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Il Sud e la retorica degli sprechi

screenshot9I luoghi comuni sul mezzogiorno italiano sono duri a morire. Ma una analisi attenta dei dati indica che non è vero che il Sud è inondato di risorse pubbliche e che l’incidenza dell’evasione fiscale è più alta al Nord. Il mezzogiorno è in realtà vittima della crescente concentrazione geografica del capitale e delle devastanti politiche di austerità.

di Guglielmo Forges Davanzati 

Gli ultimi rapporti SVIMEZ fanno registrare un declino dell’economia meridionale che appare, allo stato dei fatti, pressoché inarrestabile, con un’evidenza empirica che molto assomiglia a un bollettino di guerra. Nel 2012, le regioni meridionali nel loro complesso hanno subìto una contrazione del PIL nell’ordine del -3,2%, superiore di oltre un punto percentuale rispetto al resto del Paese. Il 2012 è stato il quinto anno consecutivo in cui il tasso di crescita nel Sud è risultato negativo: dal 2007 si è ridotto di oltre il 10%, quasi il doppio della flessione registrata nel Centro-Nord. Ciò a ragione della caduta dei consumi delle famiglie (-4,2% al Sud, a fronte del -2,8% al Centro-Nord), del crollo degli investimenti (-11% circa, a fronte del -5,4% al Centro-Nord), della riduzione delle esportazioni – soprattutto quelle indirizzate ai Paesi dell’Unione Monetaria Europea – e, non da ultimo, della riduzione della spesa pubblica. La spesa in conto capitale della pubblica amministrazione, a fronte di un obiettivo dichiarato del 45% sul totale nazionale, si è ridotta dal 40,4% nel 2001 al 35,4% nel 2007, giungendo al minimo storico del 31,1% nel 2011. Quest’ultimo dato è significativo giacché smentisce, con ogni evidenza, la visione dominante secondo la quale il Sud è inondato da risorse pubbliche. 

SVIMEZ registra anche che, nel 2013, a fronte di una previsione di riduzione del PIL nazionale nell’ordine dell’1,9%, il Mezzogiorno farà registrare una caduta del prodotto interno lordo pari al 2,5% contro il -1,7% del Centro-Nord. Le previsioni più ottimistiche indicano che, a fronte, di un modesto aumento del tasso di crescita in Italia nel 2014 (+0,7%), esso dovrebbe risultare nullo per il complesso delle regioni meridionali. 

E’ molto diffusa la convinzione stando alla quale l’arretratezza del Mezzogiorno dipende dalla sua scarsa dotazione di capitale sociale: elevata propensione alla corruzione, criminalità diffusa, scarsa attitudine al rispetto delle norme, elevata diffusione dell’evasione fiscale. Si tratta di tesi che non pienamente convincenti e comunque meno robuste di quanto si vuol far intendere. Per due ragioni:

1) Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, esistono al più tentativi di misurazione del “capitale sociale”. In assenza di una sua misurazione oggettiva, è sostanzialmente impossibile – se non per pura congettura – stabilire che il Mezzogiorno ha una bassa dotazione di capitale sociale ed ancor più difficile è stabilire una correlazione fra capitale sociale e crescita. Inoltre, se anche la tesi dominante fosse vera, risulterebbe molto arduo stabilire in quale direzione si muove il nesso di causalità: se, cioè, è il capitale sociale un prerequisito per la crescita o viceversa. Vi è di più. In quanto categoria per sua natura disomogenea, il capitale sociale non si presta neppure a una definizione univoca. 

