di Riccardo Realfonzo, da ilfattoquotidiano.it
C’era chi, forse punito dal torrido sole agostano, già vedeva la ripresa per l’economia italiana. E tra questi certamente va annoverato il ministro Saccomanni. Ora arriva la doccia fredda. L’Ocse ci riporta con i piedi per terra, formulando una previsione di contrazione del Prodotto interno lordo italiano a fine anno di ben 1,8 punti percentuali rispetto al già drammatico 2012. Nell’ultimo rapporto, l’Ocse descrive una economia europea in fase congiunturale favorevole, in lieve ripresa, ma ancora esposta a gravi rischi per i consistenti squilibri interni e la debolezza del settore bancario. Ma in Italia, e il giudizio si può estendere all’insieme delle aree periferiche d’Europa, la congiuntura favorevole significa solo un minore ritmo di contrazione dell’economia. E infatti, anche nel terzo e nel quarto trimestre del 2013 l’andamento del Pil italiano registrerà il segno negativo. Altro che ripresa…
Ancora una volta, insomma, le previsioni governative, viziate dall’illusione che le politiche di austerità possano risultare espansive, sono erronee. Rispolveriamo la memoria. All’indomani della approvazione della “manovra salva-Italia” descritta come uno “sforzo per la salvezza e il rilancio del Paese”, nel dicembre 2011, il governo Monti prevedeva una caduta del Pil di un punto percentuale nel 2012 e una ripresa di mezzo punto per quest’anno, grazie all’impatto sulla crescita delle straordinarie riforme messe in atto. Ma lo stesso governo Monti fu costretto a tornare rapidamente sulle sue previsioni solo dopo pochi mesi, nel settembre del 2012 prendendo atto che la caduta della produzione nel 2012 avrebbe largamente superato il 2% e prevedendo per il 2013 una economia sostanzialmente invariata (-0,2%). La previsione contenuta invece nel Documento di Economia e Finanza approvato nell’aprile scorso rivede nuovamente i conti del 2013, formulando una previsione di riduzione del Pil dell’1,3%, ma promettendo per il 2014 una robusta ripresa, con un incremento del Pil di pari valore. Ed è su questi assunti – si badi bene – che il governo ha sin qui proceduto nell’esame delle manovre compatibili con gli equilibri di finanza pubblica, come ad esempio per ciò che riguarda l’IMU. Un esame che oggi si rivela, alla luce dei dati Ocse, del tutto ottimistico, da rifare, visto che il Pil dovrebbe cadere in misura ben maggiore a quanto previsto dal governo (quasi due punti) e che per il 2014 è del tutto illusorio ipotizzare una ripresa superiore al punto di Pil.
Dobbiamo stupirci per questi dati così negativi? Assolutamente no. Tutta quella parte dell’accademia italiana che rifiuta i dogmi e non subisce il fascino della dottrina neoliberista dell’“austerità espansiva” sin dal 2010 – quando circolò una “Lettera” sottoscritta da oltre 300 studiosi – ha chiarito che le politiche di austerità, con le quali si pretende di mettere in ordine la finanza pubblica dei paesi periferici d’Europa, sono come la classica cura che ammazza il cavallo. E poi i calcoli degli economisti keynesiani hanno colto perfettamente nel segno. Un anno fa – sulla base di modelli che assumevano valori opportuni degli effetti restrittivi delle politiche di austerità sulla domanda e dunque sul Pil (e cioè valori piuttosto elevati dei moltiplicatori delle politiche fiscali) – Roberto Romano ed io avevamo previsto per l’economia italiana una contrazione del Pil del 2% per il 2013. Come volevasi dimostrare.
i miracoli o ci sono i santi che li fanno veramente oppure sono solo illusione come dargli torto (all,autore dell,articolo) se in un paradigma come quello neoliberista ci sono propio sul piano teorico un sacco di lacune, e se i loro stessi paradigmi fanno acqua da tutte le parti, e non sono in grado di spiegare le storture del
meccanismo da loro stessi voluto…..l,europa mi sembra come quella donna che pur sapendo di avere nella pancia un bimbo malato rifiuta di abortire…..ma oltre questo mi chiedo se la crescita anche di quel punticino non arriva ,è in grado l,europa a resistere ad un,altro inverno “economicamente parlando”??
E come mai voi che prevedevate questo tracollo, voi che capite cosa sta veramente succedendo – cioe’ SUICIDIO ECONOMICO AUTO-INFLITTO per mano dell’euro e dell’idiozia politica, perche’ NON COMINCIATE A DIRE TUTTA LA VERITA’?
