89 commenti

Il feticcio del tasso di cambio

cambio

di Daniela Palma e Guido Iodice da “Left” del 28 settembre 2013

Pochi dubbi sussistono ormai sul fatto che la costruzione dell’euro sia insostenibile e che le divergenze economiche tra i Paesi del “centro” e della “periferia” dell’Unione monetaria siano un potente detonatore di una crisi che tende solo ad approfondirsi. Il peggioramento delle condizioni di vita delle popolazioni e l’assenza di spiragli che lascino intravedere una via d’uscita dalla crisi, a cinque anni dal suo inizio, hanno comprensibilmente creato un’avversione crescente verso la moneta unica.

L’uscita di un paese dall’euro viene auspicata in primo luogo per la possibilità di tornare ad un regime di cambio flessibile, che – si sostiene – consentirebbe un recupero di competitività e un robusto viatico per la crescita. Tale è la fiducia che in questo meccanismo viene ingenuamente riposta che l’euro ha finito per assumere le sembianze di un feticcio, in grado di condizionare magicamente (nel bene o nel male) le sorti economiche dei suoi membri.
Peccato che le cose stiano diversamente e che per accettare che il cambio flessibile rappresenti una reale panacea per bilance commerciali mal messe si debba sposare una visione del tutto irrealistica di “efficienza dei mercati”, direttamente riconducibile al credo liberista, nella quale i prezzi svolgono una precisa funzione equilibratrice. Il tasso di cambio, così prono all’influenza dei movimenti di capitali, non può essere considerato uno strumento di riequilibrio automatico tra importazioni ed esportazioni. Le fluttuazioni dei cambi hanno peraltro effetti incerti e asimmetrici sull’economia reale e lo stato delle aspettative delle imprese, la presenza di elevati costi fissi degli investimenti non recuperabili (sunk costs) e la struttura dei mercati sono fattori in grado di condizionare fortemente i conti con l’estero. Allo stato attuale pesa inoltre l’andamento stagnante della domanda interna nei paesi deboli dell’UE, che ha portato in largo attivo la bilancia commerciale europea verso il resto del mondo, nonostante un euro relativamente forte. D’altro canto un paese come l’India, in regime di cambio flessibile, è sull’orlo di una nuova crisi valutaria.
Come purtroppo dimostra l’esperienza dal 1971 ad oggi, lasciare che i mercati prezzino le valute non è un’idea migliore che fissare il cambio irrevocabilmente. Per fortuna esistono altre vie, come l’idea di un nuovo euro ispirato al Bancor di Keynes, della quale abbiamo parlato due numeri fa e sulla quale torneremo ancora.

89 commenti su “Il feticcio del tasso di cambio

  1. Nessuno ha mai detto che con il tasso di cambio flessibile si condizioni “magicamente (nel bene o nel male) le sorti economiche dei suoi membri” apostrofando chi sostiene questa tesi dandogli del liberista (aggettivo adatto per chi difende UE ed euro). Nessuno ha mai detto che abbattendo l’euro si risolva tutto. Continuate a far finta di non capire perché siete tra i promotori di “un altro euro è possibile”. Se potesse Keynes verrebbe a prendervi a calci.

    • L’idea che i tassi di cambio equilibrino automaticamente il mercato delle merci è tipicamente neoclassica (cioè liberista), così come affermare che tasso di interesse sia il prezzo di equilibrio tra investimenti e risparmi. Stessa cosa è sostenere che il tasso di cambio “entro un anno” si aggiusterebbe in modo tale da compensare il differenziale di inflazione. Non è un’opinione, basta avere un’infarinatura di teoria economica.

      • non ho parlato di cambi lasciati a se stessi liberi di fluttuare, di automatismi, di panacee, di magie…

      • “Se potesse Keynes verrebbe a prendervi a calci.”

        Divertente, ci prenderebbe a calci per aver proposto quello che lui propose a Bretton Woods?

  2. Guido,

    Non è “cambio flessibile” è “possibilità di agire sul tasso di cambio” come si è sempre fatto, in passato. Chi parla di tassi flessibile, nell’ottica di critica all’Euro, non lo fa credendo veramente che i tassi siano lasciati fluttuare, lo fa con l’idea che il cambio sia un ulteriore strumento di politica economica. L’idea che il contrario di cambi fissi sia cambi flessibili è scorretta, ma funzionale a creare una categoria di sciocchi facilmente attaccabili. Esistono, ma esistono anche le vie di mezzo. E nelle vie di mezzo c’è la realtà: non esistono cambi puramente flessibili, l’intervento c’è sempre stato. E in Italia si faceva ad esempio differenziando tra marco e dollaro, come Augusto Graziani descrive seppur in breve, nel suo libro Lo sviluppo dell’Economia Italiana.

    Suvvia, un po’ di onestà intellettuale.

    • Istwine, la mia domanda è semplicissima: dal 1971 stiamo meglio o peggio con questa “libertà” di agire sul tasso di cambio? Sai benissimo che è una “libertà” finta. Basta guardare le ricorrenti crisi valutarie.

      • La mia di domande e’: siamo stati peggio dal 1992 (fuori dallo SME) o dal 2001 in aventi (dentro la moneta unica)?

        Se posso scegliere scelgo il 1993.

        Ad ogni modo: possibile dividersi così fra persone che hanno tutte ben chiare le limitazioni e i problemi (oltr ai deficit di democrazia economica) che la moneta unica comporta?

      • Nel 1993 abbiamo privatizzato a livelli record e abolito i residui di scala mobile, facendo crollare la quota salari. In più, la disoccupazione è addirittura aumentata. Ma che film avete visto?

      • Guido,

        Seriamente, ma che argomentazione è? Come se mi chiedessi “stiamo meglio o peggio dopo la fine della convertibilità nel 1971 col famoso discorso di Nixon?”. Voglio dire, se la poni così mi pare un po’ debole come argomentazione. Io dico solo che anche Graziani sottolineò l’importanza del cambio come strumento nell’epoca pre Euro e ne denunciò la “cessione”. Il fatto che poi non sia né la panacea, né esista un riequilibrio automatico, sono d’accordissimo, ma questo non significa negarne l’importanza. Né significa negare l’importanza del prezzo come variabile, nonostante il reddito possa incidere di più sulla dinamica import-export (che poi dipende da paese a paese). Ma addirittura sostenere che il cambio sia pressoché irrilevante in un sistema monetario asimmetrico come quello basato sul dollaro, mi pare un pochetto arduo.

        L’operazione che fa anche Brancaccio di dividere tra apologeti dell’Euro e apologeti del tasso flessibile, è scorretta, sia storicamente che da un punto di vista dei fatti. Perché Brancaccio sa bene che non esistono i cambi flessibili lasciati fluttuare del tutto e sa bene, da allievo di Graziani, che la distinzione tra marco e dollaro nella politica del cambio fu essenziale nel passato e potrebbe esserlo anche in futuro. Senza per questo dire che sia il fulcro di tutto.

      • Ma guarda caso Graziani mette molto in rilievo come la fine di BW abbia poi portato alle crisi finanziarie. Inoltre ti faccio notare che la critica di Graziani allo SME verte essenzialmente su tre punti: 1) la libertà di movimenti di capitali 2) l’ossessione del tasso di cambio nominale rispetto a quello reale 3) il fatto che non veniva creata una valuta alternativa al dollaro. Ora, questi sono esattamente i problemi che noi affrontiamo con la proposta dell’euro-bancor.
        E, ancora, Graziani critica la politica di continue svalutazioni verso il marco, visto che avvantaggia solo gli esportatori del Nord e punta tutto sul fattore prezzo. La tua lettura è che applaudisse e non è per nulla così.
        La domanda che ti ho fatto è pienamente rilevante perché se la fine di un sistema di cambi fissi (benché aggiustabili) ha causato il ritorno alle crisi finanziarie, non si può sostenere che rientrare nel [non-]sistema dei cambi flessibili sia la soluzione, nella speranza di ripetere il meccanismo di svalutazioni competitive continue e fregandosene del fatto che paesi che già oggi hanno un cambio flessibile sono sull’orlo di una (ennesima) crisi valutaria. Evidentemente la soluzione è un’altra. Poi non escludo che si sarà costretti dagli eventi a soluzioni drastiche, ma dobbiamo sapere che questo può innescare un effetto a catena in cui anche se svaluti rispetto al marco o altre valute, non ci sarà domanda estera. Già oggi è in buona parte così, visto che la crisi valutaria verso la quale si muovono gli emergenti non la risolvi mica svalutanto. Lo sai bene che quando la domanda si contrae diventa verticale rispetto ai prezzi, questo vale anche nel commercio internazionale.

      • “L’operazione che fa anche Brancaccio di dividere tra apologeti dell’Euro e apologeti del tasso flessibile, è scorretta, sia storicamente che da un punto di vista dei fatti. Perché Brancaccio sa bene che non esistono i cambi flessibili lasciati fluttuare del tutto”

        Ma Istwine, quante volte ho dovuto leggere che “non esistono le svalutazioni competitive, sono i mercati che prezzano le monete”?

      • Istwine,

        Brancaccio a Napoli ha già mostrato che la consapevolezza di Bagnai del processo storico – e quindi anche della storia dei regimi monetari e del loro rapporto con l’accumulazione di capitale e con i conflitti che essa produce – è molto modesta, come lo stesso Bagnai sommessamente in quel video riconosce.

