Capita spesso di sentire dire che in Italia la tassazione sulle imprese sia eccessiva, anzi opprimente, e che ciò sia uno dei fattori che rendono poco competitivo il nostro paese, in particolare nell’attrarre gli investimenti esteri. Pochi si chiedono però se sia davvero un bene attrarre tutti questi investimenti. Forse uno sguardo a quanto accaduto all’Irlanda dovrebbe indurre a più miti consigli.
Una statistica molto citata a proposito della tassazione sulle imprese è il “total tax rate” calcolato dalla Banca Mondiale. Secondo questa classifica, l’Italia sarebbe il quindicesimo paese al mondo per imposizione sulle imprese, con il 68,3%.
E qui iniziano i problemi. Secondo la statistica infatti ben 4 paesi hanno una tassazione superiore al 100% (Congo, Zambia, Comores e Argentina). L’Argentina, che prima del 2008 ha conosciuto un’impetuosa crescita economica, tasserebbe i profitti al 108%. Evidentemente nessuna impresa potrebbe sopravvivere ad una imposizione simile.
Scorrendo ancora i dati si scopre che in Brasile le imprese pagherebbero più tasse che in Italia (69,3%) ma pare che questo non spaventi così tanto gli imprenditori, neanche quelli stranieri. Anche la Cina si difende bene con il suo 63,7%. La Colombia, notoriamente considerata un’isola liberista in un subcontinente socialista, tasserebbe le imprese al 74,4%. Non male.
Ma il ridicolo arriva quando troviamo, tra i paesi nemici del profitto, le Isole Marshall, che con il loro 64,9% si collocano ai primi posti tra i campioni del socialismo reale del XXI secolo. Solo che basta una scorsa a Wikipedia per scoprire che le Isole sono in realtà un “paradiso fiscale”:
Per la bassa imposizione fiscale attuata ed, in particolare, per l’assenza di norme e misure restrittive di controllo sul versante delle transazioni finanziarie, le Isole Marshall sono annoverate tra i cosiddetti “paradisi fiscali”. Infatti (unitamente alle Filippine, Isole Cook, Liberia, Belize, Montserrat, Nauru, Niue, Panama, Vanatu, Brunei, Costa Rica, Guatemala e Uruguay) sono le 14 giurisdizioni che, in base all’ultimo Rapporto del giugno 2010 dell’Organizzazione con sede a Parigi, ancora figurano nella cosiddetta lista grigia dell’Ocse sotto la voce tax haven e centri finanziari. Anche il sistema fiscale italiano, col Decreto Ministeriale 04/05/1999, l’ha inserita tra gli Stati o Territori aventi un regime fiscale privilegiato, cosiddetta Black List o lista nera, ponendo quindi limitazioni fiscali ai rapporti economico-commerciali che si intrattengono tra le aziende italiane ed i soggetti ubicati in tale territorio.
Perché accade che una statistica tanto inverosimile – probabilmente a causa delle normative estremamente eterogenee – venga presa per buona e sventagliata ovunque, ad esempio In un recente editoriale del Sole24ore, in un recente articolo di Repubblica, o in un articolo di un autore di Noise from Amerika?
La risposta è che la gente prende per buono ciò che conferma le proprie opinioni, un po’ come coloro che considerano una prova dell’esistenza di Dio l’apparizione del volto di Cristo su una fetta di pane tostato.
E’ vero, le tasse su chi produce in Italia sono eccessive. Lo sono anche sul lavoro, non solo sull’impresa. Ma il problema non è solamente la percentuale di tasse che i contribuenti pagano, ma quanto lo stato spende a fronte del gettito fiscale ricevuto. E come abbiamo sottolineato molte volte, un paese che da 20 anni toglie all’economia reale per dare alla rendita non farà mai nessun passo in avanti, quand’anche riuscisse a ridurre l’imposizione sulle imprese. Ironicamente, il total tax rate calcolato dalla Banca Mondiale per l’Italia è sceso dal 77,5% del 2005 al 68,3% del 2012. Qualcuno ha visto più crescita da allora?
[…] Pubblicato da keynesblog il 6 agosto 2013 in Economia, Global, ibt, Italia […]
Se le condizioni generali fossero rimaste invariate, ci sarebbe stata sicuramente la crescita. I numeri non mentono mai, ma spesso non vengono interpretati in maniera corretta e obbiettiva. Vi prego di non abbassarvi al livello dei vostri avversari “sovranisti” e populisti.
il problema italiano non è la tassazione sulle imprese, ma quella sul lavoro, inps e irap comprese.