E’ tutto da rifare, basta col prendersi in giro e menzionare moltiplicatori, e quant’altro. Il tempo stringe, la nave affonda, gettiamo le scialuppe e torniamo a riva, impegnatevi seriamente per il ritorno alla sovranita’ monetaria!
Lo sforzo volenteroso e a tratti disperato di far vedere che esiste un altro modo di vedere il problema della crescita rispetto a quello gestito dai vari governi, ormai sembra inutile. La visione neoliberista dell’economia è ormai penetrata, foraggiata, premiata e diffusa in tutti i settori della società.
Naturalmente alcuni di noi leggono con piacere e condividono questi sforzi, ma si ha come l’impressione di essere soli, non ascoltati e neppure confutati, insomma il pensiero non liberista di fatto è diventato “trasparente”, invisibile agli occhi di chi oggi governa e comanda in Italia
Come fare? Certo non ho idea di quali possano essere linee alternative di comportamento diverse dal continuare a scrivere e far vedere le cose come stanno. Ma di una cosa sono ormai convinto: che condizione necessaria ma non sufficiente deve essere “l’eliminazione” dalla scena politica della vecchia (non solo di età) classe dirigente che ha governato l’Italia negli ultimi 20 anni, senza alcuna eccezione partitica.
Qualunquismo? Sono tutti uguali? Ebbene sì, sono tutti uguali, almeno, ma non solo, rispetto al modo di come vanno gestiti i problemi economici in Italia.
sono d,accordo con te quanto in casa hai problemi alle tubature chiami gli idraulici non i barbieri se il problema e carenza politica ed economica chiami politici ed economisti quelli che ci sono li mandi a fare i barbieri
Vorrei tanto che non si trattasse solo di una gara a chi indovina i moltiplicatopri più aderenti alla realtà.
Il nostro Paese gareggia per il record Europeo, se non mondiale, della pressione fiscale, di quella contributiva, della corruzione, dell’iniquità sociale, dell’inefficienza e dello sperpero.
Oggi è uscita la nuova classifica della competitività dei Paesi, l’Italia è al 49° posto. Si capisce bene cosa significa? In soldoni significa che mentre altrove è sufficiente mettersi a lavorare per portare avanti un business di qualche successo, da noi invece è indispensabile l’eccellenza assoluta per poter sopravvivere. Una differenza non di poco, no?
Evitando quindi accuratamente di perdere tempo con dogmi paradigmi e moltiplicatori mi piacerebbe che ci si limitasse al buon senso, ovvero ad occuparsi a cambiare ciò che non va. Sarebbe cosa non solo molto più semlice, ma anche foriera di risultati concreti. Diversamente avremo solo l’icoronazione a Re del nulla di quanti avranno avuto ragione “questa volta”, che una volta incoronati diventeranno a loro volta quelli che ci trascineranno nel prossimo errore e nella prossima crisi.
Al di là delle dottrine economiche, più o meno giuste, resta il fatto che il nostro Paese ha bisogno di riforme vere, strutturali, e fino ad ora non è stato in grado di farle.
Troppi orticelli e troppa debolezza da parte di chi dovrebbe fare da buon padre di famiglia per tutti, cioè chi ci governa (in senso lato, non mi riferisco al povero Letta, che mi sembra una brava persona).
Hohenstaufen
Troppo facile, dietro la parola riforma c’è di tutto. Bisogna sapere cosa e se riformare, per quale scopo, valutarne le conseguenze economiche e sociali e così via. Non è una battaglia religiosa fra moltiplicatori o teorie economiche dell’accademia, è un approccio diverso che si può avere ai problemi e quindi alla valutazione delle riforme se farle e quali fare.
Quanto alla competitività e alle classifiche il fatto che la Lituania e le Barbados siano avanti a noi non credo che debba preoccupare, ciò che dovrebbe preoccupare è sapere perché le nostre imprese chiudono. Forse perché spostano la produzione in Romania? Allora non c’è nulla da fare, i nostri costi per certe produzioni saranno sempre enormemente superiori se non della Romania, della Lituania, del Vietnam, della Cina e così via. Se invece chiudono perché chi prima acquistava i loro prodotti non li acquista più perché non ha le risorse per farlo, allora qualcosa si può fare e non si fa, anzi la politica sinora fatta si è mossa proprio nel segno opposto.
