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Smontiamo i luoghi comuni (3): il keynesismo è inattuale a causa degli elevati debiti pubblici?

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Gli elevati debiti pubblici hanno origini differenti. In paesi vittime delle bolle, essi sono cresciuti poiché gli Stati hanno acquistato i debiti privati nel momento in cui hanno salvato le banche. Secondo la Banca Mondiale, mediamente i salvataggi sono costati il 12,8% del PIL delle nazioni coinvolte.

In Italia, invece, l’origine del debito pubblico è in gran parte addebitabile al divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia agli inizi degli anni ’80, che ha comportato l’aumento dei tassi di interesse. Questa origine, come è evidente, non ha nulla a che vedere con le proposte di politica economica di Keynes e anzi è il risultato di teorie opposte, che vedono l’inflazione come un fenomeno di origine esclusivamente monetaria e quindi controllabile tenendo a freno l’offerta di moneta. Tali teorie, di origine monetarista, prescrivono pertanto l’indipendenza della banca centrale e sconsigliano la monetizzazione dei deficit pubblici. Lo statuto della BCE è l’espressione più radicale di questo assunto.

E’ utile ricordare, peraltro, che quando Keynes sosteneva la politica di deficit spending, il debito pubblico britannico sfiorava il 180% del PIL. A parte il Giappone, oggi nessun paese industrializzato arriva a questa quota, neppure la Grecia.

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Il Giappone ha un rapporto tra debito e Pil oltre il 220%, tuttavia il tasso d’interesse sui titoli di Stato del Sol Levante è bassissimo, circa l’1%, in discesa dal 2006 (quando raggiungeva il 2%). I motivi sono principalmente due:  1) la Banca centrale giapponese, a differenza della BCE, compra titoli di stato; 2) il 95% del debito pubblico è detenuto da soggetti giapponesi. In altre parole il debito dello Stato è quasi solo debito con i cittadini, le imprese e le banche del paese, oppure con la Banca Centrale e altre organizzazioni governative, quindi in definitiva con se stesso. Questo non significa che il Giappone sia in buone condizioni, al contrario è in declino da molti anni, ma anche con un debito pubblico “stellare”, i suoi problemi di solvibilità sono giudicati dai mercati molto remoti. E’ degno di nota il fatto che, per risolvere il declino giapponese, il nuovo governo del premier conservatore Shinzo Abe ha recentemente deciso di attuare politiche di spesa di stampo keynesiano e imposto alla Banca Centrale di perseguire politiche monetarie espansive, elevando il target d’inflazione.

In una situazione simile si trovano ora gli USA, con un debito crescente ormai intorno al 100% del PIL, ma con tassi di interesse sui titoli ai minimi storici, anche grazie all’intervento della Banca centrale (la Federal Reserve).

Debito/PIL e tassi di interesse nominali sui titoli di stato USA

Debito/PIL (blu) e tassi di interesse nominali sui titoli di stato a lunga scadenza (rosso) negli USA

Il debito pubblico dei PIIGS è invece un problema poiché questi paesi non controllano la propria moneta, ma sono in una Unione monetaria dove la Banca centrale subisce enormi freni normativi e politici alla monetizzazione dei debiti pubblici. L’accumulo di debito con l’estero, in particolare con la Germania, è denominato in una valuta non sotto il controllo degli Stati, perciò tecnicamente “estera”. La situazione è estremamente simile a quella dei paesi in via di sviluppo che, durante i decenni passati, si sono pesantemente indebitati in valuta estera.

Infine, la controprova: le politiche di rigore imposte ai paesi periferici europei non hanno ridotto il rapporto debito/PIL, poiché il PIL è tornato a scendere in conseguenza dei tagli alla spesa pubblica e dell’aumento delle tasse, come ha ammesso anche il Fondo Monetario Internazionale. L’Europa si ritrova oggi in una situazione peggiore che nel 2010, quando invece sembrava essere iniziata la ripresa.