        Certo, è vero che Brancaccio a volte taglia con l’accetta, ma non penso che quando lo fa badi molto a Bagnai, che non ha praticamente quasi mai filato. E comunque lui può permetterselo, perché lo fa dall’alto di una conoscenza storico-critica che Bagnai e Borghi si sognano. Chi, come Lei, sembra volere stare accanto a quei due signori in modo più consapevole e meno fideistico dei loro ridicoli accoliti, dovrebbe portare più rispetto per Brancaccio: uno studioso che, mi permetta, sta a Bagnai come Fernando Alonso sta al conducente di una corriera di periferia.

        A proposito, ha notato che l’ultimo documento di Brancaccio è stato sottoscritto anche da Thirwall e da qualche altra firma stellare dell’accademia internazionale?

        http:www.theeconomistswarning.com

        Mediti, Istwine, e non rimanga appiattito sulla posizione di quei due dilettanti allo sbaraglio.

      • Rimango perplesso su numerosi punti.. Il 1971 è conseguenza del 1944. Al tempo gli Usa rifiutarono la proposta Keynes perchè altrimenti si sarebbero ritrovati cedere un bene inalterabile quale l’oro (ne erano i più grandi possessori) in cambio di un credito (il bancor), peraltro tassato: un boccone troppo amaro da mandar giù. Bisognerebbe capire chi puntò verso questa soluzione e perché (forse Wall Street?). Con gli accordi che ne derivarono, poi, risultava impossibile un overdraft facility, cioè un’apertura di credito multilaterale (essendoci il dollaro, tradendo Keynes, poteva essere solo bilaterale) e venivano implicitamente riammesse le movimentazioni di capitali a breve (che White nel suo draft voleva limitare perché altamente speculativi) e a lungo termine: il dollaro, al contrario dei bancor, poteva essere convertito in qualsiasi altra valuta, oltre che in oro, consentendo carry trade ed investimenti esteri prettamente liquidi.
        Il sistema crollò come predisse nel 1960 Triffin. L’oro americano era nettamente inferiori ai dollari che il mondo deteneva e voleva riscattare. Il sistema dei cambi fissi salta appunto perché era fisicamente impossibile redimere le promesse di pagamento. I cambi flessibili che ne derivano sono poi influenzati dalla deregolamentazione finanziaria monstre che dagli anni ‘70 ad oggi ha permesso grossi profitti agli istituti finanziari mentre i redditi ed il welfare sono andati via via scemando. Non è il sistema a cambi flessibili il male, perché così dicendo si ammette implicitamente che il sistema Euro, così com’è, non avrebbe dovuto creare scompensi. I flussi di credito privato da nord a sud sono a dimostrarci il contrario. I problemi stanno più su. Su un sistema monetario globale sbagliato, su una deregulation finanziaria spinta all’investimento a breve, su un impianto dei trattati di Maastricht che dimentica scientemente il lavoro e la sostenibilità esterna dei vari paesi aderenti, sul libero commercio e libertà di movimento di capitali globale, sul quartetto inconciliabile che le attuali politiche monetario-economiche (soprattutto in UEM) mettono sul lastrico intere nazioni. Altrochè cambi fissi o cambi flessibili, Bagnai o Brancaccio, Pippo o Pluto. Racchiudere il dibattito solo a quello risulta alquanto riduttivo, visti i vasti problemi che compongono il puzzle dell’attuale crisi.

      • Sono pienamente d’accordo, ma lei ricorderà che Triffin non proponeva i cambi flessibili quale alternativa al sistema di Bretton Woods (à la Friedman), ma lo sganciamento dall’oro e un sistema che riprendeva la vecchia proposta di Keynes. Ovvero quello che noi qui proponiamo al posto dell’euro.

      • Guido,

        Graziani sottolinea pure, spesso nel testo, che la Germania non rivalutò mai quanto avrebbe dovuto in base ai differenziali d’inflazione, se ricordo bene, a conferma che lui non sottovalutava poi così tanto la questione (appena ho il libro sottomano ti cito le pagine) e che se criticava l’Italia per le “svalutazioni competitive”, evidentemente criticava pure la Germania per la mancanza di rivalutazioni. Per inciso: se vuoi ti cito anche dove dice che bene o male la bilancia commerciale si riallinea col cambio, ma sarei scorretto perché non la penso così e penso che fosse un errore di giudizio o al limite una frase mal scritta. E l’ipse dixit in genere lascia il tempo che trova se non empiricamente valido.

        Ad ogni modo, la crisi valutaria non dipende dal tasso flessibile in genere, ma dal tasso ancorato (varie forme). Se poi esiste una crisi valutaria, che logicamente può esistere perché il tasso flessibile non può arginare le asimmetrie, dare come risposta “allora il tasso flessibile non è la panacea” non è intelligente a mio avviso.

        Io so bene peraltro che il tasso di cambio non si muove certamente solo con la bilancia commerciale, ma ci sono differenti aspetti (movimenti capitali, valuta come asset ecc) semplicemente non capisco neanche il feticcio del vincolo del tasso fisso in un contesto del genere, realisticamente parlando (e realisticamente significa in un contesto di dollaro come valuta internazionale). Nè capisco questa distinzione tra apologeti. Un po’ come se facessi una distinzione tra apologeti dell’autonomia della BC e della dipendenza. Ovvio che non risolvi tutto, ma c’è il tanto di chiamarlo “feticcio della dipendenza”? Di che stiamo parlando?

        PS: Graziani se è per questo mette in campo anche la tesi che nel 92 non ci fu inflazione in seguito a svalutazione non tanto per la diminuzione dei salari (e della quota), ma perché gli imprenditori scelsero, presumibilmente, di non aumentare i prezzi eccessivamente per non perdere quote di mercato. Ma anche questo è condivisibile in parte secondo me.

        William,

        Brancaccio è bravo, non lo metto in dubbio e ne ho rispetto. Credo però che come ogni seguace di una certa linea abbia diversi pregiudizi. Ad ogni modo, ho letto il monito, non che sia sbagliato, ma sembra scritto nel 2010. In più, aggiungo, la sua (come di tanti altri) presa di posizione contro quelli che chiama complottisti gli fa perdere di vista il fatto che non ci sia in atto nessuna lotta tra differenti impianti teorici, quindi rivolgersi ai governanti come a persone che “sbagliano” è quantomeno ridicolo. Non sbagliano nulla, proseguono imperterriti e sicuri verso lo scopo.

      • No, figurati, nessun feticcio del cambio fisso, ci mancherebbe. Qui lo diciamo chiaramente. La proposta che abbiamo sposato non è il cambio fisso, ma un sistema simile a quello che Keynes propose a Bretton Woods. Perché? Semplice: né l’euro (o il vecchio SME) né i cambi fluttuanti sono una soluzione a lungo termine. Nel breve, quel che può accadere uscendo unilateralmente dall’euro è incerto (proprio nel senso di Keynes: “non sappiamo”, può succedere di tutto, compreso un effetto domino come oggi ha sottolineato Bellofiore).
        Francamente come si fa a proporre alla gente una soluzione che può essere esplosiva in cambio di un vantaggio competitivo probabilmente modesto e che potrebbe persino non realizzarsi? Io questo mi chiedo. Davvero qualcuno può dire che si può uscire dall’euro il venerdì a mercati chiusi, punzonare le banconote ed entro un anno massimo due il mondo ci sorriderà? Non credo sia un caso che il “manifesto” non propone l’uscita dell’Italia, ma della Germania.
        Nelle ultime settimane fatico a trovare i “Liristi”. Savona ha un suo piano “più Europa e BCE come la Fed”, La Malfa evoca scenari argentini, il “manifesto” ho già detto… ma a te non pare un po’ una bolla mediatica questa dell’uscita?

      • Guido,

        Se dovessimo fare un discorso di lungo periodo su quali siano i modi per uscirne, temo che né la proposta di moneta comune, né i tassi flessibili siano il punto su cui soffermarsi. Di fondo io sarei per una proposta alla Kaldor-Godley di cooperazione o azione concertata, dato che di per sé pure io ritengo la diatriba tasso fisso/flessibile un po’ inutile in un contesto asimmetrico. Il tasso flessibile però permette di arginare alcuni problemi. Quindi non è di per sé un feticcio, o al limite lo sarebbe quanto lo sarebbe una moneta comune, in ottica di lungo periodo. Questo volevo dire, perché se si divide fra apologeti, allora io considero terribilmente ingenuo pure questa distinzione o credere che si possa mutare politiche a livello europeo, o anche convincere facilmente gli USA ad abbandonare il ruolo di banchieri del mondo, moneta comune o meno. Perché vedete, se si deve veramente fare un discorso più generale, allora anche Bellofiore quando dice che “eravamo uno stato-nazione indipendente” nel periodo pre Divorzio (che non ci fu come vulgata e Bellofiore vuole) è un po’ ingenuo secondo me. L’Italia mai è stato indipendente nel dopo guerra, che lo si creda o meno.

        Questo è il punto, lo scritto di Bellofiore è condivisibile in molte parti, anche io credo che la svalutazione non sia la panacea, ma non è neanche da sottovalutare, perché se non è nominale è reale, altrimenti inutile attaccare la Germania per la deflazione e quindi svalutazione in termini reali. Nessuno strumento, preso da solo, risolve tutto, neanche uno standard retributivo a livello europeo.

