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Il monito degli economisti: Continuando così l’Europa deflagrerà

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Nello stesso giorno in cui i media celebrano la vittoria di Angela Merkel in Germania, il Financial Times pubblica un testo che interpreta molto diversamente la fase e che guarda più avanti: è “Il monito degli economisti” (“The Economists’ Warning”), un documento promosso dagli italiani Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo (Università del Sannio) e sottoscritto da alcuni tra i principali esponenti della comunità accademica internazionale, appartenenti a varie scuole di pensiero: tra di essi Philip Arestis (University of Cambridge), Wendy Carlin (University College of London), James Galbraith (University of Texas), Mauro Gallegati (Università Politecnica delle Marche), Eckhard Hein (Berlin School of Economics and Law), Alan Kirman (University of Aix-Marseille III), Jan Kregel (ex capo dell’ufficio Finanziamenti per lo sviluppo dell’ONU), Dimitri Papadimitriou (presidente del Levy Economics Institute), Pascal Petit (Université de Paris Nord), Dani Rodrik (Institute for Advanced Study, Princeton), Willi Semmler (New School University, New York), Tony Thirlwall (University of Kent) ed altri.

Il monito degli economisti
Financial Times, 23 settembre 2013

La crisi economica in Europa continua a distruggere posti di lavoro. Alla fine del 2013 i disoccupati saranno 19 milioni nella sola zona euro, oltre 7 milioni in più rispetto al 2008: un incremento che non ha precedenti dal secondo dopoguerra e che proseguirà anche nel 2014. La crisi occupazionale affligge soprattutto i paesi periferici dell’Unione monetaria europea, dove si verifica anche un aumento eccezionale delle sofferenze bancarie e dei fallimenti aziendali; la Germania e gli altri paesi centrali dell’eurozona hanno invece visto crescere i livelli di occupazione. Il carattere asimmetrico della crisi è una delle cause dell’attuale stallo politico europeo e dell’imbarazzante susseguirsi di vertici dai quali scaturiscono provvedimenti palesemente inadeguati a contrastare i processi di divergenza in corso. Una ignavia politica che può sembrare giustificata nelle fasi meno aspre del ciclo e di calma apparente sui mercati finanziari, ma che a lungo andare avrà le più gravi conseguenze.
Come una parte della comunità accademica aveva previsto, la crisi sta rivelando una serie di contraddizioni nell’assetto istituzionale e politico dell’Unione monetaria europea. Le autorità europee hanno compiuto scelte che, contrariamente agli annunci, hanno contribuito all’inasprimento della recessione e all’ampliamento dei divari tra i paesi membri dell’Unione. Nel giugno 2010, ai primi segni di crisi dell’eurozona, una lettera sottoscritta da trecento economisti lanciò un allarme sui pericoli insiti nelle politiche di “austerità”: tali politiche avrebbero ulteriormente depresso l’occupazione e i redditi, rendendo ancora più difficili i rimborsi dei debiti, pubblici e privati. Quell’allarme rimase tuttavia inascoltato. Le autorità europee preferirono aderire alla fantasiosa dottrina dell’“austerità espansiva”, secondo cui le restrizioni dei bilanci pubblici avrebbero ripristinato la fiducia dei mercati sulla solvibilità dei paesi dell’Unione, favorendo così la diminuzione dei tassi d’interesse e la ripresa economica. Come ormai rileva anche il Fondo Monetario Internazionale, oggi sappiamo che in realtà le politiche di austerity hanno accentuato la crisi, provocando un tracollo dei redditi superiore alle attese prevalenti. Gli stessi fautori della “austerità espansiva” adesso riconoscono i loro sbagli, ma il disastro è in larga misura già compiuto.
C’è tuttavia un nuovo errore che le autorità europee stanno commettendo. Esse appaiono persuase dall’idea che i paesi periferici dell’Unione potrebbero risolvere i loro problemi  attraverso le cosiddette “riforme strutturali”. Tali riforme dovrebbero ridurre i costi e i prezzi, aumentare la competitività e favorire quindi una ripresa trainata dalle esportazioni e una riduzione dei debiti verso l’estero. Questa tesi coglie alcuni problemi reali, ma è illusorio pensare che la soluzione prospettata possa salvaguardare l’unità europea. Le politiche deflattive praticate in Germania e altrove per accrescere l’avanzo commerciale hanno contribuito per anni, assieme ad altri fattori, all’accumulo di enormi squilibri nei rapporti di debito e credito tra i paesi della zona euro. Il riassorbimento di tali squilibri richiederebbe un’azione coordinata da parte di tutti i membri dell’Unione. Pensare che i soli paesi periferici debbano farsi carico del problema significa pretendere da questi una caduta dei salari e dei prezzi di tale portata da determinare un crollo ancora più accentuato dei redditi e una violenta deflazione da debiti, con il rischio concreto di nuove crisi bancarie e di una desertificazione produttiva di intere regioni europee.
Nel 1919 John Maynard Keynes contestò il Trattato di Versailles con parole lungimiranti: «Se diamo per scontata la convinzione che la Germania debba esser tenuta in miseria, i suoi figli rimanere nella fame e nell’indigenza […], se miriamo deliberatamente alla umiliazione dell’Europa centrale, oso farmi profeta, la vendetta non tarderà». Sia pure a parti invertite, con i paesi periferici al tracollo e la Germania in posizione di relativo vantaggio, la crisi attuale presenta più di una analogia con quella tremenda fase storica, che creò i presupposti per l’ascesa del nazismo e la seconda guerra mondiale. Ma la memoria di quegli anni sembra persa: le autorità tedesche e gli altri governi europei stanno ripetendo errori speculari a quelli commessi allora. Questa miopia, in ultima istanza, è la causa principale delle ondate di irrazionalismo che stanno investendo l’Europa, dalle ingenue apologie del cambio flessibile quale panacea di ogni male fino ai più inquietanti sussulti di propagandismo ultranazionalista e xenofobo.  
Occorre esser consapevoli che proseguendo con le politiche di “austerità” e affidando il riequilibrio alle sole “riforme strutturali”, il destino dell’euro sarà segnato: l’esperienza della moneta unica si esaurirà, con ripercussioni sulla tenuta del mercato unico europeo. In assenza di condizioni per una riforma del sistema finanziario e della politica monetaria e fiscale che dia vita a un piano di rilancio degli investimenti pubblici e privati, contrasti le sperequazioni tra i redditi e tra i territori e risollevi l’occupazione nelle periferie dell’Unione, ai decisori politici non resterà altro che una scelta cruciale tra modalità alternative di uscita dall’euro.
 
