostra che l’import è sceso in marzo del -12,7 complessivamente, per cui diciamo che un paese come il Giappone che esporta molto in Cina avrà sofferto di una % simile e il dato che citavo era un -17% (rispetto ad un anno prima). Insomma la svalutazione dello Yen non gli è servita a niente, verso la Cina perchè questa spende meno.
    Rispetto agli USA invece è servita parecchio visto che l’export è salito del 14% e sono il mercato numero uno a pari merito con la Cina e però la spesa per consumi è salita di un 2% circa in USA, quindi l’effetto c’è stato. Ergo, nell’insieme è servito per esportare di più, cosa confermata anche dai dati complessivi dell’export giapponese, vedi http://www.tradingeconomics.com/japan/exports. Si potrebbe andare avanti ancora se non si è convinti e annoiare con altri numeri, ma insomma negare che una svalutazione del 30% come quella dello Yen non serva è un opinione bizzarra, ogni report che leggi in giro su Bloomberg, Reuters o FT dice che serve, non che non serve a niente. E in ogni caso hai la seconda potenza economia al mondo che ha la svalutazione come strategia, quindi non è un vizietto italiano, ma anche giapponese, brasiliano, turco, koreano, svizzero, svedese se vai a vedere tutti i paesi che negli ultimi anni hanno cercato di manipolare il tasso di cambio con varie manovre (la Svezia fa QE e tassi negativi per far scendere la corona, la Svizzera ha fatto QE al cubo per tenere fermo il franco, la Banca di Inghilterra dichiara nero su bianco che la svalutazione è utile all’economia inglese…)

    Nel caso dell’Italia, oltre all’effetto sull’export aiuta soprattutto a produrre in Italia beni che oggi importiamo e a far tornare le produzioni che sono andate all’estero perchè costava meno. Ha il difetto di creare un poco di inflazione, forse 3% forse 4% chi lo sa esattamente e questo è male per chi ha ricchezza finanziaria che rischia perdite sui titoli di reddito fisso che hanno tutti rendimenti dell’1% circa….

    • 1. Il fatto che tutti svalutino non implica che la svalutazione funzioni. Semmai è uno dei motivi per cui non funziona.
      2. Bizzarra è la tua opinione, che si basa su un grafico dell’export misurato… in yen. E grazie al piffero che le vedi aumentare se lo yen si svaluta! Ma se guardi i trend, noti che ci sono dei balzi in corrispondenza delle svalutazioni e poi calma piatta.
      3. A conferma del punto 2, come puoi vedere da questa immagine, l’export giapponese in volume è praticamente immobile dal 2011, oscillando sempre intorno allo stesso valore.

      • Chi ha detto che tutti svalutano?
        Ovvio che se tutti svalutano nessuno svaluta, se proprio si vuole usare questo linguaggio barbarico per indicare il riequilibrio. Ma non tutti svalutano. Qualcuno ad esempio non è costretto a rivalutare, che è lo stesso, ovviamente, in questo scenario semplificato, no?!, qualcun altro invece non può svalutare.
        L’Italia non svaluta per esempio.
        Dunque, gira gira il cetriolo ma poi ci deve essere pure da qualche parte un ortolano che lo raccoglie.
        Ecco!

  18. “Nel caso dell’Italia, oltre all’effetto sull’export aiuta soprattutto a produrre in Italia beni che oggi importiamo e a far tornare le produzioni che sono andate all’estero perchè costava meno. Ha il difetto di creare un poco di inflazione, forse 3% forse 4% chi lo sa esattamente e questo è male per chi ha ricchezza finanziaria che rischia perdite sui titoli di reddito fisso che hanno tutti rendimenti dell’1% circa….”

    Il Giappone dopo la svalutazione del 2012 ha continuato a crescere modestamente, tranne un trimestre, quello in cui la bilancia commerciale, già in passivo, è letteralmente PRECIPITATA. Il vostro è solo un wishful thinking non la realtà.

  19. la tesi di Iodice e del TROLL è in una parola Bagnailafafacile, è stato correttamente osservato che Bagnai non vuole svalutare, ma riacquistare sovranità monetaria, Bagnai ha ripetutamente spiegato che se qualcuno svaluta qualcun altro rivaluta, spieghi Iodice come diavolo fanno a svalutare tutti (?????). Vengo qui per vedere se qualcuno è ‘convincente’ come Arberto. È più vengo è più mi convinco che vi sta sopra di sette cieli. E mi compiaccio che il verbo di Arberto si espande, e i suoi seguaci (quelli che lo seguono…) sono sempre più capaci di controbattere le tesi ordoliberiste e fasciste.
    Ce la faremo… La controparte non riesce ad argomentàre se non per slogan.

    • Bagnai vuole svalutare, se non svaluti non ha senso tutto il castello…in sostanza Bagnai vorrebbe: uscire dal sistema a cambi fissi per riequilibrare lo squilibrio commerciale e uscire dall’euro per fare tutto il deficit possibile senza i vincoli europei…il primo punto è realistico, seppure tra 1000 incognite e sacrifici che peraltro lo stesso Bagnai nega…il secondo è una stupidaggine sesquipedale (infatti nemmeno Bagnai sostiene apertamente questa tesi, diciamo che e’ un sottointeso della espressione: Riprendersi la sovranita’ monetaria) …prova a fare questa domanda al professore: “come farebbe l’Italia fuori dall’euro a mantenere i tassi prossimi allo zero? Condizione necessaria e non sufficiente per poter mantenere almeno l’attuale livello di deficit pubblico e poter stampare e comprare btp, nazionalizzare e quantaltro?” . Vedi se ti pubblica il commento (cosa estremamente improbabile visto che il mio lo ha censurato) e soprattutto cosa ti risponde…gli slogan caro mio sono quelli che sparate voi, la banca di russia indipendente da putin, il governo russo che fa una politica sociale col 15% di tasse e 0% di deficit pubblico, i dazi, il made in Italy, la perfida Albione…

      • Lo stesso bagnai non nega, errata corrige

      • Egregio, lei, in buona compagnia con Iodice, ha la pessima abitudine di evitare di rispondere nel merito. Io le ho consigliato Sapir, sulla Russia. Se non vuol leggere, problemi suoi.
        Ma si renda conto che, in buona compagnia con Iodice, lei sta obiettivamente difendento il peggior progetto fascista che l’Europa abbia conosciuto dalla fine della seconda guerra mondiale, ovvero l’euro, che è, d’altra parte, anche la traduzione moderna del piano Funk di nazista memoria.
        Poi Iodice può cercare di fare il triplo salto carpiato con duplice avvitamento su sè stesso e ritorno sulla piattaforma, ma non cambia la sostanza che sta sostenendo, di fatto, oligarchi reazionari che meriterebbero una nuova Norimberga. Contento lui…

  20. Intanto, già che siamo qui, spiegatemi sta cosa che se svaluta uno svalutano tutti, quindi non svaluta nessuno, che è interessante…

  21. […] quindi al problema di efficacia (che Keynesblog aveva denunciato qualche anno fa per cui, in caso di domanda globale in diminuzione, gli effetti della svalutazione sono risibili) […]

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