Quanto ad aspetti sociali (criminalità, corruzione, evasione fiscale, inefficienza e così via) potranno essere affrontati in modo credibile soltanto con la sparizione di questa classe politica che, come ora impegnata nel dibattito se salvare o meno Berlusconi, permette a qualsiasi evasore fiscale, truffatore o corrotto di avere la coscienza a posto e sentirsi protetto.
“Troppo facile, dietro la parola riforma c’è di tutto”.
Corretto. “Riforme” è diventato uno slogan che in realtà non significa più nulla; se non che si vuole trovare una scusa per mettersi al posto di chi c’era prima, o per giustificare il proprio permanere in posizioni di potere nonostante non si sia fatto nulla fino a quel momento0.
Per il resto. Sono convinto che un certo tipo di produzioni, quelle il cui successo è strettamente legato ai costi, proprio non possano restare in Italia. Ma sono convinto anche che esistano imprenditori che sarebbero ben lieti di iniziare o continuare a lavorare qui, purché possano ricavarne qualche soddisfazione o almeno non avere la sensazione di stare lavorando e rischiando quasi esclusivamente per qualcun altro.
Cosa è una riforma strutturale? Sta diventando un concetto vago e pericoloso?
Intanto, cosa è questa crisi? La sostanza di questa crisi, intendo dire. Un’impresa chiude: per me questo è il fatto fondamentale, tutto il resto è una conseguenza, non la causa. La causa del perché chiude un’azienda? Non vende come prima, né più né meno! Che c’entrano burocrazie, riforme, mala politica e sciocchezze varie? Per cinquanta anni quella azienda ha convissuto con tutte queste cose cattive, ed è andata a gonfie vele. Cosa è cambiato? La merce non si vende!
E’ CRISI DI SOVRAPPRODUZIONE, CRISI DI RICCHEZZA TROPPA, DI MERCE PRODOTTA E IMMAGAZZINATA, di 1,3 automobili per ogni cittadino, di 2-3frigoiferi per ogni famiglia, di cinque vani almeno per ogni abitante, di milioni di case sfitte, di milioni di seconde case al mare e alla montagna. Chilometri di autostrade, viadotti e gallerie, città gonfiate oltre misura, spiagge cementificate, montagne cementificate …
Per favore, non raccontatemi le solite sciocchezze!
In un momento di crisi si ha ovviamente una capacità produttiva potenziale molto più elevata della domanda. Il problema è capire se questo avviene per un eccesso di offerta (sovrapproduzione) o una scarsità di domanda.
Non è un problema semplice, infatti nel primo caso si tratta di ristrutturare completamente i settori produttivi, adeguandoli a una domanda (teorica e pagante) strutturalmente stagnante, questo implicherebbe trasformazioni economiche, politiche e sociali di una portata enorme.
Il secondo caso è più semplice, si tratta di trasformare domanda e bisogni teorici in domanda pagante, una adeguata politica keynesiana potrebbe risolvere il problema.
Mi sembra che a livello mondiale, ma anche nei paesi sviluppati, il secondo caso sia più attuale.
Ma è vero, e ne sono convintissimo, che prima o poi (volente o nolente) il mondo si troverà a dover limitare la crescita (probabilmente crescita zero o negativa) per cause strutturali legate essenzialmente a problemi di sostenibilità ecologica.
Questo potrà avvenire solamente attraverso drastici cambiamenti di abitudini di vita e di assetti produttivi. Cambiamenti che, se gestiti con largo anticipo potrebbero addirittura migliorare la qualità della vita, mentre se lasciati al “libero mercato della natura” avrà come vittime la popolazione mondiale e come vincitrice la natura, con o senza il genere umano.
pero una cosa la vorrei dire che le persone che si incontrano tutti i giorni non si lamentano del fatto che è costretta a consumare di meno (anzi questo molti lo ritengono addirittura positivo,se questo non va a sconvolgere la propia vita) come sta avvenendo,dove non si sta limitando il surplus di chi consuma in modo smisurato ma si sta colpendo il consumo indispensabile delle persone meno abbiente,è da anni che si dice che il consumismo portato all,eccesso è una stortura,ma se vuoi meno consumismo senza sconvolgere nel frattempo la vita delle persone devi creare occupazione propio sul tempo libero e la cura della persona ,oltre che sulla green economia e nuove tecnologia che vadano impiegate per salvaguardare l,ambiente …..ma noi ci preoccupiamo della redditivita del capitale….