2) Su fonte Banca d’Italia, si calcola che a fronte del fatto che, al Nord, in media, l’evasione fiscale e contributiva ammonta a circa 2500 euro pro-capite, nel Mezzogiorno l’imposto si assesta, su base annua, a circa 900 euro a testa. In termini percentuali, il tasso di evasione è del 14,8 al Nord e del 7,9 per cento al Sud. L’obiezione secondo la quale al Sud si evade meno perché il reddito pro-capite è più basso può essere ribaltata stabilendo che ci si aspetterebbe semmai maggiore evasione proprio dove i redditi sono più bassi. Né vale l’ulteriore obiezione secondo la quale l’evasione fiscale è relativamente bassa nel Mezzogiorno perché è maggiore l’occupazione nel pubblico impiego. E’ un’obiezione smentita dagli ultimi dati prodotti dalla Ragioneria Generale dello Stato, secondo la quale la maggiore incidenza dell’occupazione pubblica, fra le regioni italiane, si ha in Lombardia e in tutte le regioni meridionali il numero di occupati nella pubblica amministrazione è inferiore a quella del Centro-Nord. Incidentalmente, viene anche rilevato che, nelle regioni meridionali, è maggiore l’occupazione precaria nel settore pubblico. 

Il crescente impoverimento del Mezzogiorno può essere fondamentalmente imputato a due cause.

a) Vi è innanzitutto da considerare un meccanismo spontaneamente generato da un’economia di mercato deregolamentata, che ha a che vedere con quelli che vengono definiti effetti di causazione cumulativa. In altri termini, data una condizione iniziale di concentrazione dei capitali in determinate aree, i capitali collocati nelle aree periferiche trovano conveniente spostarsi in aree nelle quali – attraverso l’operare di economie di agglomerazione e di economie di scala (per le quali al crescere della quantità prodotta si riducono i costi di produzione) – possono ottenere maggiori profitti, perché è più alta la produttività del lavoro. Evidentemente, possono più facilmente migrare imprese di grandi dimensioni che, peraltro, trovano conveniente farlo in quanto competono innovando, e, per farlo, hanno bisogno di operare in ambienti nei quali sussistono le condizioni più favorevoli per generare flussi di innovazione: facile accesso al credito, esistenza di esternalità positive derivanti dall’attività di ricerca attuata da imprese già presenti in loco, presenza di Istituti di ricerca scientifica, ampia disponibilità di manodopera qualificata. Questa dinamica determina crescenti divergenze regionali: in alcune aree si producono beni ad alta intensità tecnologica, nelle aree periferiche (Mezzogiorno incluso) le imprese – di norma di piccole dimensioni e poco esposte alla concorrenza internazionale – competono mediante compressione dei costi, e dei salari in primo luogo. La crescente concentrazione geografica dei capitali si associa a crescenti flussi migratori, che interessano prevalentemente giovani con elevato livello di istruzione. In tal senso, la ripresa dei flussi migratori dal Mezzogiorno è da leggersi come un trasferimento netto di produttività verso le aree centrali dello sviluppo capitalistico. 

b) Negli ultimi anni, il fenomeno è stato accentuato dalle politiche di austerità. La riduzione della spesa pubblica (soprattutto nel Mezzogiorno) e l’aumento dell’imposizione fiscale su famiglie e imprese hanno ristretto i mercati di sbocco, generando riduzione dei profitti e fallimenti. L’aumento del tasso di disoccupazione e la riduzione dei salari sono state le ovvie conseguenze di queste scelte. 

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L’inversione di rotta – come, peraltro, invocato da SVIMEZ – richiederebbe ingenti investimenti pubblici nelle aree meridionali, ovvero fare politica industriale (si osservi che la minore divergenza del PIL pro-capite fra Nord e Sud si è avuta negli anni nei quali era operativa la vituperata “Cassa del Mezzogiorno”). E’ difficile aspettarsi che i soli flussi turistici – peraltro localizzati in poche aree del Mezzogiorno e, per loro natura, estremamente volatili – possano, da soli, contribuire significativamente a ridurre il dualismo. 

da Micromegaonline – i grafici sono un’aggiunta redazionale di Keynes Blog. Fonte: Istat

13 commenti su “Il Sud e la retorica degli sprechi

  1. Ma dopo vent’anni di politica economica dettata dalla Lega e applicata dal Pdl non mi pare possibile uno scenario diverso da questo.