Promosso da Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo (Università del Sannio), il “monito degli economisti” è sottoscritto da Philip Arestis (University of Cambridge), Wendy Carlin (University College of London), Giuseppe Fontana (Leeds and Sannio Universities), James Galbraith (University of Texas), Mauro Gallegati (Università Politecnica delle Marche), Eckhard Hein (Berlin School of Economics and Law), Alan Kirman (University of Aix-Marseille III), Jan Kregel (University of Tallin), Heinz Kurz (Graz University), Alfonso Palacio-Vera (Universidad Complutense Madrid), Dimitri Papadimitriou (Levy Economics Institute), Pascal Petit (Université de Paris Nord), Dani Rodrik (Institute for Advanced Study, Princeton), Willi Semmler (New School University, New York), Engelbert Stockhammer (Kingston University), Tony Thirlwall (University of Kent).
…ed anche: Georgios Argeitis (Athens University), Marcella Corsi (Sapienza University of Rome), Jesus Ferreiro (University of the Basque Country), Malcolm Sawyer (Leeds University), Sergio Rossi (University of Fribourg), Francesco Saraceno (OFCE, Paris), Felipe Serrano (University of the Basque Country), Lefteris Tsoulfidis (University of Macedonia).

54 commenti su “Il monito degli economisti: Continuando così l’Europa deflagrerà

  1. L’ha ribloggato su .

  2. “…ingenue apologie del cambio flessibile quale panacea di ogni male…”: il riferimento è a Bagnai e agli anti-euristi ?

    • Ingenue apologie sul cambio flessibile?!
      Ma per cortesia!
      Il sistema euro è stato costruito per essere così com’è e l’unica alternativa è il suo tramonto.
      Ben vengano i documenti,gli appelli di economisti di prim’ordine e via discorrendo,ma una volta fatto trenta bisogna avere il coraggio di fare trentuno.
      Se si aspetta che l’attuale sistema euro si riformi, ciò che preconizzano i usufrutto accadrà comunque. E mi sembra abbastanza chiaro…

    • Questa è un’inutile diatriba tra persone che dovrebbero stare dalla stessa parte e che invece si scontrano tra finte differenze… come disse Carlo V: pocos, locos y mal unidos… saranno contenti i lobbysti dell’eurocrazia.

