Titanic Europa: la “cura” dell’austerità e la causa della malattia

«Ero… rimasto senza benzina. Avevo una gomma a terra. Non avevo i soldi per prendere il taxi. La tintoria non mi aveva portato il tight. C’era il funerale di mia madre! Era crollata la casa! C’è stato un terremoto! Una tremenda inondazione! Le cavallette! Non è stata colpa mia!»
— John Belushi, The Blues Brothers

La crisi che stiamo vivendo ci è stata spiegata così. L’elenco dei suoi presunti colpevoli è molto più lungo delle scuse di John Belushi. Dai “titoli tossici” ai trucchi contabili della Grecia, dalla bolla immobiliare negli Stati Uniti a quelle di Irlanda e Spagna, dai vecchi debiti dello Stato italiano alla politica monetaria della Federal Reserve. Nessuno di questi colpevoli, ovviamente, è in grado di spiegarla.
In Titanic-Europa (Aliberti, 2012) Vladimiro Giacché ripercorre le fasi della crisi economica più grave dai tempi della Grande Depressione e ci spiega perché non si tratta né di una crisi finanziaria che ha contagiato l’economia reale, né di una crisi causata dal debito pubblico di qualche Stato europeo. Chiarisce per quali motivi le politiche “anti-crisi” adottate dall’Unione Europea ci stanno portando al disastro e, soprattutto, cosa fare per evitarlo.

ALLARMI INASCOLTATI. Un male che la medicina dell’austerity non solo non può guarire, ma rischia anzi di aggravare. Il paradosso, spiega Giacché, è che mentre alcuni nomi illustri della finanza hanno lanciato l’allarme, la classe dirigente europea continua a applicare politiche recessive, continua a puntare dritto sull’iceberg. Per fare cambiare rotta all’Europa bisognerebbe che i timonieri cambiassero le loro idee. Purtroppo, tra le tante verità spiacevoli con cui la crisi ci costringe a fare i conti, una delle principali riguarda la forza delle idee, o meglio dell’ideologia.

LUOGHI COMUNI IMMORTALI. La capacità di resistenza dell’ideologia dominante, la tenuta del «pensiero unico» si sono dimostrate tali che, persino entro la peggiore crisi del capitalismo dagli Anni 30 a oggi, tutti i luoghi comuni che di quella ideologia avevano costituito l’ossatura nei decenni precedenti hanno continuato a operare, fuori tempo massimo.
La razionalità dei mercati, lo Stato che deve dimagrire, la necessità delle privatizzazioni, le liberalizzazioni come toccasana per la crescita, la deregolamentazione del mercato del lavoro come ingrediente essenziale contro la disoccupazione: praticamente nessuno di quei luoghi comuni, che proprio la crisi scoppiata nel 2007 si è incaricata di smentire clamorosamente, ci viene risparmiato.

LA CAUSA DIVENTA LA CURA. Di slogan in slogan, di frase fatta in frase fatta, di mistificazione ideologica in mistificazione ideologica, il distacco dalla realtà è aumentato sino a diventare patologico. Sino a far suggerire, come terapia per i nostri problemi economici, un potenziamento delle stesse misure che li avevano creati. Questo distacco dalla realtà, tipico delle élite politiche che stanno per essere travolte dalla storia, si percepisce distintamente quando si leggono le dichiarazioni di intenti che concludono i vertici europei, i comunicati degli incontri tra capi di governo, le interviste di ministri e presidenti del Consiglio.

EVIDENZA DISTURBANTE. Si tratta di un fenomeno evidentissimo a chiunque provi a ragionare con la propria testa su quanto sta accadendo, senza farsi intrappolare dai cliché e dalle frasi vuote sull’argomento. Questa evidenza diventa davvero disturbante quando si tratta di questioni in cui sono in gioco le condizioni di esistenza e la vita stessa delle persone.

IL CASO GRECO. Così, quando si legge dell’ennesimo piano di austerity proposto per la Grecia e dei severi moniti della Troika incaricata di verificarne l’attuazione (Commissione europea, Bce e Fmi) circa il fatto che il governo greco sarebbe «inadempiente» sui programmi, quando è del tutto evidente che questo inadempimento deriva solo e soltanto dal fatto che l’economia greca è collassata (-15% del pil in due anni) precisamente a causa del piano di austerity precedente, bisogna valutare quei piani e quei moniti per quello che sono: non progetti sbagliati basati su falsi presupposti, ma la reiterazione di veri e propri atti criminosi.

CRIMINE SOCIALE. Una recidività basata sul rifiuto di ammettere i propri errori passati e di assumersene la responsabilità. Bisogna avere il coraggio di dire che fenomeni come il raddoppio in tre anni del livello di suicidi in Grecia non è un effetto collaterale “naturale” della crisi, ma un vero e proprio crimine che ha mandanti ed esecutori. Idee sbagliate possono uccidere. Per questo le idee-zombie vanno combattute con forza (…).

(da Lettera43 7 febbraio 2012)

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