L’ostinazione a centrare i problemi dello sviluppo italiano sulla riforma del mercato del lavoro sembra non trovare fine. Ma sembra non trovare fine anche l’ostinazione con cui diversi economisti e sociologi si prodigano nel ribadire che con la creazione di posti di lavoro (il reale dramma dell’Italia) l’articolo 18 non ha nulla a che fare. Giunge così l’ennesimo richiamo sulla questione da parte di Chiara Saraceno, che sulle colonne di Repubblica di ieri sostiene:
“Questa impostazione suggerirebbe che il problema del mercato del lavoro italiano, e addirittura della mancata competitività del sistema produttivo, sia la scarsa flessibilità in uscita. Ma i modelli danesi e tedesco, spesso citati anche dalla Fornero, sono dinamici innanzitutto perché sono dinamiche le aziende, che creano posti di lavoro; per cui perdere l’occupazione non è un salto nel buio, ma un passaggio abbastanza veloce verso un altro lavoro. Non è così in Italia, nonostante ormai da diversi anni il mercato del lavoro italiano sia diventato tra i più flessibili, anche per i cosiddetti garantiti. La scarsa competitività italiana, da cui deriva anche l’alto tasso di disoccupazione, ha a che fare non con la mancanza di flessibilità in uscita, ma con la scarsa capacità di innovazione delle aziende, il basso investimento in capitale umano e in ricerca e innovazione.”
Insomma il mercato del lavoro italiano sta vivendo una reale emergenza, ma questa dovrebbe essere l’oggetto di politiche industriali, piuttosto che di riforma di un sistema di regole. Se proprio di emergenza si vuol trattare, allora bisognerebbe considerare seriamente il sistema di ammortizzatori e, una volta di più, portare ad esempio i casi di Danimarca e Germania per quello che realmente esiste in quei paesi, senza far finta che il nostro paese possa far passi in in assenza di risorse pubbliche da mettere sul piatto. Saraceno ci ricorda, infatti, che:
“in Danimarca e in Germania, come in molti altri Paesi europei, nessuno è lasciato senza protezione una volta terminato il diritto all’indennità di disoccupazione senza aver trovato una nuova occupazione. Possono accedere ad una garanzia di reddito assistenziale, destinata a chi ha perso il diritto alla indennità o a chi non ne ha mai avuto diritto, ma è povero. È una misura cui la ministra si è dichiarata più volte favorevole, trovando risposte per altro tiepide in una parte almeno dei sindacati. Ma richiede risorse consistenti che non possono che venire dal bilancio dello Stato.
In Germania, ad esempio, dopo la cosiddetta riforma Hartz del 2002, questo sussidio garantisce 350 euro al mese per una persona sola, che possono salire fino al 1240 euro circa per una coppia con due bambini, più integrazioni per l’affitto, i libri di scuola, le spese mediche. Anche chi riceve l’indennità di disoccupazione, se questa è inferiore al sussidio, può ricevere una integrazione fino ad un livello equivalente. Inoltre esistono centri per l’impiego efficienti, che accompagnano e stimolano chi riceve il sussidio a stare nel mercato del lavoro, formarsi, e così via. Accanto al dinamismo dell’economia, l’esistenza di questa rete di protezione consente di affrontare meglio le crisi vuoi nell’economia, vuoi nelle biografie personali. In assenza di entrambe queste cose, rimane solo la disoccupazione di lunga durata senza sussidi e senza speranze.”
Leggi l’articolo completo di C.Saraceno
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c,e un ma in questo discorso la signora fornero in cambio di abbandono delle tutele giuridiche (articolo 18) dice ci sono una paccata di soldi. ci sono due ma in questo discorso uno che è piu difficile se un diritto è acquisito sul piano giuridico poterlo eliminare secondo chi ci dice che quel diritto una volta portato sul piano economico non possa essere sempre piu schiacciato verso il basso fino a quasi annullarlo.ma la terza cosa e piu importante che una volta liberalizzato il mercato del lavoro non si da vita ad una competizione stracciona che in ultima analisi comporta comporta propio la perdita di competivita dal punto di vista della qualita che apre all,uteriore shopping del capitale sia finanziario che multinazionale..è un dubbio che mi viene anche considerando chi lo propone
Che il problema della disoccupazione sia stato ed è tuttora principalmente un problema di “domanda” ce lo stiamo dicendo da anni -soprattutto chi ha studiato il mezzogiorno!