  3. L’ha ribloggato su flaneurkh.

  4. L’ennesimo appello che farà la fine di tutti gli altri appelli.
    Cioè carta igienica con cui la classe dirigente tedesca ci si pulirà il di dietro.

    Ci ricorderemo di Brancaccio e soci, non per aver collaborato a studiare un piano di disassemblamento della moneta unica con meno costi possibili, ma per aver passato il tempo a fare inutili appelli.

  5. Quello che Emiliano Brancaccio sta tentando di fare può essere chiaro solo a noi vecchi: lui vuole fare in modo che gli ultimi residui di sindacato, almeno in questo paese, arrivino all’appuntamento della distruzione dell’euro minimamente preparati. Che dei giovani ignoranti capiscano un analfabeta come Bagnai e fatichino a seguire i ragionamenti dialettici di Brancaccio, non mi fa nessuna meraviglia. I giovani sono all’anno zero, totalmente digiuni di buone letture (figuriamoci di letture marxiste). Di questo non bisogna fargli colpa: sono stati i vecchi ex-comunisti come Napolitano ad avere fatto tabula rasa di un retaggio di consapevolezza che era stato sedimentato in decenni di lotte sociali. I giovani dovrebbero leggere di più Brancaccio:

    L’illusione del “vincolo esterno”

  6. Anche dopo la 2° guerra mondiale la Germania si è ritrovata occupata, divisa in 4 con debiti di guerra e completamente distrutta. Come mai non è scoppiata la 3° guerra mondiale?

  7. Bah.
    A me pare che non ci si renda conto del fatto che “restrizioni dei bilanci pubblici” avrebbe dovuto significare meno spese inutili per pagare meno tasse. Il ragionamento non farebbe una piega.
    Da noi però è stato interpretato all’Italiana: le spese inutili e gli sperperi sono rimasti tali e quali, salvo qualche limatina più che altro a scopo pubblicitario. Sono stati invece tagliati i servizi, mentre l'”austerità” è stata interpretata come “più tasse e quindi meno soldi da spendere per i cittadini”.
    Insomma: non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire.

    Anni fa mi scandalizzai tanto per l’intenzione di costruire un’autostrada tra Civitavecchia e Rosignano, la cosiddetta “Tirrenica”. Ma come, dicevo, già abbiamo l’Aurelia che riesce benissimo a smaltire il poco traffico; sì, le sere di Domenica in Estate c’è la coda a Tarquinia, ma quella l’hanno voluta per forza, perché per prendere l’autostrada c’è da attraversare un incrocio a raso! Con così poco traffico, come faranno a farla rendere? Bastò un minimo di interessamento per avere la risposta: lo Stato avrebbe contribuito pesantemente. Ah beh allora! Ma come farebbe lo Stato, se ci sono già pochi soldi da spendere? Mi cullai nell’illusione che i soldi non sarebbero mai arrivati e quello sperpero non sarebbe stato mai perpetrato; immaginavo che alla fine sarebbe stato anche tenuto in conto quell’unico studio di fattibilità realizzato, a firma dei professori Ponti e Boitani, che dimostrava l’assurdità dell’opera dal punto di vista economico (il poco traffico non giustifica nemmeno la manutenzione della seconda corsia … e ne sono testimone in prima persona, vivendo tra Roma e la Maremma). Invece nulla, avanti a tutta forza … ed i soldi sono anche arrivati, a scapito della mia personale capacità di spesa e di quella di tantissimi altri.