  2. L’autore avrà pure ragione però un rapporto ufficiale dovrebbe anche parlare di due cose che non sono dettagli: l’economia criminale e l’abusivismo edilizio, gravi al Nord ma endemici nel Sud, sottraggono un’enorme quantità di gettito fiscale. E’ difficile pagare l’ICI/IMU/Tarsu, ecc. se l’alloggio per il catasto non esiste…

  3. Concordo pienamente con l’articolo.

    Vorrei aggiungere che l’intera fase storica della rivoluzione industriale nel mondo è stata, sin dai primordi, un processo di propagazione geografica graduale: dall’Inghilterra al Belgio ed agli USA, dal Belgio alla Francia/Olanda/Germania, da questi paesi al nord Italia, alla Catalogna, alla Svezia ecc.

    Ciò è avvenuto con la migrazione degli operai specializzati (come immigrazione di ritorno) che divennero progressivamente imprenditori e con lo sviluppo delle facoltà tecniche e della ricerca scientifica.

    L’intero processo venne guidato dagli stati, in un’ottica di identità nazionale e spesso di vero e proprio imperialismo. L’Italia ha sempre avuto una relativa debolezza finanziaria.

    Ogni paese ha avuto un proprio modello.
    L’Italia ha avuto un grande sviluppo quando si appoggiò al sistema MISTO pubblico-privato, garantendo un espansione della domanda interna e potenziando il sistema privato, abile nella competizione internazionale.
    Questo modello forse è andato in crisi per motivi culturali: quando le logiche monetariste e la visione mercantilista del mondo hanno preso il sopravvento, hanno portato i paesi deboli politicamente o troppo sensibili alle lobbies, alla deregulation finanziaria e commerciale (la c.d. globalizzazione) ed a forti processi di privatizzazione non condotti nell’interesse pubblico.

    Il sud Italia ha pagato dazio con la crisi della chimica prima (per ragioni esogene legato alle crisi petrolifere) e dell’industria pubblica dopo.
    Il sud ha avuto, non in tutte le regioni per fortuna, la presenza (parrebbe garantita) di una criminalità organizzata che ha infiltrato politica ed attività economica, oltre che al costume sociale diffuso.

    Lo Stato non ha fatto ciò che doveva ed oggi la situazione è terrificante.

    Alcuni distretti industriali si stavano organizzando con logiche di competitività ed efficienza anche al sud, ma questa crisi sta spazzando via tutto e tutti.

    Abbandonare il sud al suo destino potrebbe apparire una scelta razionale e spietata, tuttavia è lo stesso nord che oggi paga il fatto che il sud sta implodendo.
    Il nord infatti ha avuto un mercato interno di 50-60 milioni di abitanti, con una competizione interna fatta su un bacino di soli 30 milioni. Non so se riesco a far capire il concetto, ma il sud non essendo competitivo ha solo, di fatto, garantito consumi al nord ed il nord ha compensato lo squilibrio commerciale ed industriale con un drenaggio fiscale giustificato proprio da quanto premesso.

    Oggi l’Italia deve decidere se vuole sopravvivere e lo può fare solo con idee e politici di sistema.

  4. Curiosa situazione.
    E non si può dire che su un simile punto è possibile sorvolare. In questo articolo si legge:
    “ Data una condizione iniziale di concentrazione dei capitali in determinate aree, i capitali collocati nelle aree periferiche trovano conveniente spostarsi in aree nelle quali – attraverso l’operare di economie di agglomerazione e di economie di scala (per le quali al crescere della quantità prodotta si riducono i costi di produzione) – possono ottenere maggiori profitti, perché è più alta la produttività del lavoro.”

    In un altro noto e agguerrito blog, sempre apparentemente sotto lo stesso segno di Keynes, si dice invece che poiché nelle aree periferiche, cioè industrialmente più arretrate, vi sono più opportunità di investimento, ad esempio ci sono infrastrutture da creare o da migliorare ecc, e per attirare i capitali, inoltre, i tassi di interesse sono più alti, allora le banche delle zone dove si ha maggiore concentrazione di capitale favoriscono l’afflusso di capitale, proprio in periferia, dove esse possono ottenere maggiori profitti dalla rendita.

    Ma allora, ci si può chiedere: dove vanno di preferenza questi famosi capitali? Non sembra essere questa una domanda di poco moneto. Tutti i ragionamenti successivi sono solo una conseguenza logica.