- Ironia della sorte, ricordo le critiche che si ponevano in passato e in certi ambienti scientifici di cui facevo parte, alle politiche keynesiane considerate troppo deboli per affrontare il problema della disoccupazione da domanda o strutturale. Oggi, invece, le agognamo come il “paradiso perduto”! Forse il vero problema è che in quegli anni al migliorare delle condizioni economiche non è seguita una diffusione e crescita della consapevolezza sociale e della relativa soggettività politica (chiamatela di classe, chiamatela di cittadinanza, chiamatela di comunità …a questo livello di analisi poco importa). Il popolo ha consumato di più senza capire il perchè, il senso e la basi culturali e politiche sulle quali tale crescita si basava e conseguentemente non riuscendo a sviluppare la consapevolezza di quelle condizioni minime sulle quali si dovrebbe essere tutti d’accordo. Si è assistito ad una crescita individuale del consumo (e non mi riferisco solo a beni materiali ma anche a idee, valori stili di vita -vedi ad esempio il “la repubblica state of mind” o l'”apple state of mind”) e non sociale. Questo non poteva che ricadere anche sulla rappresentanza politica di tali individualità. Le numerose “satrapie” di cui si compone il mondo del centro-sinistra e della sinistra di oggi ne sono una conferma. In questa assenza di senso comune o meglio di un senso comune che assume l’universo dell’io individuale come unica fonte di verità, qualunque voce risulta irrimediabilmente relegata a valore di opinione individuale. In definitiva, non penso che oggi stia perdendo Keynes quanto piuttosto Heiddeger, Habermas, Foucault …
Parlo da piccolo imprenditore con due aziende sulle spalle,con un mercato in forte crisi e con un supporto finanziario da parte delle banche oramai inesistente. Mi chiedo come mai si fa un gran parlare dell’articolo 18 come se fosse il,vero motivo,della crisi occupazionale dell’ Italia………..Mi,viene il dubbio che molti addetti ai lavori ,politici me non , sanno ben poco di economia industriale…………..E’ ovvio che il mercato del lavoro e’ correlato e propedeutico all’ andamento del mondo industriale,dando per scontato la completa irrilevanza dal punto di vista del Pil la massa occupazionale della pubblica amministrazione che serve solo a appesantire il già precario e instabile equilibrio del bilancio statale. Oggi un imprenditore,che sia piccolo o grande non ha nessun tipo di stimolo a portare avanti una politica di innovazione e di investimento,e’ completamente demotivato e tutto preso a far fronte alle sempre più avide esigenze di uno stato che ha messo su un sistema di tassazione fra i più onerosi a livello europeo.Oltre il 50 per cento dell’ utile lordo va in tasse e se diviso in capo ai soci arriviamo a un prelievo di circa il 70 per cento……….Mi potete spiegare perché dovrebbe investire,innovarsi e occupare nuova manodopera???Mi diceva il direttore della banca dove ho rapporti,di lavoro che da gennaio a oggi ha chiuso circa 200 c.correnti per avvenuto protesto……..e le mie aziende sono situate in un polo industriale tra i più fiorenti della Campania………Dopo questo quadro della,situazione secondo chi mi legge ha ancora un senso parlare dell’articolo18???
Personalmente credo che l’artico 18 e il rilancio del mercato del lavoro non siano in contrapposizione tra loro. Nel primo caso (art. 18) trattasi di un diritto conquistato nel caso del mercato del lavoro, esso dipende dall’insieme di iniziative messe in atto dal governo e dall’imprenditoria privata. Se poi sia il governo che gli imprenditori vogliono un mercato del lavoro senza vincoli, per guadagnare di più, passando attraverso l’azzeramento dei diritti, trattasi di tutt’altra cosa, anzi di una scelta ricattatoria ed in molti casi disumana. Pare che tra l’attuale governo conservatore presieduto da Monti e l’imprenditoria italiana, avida e pavida, ci sia l’inevitabile ritorno ad una società ottocentesca, ante rivoluzione di ottobre. Nessun parallelo può essere fatto tra le condizioni dei lavoratori italiani e quelli degli altri paesi del Nord Europa come la Germania, a cominciare dal welfare, fortemente connotato, mentre da noi tutto langue e tutto è a carico del singolo. Detto questo, trovo pericoloso porre in antitesi l’art. 18 e la ricerca del lavoro che non c’è.
Aurelia del Vecchio Napoli
Cara Aurelia, leggo sempre con interesse i pareri e le critiche inerenti l’ attuale situazione socio economica del nostro Bel Paese……….specialmente
quando non si limitano a una critica sterile e demagogica ma siano propositive e costruttive……..Nel suo caso sono addolorato dal fatto di aver letto e constatato una visione decisamente pessimista dell’attuale quadro socio politico attuale ,con l’ulteriore errore di fondo del solito confronto con altri paesi europei che per ovvi e scontati motivi hanno poco o nulla in termini di paragone……..Gradirei tantissimo delle sane e serene proposte costruttive per avviare un processo risolutivo ai problemi che ci assillano,proposte libere da concetti oramai superati basati su vecchi schemi demagogici che avrebbero potuto trovare terreno fertile trenta anni fa ma non oggi.Aspetto fiducioso……
penso che il signor longo abbia ragione guardare il passato per proporre il futuro va bene .ma riproporlo, tale e quale non in modo propositivo penso che sia sbagliato.inoltre quando la signora aurelia dice (se gli imprenditori vogliono un mercato del lavoro senza vincoli per guadagnare di piu…………………………la trovo una scelta disumana e ricattatoria)secondo il mio modestissimo parere la questione non e assolutamente etica,l,etica, non centra niente e il sistema che non puo reggere alle sfide che la globalizzazione comporta solo appiattendo il lavoro..se non riequilibra il sistema nell,interesse di tutti….