    Contemporaneamente … continuiamo a finanziare costosissime missioni di guerra all’estero, abbiamo costruito una nuova città accanto a L’Aquila a 5.000 € al metro quadrato, ci siamo salassati per privatizzare l’Alitalia che ora verà venduta ad AirFrance (ah, il commissario dell’operazione con una briciola della sua buonuscita ci si è comprato una tenuta paradisiaca qui vicino …), continuiamo a pagare i manager pubblici 300.000 € l’anno o più per gestire (… !!!) aziende monopoliste, i politici non ne parliamo, abbiamo ordinato una linea di volo di cacciabombardieri che ci costeranno circa 2.600 € a famiglia …

    Ora per favore non mi venite a dire che l’austerità è sbagliata come concetto. Non dico che di certo non lo sia: dico che non lo possiamo sapere. Perché non è stata messa in atto in modo virtuoso. Magari anche applicata “virtuosamente” non avrebbe funzionato, o magari sì; ma non lo sappiamo. Quello che sappiamo per certo è che è sbagliato come concetto permettere di rubare. Ma facciamo finta di niente e continuiamo ad azzuffarci per dimostrare che è meglio destra o che è meglio sinistra, che ha ragione Keynes oppure che ha torto …

    • g.e.o., prima di commentare cerchi di alfabetizzarsi in economia. Almeno un paio di rudimenti, come ad esempio la determinazione del reddito di equilibrio.

      • Mi risparmi la saccenza.
        Le faccio presente che nella teoria Keynesiana non si fa differenza tra spesa pubblica “virtuosa” e puro e semplice sperpero. Spesa pubblica che non genera un moltiplicatore, o lo genera più basso del dovuto, perché non rientra nel circuito economico o lo fa solo in parte.
        La nostra ttuale situazione lui, Inglese dell’inizio del secolo scorso, nemeno se la poteva immaginare.

      • Come fa a dire che non si tiene conto se la spesa pubblica non torna in circolo? Nei modelli keynesiani se ne tiene conto eccome, infatti il moltiplicatore è influenzato dalla propensione al risparmio e dalla propensione all’importazioni.

      • Ah, dimenticavo. Cerchi di evitare il solito errore degli economisti che, troppo spesso digiuni di matematica o quasi, davnti ad una formula si comportano come davanti ad un oracolo.
        Nessuna formula matematica può contenere verità trascendenti rispetto ai termini che contiene. Serve solo a spiegarne meglio le relazioni.

      • E’ vero. Keynes non ha scritto la Teoria Generale ad uso e consumo di politici e funzionari incapaci o corrotti.

        Ma se in Italia qualsiasi programma di politica economica si trasforma in clientelismo, sprechi e corruzione non è colpa di Keynes o delle politiche keynesiane. Ma di chi abbiamo mandato a governare questo paese.

        Immagino che qualcuno a questo punto tirerà fuori la storia di scavar buche e poi riempirle. Ecco noi in Italia siamo proprio quelli che hanno preferito guardare il dito anzichè la luna. Anzichè comprendere che l’intervento pubblico può essere utile per uscire dalla crisi, rilanciando la domanda e l’occupazione, ha colto solo l’opportunità di succhiare il latte dalla mucca pubblica (e magari hanno anche il coraggio di dire loro stessi o i loro referenti politici che sono politiche keynesiane). Come l’altro sabato ad Omnibus su La7, quando il sindaco di Pavia ha chiesto a Ferrero di portargli un dirigente pubblico incapace che sia stato licenziato.

        Loro che governano da 20 anni chiedono ad un partito che non è in parlamento di dimostrare che la pubblica amministrazione funziona ed è efficiente! Siamo alla follia.

        Ma noi siamo, come dice Crozza, nel paese delle meraviglie. Le cose più assurde ci sembrano vere ed è per questo che continuiamo a mandarli al governo.

      • keynesblog,
        mi riferivo allo sperpero. Che non può essere regolato agendo su altri parametri come tassi d’interesse o di cambio (come avviene per propensione al risparmio o all’importazione).

        Giorgio,
        forse sarebbe il caso di invertire l’ordine dei fattori … ovvero, se da noi la “spesa pubblica” non è la stessa cosa che aveva in mente Keynes, allora immagino che la sua teoria da noi non possa funzionare. Sarebbe un pò come progettare un motore per farlo andare a benzina e poi pretendere che funzioni alimentandolo con una miscela di benzina per il 10% ed il resto acqua.

        Ma sul serio nessuno si era accorto che nelle formule di Keynes non si tiene conto di corruzione, sperpero, inefficienza, … ? Neanche tra i keynesisti nostrani, che pure dovrebbero essersi accorti di come viene gestita in Italia la cosa pubblica?

      • Guardi che parliamo di uno che voleva scavare buche nel terreno. Che, di fronte a disoccupazione del 20% come in certi paese UE, sarebbe meglio di niente.