        Non saprei poi se sia bolla mediatica, di fatto per ora si continua a trattarli come cretini quando il dibattito a livello internazionale è quello. Io poi non ho molta fiducia su parole generiche, gli studi che ho letto (quelli a cui ho potuto accedere, perché ce ne sono anche a pagamento) parlano esplicitamente di un problema di competitività del cambio. Ma anche qui, Graziani di per sé dice cose giuste, ma ovvie. Una politica di sole svalutazioni competitive non ha senso, ma non ha neanche senso credere che si possa rivalutare all’infinito pur di far ristrutturare le imprese, questa è la logica del vincolo estero. Io invece ritengo che il tasso di cambio sia uno strumento e come tale, vada utilizzato, tutto qui. Squilibri se ne potrebbero creare anche con uno standard retributivo europeo, come ne esistono da impresa a impresa, o da settore a settore, ti sentiresti di dire che lo standard retributivo è un feticcio?

      • Istwine,

        dici che Brancaccio si “stupiva” dell’esistenza dei large players? E dimmi un po’, dove avresti letto di questo “stupore”? Cito da Brancaccio: “..gli approcci di teoria critica riconoscono da tempo che i mercati finanziari possono essere condizionati dall’esistenza di centri di potere, ossia di ‘pastori’ che guidano il ‘gregge’ della gran massa degli operatori. Ed è interessante notare che anche nell’ambito della teoria economica dominante non viene più data per scontata l’idea di un mercato finanziario di pura concorrenza (…) Pure tra gli economisti ortodossi, infatti, si fanno strada linee di ricerca che assegnano ai soggetti più forti – i cosiddetti large players della finanza – il potere di condizionare la dinamica delle contrattazioni” (L’austerità è di destra, pag. 51).

        A me sembra che tu abbia letto un po’ di fretta. Per questa volta diciamo così: tra una lettura di un post di Bagnai e un commento al tweet di Borghi, ti sei distratto. Rileggi, però, che così ti disintossichi.

        Quanto alla tua idea che il “monito degli economisti” sarebbe “ingenuo” perché parla di “errori” di politica economica, può darsi che tu all’epoca portassi ancora i calzoncini corti, ma chi è più vecchio (o forse soltanto più scafato) di te ricorda che Togliatti usava proprio questa espressione, “errori”, quando dialogava con amore con il nemico di classe. E poi, se volessimo applicare fedelmente la tua divertente chiave di lettura all’intero “monito”, allora dovremmo pensare che pure dietro le “ingenue apologie del cambio flessibile” che vanno tanto di moda dalle tue parti non ci siano “errori” ma ci sia in realtà una cospirazione. Da qui la domanda diventerebbe semplice: chi vi paga??? Come vedi, chi di chiavi di lettura divertenti ferisce… A me dunque sembra più aderente ai fatti e più elegante lo stile di Brancaccio, che vi dice che tra voi c’è anche qualche coglione (lui direbbe: “compagno che sbaglia”), non soltanto i noti venduti (lui direbbe: “agenti del capitale o molto aspiranti tali”).

        Poi, intendiamoci bene. Siamo in un paese libero (e capitalista): qualsiasi perfetto sconosciuto è sempre libero di aprire il suo bloggarello e stabilire molto liberamente che una decina di colossi dell’accademia, che sul FT scrivono di “scelta cruciale tra modalità alternative di uscita dall’euro”, sarebbero degli “ingenui”….

        Saluti
        Enrico il Vecchio

      • @keynesblog: certo, infatti anche sul sito dell’IMF si parla a proposito di Triffin di tale soluzione. Il famoso dilemma è quatomai vivo, seppur non mediaticamente vicino a noi del “popolo”, nelle discussioni fra i “grandi” del mondo: Bini Smaghi e lo stesso governatore della BC cinese Zhou Xiaochuan sono consapevoli che qualcosa va fatto… eppure ci sono delle resistenze di non poco conto. Mi ha colpito molto cosa dice Simon Johnson qui , e la vedo da profano come uno dei più grossi limiti pratici alle proposte di una World Currency (cosa che Triffin auspicava) o moneta fiduciaria.. Egli infatti dice: “The ability to convert money into goods at prevailing prices is fundamental for any reserve currency, which is why other types of money, like the International Monetary Fund’s Special Drawing Rights, are not likely to displace the dollar.”. Poi per carità, Johnson è americano. Ed abbiamo detto tutto. Però la sua affermazione a mio modesto parere non è di poco conto. E’ il solito discorso: “It’s our currency but your problem”. Grazie per gli interessanti spunti e buona vita.

      • Enrico,

        I large players hanno nomi e cognomi, io ricordo semmai Brancaccio fare ironia sulla storiella del Britannia, come fosse roba da complottisti. Ad ogni modo, a me non importa granché di Brancaccio né di Bagnai, per me ci sono cose giuste a mio avviso e cose meno giuste. E quando Brancaccio fa distinzioni tra apologeti, fa un’operazione che fa ridere, perché è scorretta. Io questi apologeti mai li ho letti, tu? Né ho mai visto parecchie differenze tra l’uscita di Bagnai e l’uscita di “sinistra”. Anzi, mi pare ci siano le stesse cose: controlli ai movimenti di capitali, indicizzazione salari, dipendenza BC ecc. Semmai ho visto che quando fa comodo una tesi, come quella del Divorzio, la si sposa, benché palesemente sbagliata stando ai dati, e alla teoria economica. O anche Bellofiore e Brancaccio son monetaristi? Come funziona la cosa?

        Lascio stare sul “colossi” dell’accademia, che vabbé, è evidente che tu non conosca neanche i nomi, altrimenti sapresti che sono economisti come tanti, a parte due tre nomi più grossi come Rodrik e Thirlwall.

        Il bello è che io condivido pressoché tutto di quel che dice Bellofiore (a parte alcune cose) e molto di quel che dice Brancaccio, solo che io, per quanto riguarda certi scenari, preferisco fidarmi o leggo con più interesse documenti di banche d’affari o centri studi che non economisti d’accademia, chiunque esso sia. E certi scenari non sono “un salto nel vuoto” come si dice.

        Tralascio i discorsi sul cambio come variabile utile anche dal punto di vista dell’import, perché mi pare che non ne valga la pena.

      • Istwine, quattro cose:

        1) nel dibattito economico, come sai meglio di me, conta molto l’accento e l’evidenza che pone sulle proposte, più dell’elenco delle proposte stesse
        2) non stupisce il fatto che quando si scrive una cosa che va in mano all’accademia improvvisamente sparisce l’euroexit dei paesi periferici
        3) tra le cose sparite c’è anche la teoria delle AVO…
        4) se si sostiene che il cambio flessibile aggiusta più o meno automaticamente o si fanno previsioni addirittura sull’ammontare preciso di una svalutazione che non ha neanche dei precedenti storici, beh, poi non è che si può sperare di avere Thirlwall dalla tua parte, essendo tali congetture basate su eroiche ipotesi non precisamente post keynesiane.

        Ma non voglio ridurre il problema a Bagnai-Brancaccio, non mi interessa. Parliamo tra noi senza tirare fuori altri.

      • @Istwine, però va bene che sbagli i riferimenti un paio di volte, ma se li sbagli di continuo diventi poco attendibile. Quando Brancaccio a Napoli ha accennato al Britannia in quel caso non stava mica criticando i “complottisti”. Stava riferendosi al fatto che in quella sede Draghi recepì che gli investitori esteri avrebbero acquistato solo dopo la svalutazione. Era un modo per ricordare che la svalutazione va accompagnata a controlli sui movimenti di capitale anche in entrata, se si vuole evitare il rischio di fire sales. A quanto pare ti sei fatto condizionare dalla battuta di Emiliano su Messora e non hai colto il punto. Ti sta capitando spesso. Chissà che non coltivi un pregiudizio psicologico…

        Sui firmatari dell’Economist Warning, permettimi di dirti che il tuo giudizio è un po’ da rosicone. Mi sa che sei tu che non conosci Alan Kirman, e forse nemmeno Willi Semmler. Informati, poi ne riparliamo. E poi, mi risulta che su goofynomics avete esaltato Thirlwall come fosse lo Spirito Santo. Poi ve lo siete ritrovato sotto il monito di Brancaccio. Dovreste iniziare a riflettere.

        Le forze pro-euro sono enormi. Dovreste aiutare Bagnai a prendere atto che se vuole servire la causa farebbe meglio a entrare nell’ottica della sua marginalità e della necessità di cercare alleanze con soggetti più scafati, più colti, più maturi e con meno problemi psicologici di lui. Se invece il vostro problema sarà quello di contare i contatti su Goofynomics o su Orizzonte48, vabè, allora è meglio dirlo dall’inizio che state semplicemente giocando, e che la politica non vi interessa.

      • Istwine,

        ti ho riportato una citazione che smentisce la tua idea secondo la quale Brancaccio si “stupiva” dei large players. Ai miei tempi quando uno sbagliava riconosceva l’errore. Se ammetti di avere preso un abbaglio la tua credibilità ne trae giovamento.

      • Guido,

        Apprezzo la calma, e apprezzo anche quello che scrivi. Però devi riconoscere che stringi stringi siamo lì, le cose son le stesse, questi qui se Brancaccio non avesse fatto la distinzione neanche se ne sarebbero accorti, hanno colto l’occasione (dubito sappiano cos’è un tasso di cambio). Non che mi interessi, io sono di altra scuola. Né mi interessa la diatriba, sottolineavo, tornando alla questione iniziale prima che arrivassero i fan (che mi stanno sulle palle da una parte e dall’altra, per inciso) che il tasso di cambio è strumento, non feticcio. Strumento con grossi limiti, come ogni strumento singolarmente.