Prova a fare l’imprenditore per un anno e poi ne riparliamo
Tu invece prova a fare il precario a vita, poi ne riparliamo
L’una non elide l’altra. Io voglio meno tasse su imprese e lavoratori. Sei tu che vuoi ipertassare le imprese e poi ti lamenti che sei precario
perdonatemi l’ingenuità, conoscevo la statistica ma non la buffa classifica…come è possibile che un ente internazionale serio (e lo dico perchè un mio caro amico si occupa proprio di rilevamento dei dati per i paesi africani per il suddetto ente)non solo prenda per buono un valore impositivo superiore a 1 (con 0< t <1 è un nonsenso), ma che poi lo renda pubblico a discredito dell'ente stesso? non è che ci sta l'errore di calcolo? o un corretto calcolo "strategico"?
Si tratta sempre di economisti. Internazionali o no, la “serietà” è un optional. Cose simili capitano quasi esclusivamente in questo ambito.
Spesso ci si lamenta della malasanità o, comunque, dell’affidabilità alquanto relativa dell’operato dei medici. Ma se in quel campo valesse la stessa “serietà” che si vede in campo economico, sai che risate …
Al di là delle statistiche, il vero problema non è attrarre gli investimenti esteri ma trattenere gli imprenditori italiani che delocalizzano all’estero per molteplici motivi tra i quali l’eccessiva imposizione fiscale. Quello che veramente conta sono i calcoli di convenienza degli imprenditori in base ai quali vengono prese determinate decisioni strategiche. Se la tassazione è ritenuta, a torto o a ragione, eccessiva le imprese si comporteranno di conseguenza infischiandosene delle opinioni degli economisti.
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evidentemente dove è al 109% evadono
I calcoli non sono errati, la definzione di total tax rate infatti prevede che The composite total of all taxes that is owed by a taxpayer for the year. This number is essentially the penultimate point in the tax formula. It accounts for all credits and deductions due the taxpayer but not any tax payments made during the year. Total Tax has three basic components: income tax, alternative minimum tax and self-employment tax. It does not include sales or estate tax.
l’esempio mi pare ideologico per ìnon dire di m.; citare la banca mondiale senza precisare che si tratta della Banda Mondiale porta in errore..;
1) C’e’ un documento che descrive la metodologia? Ho cercato su worldbank.org, ma non ho trovato nulla. Serebbe interessante leggerlo.
2) Le tasse superiori al 100%, per quanto assurde, sono possibili. Esempio: Una azienda guadagna 100 euro. Paga 110 euro di tasse. Riceve 50 Euro di sussidi dallo stato, che magari si indebita. Non e’ chiaramente un buon modo di gestire una economia.
3) Non mi sorprende che dei paesi “anomali” (micro-stati, paesi dove non c’e’ un governo stabile e democratico ecc.) abbiamo dei valori anomali. Fra i paesi confrontabili con l’italia non ci sono sorprese:
UK 34.0%, Svizzera 29.1%, Germania 49.4, Francia 64.7%, Irlanda 25.7%, Spagna 58.6%.
4) Forse il keynesblog dovrebbe chiarirsi le idee. Quando la Work Bank pubblica qualcosa che non vi piace, come in questo caso, la presentate come un mucchio di incapaci. Quando dice qualcosa che vi va a genio (vedi https://keynesblog.com/2012/04/20/e-rimetti-a-noi-i-nostri-debiti/) la presentate come un’istituzione autorevole che fornisce dati attendibili.
Salve,
Mi sono incuriosito e sono andato a vedere come è calcolato questo tax rate e vedo che non si tratta solo delle imposte (ires+irap) rapportate all’utile lordo bensì vengono aggiunti anche i contributi inps pagati dall’azienda oltre a altre tasse che però sono già state detratte quando si è ottenuto il suddetto utile lordo.
Non è sbagliato impostare il calcolo del tax rate con questa logica?
Semmai l’utile lordo, ai fini di sapere a quanto ammonta l’incidenza totale di tasse, imposte e contributi vari sul reddito lordo, dovrebbe essere appunto al lordo anche dei contributi inps/invio che in bilancio sono già stati contabilizzati come costi.
Resto in attesa di ricevere un vostro gentile parere a riguardo.
Mario