      • Ottimo. Poichè abbiamo una classe politica incapace, consigli di non applicare le politiche economiche che funzionano in tutti i paesi civili, ma di tenerci i cialtroni che guidano questo paese.
        Avanti così, come tu stesso hai scritto:
        “le spese inutili e gli sperperi sono rimasti tali e quali, salvo qualche limatina più che altro a scopo pubblicitario. Sono stati invece tagliati i servizi, mentre l’”austerità” è stata interpretata come “più tasse e quindi meno soldi da spendere per i cittadini”.

        Di che ti lamenti?

      • Ma perché, ho detto questo?

        Io credo che i cialtroni andrebbero messi in condizione di non nuocere ed anche spremuti come limoni per riprenderci il maltolto (che sia stato tolto con dolo o con la colpa di voler ricoprire posizioni di cui non si è degni).

        Ma mi sembra anche ovvio che una teoria che non tiene conto della cattiva gestione della cosa pubblica non possa funzionare laddove la cosa pubblica è, appunto, mal gestita. Anzi. Da noi un’espansione del bilancio dello Stato c’è stata, negli ultimi decenni, ma ho qualche dubbio che abbia portato ad un aumento del reddito nazionale; e di certo non ha migliorato il benessere della collettività.

      • Dal 1992 abbiamo un avanzo primario. Cumulando gli ultimi 20 anni, ammonta a 650 miliardi di euro. Questo vuol dire che al settore privato è stato tolto più di quanto sia ritornato in termini di servizi, stipendi, pensioni, investimenti, acquisti di beni e servizi, ecc.
        Una politica del genere è tutto fuorché keynesiana.

        Quanto alla teoria, non credo che Keynes avesse in mente di costruire una teoria su come la corruzione renda inefficace la spesa pubblica. Nel 1929 avevano un problema simile a quello che abbiamo oggi: la disoccupazione.

        Cosa fare per evitare malcontento e proteste sociali che – allora – potevano sfociare in rivolte e rivoluzioni?
        Quello era il suo problema (ma da come vanno le cose non sembra che interessi a qualcuno in Italia). Non di come tener conto degli sprechi o della corruzione.
        E’ come costruire un motore a benzina e pretendere che vada ad acqua!

        Peraltro, quanto incidono la corruzione, gli sprechi, le innefficienze e i privilegi? (non l’evasione, che è un altro paio di maniche, ed uno dei motivi per cui siamo in brache di tela)
        Vogliamo dire il 10% della spesa pubblica complessiva? circa 80 miliardi? Una cifra monstre. La vuoi eliminare? bene!!!
        Pensi che chi è al governo e ha goduto di privilegi, clientele, regali, finanziamenti, appoggi o bustarelle sia disposto a rinunciarvi? E’ una strana teoria la tua: quella di combattere le “inefficienze” con le stesse persone che ne traggono vantaggio.

        Eliminiamo i corrotti, applichiamo onestamente e correttamente le politiche keynesiane e poi ne riparliamo.

      • la determinazione del reddito di equilibrio.
        certo.
        secondo il modellino di XYZ (2007).
        che è totalmente indipendente, ovvio, dal fatto che ci siano persone che RUBANO MILIARDI ad altre persone. perchè tanto la spesa quella è.
        che pena.

      • Capisco che per voi è difficile comprendere i modelli che non siano come questi
        *X*.

    • Guardando una trasmissione nostrana (ieri sera) sulle conseguenze della crisi etc… cui era presente anche Cuperlo e un deputato della CDU si fa fatica a credere come sia distorta all’estero la percezione delle difficoltà del nostro Paese e delle sue cause – che hanno certamente a che fare col disegno della moneta unica ma che vengono anche da lontano (come amano sempre ricordarci i tedeschi).

      E’ imbarazzante il piglio “moralista” con cui si guarda a problemi storici profondi di arretratezza politica, economica e culturale mettendo l’intero paese, tutti i suoi cittadini, sul banco degli accusati, come se fossimo tutti uguali, e di fatto scaricando tutti i costi delle “riforme” sulla classe media e sulla working class, senza fare alcun distinguo sulle responsabilità della nostra classe dirigente (pubblica e privata), che viene oggi chiamata a distribuire l’amaro calice a tutti gli altri.