        Peraltro però c’è da dire che le previsioni sulla svalutazione non son di Bagnai, son di altri, tipo BoA e JPMorgan. Che detto tra noi, di queste cose ne capiscono molto più di qualunque accademico, benché loro abbiano difficoltà ad ammetterlo suppongo. Previsioni fatte due anni fa, forse poco meno, adesso non saprei, sicuramente esistono nuovi studi basati sulla situazione attuale, ma credo siano a pagamento (anzi, senza dubbio, e fatti meglio).

        La teoria AVO è erronea, ma funzionale nella sua banalità secondo me.

        Enrico,

        Va bene, non ho voglia di proseguire oltre. Ho sbagliato, tu però leggi meno Brancaccio e più Del Mar, poi ne riparliamo. Altro che economisti ortodossi e dissidenti, che come ricorda Bellofiore, quando fanno i consiglieri, se ne fottono delle scuole e fanno sempre le stesse cose.

        Roberto,

        Capisco che voi ragionate per linea di partito, e quindi esiste un fantomatico gruppo goofynomics che esalta Thirlwall (che tu non hai mai letto, sicuramente), ma io sto per i fatti miei. Ho sottolineato errori di Bagnai più di altri, ma senza scorrettezze, spesso dicendoglielo e confrontandomi con lui. Molti invece certi errori non li vedono pare. O fanno come fa Brancaccio, se li inventano. Poi basta, sinceramente, io quegl’economisti li conosco, di Arestis per dire ho letto diverse cose, idem del prof. Zezza che è un maestro per me, visto quanto ho appreso leggendo da lui, ma finitela con questa pantomima.

        Sul Britannia, tu credi che Brancaccio probabilmente esista da tre video, ma io ho letto altro, e certa ironia c’era sempre. Perché la tendenza a concentrazioni e centralizzazioni va bene come teoria, poi però se uno dice che un pugno di banche governa determinati mercati con larga predominanza anche in altri non prettamente finanziari, è un complottista.

        Comunque, il monito dice cose giuste, vecchie ma giuste. Chi sa, magari funziona. Ora basta però, mi hai un po’ stancato.

      • Però Istwine, le previsioni sono fatte sulla base di modelli, molti di questi o sono elaborati da accademici o comunque sono ispirati a quelli accademici. E’ vero che queste istituzioni spesso elaborano propri modelli, o pescano nella letteratura più cutting edge e meno ortodossa, ma direi che la crisi del 2008 e i clamorosi errori di agenzie e banche dovrebbero renderci più prudenti sulla loro affidabilità. Non solo, per ogni paper “bancario” che corrobora una tesi, ne trovi almeno un’altro che corrobora quella opposta, vedi ad esempio quello di UBS, che magari sarà pure esagerato nel senso opposto, ma ti dice che in realtà nessuno ha idea di quel che può accadere.
        Noi stessi abbiamo ripubblicato quello di ML-BoA, ma solo perché verteva sulla teoria dei giochi “politica” senza addentrarsi troppo in previsioni.

      • @Istwine,

        ti assicuro che anche tu sei un po’ stancante, quando commetti errori banali che poi uno è costretto a inseguire per rimediarvi.

        Mi dispiace dirti che l’economia ho dovuto studiarla a fondo, e che sulla legge di Thirlwall, se hai idea di cosa sia, potrei darti un po’ di letteratura che anche vari specialisti non conoscono, visto che dovetti farci un lavoro di rassegna.

        Un altro errore, se permetti, è quello di pensare che gli studi delle banche d’affari siano superiori a quelli degli accademici. Mi dispiace ma hai una visione un po’ ingenua del rapporto casuale dei flussi di produzione scientifica. E’ Fama che li istruisce, mica il contrario. E non li istruisce nemmeno tanto bene. Te li ricordi i rapporti delle banche d’affari sui ratings dei titoli alla vigilia del tracollo del 2008? In accademia le valutazioni sulla sostenibilità dei debiti, ti assicuro, erano un po’ più attendibili…

        Saluti
        Roberto

        P.S. La teoria AVO non è banale. E’ una cagata pazzesca.

      • Roberto,

        Sì ho idea di cosa sia la legge di Thirlwall, ti ringrazio. Lascio perdere sulla produzione scientifica che ok, è sicuramente come dici tu, immagino a JPMorgan o Bank of America aspettino il paper di Brancaccio per capire come muoversi. Ma anche loro son sicuramente dei “compagni che sbagliano”, o forse sono dei “large players”, dei veri e propri “neoliberisti”.

        Tu hai idea di cosa si stia parlando? Non per altro, capisco il livore, e ci può stare ma capisco meno il fanatismo. Peraltro Brancaccio tirò fuori in principio dubbi che tirai fuori anche io, figurati se mi va di andarci contro a priori. Ma a me non mi è chiaro se tu sappia di che si parla. Ti ho chiesto i nomi di questi apologeti del tasso di cambio che non capiscono che ci vogliono eventualmente controlli ai movimenti di capitali. Chi sono questi qui? Un nome lo tiri fuori? Ne basta uno. Uno che dica “il tasso di cambio risolve la situazione senza ulteriori interventi o provvedimenti”. A quel punto almeno abbiamo il soggetto contro cui prendercela, e vedrai, sarò dalla tua parte appena me lo nomini.

      • @Istwine,

        se non ricordo male il paper di Brancaccio & Fontana sulla “Solvency rule” è stato citato in conferenza anche da un ex governatore della Bank of England. Ma io non mi riferivo mica a Brancaccio. Mi riferivo a Fama e ai suoi epigoni. Ti ho semplicemente ricordato una cosa che i veri addetti ai lavori conoscono benissimo. Il flusso della ricerca scientifica va tuttora dalle accademie alle banche d’affari e non viceversa. Sono le accademie che elaborano i modelli teorici e i metodi di verifica empirica che poi i professionisti della finanza adottano più o meno consapevolmente. La relazione è talmente scontata che a volte i professionisti più “praticoni” e peggio formati credono di avere inventato qualcosa di nuovo per poi scoprire che in letteratura era roba stantia. Non so se lo sai ma ci è caduto perfino Soros. Quindi, quando leggerai con grande interesse BoA, sappi che quasi certamente non sarà che un rimpastone di idee già trite in qualche dipartimento universitario.

        Vuoi degli apologeti del tasso di cambio flessibile? Friedman e i suoi molti seguaci odierni in campo economico. E il professor Savona in campo politico. Quel Savona che Bagnai ha voluto tra i promotori delle sue iniziative. Tu sarai mica tra quelle anime belle che si illudono che personaggi come Savona abbiano voglia di fare dell’Italia post-euro un esperimento di laboratorio post-keynesiano, magari con controlli sui movimenti e nuovo matrimonio tra banca centrale e tesoro?

        Nessun livore, nessun fanatismo, come vedi puoi stare tranquillo. Semplicemente mi tocca correggerti con dati di fatto. Solo così potremo liquidare le scorie che certe ridicole primedonne hanno lasciato sul campo, e iniziare a discutere in modo un poco più serio.

      • Guido, Roberto

        Il problema non è quello, il problema è che la ricerca accademica se l’attaccano al ca. Il mio discorso non è sul fatto che i centri studi di banche d’affari ecc siano superiori teoricamente, hanno semplicemente accesso a molti più dati di quel che un comune accademico può fare. Il mio ironizzare sulla questione, riguarda il fatto che dati alla mano, alcune banche d’affari sono sostanzialmente oligopolio e fanno il mercato, non “gli speculatori”. E dopo la crisi la concentrazione è aumentata. Qui ripeto una cosa che scriveva spesso un utente preparato di CDC, ma ha ragione, dati alla mano ha parecchio ragione. E mi si permetta anche di dire che continuo a considerare ingenua la posizione di chi crede che non sapessero dell’insostenibilità dei debiti mentre i seguaci di Minsky sì. Esattamente come ora i “fautori dell’austerità espansiva” sanno benissimo che è fuffa a livelli alti, non parlo certo di Perotti o Alesina, che probabilmente ci credono (forse, non lo so). Certo, anche i modelli di Godley son arrivati a Hatzius della Goldman Sachs, e quelli di Lavoie-Godley venivano citati dalla BoE, ma questo che c’entra? Non sto dicendo che Brancaccio sia un incompetente, sto cercando di dire che a certi livelli, come ricorda anche Mankiw, le politiche son sempre le stesse, e le diatribe teoriche sono roba d’accademia. O credete che FMI e Banca Mondiale siano sciocchi? Siano “compagni che sbagliano”? Ne trovi a iosa di studi sull’assurdità delle politiche di austerità pubblicati da FMI, e questo cambia qualcosa? Non credo, e allora qui sta l’ironia su un appello rivolto a istituzioni che sanno benissimo quello che fanno.

        Su Paolo Savona tant’è, son d’accordo con voi. Anche se dovete mettervi d’accordo, o è un apologeta del cambio flessibile che vuol uscire dall’Euro, o uno “più Europa”.

