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Il riequilibrio delle bilance commerciali attraverso l’austerità

Sin dall’inizio della crisi dei debiti sovrani in Europa, i più accreditati economisti hanno individuato negli squilibri delle partite correnti la sua ragione fondamentale. Paesi come l’Italia, la Spagna, il Portogallo, la Grecia, hanno per anni importato prodotti dal “centro” dell’Unione Europea (la Germania in particolare), accumulando così crescenti debiti (soprattutto privati) con le banche di quei paesi (un discorso a parte va fatto per l’Irlanda come accenneremo successivamente). Non si tratta quindi semplicemente di elevato debito pubblico. Al contrario. Per fare un confronto, la Spagna nel 2008 presentava un rapporto debito/PIL del 36%, la Germania arrivava al 65%. Tuttora la Spagna – può sembrare un paradosso – ha un debito pubblico inferiore alla Germania: 68% contro 81%.

Il problema è quindi nel debito con l’estero, non nel debito pubblico. Tranne il caso greco con le sue particolarità, gli investitori non erano spaventati perché ritenevano che noi o la Spagna non fossimo in grado di ripagare i debiti, ma perché temevano che l’accentuarsi degli squilibri con l’estero ci avrebbe portati fuori dall’euro e quindi incorporavano negli spread il “rischio di cambio”. Un timore che le voci dell’uscita della Grecia hanno alimentato e sui quali si è ben inserita, con effetti moltiplicativi, la speculazione al ribasso.

La competitività della Germania, all’interno di un sistema di cambi fissi come l’Euro, è stata favorita da una politica dei redditi scoordinata con il resto d’Europa. Il contenimento salariale in corso da molti anni, e che ha avuto una notevole spinta dalle riforme dell’Agenda 2010 di Schroeder, ha depresso i consumi interni (limitando quindi la penetrazione delle merci estere) e ha sostenuto significativamente la competitività delle merci tedesche. Non è quindi solo un problema di “poca produttività” o peggio di “pigrizia” dei paesi deboli. La Francia ha una produttività oraria persino maggiore della Germania (che invece è allineata alla media europea) eppure negli ultimi anni ha incominciato anch’essa a soffrire pesantemente le importazioni tedesche.

Di fronte a questo l’Europa ha scelto di “germanizzare” la periferia. I paesi meridionali sono stati costretti a pesante austerità dei bilanci pubblici e a deflazionare i redditi da lavoro. Il salario reale dei greci è diminuito del 21% dal 2010, quello degli spagnoli del 6%, quello dei portoghesi più del 10%. A noi italiani è andata meglio: meno 2%.

Ora la domanda delle cento pistole: sta funzionando? La risposta è “sì”. Il deficit delle partite correnti si è ridotto considerevolmente per tutti i paesi “PIIGS”, in proporzione alla contrazione salariale, ma solo l’Irlanda (da sempre paese esportatore, ma anche fortemente indebitato per il riflusso dei profitti delle imprese straniere) riuscirà ad avere un piccolo surplus nel 2012. Tutti gli altri, nonostante cospicue riduzioni dei redditi, rimangono sotto il pareggio.

Non vi è dubbio quindi che l’ “aggiustamento” stia avvenendo. Ma a quale costo? Al contrario della teoria dominante, la riduzione salariale non ha portato a maggiore occupazione. E’ successo semmai l’esatto opposto. In Italia, ad esempio, nel 2010 (prima dell’austerità) la disoccupazione si andava addirittura riducendo, mentre oggi è oltre 2 punti maggiore rispetto al gennaio 2011. In Spagna il tasso di disoccupazione è passato in due anni dal 18 al 24%. In Grecia dal 10% al 24%. L’Irlanda ha una disoccupazione del 14,7% mentre la gente inizia ad emigrare.

Ci sarebbe un’altra strada. La Germania dovrebbe aumentare i salari, invece che costringere i paesi meridionali a svalutare i propri. Se portasse i redditi da lavoro semplicemente ad allinearsi con la crescita della produttività accumulata in questi anni, o qualcosa di più come suggerito da Emiliano Brancaccio, si potrebbe evitare la sofferenza dei paesi meridionali. La domanda interna in Germania salirebbe, le importazioni crescerebbero, ma dell’aumento della domanda ne gioverebbero in parte anche le imprese tedesche. D’altra parte la competitività con il resto del mondo extra-UE si potrebbe mantenere svalutando l’Euro (che già è da solo su quella via). Smetteremmo dunque di farci guerra tra di noi o, per usare un linguaggio più tecnico, inizieremmo a “coordinarci”.

Senza contare che la minore pressione esercitata sui paesi più deboli attraverso un allentamento delle politiche di austerità, faciliterebbe l’attuazione politiche di investimento pubblico volte a innovare i rispettivi sistemi produttivi, migliorandone la performance competitiva e innescando per questa via ulteriori miglioramenti dei saldi commerciali con l’estero.