      Ma perché nessuno dice, parlando di specificità del nostro Paese (come dice Cesaratto, chiosando Tolstoj in un bellissimo paper, ogni famiglia infelice lo è a modo suo), una cosa banale che in teoria dovrebbe mettere d’accordo tutti, neoclassici, neo-keynesiani, post-keynesiani etc. e cioè che la prima riforma strutturale che l’Europa deve chiedere al nostro paese è recuperare il RISPETTO DELLA LEGALITA’ nella sfera pubblica e anche in quella privata.

      Nel nostro paese c’è un grave problema di rispetto di quelle regole minime (stabilite dalle leggi in vigore) senza le quali i rapporti fra privati (es. obbligazioni contrattuali, diritto societario, …) e quelli fra PA e cittadini (appalti, selezione concorsuale, …) sono assolutamente compromessi. Se non parliamo prima di questo, tutti i discorsi sul tetto del 3%, sul recupero della produttività nostrana, sull’abbattimento del debito etc. sono INUTILI – anche ammettendo che i problemi stiano tutti qui.

      Affrontando il problema solo dai vincoli finanziari e annacquando le responsabilità storiche della classe dirigente italiana non ci aiuterà a divenire un paese più “moderno” e ci porterà ancora più lontani dal modello tedesco, ammesso che sia la strada da seguire.

      Mettiamo al primo posto lotta alla criminalità organizzata, alla corruzione, all’evasione, alle pratiche illegali che prosperano all’interno dello stesso stato. Come si fa a parlare di rilancio economico del paese senza tutto questo?

      Euro e monete nazionali, the best of both worlds

      • Questa storia dell’Italia soffocata dall’illegalità è un refrain che ha stancato. Bastaaa! Giolitti fu chiamato da Salvemini “ministro del malaffare” ma il decollo industriale dell’Italia settentrionale è avvenuto sotto i suoi governi! Forse che i ministri democristiani del secondo dopoguerra fossero di maggiore onestà che quelli attuali? Certo che no! Solo che la magistratura non era in grado (più correttamente: non voleva) occuparsene.
        Pensate che la corruzione sia dilagante solo da noi? Se davvero corruzione e malaffare impedissero la crescita economica Giappone, Corea e Cina – che hanno livelli di corruzione e delinquenza ben maggiori dei nostri – dovrebbero essere peggio dei paesi africani.
        E vogliamo parlare della Tedeschia alta bella e bionda? Perchè non vedete chi era herr Hartz, autore delle famose riforme del mercato del lavoro tedesco (quello dei minijobs per intenderci) o cosa ha combinato Kohl?
        Corruzione, malaffare e tutto quello che volete voi sono reati che devono essere perseguiti. Punto e basta. Voler attribuire a questi fenomeni la causa della crisi italiana equivale a voler nascondere la testa sotto la sabbia, come lo struzzo.

      • C’è modo e misura. Se le pratiche illegali informano strutturalmente e pervasivamente i processi di selezione della classe dirigente, dopo 30-40 anni chi ti trovi a prendere le decisioni fondamentali sullo sviluppo industriale ed economico di un paese? E non è solo questione di persone corrotte… La competenza a risolvere tecnicamente questioni complesse non ci guadagna assai. E’ una questione di “selezione naturale” del personale apicale e dei quadri. Dietro le scelte ci sono le teste e la cultura che le permea.

        Ad esempio, se la costituzione “materiale” di un paese ti permette di fare il buono e il cattivo tempo all’interno di un grande gruppo societario con il 5% del capitale azionario, che incentivo hai a far crescere la società con il rischio di annacquare il pacchetto di controllo e perdere tutto? Molto meglio “mangiarsela” lentamente la società.

        E’ solo un piccolo esempio fra tanti. Ho l’impressione che in taluni paesi – che odiosamente alzano il ditino – questo tuttavia non sarebbe permesso. Ma forse sbaglio.

      • Viva la faccia.
        D’accordo al 100%.
        Altro che teoria.

      • ecco, risposte come quelle di saverio sono PREZIOSISSIME.
        mostrano che, scremando tutto, alla fine costoro difendono LADRI E CRIMINALI CONSAPEVOLMENTE, e per un semplicissimo motivo: LO SONO ANCHE LORO.