      • Beh diciamo che Savona, e in generale i “liristi” devono mettersi d’accordo con se stessi :) Io mi sono limitato a segnalarne le contraddizioni.
        A parte le battute, Savona non è un cretino e sa che economicamente e politicamente l’euroexit dell’Italia o della Spagna sono, per dirla con un eufemismo, non banali.

    • Non avevo visto il commento di Fla. Grazie, condivido pressoché tutto, soprattutto:

      “Altrochè cambi fissi o cambi flessibili, Bagnai o Brancaccio, Pippo o Pluto. Racchiudere il dibattito solo a quello risulta alquanto riduttivo, visti i vasti problemi che compongono il puzzle dell’attuale crisi.”

      • Brancaccio che si rivolge ai politici come “persone che sbagliano”??? Istwine, sei sicuro di avere consapevolezza del metodo marxista di Brancaccio? Ti suggerisco di rileggere il capitolo del Branka sul “cospirazionismo” (L’austerita’ e’ di destra) perche’ mi sa che stai prendendo una cantonata.

        E poi theeconomistwarning.com secondo te sarebbe “vecchio”? E’ strano. A me sembra che anticipi temi, invece. Per esempio parla di “scelta cruciale tra modalita’ alternative di uscita dall’euro”. Proprio il tema su cui quel bimbetto viziato di Bagnai si e’ mostrato tante volte impreparato.

      • Prego, ci mancherebbe. Solo per mia curiosità (perchè davvero voglio sapere che ne pensi) cosa non condividi in linea di massima? Ah volevo poi dirti che ti avevo risposto su G. quando chiedevi della NIIP Italia (che si, secondo una tabella CA che mi ero fatto, sembra proprio derivante da, servizi, più che merci, negative, ed investimenti di portafoglio, cfr. http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&ved=0CDMQFjAA&url=http%3A%2F%2Fwww.bancaditalia.it%2Fstatistiche%2Frapp_estero%2Fpimebp%2F2013%2Fsb48_13%2Fsuppl_48_13.pdf&ei=-4RKUtTQH4rctAbx-4DQCw&usg=AFQjCNGR3aq6h1dDXLliIXgUDBYtOsWjsQ&sig2=1Qm67hzGxnZcUJJXQ5u_XA&bvm=bv.53371865,d.Yms&cad=rja tab 7a) ma si vede che il sistema l’ha vista come Spam.

      • Peppe,

        A me pare che Brancaccio nel libro si stupisse dei “large players”, come se fossa cosa nuova. Il fatto è che quel monito oltre che vecchio è mal indirizzato. Io non so bene cosa debbano fare ancora per farvi capire che la politica da seguire è quella, e invece il monito parla di “errori” “austerità espansiva”. Ma quali errori? Veramente credi che Draghi non sappia cosa fa, che è un boccalone? O che la Confindustria tedesca abbia bisogno di Brancaccio che gli dica “occhio, che poi il mercato unico….!”.

        Per questo è vecchio oltre che ingenuo quel monito.

        Flavio,

        Non avevo capito che eri tu! No condivido pressoché tutto, nel senso che in realtà condivido tutto. Quel discorso sulla NIIP infatti è come pensavo, e la retorica sugli IDE rischia di essere eccessiva da una parte e dall’altra. Far vedere solo i flussi in entrata non è corretto secondo me.

      • Beh diciamo che ho poca fantasia nei nickname! ;) Per dire, sulla posizione Italia, utilizzando excel ed i dati World Bank (in $), avevo notato che: il saldo cumulato merci 2000-2012 prezza 25,5mld $ di attivo, con tre tonfi nel 2006 (-12mld), 2010 (-27,2) e 2011 (-24,7). Il trend negativo si avvisa dal 2004 (centrano le riforme Hartz I-IV?). Si passa infatti da una media nei 5 anni precedenti di una dozzina di mld. di attivo all’anno, ad un andamento singhiozzante che negli otto anni successivi incassa attivi minimi e tonfi madornali (come sopra). Fra il 2011 ed il 2012, poi, la correzione passa da un -24 ad un +25!!!
        In merito al saldo servizi, il peggioramento (-64,6mld $) è per grande parte colpa del -55mld. $ cumulati fra 2007 e 2011. Tutto comunque sostenibile in un ottica di lungo periodo a mio avviso. Ciò che fa accaponare la pelle sono invece, cumulati in 13 anni, i RNE – 224mld $, ed i trasferimenti pari a -184,5 mld $. Sommate danno – 408mld. $, che al cambio attuale danno circa – 300miliardi di NIIP (al I° trim. 2013 la tab. 7a riporta – 371mld euro ad esempio). Facendo il confronto quindi con la tab. 7a, appare appunto macroscopico che a portarci giù sono gli investimenti di portafolglio, strumenti di debito aa.pp. e gli investimenti di portafoglio, sempre con strumenti di debito, di altre Ist. Fin. e Monetarie. Quindi gli RNE sembrano appunto derivare da redditi da capitale–> investimenti di portafoglio. Naturalmente tutto ‘sto papocchio è limitatissimo (infatti bisogna tenere conto del cambio e mille altre cose, bisognerebbe leggere bene i flussi annuali in entrata ed in uscita ecc.), ma a grandi linee mi pare abbastanza corretto pensare che non sono (ancora) gli IDE a farci sprofondare come ben dici tu. E che appunto il dibattito aperto su di essi ancora una volta devia il problema. Che è la non-cooperazione.

      • Istwine,

        dici che Brancaccio si “stupiva” dell’esistenza dei large players? E dimmi un po’, dove avresti letto di questo “stupore”? Cito da Brancaccio: “..gli approcci di teoria critica riconoscono da tempo che i mercati finanziari possono essere condizionati dall’esistenza di centri di potere, ossia di ‘pastori’ che guidano il ‘gregge’ della gran massa degli operatori. Ed è interessante notare che anche nell’ambito della teoria economica dominante non viene più data per scontata l’idea di un mercato finanziario di pura concorrenza (…) Pure tra gli economisti ortodossi, infatti, si fanno strada linee di ricerca che assegnano ai soggetti più forti – i cosiddetti large players della finanza – il potere di condizionare la dinamica delle contrattazioni” (L’austerità è di destra, pag. 51).

        A me sembra che tu abbia letto un po’ di fretta. Per questa volta diciamo così: tra una lettura di un post di Bagnai e un commento al tweet di Borghi, ti sei distratto. Rileggi, però, che così ti disintossichi.

        Quanto alla tua idea che il “monito degli economisti” sarebbe “ingenuo” perché parla di “errori” di politica economica, può darsi che tu all’epoca portassi ancora i calzoncini corti, ma chi è più vecchio (o forse soltanto più scafato) di te ricorda che Togliatti usava proprio questa espressione, “errori”, quando dialogava con amore con il nemico di classe. E poi, se volessimo applicare fedelmente la tua divertente chiave di lettura all’intero “monito”, allora dovremmo pensare che pure dietro le “ingenue apologie del cambio flessibile” che vanno tanto di moda dalle tue parti non ci siano “errori” ma ci sia in realtà una cospirazione. Da qui la domanda diventerebbe semplice: chi vi paga??? Come vedi, chi di chiavi di lettura divertenti ferisce… A me dunque sembra più aderente ai fatti e più elegante lo stile di Brancaccio, che vi dice che tra voi c’è anche qualche coglione (lui direbbe: “compagno che sbaglia”), non soltanto i noti venduti (lui direbbe: “agenti del capitale o molto aspiranti tali”).

        Poi, intendiamoci bene. Siamo in un paese libero (e capitalista): qualsiasi perfetto sconosciuto è sempre libero di aprire il suo bloggarello e stabilire molto liberamente che una decina di colossi dell’accademia, che sul FT scrivono di “scelta cruciale tra modalità alternative di uscita dall’euro”, sarebbero degli “ingenui”….

        Saluti
        Enrico il Vecchio

    • @Istwine,

      mi sembra che fai ancora una volta confusione. Quindi andiamo per ordine.

      Le banche d’affari dispongono degli stessi dati macroeconomici di cui dispongono il FMI o Eurostat. Non a caso hanno commesso errori di forecast macroeconomico non inferiori a quelli dei principali istituti di ricerca. Non solo: le banche d’affari adottano modelli che non hanno certo partorito loro, ma che sono copiati dalla letteratura accademica, a volte bene e altre malissimo (il famigerato gioco non-cooperativo su costi e benefici dell’euroexit nella sostanza diceva una cosa giusta, ma con strumenti da esercizio undergraduate dell’esame di Economic Policy). Dunque, sulla tua idea da cui è partita questa discussione, secondo la quale le banche d’affari stilerebbero rapporti più attendibili dei papers accademici, possiamo concludere che è un’idea che non ha fondamento.

      Completamente diverso è il discorso delle determinanti ideologiche dei metodi di analisi teorica ed empirica prevalenti, sia in accademia che nelle banche d’affari. Ma tu questo vorresti venire a spiegarlo a NOI? Siamo noi che stiamo cercando di spiegarlo a voi, che continuate a fare un po’ di petting con alcuni di quei metodi, come l’OCA, senza rendervi conto che in questo modo vi incasinate mani e piedi.

      Sul tuo ironizzare riguardo a chi fa il “mercato”, se le banche d’affari concentrate o gli “speculatori”, rischi di ironizzare su te stesso. Il tuo tentativo di distinzione tra le une e gli altri suona involontariamente hilferdinghiano e da tempo è superato. Proprio Brancaccio e Cavallaro hanno chiarito bene i termini della questione (vedi Brancaccio e Cavallaro, “Leggere il capitale finanziario”, intro a Hilferding, Il capitale finanziario). Questo per chiarire che tra i “gomblottisti” e gli “euristi della mano invisibile” c’è una terza interpretazione più seria, che guarda caso può essere compresa solo di chi ha buone basi di materialismo storico.