Lo stesso si può dire della Gran Bretagna che si è autoimposta una politica fiscale fortemente restrittiva, facendo tornare l’economia in recessione (anche se ha adottato una politica monetaria espansiva).

In conclusione, torna quindi di attualità il monito di Keynes nel 1933:

E’ un grossolano errore credere che le politiche per aumentare l’occupazione e quelle per portare il bilancio in equilibrio siano incompatibili. E’ vero piuttosto il contrario. Non c’è possibilità di equilibrare il bilancio eccetto che con l’aumentare il reddito nazionale, che corrisponde in gran parte ad un incremento di occupazione”

L’ideale sarebbe costruire un largo bilancio europeo, ben superiore all’attuale 1% del PIL, e un tesoro europeo che possa finanziarsi presso la banca centrale, come avviene in tutti gli stati federali. Questa soluzione tuttavia trova per ora insuperabili resistenze nella Germania e nei paesi del “centro”. Per questo, in mancanza di una soluzione che vada oltre l’intervento della BCE, i paesi periferici potrebbero valutare negativamente il rapporto costo/benefici dell’Euro, inducendo gli investitori a temere nuovamente l’instabilità dell’eurozona.

In conclusione, il problema del debito pubblico è marginale nella crisi europea. Al contrario, è proprio l’austerità, cioè la politica economica opposta a quella keynesiana, che sta aggravando la crisi e, potenzialmente, mette in dubbio la tenuta dell’area euro.

13 commenti su “Smontiamo i luoghi comuni (3): il keynesismo è inattuale a causa degli elevati debiti pubblici?

  1. right for the wrong reasons. ;)
    Warren Mosler
    please read this if you can:
    http://www.moslereconomics.com/?p=8662/

  2. In Italia, il divorzio tra Tesoro e banca d’Italia è stato reso necessario dallo spreco clientelare dello stato, che raggiungeva il parossismo all’approvazione della Finanziaria, che diventava un omnibus cui ogni parlamentare attaccava il contributo al festival locale e al localissimo istituto di studi sulle baggianate. per farsi bello nel collegio.

    • a beh, da allora clientelismo e corruzione sono crollati in effetti

    • Il divorzio non puo’ tecnicamente avere inciso sulla spesa pubblica (o il disavanzo).
      Il divorzio sanci’ semplicemente che i tassi di interesse passavano completamente sotto il controllo della Banca d’Italia.
      Un vincolo al disavanzo fu, semmai, il cambio fisso col marco.
      E naturalmente, come sappiamo, un vincolo ancora piu’ stringente e’ l’euro.
      Come commenta Diego, il costume della politica non e’ certo cambiato da allora.
      Che il divorzio (o l’euro) dovesse servire a moralizzare la politica e’ un’inutile leggenda.
      La morale in politica ce la dobbiamo cambiare noi.
      E una politica fiscale di piena occupazione aiuterebbe..

      • Non ho capito l’affermazione secondo la quale “Il divorzio sancì semplicemente che i tassi di interesse passavano completamente sotto il controllo della Banca d’Italia”.

        Direi piuttosto il contrario: venivano demandati completamente ai mercati finanziari. Contribuendo in tal modo ad aggravare il debito pubblico.

      • Chiaro: il divorzio servì essenzialmente a far si che la BC fosse dotata di tutti gli strumenti per mantenere la parità di cambio, come appunto l’interesse sui TdS per attrarre valuta estera.
        La mia intuizione è però che il punto non sia nemmeno tanto cambio fisso o flessibile, ma che passammo dal “dollar standard”, cioè un sistema basato su una valuta espressione di un’economia che finanziò la ricostruzione fondamentalmente giocando su un determinato equilibrio tra inflazione e occupazione sulla curva di Philips, al “mark standard” che era ed è tuttora l’esatto opposto, cioè l’espressione di un’economia che basa la crescita sul mercantilismo, dunque bassa inflazione, maggior compressione salariale e dunque maggior competitività sull’export.