      • f.spirito,
        direi di più.
        A fronte della evidentissima situazione nostrana di malaffare, sperperi, privilegi ed altre amene variabili indipendentissime in totale libertà, mi sembra anche che perdersi in discorsi su quanto questo o quell’economista abbia torto o ragione equivalga a rendersi complici. Si stende una fumosa coltre di chiacchere oziose che finiscono per mascherare la realtà.
        Il punto non è se Keynes ha ragione o meno. Le relazioni matematiche che ha elaborato sono valide e basta. Il punto è che le variabili che entrano in quelle relazioni sono FALSE. Noi calcoliamo il PIL senza fare distinzione tra aumento della ricchezza “vera” (perché magari viene costruito un ponte che, conti alla mano, abbrevierà un percorso e farà risparmiare tonnellate di combustibile e di ore/uomo e si ripagherà ampiamente) e della ricchezza “falsa” (perché magari un ponte viene costruito dove non serve e non ci passerà mai nessuno, ma intanto si fa lavorare l’appaltatore amico). Consideriamo il reddito pro capite senza guardare a come è distribuito. Parliamo di tassi d’interesse senza esaminare gli effetti concreti della politica monetaria in atto, per cui magari abbiamo banche che prendono a prestito denaro a basso costo e lo prestano a loro volta ai consumatori a tassi da strozzo, oppure ci si riempiono di titoli del Tesoro. Tutto questo avviene nella realtà; per cui la teoria di Keynes resta valida, ma disgraziatamente NON è applicabile, se non come guida molto generale. Perché le “sue” grandezze hanno poco a che fare con quelle reali. Specialmente da noi.

      • Io sono un post-keynesiano convinto. Penso che la variante Kaleckiana della corrente di pensiero post-keynesiano sia la lettura più “realistica” del funzionamento dell’economia capitalistica… Non fraintendetemi.

        Però la fondamentale lezione di “realismo” della scuola keynesiana – al contrario dello “strumentalismo” del mainstream – impone di considerare i modelli come degli strumenti di ragionamento e delle blueprint per trasferire con chiarezza le idee. Nella analisi applicata di un particolare fenomeno, paese, etc.. (appreciative analysis) i veri keynesiani “contestualizzano” le loro idee alle particolari condizione storiche, sociali, etc.. Questa è una lezione di PRAGMATISMO, che è una virtù keynesiana e non “neoclassica”.

        Io non contemplo assolutamente il rigetto delle idee di fondo della corrente keynesiana, che non si riducono a “pompare la spesa pubblica in periodo di crisi” come i suoi detrattori sempre affermano. E’ anche vero che ci sono tanti “keynesiani di cartone” dell’ultima ora senza solide basi analitiche.

        Keynes, quale grand commis dell’impero britannico, si sarebbe senz’altro chiesto, attivando flussi di spesa pubblica aggiuntivi, in quali mani questi flussi sarebbero andati a finire e quale modifica alla distribuzione del reddito avrebbero determinato.

  8. La diatriba tra Brancaccio e Bagnai sta diventando stucchevole e fastidiosa: che la specialità in cui la sinistra italiana riesce meglio sia la divisione sulla base delle virgole è cosa fin troppo risaputa, purtroppo.
    Bagnai accusa Brancaccio di troppa vicinanza politica ad alcuni politici “bolliti”, come Ferrero: posso anche trovarmi d’accordo (sulla bollitura, intendo) ma non credo si possa dubitare della buona fede di Brancaccio. Questi accusa Bagnai di farla troppo facile e di non rendersi conto delle diverse conseguenze che potrebbe avere sulla distribuzione del reddito tra le classi sociali la svalutazione conseguente all’uscita dall’euro. E può anche starci, data il diverso orientamento ideologico dei due. Ma mi sembra scorretto considerare l’economista di Pescara un liberista.
    Sarebbe utile se i due, anzichè continuare a beccarsi a distanza, potessero fare un dibattito a due ad esempio su Micromega, come pure è stato fatto in altre occasioni. Credo sarebbe un enorme arricchimento per tutti.
    E per favore, evitiamo gli schieramenti di fazioni: definire Bagnai ignorante, come ha fatto qualche commentatore qui sopra, è un insulto non al docente, ma all’umana intelligenza.