      Su Paolo Savona non ci vuole mica molto a capire cosa sia. Al di là delle mosse tattiche, su cui ovviamente è bravo, lui è un anti-euro disponibilissimo a fare della uscita una occasione per chiudere i conti con quello che resta del sindacato. Bagnai questo non lo ha capito? Non mi meraviglia, visto che a suo stesso dire nel 1992 ancora suonava il clavicembalo e di storia politica non sa un beneamato.

      Detto questo, col rischio di spaventare Istwine, andrei al sodo della politica. Iodice parla ancora di piano B, per me deve essere piano A. Il punto è che il “piano A” deve essere costruito partendo da una definizione degli interessi sociali da difendere. Chi racconta la storiella “facciamo saltare il banco dell’euro alleandoci pure con nazisti e ultraliberisti, poi si vede” o è un coglione o è un nemico.

  3. Scusa, quindi rimaniamo nell’euro finché non si realizza qualcosa di simile alla proposta keynesiana?

    • Mi sai dire un economista che propone ufficialmente l’uscita dei grandi paesi periferici (noi, la Spagna) dall’euro?

      • Beh, bisognerebbe anche sapere quale economista che ne proponeva la costituzione, sostenga ancora l’EMU… Credo tu sia daccordo sul fatto che non funzioni e che permanervi non equivalga a cristallizzare la situazione, ma abbia un costo, tanto maggiore quanto più aspetti. Nel 2011 eravamo sicuramente più forti di oggi e molto più in grado di affrontare i costi dell’uscita.

        Come sai, il motivo per cui l’euro ancora regge non è di certo perché preferibile ad un dirty float, ma semplicemente perché non fu volutamente prevista alcuna procedura d’uscita, al solo fine di aumentare l’incertezza sulle conseguenze e poter così mantenere in rianimazione quello che è attualmente un vegetale appeso a un tubo, nella speranza che si risvegli.

    • La quota salari x il vero crollava da prima, l’abolizione della scala mobile era x un residuo xke l’abolizione x referendum e’ di 10 anni prima (ed e’ chiaro che siamo tutti contro, insieme al fatto che sarebbe la prima cosa da ripristinare in caso di uscita dall’euro). Sulle privatizzazioni concordo ma e’ fatto indipendente dal tax di cambio, anzi direi che la difesa di un cambio sopravvalutato gli anni prima del 1992 ha determinato perdita di riserve x la banca d’Italia, aumento dei tax di interesse x la difesa del cambio, peggioramento del bilancio pubblico negli anni precedenti, perdita di quote export e probabilmente ha accelerato la malata convinzione che privatizzare fosse un bene…. Un po’ come ora. Quando affoghi non stai tanto a guardare se l’aria che respiri e’ inquinata..
      Ribadisco, secondo me sappiamo tutti che così non più durare e che il nord Europa non accetterà eurobond, ne collaborerà x un aggiustamento simmetrico ma solo e sempre austerità. Allora credo che nessun euro sia meglio di questo euro, ma anche di un altro euro. Spero di sbagliarmi

  4. Quindi continuiamo con la deflazione interna aspettando non so cosa perché voi di keynes blog volete un Euro differente per fare bella figura. Poi, come se qualcuno avesse detto che il cambio flessibile risolve ogni cosa. Con questo articolo avete eprso un’occasione di stare zitti.

    • Vediamo, se uno ti avverte del fatto che se ti getti dalla finestra ti sfracelli, vuol dire che vuole farti morire in un incendio?

      • Se fuori ci sono i pompieri con il telone, e dentro (l’euro), le fiamme, forse sarebbe intelligente buttarsi dalla finestra………

  5. Mi sai dire un economista che propone ufficialmente l’uscita dei grandi paesi periferici (noi, la Spagna) dall’euro?

    Magari non sarà la posizione “ufficiale” ma questo tizio dice cose sacrosante su
    eventuali uscite.

    • Ascolterò quel che dice, in ogni caso Sargent un anno fa, insignito del Nobel, ha detto che l’Europa dovrebbe fare come gli USA di Hamilton, l’unione fiscale e dei debiti

      • E come la fai l’unione dei debiti che la culona manco ha posto il veto agli eurobond?
        Aspettiamo altri 5 anni nella speranza che non la rieleggano? Rimanere nell’euro non è aggratise, se non te ne sei accorto.

      • E’ Sargent che ne ha parlato, non io.

      • “Ascolterò quel che dice, in ogni caso Sargent un anno fa, insignito del Nobel, ha detto che l’Europa dovrebbe fare come gli USA di Hamilton, l’unione fiscale e dei debiti”. Quindi dobbiamo prepararci, come paese del Sud dell’UEM:
        a) a una guerra nordisti-sudisti
        b) perdendola, a subire, come dice Krugman, la mezzogiornificazione a cui sono comunque destinati i paesi del Sud Europa. Qui https://keynesblog.com/2013/09/30/il-feticcio-del-tasso-di-cambio/#comments Sapir quantifica invece quanto e chi dovrebbe accollarsi i trasferimenti in caso di unione fiscale. Non mi pare molto sostenibile.

      • E’ quello che dice Sargent, non io. Ed è la seconda volta che lo scrivo. Aspettiamo il terzo genio.

      • Noto che la scortesia è di casa nella dimora del genio.

      • E’ cortesia anche leggere le risposte date in precedenza.

      • Guardi, io non ho mancato di rispetto con il mio commento. Avevo ben capito che Lei riportava il pensiero di Sargent, ed io ho postato copi-incollando per comodità tutto il suo commento ed evidenziando le conseguenze che secondo me ne derivavano. Non ho scritto “Lei ha detto” se rilegge bene. Nessun attacco, ci mancherebbe. Solo due considerazioni che, se ci fa caso, vanno proprio a “contestare” il pensiero di Sargent. Spero di aver chiarito.

      • bene, chiarito.

      • Gent.mo Guido,

        calma & gesso. Sargent dice diverse cose ma ho la sgradevole impressione che io sia l’unico che lo ha ascoltato. Ridurre tutto a “ha detto che l’Europa dovrebbe fare come gli USA di Hamilton” è molto, anzi, troppo riduttivo.
        La critica di Sargent all’intera costruzione dell’euro è una delle più incisive che io abbia mai sentito.

  6. va bè, ce l’ avete con Bagnai.
    Comunque Bagnai non ha mai detto che “uscire dall’ euro risolve i problemi”, l’ ha sempre posta come condizione NECESSARIA ma NON sufficiente. Il vero nodo è, ANCHE PER BAGNAI, la deregolamentazione del sistema finanziario internazionale, quindi credo che individui esattamente come voi il cuore del problema.

    Detto questo; scusate, io non sono certo uno che si affida alla “naturale forza equilibratrice del mercato” , però; vi pare una cosa sensata che la moneta greca si sia apprezzata del 30-40% negli ultimi 12 anni rispetto al $ ?

  7. Se non ho capito male, le crisi finanziarie non sono state causate dalla triade deregolamentazione, privatizzazione, liberalizzazione, ma dai cambi flessibili… complimenti per l’onestà intellettuale!

    • Non mi fraintenda. Gli accordi di BW prevedevano il cambio fisso, il controllo dei movimenti di capitali e delle merci. Mica è un caso.

      • Ma è anche vero che alla fine da Bretton Woods invece di giungere all’ITO, si giunse al GATT, perchè il congresso non lo votò, aspetto che parecchi trascurano. l nuovo euro ispirato al bancor di Keynes come lei auspica dovrebbe essere votato al Bundestag, auguri!

  8. ritornare ad una moneta basata su un bene reale e che non sia manipolabile a piacimento nè dai governi nè dai banchieri no eh ?

  9. Comunque, al di la’ del nobel liberista Sargent e del bimbetto viziato Bagnai, un economista serio che sta ponendo il problema dell’uscita dall’euro e’ proprio Brancaccio. L’Economist warning firmato da quei giganti si chiude con una “scelta cruciale tra modalita’ alternative di uscita dall’euro”. Scusate se e’ poco.

    • Capirai.
      Ci trema a tutti l’orlo delle mutande.

      • Beh, in effetti all’Istituto di studi filosofici a Napoli, nel match con Brancaccio, Bagnai la figura del pisciasotto l’ha fatta tutta. Il qui presente redivivo Freddie Mercury deve avere un problemino analogo.

        Lasciando perdere gli adepti del cane della Disney, vorrei capire da Iodice e Palma se alla fine condividono la tesi del “warning” di Brancaccio, Rodrik & C., di prepararsi a una lotta sulla modalita’ di uscita dall’euro o se questa lotta vada comunque evitata. Grazie

        Duncan

      • Quello è un fatto, per forza di cose devi avere un piano B.

