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Più investimenti pubblici per far ripartire la crescita europea

Sono gli investimenti ciò di cui le economie europee hanno bisogno, e specialmente quelle più deboli, se si vuole che quella dalla attuale crisi sia un’uscita duratura. Questo è in sostanza il messaggio che ci proviene da Emmanuel Guerin, Direttore del Dipartimento Clima ed Energia dell’Istituto per lo Sviluppo Sostenibile e le Relazioni Internazionali di Parigi (IDDRI), in un articolo su Project Syndicate.

Ormai non sembrano esserci dubbi che l’assenza di strumenti di politica economica che caratterizza la costruzione dell’euro mini profondamente la sua stessa sopravvivenza, ma deve essere anche chiaro che la strada per il rilancio economico, una volta disponibili gli strumenti, è da considerarsi estremamente impegnativa. Guerin intende in altri termini fugare il dubbio che bastino delle “semplici” politiche di stimolo della domanda perché i differenziali di struttura economica e di crescita presenti tra le aree del “centro” e quelle della “periferia” dell’Europa siano perlomeno ridotti. Né è a maggior ragione immaginabile pensare che il rafforzamento della domanda interna nelle economie più competitive, come la Germania, attraverso un aumento dei salari, possa essere risolutivo.

L’azione di investimento alla quale Guerin si riferisce, deve intervenire sui paesi più svantaggiati a modifica di quelle parti “deboli” della struttura economica che più sono da ritenersi responsabili dei “divari sistemici” di competitività con i paesi “forti”. E per questo una grande attenzione deve essere data all’ammodernamento degli apparati industriali, cogliendo anche quelle opportunità di trasformazione che sempre più rispondono agli obiettivi della sostenibilità ambientale. Uno sforzo, questo, che chiama in causa vasti piani di intervento pubblico cofinanziati a livello europeo. In questo senso sarebbe pertanto opportuno un più ampio coinvolgimento della BEI (Banca Europea per gli Investimenti), mirando ad una sua ricapitalizzazione e alla emissione di “project bond” concentrati su specifici obiettivi di investimento.

Potrebbero, ad esempio, essere emessi dei “green covered bonds”, garantiti dal rendimento delle attività finanziarie già esistenti nell’ambito della “green economy”, creando così un circuito virtuoso di rifinanziamento da parte del sistema bancario.
In linea generale l’investimento nelle infrastrutture e nei settori tecnologicamente avanzati è in grado di produrre effetti sulla crescita nel breve e nel medio- lungo termine. I paesi solventi sono in grado di emettere prestiti ad interessi quasi prossimi allo zero, e il momento sarebbe ottimale per investire in attività finanziarie a lungo – termine di supporto ad investimenti produttivi nei paesi “periferici”. Insomma, conclude Guerin, se è vero che quella in corso è una crisi europea, tutti debbono fare la loro parte, avendo ben saldo in mente l’obiettivo di “risanamento strutturale” delle divergenze economiche interne e sapendo che questo è il solo modo per far si che dalla crisi esca una nuova Europa più competitiva e in condizione di far fronte alle sfide future.
Leggi l’articolo su Project Syndicate

4 commenti su “Più investimenti pubblici per far ripartire la crescita europea

  1. Reblogged this on i cittadini prima di tutto.

  2. son d’accordo sul fatto che un aumento dei salari in Germania potrebbe far crescere la domanda interna in questo paese, e riequilibrare gli squilibri delle bilancie commerciali, associate ai project bond per piani d’investimento specialmente nei paesi periferici. Ma senza un ruolo più attivo della BCE ed un’integrazione fiscale positiva nell’UE (il contrario di quella negativa del fiscal compact) sarebbe comunque una toppa temporanea per coprire una falla destinata ad aprirsi nuovamente con una nuova crisi. Un obiettivo di convergenza dei tassi d’inflazione, forme di condivisione del debito pubblico, magari attraverso gli eurobonds, con la BCE garante e prestatrice di ultima istanza. Un bilancio comunitario che arrivi almeno al 20% delle risorse dei paesi membri, non come è attualmente, se non sbaglio circa al 3%. Parziali trasferimenti di bilancio fra regioni con economie avanzate e quelle depresse, previa adozione di un patto fiscale per la razionalizzazione della spesa pubblica della federazione, utilizzando il sistema dei costi standard, allineando i costi alle best practices europee (non con tagli di bilancio in stile fiscal compact). Forme d’incentivo alla mobilità del lavoro. Ma so già che è tutta fantascienza, atteso che la Germania non è intenzionata neanche a concere gli eurobonds, figuriamoci una politica accomodante della BCE o rinunciare alla moderazione salariale, causa del loro successo.
    Ringrazio questo blog perchè è uno dei pochi che disegna possibili scenari e strumenti d’integrazione per una federazione di stati europei. Sarebbe interessante dedicare un post ad-hoc per definire quale sarebbe la costruzione europea ottimale, assemblando tutte le valide proposte e i vari strumenti e forme d’integrazione suggerite nei precedenti aticoli… non mi pare che nessuno abbia mai fatto un progetto del genere con una proposta organica ben definita. Complimenti ottimo post.

  3. A complemento di questo articolo, segnalo quello di Larry Summers su FT di domenica: con tassi così bassi, è conveniente investire per rinnovare il capitale pubblico, e aumentare la sostenibilità di lungo periodo.
    Saluti Francesco

  4. siamo proprio sicuri che un aumento degli investimenti per i paesi europei arretrati sono la soluzione economica per uscire dalla crisi?
    Una volta ero convinto di questo e continuo ad esserlo ancora, ma forse occorre guardare dentro gli investimenti. Per alcuni Paesi gli investimenti sono più efficaci di altri. forse occorre guardare meglio. in realtà si osserva una certa relazione tra ricerca e sviluppo e investimenti.
    chi spende di più in R&S ha minori investimenti e maggiori tassi di crescita del PIL; cho spende in R&S di meno ha più investimenti e minore crescita del PIL. occorre una migliore riflessione sul tema degli investimenti. roberto

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