In realtà sarei molto d’accordo con PNGregorace. Però devo riconoscere che si rischia di trascendere nell’ideologia (anche se lo dico solo per evitare polemiche: io non credo che si tratti di ideologia, bensì di realtà evidente ed innegabile). Per cui mi attengo ai fatti che non possono essere messi in discussione e dico: iniziamo ad eliminare le storture, magari qualcosa migliora e soprattutto non si rischia di fare danni.
Io sarei anche più pessimista, questa crisi non finirà mai, a meno che non si decida a livello globale di cambiare modello di sviluppo. Il capitalismo è morto, non è più in grado di rispondere alle esigenze delle popolazioni, anche le più elementari. Troppo basato sulla crescita esponenziale si è riavvolto su se stesso. Domanda, esiste qualcosa che può crescere all’infinito? Risposta, no. Il capitalismo ha toccato il tetto, oltre c’è il vuoto.
Domanda, esiste qualcosa che può crescere all’infinito?
Risposta, SI: i numeri.
Circa il 70% del PIL è composto da servizi che hanno enorme spazio di crescita.
E’ bene prenderne atto, perchè altrimenti il Diritto sarà sostituito dal Codice Feudatario.
…e siamo sulla buona strada!
Mi scusi, sarebbe così cortese da farmi un esempio o due di questi “servizi che hanno enorme spazio di crescita”?
Sono curioso di capire. Si tratta di cose utili? Migliorerebbero la vita di chi ne fruirebbe? Chi dovrebbe pagarli?
C’è anche un’altra cosa che non capisco, la questione dei “numeri” che possono crescere all’infinito. Questi numeri, si possono mangiare?
Credo si riferisca ai servizi immateriali che comunque, se direttamente o indirettamente si servono di un’attività umana, costano in termini di risorse.
Credo in effetti che siano i servizi che daranno la possibilità di migliorare la qualità della vita a costi decrescenti.
Mentre il benessere quantitativo ha dei limiti, quello qualitativo no e da sempre l’uomo ha dedicato parte, spesso considerevole, della sua attività alla produzione di qualità della vita.
Purtroppo il sistema capitalistico è basato sulla quantità e la qualità (vera o indotta) è utilizzata soltanto come mezzo di accrescimento della quantità.
La decrescita felice è bella come idea, ma incompatibile con l’attuale modo di produzione mondiale.
Intendevo dire esempi concreti.
Resta aperta la questione dei numeri. Ho una formazione tecnica, con i numeri ci ho litigato per anni ed anni, se si potessero mangiare sarei grassissimo.
Volendo invece restare sull’astratto: anche se pensiamo alla qualità della vita, ed anche se ci pensiamo come a qualcosa di completamente avulso da effetti legati alla quantità (forse varrebbe la pena di parlare di variabili estensive), mi viene il dubbio che oltre un certo limite la qualità della vita non possa dipendere più da apporti esterni.
Certamente gran parte dei servizi, come li conosciamo, ha bisogno di risorse non rinnovabili e quindi sono destinati a essere trattati come le altre merci. Al massimo si può fare un confronto su chi ne utilizza di più.
La qualità della vita però non dipende necessariamente da questo tipo di servizi, ma addirittura potrebbe essere legata alla conservazione delle risorse. Faccio un esempio, ma se ne potrebbero fare di altri, se la qualità della vita fosse legata a passeggiare in un bosco, in alternativa a usare un SUV, il mantenimento dei boschi entrerebbe nell’attività per una migliore qualità della vita a scapito della produzione di SUV.
È indubbio però che molta parte anche della semplice sopravvivenza umana è attualmente legata al consumo di risorse non rinnovabili. Quindi anche una popolazione a crescita zero o negativa comunque porterebbe a un esaurimento delle risorse, qui l’unica via di salvezza per l’umanità sarà la tecnologia in grado di allontanare indefinitamente l’esaurimento delle risorse. Ci riusciremo, boh, non credo possano essere fatte previsioni.
Quanto mi piace questa vaghezza di concetti.
Se si tratta di risorse non rinnovabili, l’unica risposta possibile è: NO. Per definizione.
Al massimo la tecnologia potrebbe (il condizionale è quanto mai d’obbligo) prolungarne la durata. Un esempio facile facile: quello del petrolio usato per autotrazione. La tecnologia permette di avere motori più efficienti; ma anziché usarla per ridurre il consumo di combustibile, all’atto pratico la si usa per realizzare vetture più potenti e pesanti.
D’accordissimo anche con klaus ma vale la stessa considerazione: i fatti sono una cosa, l’ideologia un’altra (anche se, come detto, di fatti si tratta; ma non credo che tutti siano della stessa idea).
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guardate un punto di vista differente
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