  10. molto istruttivo questo dibattito,è devo ammettere che gli argomenti pro o contro l,euro siano entrambi validi su una cosa pero ne sono certo che purtroppo la germania non accettera mai nessuna proposta che vada nel senso di quello auspicato “da keynes blog” e pertanto si opporra a qualsiasi proposta che ne mettesse in discussione la leadership pertanto penso che l,euro in ogni caso fallira per la sua insostenibilita,è propio in questo momento stanno avvenendo cose che gia ci danno l,idea di come finira..per il resto chi è piu bravo o meno bravo tra gli economisti citati mi sembra di secondaria importanza, anchio penso che il professor brancaccio sia il piu acuto dei tre purtuttavia non credo sia infallibile!! inoltre penso che la risposta del signor fla nel primo intervento abbia centrata bene la questione posto in questo dibattito,e pertanto devo dire che mi trovo completamente d,accordo sia con il sig fla che con il sig istwin…..PS e di ieri l,art post su keynes blog sugli effetti della mezzogiornificazione che tende sempre a favorire il centro rispetto alla periferia e devo dire che non mi piace visto che questo significa valige e treni…saluti

  11. Parto da un caso concreto, che è l’unico contributo che posso dare a questo dibattito.
    Recentemente ho saputo da fonte riservata delle difficoltà in cui versano due gruppi industriali che conosco molto bene. Si tratta di aziende che “hanno fatto tutte le cose giuste”, che per dotazione di mezzi propri, ricerca e innovazione, livello di internazionalizzazione hanno più in comune con Mittelstand tedesche di successo che con le tipiche PMI italiane. Eppure, la triplice maledizione del cambio (condivisione della moneta con la Germania, sopravvalutazione dell’euro vs il dollaro, debolezza delle monete dei paesi emergenti) sta diventando insopportabile anche per loro, né il mercato interno consente più sbocchi alternativi, asfissiato com’è dalle politiche di compressione della domanda. Francamente, non me la sento di dire a questi campioni del Made in Italy che la manovra del tasso di cambio è irrilevante. Quanto a parlare di feticismo, beh, mi sembrerebbe di accusare uno che muore di fame di essere feticista del cibo…
    Non sono molto incline a prendere posizione, ma dal basso della mia quarantennale esperienza di commercio internazionale trovo molto ragionevoli le osservazioni di Istwine (escluse le citazioni, su cui non sono in grado di pronunciarmi per mancanza di preparazione accademica).

    • Comprendo il problema, ma non è con l’aneddotica che si fanno le politiche economiche e monetarie. Imprese come quelle che cita meriterebbero l’intervento dello Stato con minore tassazione e incentivi, ma non ha senso rischiare un credit crunch in cambio di uno zero virgola. Nonostante il cambio forte, le nostre esportazioni extra-UE sono aumentate. Come mai? Perché la domanda extra-UE è aumentata. Questo è ciò che oggi guida la bilancia commerciale, il tasso di cambio (veda il caso inglese) ha effetti modesti. Non è sensato fare scommesse al buio così.
      Ovviamente questo non significa affatto che si debba accettare l’euro così com’è e cambi fissi irrevocabili senza alcun meccanismo di riequilibrio della bilancia dei pagamenti e in particolare della bilancia commerciale, non è la nostra posizione. Ma non ci si può rassegnare a dover scegliere tra un lento (non tanto lento) declino e un salto nel buio.

      • “non è con l’aneddotica che si fanno le politiche economiche e monetarie”

        Se pensa che io abbia bisogno di questa paternale, deve aver interpretato la mia mancanza di credenziali accademiche come evidenza che sono un cretino. E’ senz’altro così, tuttavia se mi sono permesso di inquinare il suo ottimo blog con una testimonianza concreta non è stato per fare dell’aneddotica; caso mai della sineddotica (una parte per il tutto). I casi citati sono indicativi della sofferenza di buona parte degli operatori di una regione, l’Emilia Romagna, che dà un contributo significativo ai dati dell’export da lei ricordati. Il mio allarme è che tanti esportatori riescono a tenere le posizioni solo a condizioni che ne compromettono l’equilibrio finanziario.
        Mi ritiro con le pive nel sacco.

      • Non capisco perché abbia preso la risposta in modo così ostile, anzi, le sono anche venuto incontro.
        Inoltre, francamente, identificare il paese con gli esportatori è un errore identico a quello della Merkel.

  12. Iodice e Palma, vi voglio bene, le vostre proposte possono essere anche teoricamente corrette ma… a parte la scorrettezza nel considerare liberista uno che tale non è e non si è mai sognato di affermare una mezza volta che con il solo cambio flessibile diventeremo tutti alti, belli e biondi, ma andiamo avanti … avete mai tenuto conto dei rapporti di forza – per dirla alla Brancaccio – tra le diverse frazioni del capitale in Europa? L’obiettivo del capitale tedesco è avere, vicino casa, una vasta area di fabbriche cacciavite con manodopera a basso costo da sfruttare. Ci sono riusciti con la Polonia ma, come l’esperienza insegna, non bisogna mai contare su un solo paese perchè quello potrebbe alzare le sue pretese e la guerra fra poveri è condizione necessaria per mantenere il dominio senza dover spender troppo in spese militari. Hanno inoltre annientato la seconda potenza industriale europea e possono allora iniziare a grecizzare anche l’Italia.
    Ma vi pare che, dato il successo della loro politica imperialistica, i tedeschi (e CDU ed SPD sono la stessa cosa, come in Italia PDL e PD) potranno mai accettare un cambiamento se non viene loro imposto, come nelle due guerre mondiali?
    Mi sembrate un po’ ingenui. Uscire dall’euro spazzerebbe via le condizioni del loro sucesso

    • ma… a parte la scorrettezza nel considerare liberista uno che tale non è e non si è mai sognato di affermare una mezza volta che con il solo cambio flessibile diventeremo tutti alti, belli e biondi, ma andiamo avanti

      No, un attimo. Questo non è quel che abbiamo scritto. L’aggettivo “liberista” è riferito alla teoria di riferimento. Come chiunque sa, credere che i mercati prezzerebbero la nuova lira guardando i “fondamentali” e la differenza tra l’indice dei prezzi richiede coraggiosissime ipotesi neoclassiche. I mercati hanno sopravvalutato, rispetto ai “fondamentali”, i titoli di stato dei paesi periferici per un decennio, per poi accorgersi un giorno che si erano “sbagliati”. A quel punto li hanno sottovalutati (soprattutto nel caso dell’Italia). Se lei ha fiducia in questi meccanismi, le facciamo tanti auguri.

      Mi sembrate un po’ ingenui. Uscire dall’euro spazzerebbe via le condizioni del loro sucesso

      A noi sembra ingenuo sostenere che si può uscire dall’euro il venerdì sera, senza dire nulla a nessuno, stampigliando le banconote, e poi pretendere che i mercati facciano il loro “dovere” a tuo vantaggio. Questa è la favola dell’uscita unilaterale. Si accomodi. Nel frattempo si domandi perché nei documenti internazionali non viene proposto. E si domandi perché chi passa per essere favorevole al ritorno alla Lira sul web, poi scrive proposte che prevedono “più Europa” e “BCE come la Fed”: http://www.formiche.net/2013/05/17/appello-per-un-nuovo-trattato-europeo/

      Ma vi pare che, dato il successo della loro politica imperialistica, i tedeschi (e CDU ed SPD sono la stessa cosa, come in Italia PDL e PD) potranno mai accettare un cambiamento se non viene loro imposto

      Mi risulta che la proposta alternativa preveda l’uscita della Germania, non dell’Italia. Quindi anche questa le andrebbe “imposta”. Perché non fa le pulci anche ad altri invece che il difensore d’ufficio? Crede davvero che la Germania uscirebbe per farle un favore? Su. E crede che noi siamo tanto ingenui da credere questo? Avanti.

      • I mercati, i mercati, i mercati… Ma chi se ne frega dei mercati, se necessario gli esponenti dei “mercati” li si prende e li si impicca per le strade. Ma chi è più liberista? Voi o Bagnai? Non voglio fare il difensore d’ufficio ma lui (insieme a tanti altri: vi invito a leggere il testo, credo, di Lepre sull’ebook “Oltre l’austerità” di Micromega) ripete che l’uscita dall’euro si fa CON scala mobile, limitazione dei movimenti di capitale, fine del divorzio banca centrale/tesoro

  13. A volte, però, è pure necessario semplificare. Sopra, Sargent suggeriva all’europa di invocare un principio superiore per trovare una strada di sbocco per problemi legati ai debiti dei diversi paesi e allo sviluppo regionale disomogeneo. Quello adottato dagli stati americani che si erano liberati dal controllo dell’Inghilterra era di condividere una unità nazionale, l’alternativa sarebbe stata quella di continuare a farsi una guerra commerciale reciproca.
    Le domande per noi potrebbero essere:
    – Esistono alternative diverse da queste due? (E sulla risposta a questa possiamo continuare a disquisire per anni.)
    – Esiste veramente l’alternativa?
    (E questo potrebbe rendere inutile qualsiasi ulteriore discussione; come accadrebbe ad esempio se l’occupazione, pur se non simile a quella che si ebbe qualche tempo fa, è già ad uno stadio irreversibile.)

    Insomma: esiste per noi il principio superiore o esso è solo un abbaglio storico di letterati e visionari perdigiorno vissuti in epoche ingenue e preistoriche? Per dire: se fosse concesso, da chi altrove comanda, che l’Eni finisse ai tedeschi, a noi non resterebbe solo di tornare ad occuparci delle nostre “superbe ruine”?