  3. Mi convince la necessità di costruire un largo bilancio europeo. Forse l’affermazione che il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia agli inizi degli anni ottanta ha comportato l’aumento dei tassi di interesse meriterebbe una analisi con dati e grafici anche per isolare questo fattore dell’aumento del debito da altri che potrebbero, in parte, anche precedere il periodo indicato (malcostume, costo di alcuni settori del parastato, che ne hanno poi comportato la liquidazione in toto, calamità naturali tipo ad esempio il terremoto in Irpinia, prepensionamenti e via dicendo).

    • I dati ci sono. Ciò che è cresciuta dopo il divorzio è la SPESA PER INTERESSI, non quella PRIMARIA che è rimasta IN LINEA con la MEDIA EUROPEA. Ergo è stato il divorzio a far CRESCERE in maniera ABNORME il DEBITO PUBBLICO. Prima del 1981 il DEBITO PUBBLICO si aggirava intorno al 60% del PIL, ossia IN LINEA coi PARAMETRI DI MAASTRICHT.
      Da dopo la SVALUTAZIONE del 1992 i TASSI DI INTERESSE ( e quindi anche la relativa SPESA ) sono CALATI fino ad AUMENTARE di nuovo in seguito alla crisi del 2011.
      Morale: paradossalmente sono stati i VINCOLI VALUTARI e di BILANCIO imposti dallo SME ( 1979-1992 ) e dall’EURO a far AUMENTARE il DEBITO PUBBLICO, non certo gli SPRECHI e compagnia cantante.

    • Un BILANCIO FEDERALE EUROPEO è 1 IDEA totalmente improponibile perchè significa per la Germania accettare di PERDERE il GUADAGNO maturato con l’adozione dell’EURO in termini di SURPLUS COMMERCIALE con gli INTERESSI. Paradossalmente di fronte a 1 proposta del genere per la Germania sarebbe + conveniente riprendersi il Marco perchè in tal caso la PERDITA ci sarebbe comunque ma sarebbe INFERIORE.

  4. Io, invece, credo che il deficit spending dello stato sociale, col conseguente super indebitamento pubblico sia stato reso possibile dal fiatmoney, cioè dalla possibilità di creare denaro dal nulla. E cioè da quando il 15 agosto del 1971, il presidente Nixon chiuse la convertibilità del dollaro di carta con l’oro di Fort Knox per continuare a finanziare la guerra del Vietnam. Viviamo da oltre 40 anni in un esperimento monetario criminale. Il denaro di carta non sostenuto da alcun asset reale. Le conseguenze di lungo periodo sono sotto gli occhi di tutti. Jacques Rueff scrisse in proposito nel 1972 del peccato originale dell’occidente, e già Luigi Einaudi aveva raccomandato nel 1944 il ritorno al denaro onesto, sano, convertibile in un dato peso di oro, noto a tutti per evitare la corruzione del mezzo di scambio e tutte le degenerazioni finanziarie che ne sarebbero derivate. Proprio ciò che vediamo oggi.
    Ma questo non è keynesismo socialista e neppure liberismo monetarista. È la teoria economica della Scuola Austriaca. Prima di tutto va compreso cosa è il denaro e come è nato. Il denaro è una merce, in particolare la merce con la quale scambiare tutte le altre. Manipolare il prezzo della merce più importante, cioè affidare ad un pianificatore centrale, la banca centrale, la determinazione del tasso di interesse, cioè del prezzo del denaro, significa manomettere il libero mercato. Se esiste una banca centrale il mercato non è libero di fissare i prezzi, ma è distorto dalle decisioni dei banchieri centrali. Non ci vuole molto a capirlo, e spero di aver instillato un minimo di dubbio e di curiosità al lettore di mente più aperta.

  5. […] al 143,8% del PIL (per inciso, si noti che ciò smentisce la cantilena di coloro i quali sostengono l’idea che “il mondo di Keynes” era fatto di paesi con debiti pubblici molto più … di quelli […]

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