    • Questo è un “monito” internazionale, firmato anche da un paio di notissimi esperti di economia internazionale come Tony Thirlwall (quello della legge di Thirlwall che usa anche Bagnai in un suo recente lavoro) e Dani Rodrik. Non è che al mondo ci sia solo Bagnai che dice che i cambi flessibili sono l’opzione migliore, non facciamo i provinciali.

    • Guardate che è Bagnai che è ossessionato da Brancaccio. Brancaccio penso che se ne strafotta. E la qualità assoluta di questa sua ultima iniziativa chiarisce il perché.

      • “Ossessionato” è una parola eccessiva, ma se l’intendiamo come “particolarmente interessato”, allora penso tu abbia ragione: basta ricordarsi come iniziò la polemica.

  9. Esattamente quello che dice lui stesso (Bagnai, intendo): mica sono io il primo o l’unico a sostenere queste idee. Non diamogli addosso sempre e comunque

  10. Da Rodrik a Gallegati, passando per la mitica Carlin del manuale Carlin-Soskice, i firmatari sono IMMENSI. Complimenti a Brancaccio e Realfonzo.

  11. […] è stato più volte sottolineato, sia in questo Journal che altrove, le cupe prospettive dell’Europa dipendono principalmente da tre questioni. In primo luogo […]

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  14. […] Pil. Ed è qui che casca l’asino. È infatti ormai acclarato – e a questo riguardo rinvio al “monito degli economisti“ pubblicato dal Financial Times – che in Europa sono in atto processi cumulativi di […]

  15. […] cadere nell’ “ingenua apologia del cambio flessibile”, come ricordato nel “Monito degli Economisti“. Piuttosto emerge la necessità di un nuovo sistema monetario che prenda atto […]

  16. […] standard, un rigido sistema di cambi fissi molto simile all’euro. Inoltre, come segnalato dal «monito degli economisti» pubblicato sul Financial Times lo scorso 23 settembre, l’attuale crisi dell’eurozona presenta […]

  17. […] 10 ottobre 2013. Nel recente “monito degli economisti” pubblicato sul Financial Times, veniva richiamata la profezia che Keynes consegnò nel […]

  18. Come al solito gli allarmismi erano eccessivi. Tuttavia il rischio che stiamo correndo è ancora altissimo altrimenti Draghi non avrebbe mai abbassato i tassi allo 0,05%. Questa misura, a mio avviso, dovrebbe farci capire che ci troviamo ad un bivio: o se ne esce in qualche modo o la fine è certa. Ma adesso è ricominciato il campionato di calcio e gli italiani avranno altro a cui pensare!
    Faby

    • Il punto è sempre molto banalmente quello che l’unione monetaria doveva essere un (importante) passo intermedio, non un punto di arrivo.
      Il totale disallineamento delle poltiche economiche e fiscali non può non comportare una progressiva divergenza tra gli Stati. Ma i vari politicanti evidentemente preferiscono non “delegare sovranità” per continuare a farsi, ognuno a suo modo, gli affaracci loro. Che in Germania si traducono nel raggiungimento e mantenimento di una supremazia economica; e da noi, per esempio, nella prosecuzione delle ruberie camuffate da “grandi opere” e nel mantenimento dei privilegi di casta.
      Tutto questo è di una banalità totale.
      Personalmente contesto anche il voler cercare di spiegare ciò che accade con discorsi lunghi, inutilmente complicati, farraginosi e troppo spesso cercando anche di ottenere un forzato consenso per l’una o l’altra teoria o posizione. Le cose sono semplici e tali dovrebbero restare. Blaterare troppo non fa che generare cortine di fumo dietro le quali vengono nascoste le altrimenti sin troppo evidenti magagne.

  19. […] è “di destra”, l’uscita dall’euro è “di sinistra”. Brancaccio non è tra questi. Il monito degli economisti, da lui promosso insieme a Riccardo Realfonzo, parla infatti di “modalità alternative di uscita […]

  20. […] è “di destra”, l’uscita dall’euro è “di sinistra”. Brancaccio non è tra questi. Il monito degli economisti, da lui promosso insieme a Riccardo Realfonzo, parla infatti di “modalità alternative di uscita […]

  21. […] è “di destra”, l’uscita dall’euro è “di sinistra”. Brancaccio non è tra questi. Il monito degli economisti, da lui promosso insieme a Riccardo Realfonzo, parla infatti di “modalità alternative di uscita […]

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