  14. Scusate, ma potreste indicare un testo, un link, in cui Brancaccio – o altri che condividono il suo punto di vista – spiegano con chiarezza quali sono i problemi di un’uscita unilaterale dall’Euro? Io ho letto diversi interventi di Brancaccio ma non mi sembra di avere trovato un’argomentazione esauriente al riguardo. Forse sono io che non ho capito; ma Bagnai, che abbia torto o ragione, offre almeno un quadro organico. Qui vedo delle obiezioni sparse, non approfondite e una via d’uscita che mi sembra, al momento, qualcosa di cui nessuno parla (ipotizzate un cambiamento di questa portata senza che si riconosca che c’è una crisi?). Almeno Bagnai fa l’esempio dell’Italia negli ultimi vent’anni. Voi avete uno o più esempi in cui il riequilibrio degli scambi in seguito all’aggiustamento dei cambi non si è verificato? E potete dimostrare che questi casi empirici si possono applicare all’Italia? Finché non vedo un’argomentazione del genere, il vostro punto di vista mi risulta incomprensibile.

    • Ma dai, Bagnai è un *****. Brancaccio è di un altro livello, ed è sempre stato chiarissimo. A Brancaccio andrebbe bene anche una uscita unilaterale, ma certo non fatta come vorrebbero i nipotini di Milton Friedman. Lui ha scritto varie volte sul tema, dati alla mano. Vedi sul suo sito. E comunque basta leggere il monito degli economisti, un documento eccellente anche se adesso con il Letta bis sarà sicuramente silenziato. La questione insomma non è mica tra uscita unilaterale e uscita coordinata. I guai sono altri: Brancaccio ormai è disperato perché non riesce a fare convergere i ragionamenti su una uscita dall’euro che protegga i lavoratori subordinati e che non sia l’ennesima merda liberista, magari accompagnata da svendite e altre politiche di austerity.

      • Mi puoi dare uno o più link? Ti ripeto, sarò stato sfortunato, ma finora gli interventi di Brancaccio che ho letto erano molto vaghi e totalmente sganciati da esempi empirici. Vedete, io sono limitato: o mi si fa un esperimento mentale ben fatto, o mi si rimanda a un fatto storico ben preciso. In caso contrario, non capisco. Comunque, quando ho visto Brancaccio in TV o l’ho sentito alla radio, si è ben guardato dal porre il problema dell’Euro, e si stava parlando della crisi italiana. Questo non lo rende molto credibile come personaggio. Mi dicono che anche Cesaratto sta scrivendo cose interessanti, ma e poi uno non si espone pubblicamente, scusate, che senso ha seguirlo? Preferisco utilizzare il mio tempo limitato per leggermi gli economisti stranieri, che almeno qualcosa a livello di opinione incidono.

      • Armando, devi essere stato moooolto sfortunato visto che il Branka non ne dice una senza una precisa analisi supportata da dati. Per cominciare leggi questo:

        Uscire dall’euro? C’è modo e modo

        Sulla tv, guarda questo:

        USCIRE DALL’EURO? C’E’ MODO E MODO

        e dai pure un’occhiata a questo ottimo filmato di Ecodellarete, che la dice lunga sul rapporto di forza tra Brancaccio e il tuo econometrico (si fa per dire) di riferimento, che aveva detto varie cazzate sulla quota salari e che qui viene messo in riga:

        Mentre tu studi, io dico che sono d’accordo con Muntari. Ormai con il Letta bis la partita sull’euro sarà chiusa per un bel pezzo. Se ne riparla tra un anno, se tutto va “bene”.

      • Forse non sei stato sfortunato. Forse sei stato distratto da letture di livello discutibile (penso alle cantonate di Bagnai sulla quota salari negli ultimi vent’anni, appunto).

        Divulgativi:

        Uscire dall’euro? c’è modo e modo
        http://www.emilianobrancaccio.it/2013/07/03/uscire-dalleuro-ce-modo-e-modo-3/

        L’euro è un morto che cammina. Occorre tentare una uscita da sinistra
        http://www.emilianobrancaccio.it/2013/02/26/leuro-e-ormai-un-morto-che-cammina-occorre-tentare-una-exit-strategy-da-sinistra/

        In televisione:
        http://www.emilianobrancaccio.it/2013/04/07/uscire-dalleuro-ce-modo-e-modo-2/

        Se poi hai un po’ di dimestichezza con la letteratura accademica, guarda anche questo, che a suo tempo lo stesso Bagnai considerò un paper premonitore:
        http://www.francoangeli.it/riviste/Scheda_rivista.aspx?IDArticolo=35917&Tipo=Articolo%20PDF&lingua=it

        Ah, a proposito di impatto a livello di opinione, mi risulta che Brancaccio sia anche l’estensore del “monito degli economisti”, il testo di critica della politica economica di più alto livello che sia stato pubblicato quest’anno:

        http://www.theeconomistswarning.com

        Un testo che termina con parole chiave: “una scelta cruciale tra modalità alternative di uscita dall’euro”. Proprio quella “scelta tra alternative” che Bagnai non vuole riconoscere, perché deve tenersi le mani libere per un seggio tra le file della destra politica. Brancaccio non ha di queste urgenze personali. Lui considera dei nemici sia il proeuro Letta sia l’antieuro Brunetta. Il suo è il punto di vista della lotta di classe, che lo spinge a chiarire che il cambio flessibile, innestato nella stessa politica liberista di sempre, non risolve una beneamata mazza. Io non vedo vaghezza in un discorso simile. Il fumo sta tutto dall’altra parte, per esempio di quelli che considerano indifferente la modalità di uscita e sarebbero disposti ad allearsi anche con la destra nazionalista estrema.

      • Forse non sei stato sfortunato. Forse sei stato distratto e ti dedichi a letture di livello discutibile (penso alle cantonate di Bagnai sulla quota salari negli ultimi vent’anni, appunto).

        Divulgativi:

        – Uscire dall’euro? c’è modo e modo

        – L’euro è un morto che cammina. Occorre tentare una uscita da sinistra

        In televisione:
        – Uscire dall’euro? c’è modo e modo

        Se poi hai un po’ di dimestichezza con la letteratura accademica, guarda anche questo, che a suo tempo lo stesso Bagnai considerò un paper premonitore:

        – Deficit commerciale, crisi di bilancio e politica deflazionista

        Ah, a proposito di impatto a livello di opinione, mi risulta che Brancaccio sia anche l’estensore del “monito degli economisti”, il testo di critica della politica economica di più alto livello che sia stato pubblicato quest’anno. Un testo che termina con parole chiave: “una scelta cruciale tra modalità alternative di uscita dall’euro”. Proprio quella “scelta tra alternative” che Bagnai non vuole riconoscere, perché deve tenersi le mani libere per un seggio tra le file della destra politica. Brancaccio non ha di queste urgenze personali. Lui considera dei nemici sia il proeuro Letta sia l’antieuro Brunetta. Il suo è il punto di vista della lotta di classe, che lo spinge a chiarire che il cambio flessibile, innestato nella stessa politica liberista di sempre, non risolve una beneamata mazza. Io non vedo vaghezza in un discorso simile. Il fumo sta tutto dall’altra parte, per esempio di quelli che considerano indifferente la modalità di uscita e sarebbero disposti ad allearsi anche con la destra nazionalista estrema.

      • Grazie per le segnalazioni. Non mancherò di leggerle al più presto.

    • Guardi l’esperienza degli ultimi anni: Turchia e Gran Bretagna, ad esempio, hanno svalutato pesantemente, ma sono rimaste ampiamente in passivo. Addirittura, se guarda i dati, la Spagna ha esportazioni crescenti verso l’UK. Questo non significa che il tasso di cambio non conti nulla, ma in una situazione come quella odierna, con la domanda estera stagnante, il peso del tasso nominale è relativo, contano molto di più le “ripresine” altrui (sul lato export) e la domanda interna (sul lato import).

      • Il dato così massivo non mi dice molto. La Gran Bretagna è notoriamente carente sul piano industriale, e paesi in via di sviluppo, per quanto ne so io, hanno una tendenza tipica allo squilibrio dei conti con l’estero. E cosa dovremmo fare per essere come la Spagna (posto che l’Italia è l’Italia e la Spagna è la Spagna)?

      • E la “depressina” europea nel frangente non conta proprio nulla? In particolare della Turchia?

      • Non sono riuscito a leggere tutti i commenti, troppo lunghi… Mi pare però che emerge un equivoco di fondo: mettere sullo stesso piano la proposta di “euro-bancor” e l’uscita dall’euro. Ma la prima è solo una BELLA UTOPIA (a livello di fattibilità corrisponde al mitico “più Europa”), mentre uscire dall’euro è possibile qui e ora, se c’è volontà politica. Non si può paragonare, politicamente parlando, una proposta concreta con un desiderio astratto.

      • Questo potrebbe anche spiegarlo agli estensori del “manifesto per la solidarietà europea” che propongono l’uscita della Germania, paventando: “il rischio di panico bancario e il collasso del sistema bancario nei paesi dell’Europa meridionale, che potrebbe verificarsi se questi fossero costretti ad abbandonare l’Eurozona o decidessero di farlo per pressioni dell’opinione pubblica nazionale, prima di un abbandono dell’Eurozona da parte dei paesi più competitivi.”

        Potrebbe anche ricordarlo non a noi, ma al prof. Savona, che ha proposto proprio una revisione dei trattati all’insegna del “più Europa” e “BCE come la Fed”. Almeno l’euro-bancor non richiede tutto ciò.

I commenti sono chiusi.