Caro Monti la crisi non è alla fine, aumentano i veri spread tra Germania e periferia dell’Europa

Andamento del costo del lavoro per unità di prodotto nell'UE - da http://www.emilianobrancaccio.it

Lo spread tra titoli pubblici tedeschi e italiani si sta abbassando soprattutto grazie agli acquisti di titoli da parte della BCE, ma rimangono in piedi lo squilibrio commerciale che si è generato tra centro e periferia dell’Unione (favorito dalla presenza della moneta unica), lo spread della disoccupazione e quello del costo del lavoro per unità di prodotto.

A ricordarlo è Emiliano Brancaccio sul suo sito:

… a segnalare lo scollamento sempre più ampio tra i paesi dell’eurozona, non ci sono soltanto gli spread tra i tassi d’interesse. C’è per esempio anche quello che potremmo definire “lo spread della disoccupazione”[…] Ci sono poi anche gli “spread” che segnalano divergenze tra i dati dei vari paesi europei inerenti alle sofferenze bancarie, alla mortalità delle imprese, nonché ai valori di borsa delle banche, i quali tra l’altro evocano la possibilità di acquisizioni estere dei capitali più deboli ad opera dei più forti. Un altro “spread” altamente indicativo è poi quello tra i costi del lavoro per unità di prodotto.

Poiché nulla è stato messo in campo per risolvere questi problemi dell’economia reale, Brancaccio critica l’affermazione del Presidente del Consiglio Mario di Monti, per il quale siamo alla fine della crisi. Previsione che non trova riscontro nelle stime del FMI come abbiamo indicato ieri riportando il pensiero di Paul Krugman. A proposito di previsioni ottimistiche, occorre forse ricordare che nel 2007 esimi economisti liberisti come Alesina e Giavazzi dissero che non sarebbe successo nulla al nostro paese.

Sempre sui differenziali si concentra anche Lucrezia Reichlin dalle colonne del Corriere, con un articolo dal titolo più che esplicito: “La Germania è troppo grande per l’Europa”. Si chiede la Reichlin:

… come saranno quindi gli equilibri che si delineeranno nella nuova Europa del fiscal compact? Se con le regole di bilancio e l’aggressivo ruolo della Banca centrale europea sul piano della liquidità si scongiurerà una crisi finanziaria, si può prefigurare una Germania esportatrice sempre più proiettata verso il mondo esterno all’euro e che beneficerà di un tasso di cambio nominale più basso che nel decennio passato. Allo stesso tempo, i Giips saranno condannati ad un tasso di crescita anemico dovuto al drastico aggiustamento di bilancio imposto dalle nuove regole del fiscal compact, ma la minore domanda di importazioni che deriverà dalla contrazione dei consumi che ne consegue non peserà necessariamente sull’export tedesco poiché la Germania è sempre meno dipendente dal mercato dell’Unione. Quella che si prospetta è dunque un Europa sempre più eterogenea al suo interno, con interessi economici e politici potenzialmente divergenti.

Dato lo spostamento delle esportazioni tedesche al di fuori dell’Europa, Lucrezia Reichlin non sembra condividere l’idea di risolvere il problema attraverso contenimenti salariali nei paesi periferici (tra cui l’Italia) ma punta piuttosto il dito sull’innovazione, la produttività, l’aumento delle dimensioni di impresa:

Naturalmente i Giips potrebbero anch’essi beneficiare della svalutazione dell’euro, ma per competere sul mercato globale questi Paesi dovrebbero fare anche un salto di competitività, sviluppo tecnologico, aumento della dimensione di impresa. Solo questo li aiuterebbe a recuperare quote di export a scapito di Paesi che tradizionalmente hanno reddito pro capite più basso e quindi anche più basso costo del lavoro. Questo dovrebbe avvenire attraverso politiche nazionali ma anche europee: politiche ambiziose per la crescita e l’innovazione. Ma queste ultime non sono di grande interesse per la Germania, poiché essa trae vantaggi da una periferia dell’euro debole purché naturalmente ne venga preservata la stabilità finanziaria.

Sostanzialmente identica l’analisi di Andriani sull’Unità, che riporta il superamento della Cina sulla Francia come principale partner commerciale della Germania, ma aggiunge una critica politica alla sinistra tedesca:

Martin Schulz, neopresidente del Parlamento europeo, ha preso le distanze dalla politica di austerità seguita dal duo Merkel-Sarkozy, confermando la posizione critica della socialdemocrazia tedesca. Ha affermato, tuttavia, che la Merkel sarebbe favorevole a introdurre gli eurobond e che solo l’alleato di governo glielo impedirebbe. Questo, mentre lascia intravedere la possibilità di una nuova grande coalizione, lascia aperti alcuni interrogativi. Intanto c’è un problema di tempi, visto che le elezioni tedesche sono lontane per i tempi che corrono. Soprattutto, poiché Schulz afferma che ai tedeschi non conviene lasciare l’euro visti i vantaggi che procura loro, bisognerebbe rendersi conto che proprio quei vantaggi stanno scardinando l’euro e che la Germania dovrebbe finalmente guardare non ai propri vantaggi, ma allo sviluppo dell’Europa.

Leggi l’articolo di Emiliano Brancaccio

Leggi l’articolo di Lucrezia Reichlin sul Corriere della Sera

Leggi l’articolo di Silvano Andriani sull’Unità

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