    Ora, io ho molta pazienza, ma non infinita. E la metto giù nella forma più brutale:

    Esiste una scienza economica, oppure tutto dipende da come la retorica ammanta se stessa di blasoni che non le appartengono?

  5. Chiarisco, sbollito lo sconcerto.

    Se ci si può concedere di assistere a scontri e diatribe, a volte fino alla scortesia, a volte fino all’insulto, e pure alle male parole, tra economisti di “diversa estrazione”, e si dice: “…ma quello è un neokeynesiano, e quell’altro è un utraliberista di Chicago… e devi capire..”, e sia pure, ma come si può rimanere se si devono introdurre distinzioni tra neokeynesiani di sinistra, neokeynesiani liberisti e neakeynesiani moderati?
    Esiste un criterio condiviso qualsiasi oppure tutto finisce solo in scontro accademico, legittimo quanto si vuole, ma accademico?
    Siamo sempre all’anno zero per questa disciplina?

  6. Caro Matteo, può indicarmi, per cortesia, la fonte alla quale si riferisce in merito alle maggiori opportunità di investimento al Sud? Grazie. Guglielmo Forges Davanzati

  7. Chiedo scusa se non sono stato in grado di essere pronto sul pezzo, se non ora, a notte fonda.
    Vediamo. Un primo riferimento, in rete e discorsivo, potrebbe essere:
    http://goofynomics.blogspot.it/2013/01/qed-18-frenkel-goes-to-slovenia.html
    Cercherò, se riesco, di essere più specifico, ma intanto già così, e confrontando, non si sa cosa pensare.

  8. Completo.
    Ecco, insomma, è come se anche internamente ad ogni filone, leale, di impostazione dei problemi si replicasse la natura enciclopdica che ha come esito sempre solo l’erudizione. Basta, ad esempio, inglobare, o non saper rinunciare a, una delle prime due ipotesi che si trovano in:
    http://www.treccani.it/enciclopedia/squilibri-regionali_(Enciclopedia-delle-scienze-sociali)/
    L’ipotesi qui riportata, del “modello neoclassico”, mi è sembrato fosse, appunto, utilizzata all’occorrenza, quando serve.

  9. Caro Matteo, la ringrazio per l’informazione. Al momento, mi limito a queste considerazioni. Fermo restando che, in una prospettiva teorica keynesiana, si ritiene che, in assenza di interventi esterni, non si raggiungano configurazioni di “equilibrio” (v., in particolare, Myrdal sul tema trattato qui), occorre considerare che i) ovviamente possono esistere controtendenze e ovviamente ogni Paese/area geografica ha le sue peculiarità; ii) in merito al commento di Bagnai, occorrerebbe capitale quali capitali sono affluiti in Slovenia (schematicamente: a bassa o alta intensità tecnologica). In ogni caso, la “tendenza generale” – convinzione di tutti gli economisti “eterodossi”, ampiamente suffragata dall’evidenza empirica – è la crescente concentrazione geografica del capitale. Mi scuso da ora se nei prossimi giorni non potrò rispondere. Un saluto cordiale, Guglielmo Forges Davanzati

  10. strano…..strano
    il sud che spreca??? mai sentito…
    e l evasione fiscaleeeeeeeeeeeeeeeeeee??? ehhh dove la mettiamo??
    http://www.4minuti.it/news/editrice-europea-srl-meno-tasse-basta-guerra-evasione-0078070.html

  11. […] ha sicuramente giocato a favore, dimostrando, anche, la reattività dell’economia meridionale. Una maggior dose di investimenti al Sud è da anni auspicata da economisti come Guglielmo Forges Dav…, precisando che debba trattarsi di investimenti pubblici perché, a suo avviso, gli investimenti […]

  12. […] giocato a favore, dimostrando, anche, la reattività dell’economia meridionale. Una maggior dose di investimenti al Sud è da anni auspicata da economisti come Guglielmo Forg…, precisando che debba trattarsi di investimenti pubblici perché, a suo avviso, gli […]

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