Questa strada “senza pene” non viene imboccata per volontà politica e interessi economici (la svalutazione delle nostre aziende rende semplice lo “shopping” e il lavoro a basso costo può tornare utile in futuro), non per mancanza di idee o strumenti tecnici.

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7 commenti su “Il riequilibrio delle bilance commerciali attraverso l’austerità

  1. Perdonate l’ignoranza, ma non è che la bilancia commerciale sta migliorando perchè, anzichè esportare di più, causa perdita del potere d’acquisto, si importa di meno? Cioè, chi qualche anno fa si poteva comprare un Audi, magari oggi compra una Panda, o più probabilmente, non si può permettere manco quella? Quali sono i termini in valori assoluti? Importiamo più beni dell’ anno scorso? Ne dubito…

  2. Il punto di svolta di una crisi di cui, sebbene abbia diverse sfaccettature, si conosce la natura, potrebbe essere l’acquisto di competitività dei beni dei paesi periferici tramite la svalutazione decisa ad hoc nei paesi “core” dell’Europa. Dico ciò perchè il lato della domanda aggregata in un’economia ,ad esempio quella italiana, non avente a disposizione né politiche monetarie,assenza di una banca in grado stampare moneta, né fiscali , a causa del patto di stabilità (PSC), può avvenire solamente da una variazione positiva della bilancia commerciale. Come dice giustamente l’articolo:sì sta funzionando ,ma a quali costi? Una disoccupazione dilagante ,dovuta anche da numerose componenti strutturali dell’economia italiana, una diminuzione dei consumi nonché degli investimenti (a causa del cd. “credit crunch”). Chiunque abbia una minima infarinatura di macroeconomia, non serve certo Krugman o Stiglitz per capirlo, si accorge che il lato della domanda ,nelle sue componenti fondamentali, è pesantemente depresso.E’ per questo motivo che sorgono dubbi sulla reale valenza economica,nonché logica, della politica economica italiana (austerità, per intenderci), la quale, sotto dictat europei, si trova più a seguire logiche politiche che economiche.

    Il dubbio,tuttavia, rimane : siamo sicuri che la Germania ,o chi per lei, accetterà un’inflazione crescente(prima nemica della BCE) per favorire la periferia europea, quando è la Germania stessa ad essere uno dei maggiori partner commerciale dei paesi in crisi?

  3. la Merkel in Germania, Fiorito qui da noi… povera Italia…

  4. […] Continua a leggere » Like this:Mi piaceBe the first to like this. […]

  5. Condivido l’articolo e mi permetto di evidenziare un punto importante, cito:
    “Al contrario della teoria dominante, la riduzione salariale non ha portato a maggiore occupazione. E’ successo semmai l’esatto opposto.”
    Analizzo: per la teoria dominante, una riduzione di salari dovrebbe facilitare le assunzioni e quindi l’occupazione…ma, aggiungo io, solo a parità di condizioni di vendita dei prodotti.
    Infatti la realtà cosa ci dice: che la riduzione dei salari (spesso cercata e auspicata), anche in termini di potere di acquisto, comporta un pauroso aumento della disoccupazione. Questo perchè sebbene (solo in apparenza) positiva per l’impresa che così riduce i salari nominali, in realtà comporta una riduzione soprattutto del Salario reale del lavoratore e quindi del reddito complessivo, che comporta quindi la chiusura di tante, troppe imprese.
    Conclusione: le soluzioni “cinesi” alla Marchionne, non possono essere il futuro dell’impresa Italia, per il bene del Paese e dell’Europa.
    Cosa fare quindi: decidere se la priorità assoluta europea deve essere il lavoro e l’occupazione. Questo è un punto fermo. Dopo ciò ripartire dall’analisi della domanda aggregata e da salari equi e meglio distribuiti.

  6. […] noti che la depressione della domanda è  il metodo con il quale si stanno riequilibrando le bilance commerciali in Europa, un riequilibrio che si sta rivelando controproducente per la stessa […]

  7. Salve a tutti nel tentativo di capirci qualcosa in più su questa crisi che investe la nostra europa (in particolare) e il mondo, mi è capitato di leggere questo chiarissimo articolo.
    Ovviamente non sono un esperto, e proprio per questo, vorrei sottoporvi ad alcune domande che,spero, possano trovare una risposta.
    La prima domanda è: Perchè la Germania, la Merkel, la BCE (che ha proprio come suo obiettivo principale la stabilità dei prezzi) sono palesemente contro una politica che abbia come compromesso un aumento dell’inflazione per favorire il riequilibrio della situazione europea e nei confronti della periferia?
    Perchè la Germania con l’applicazione di tutto questo rigore ha un indubbio vantaggio?!
    Poi vorrei sapere anche perchè se la Germania ha imposto un contenimento dei salari per favorire solo l’export, gli altri stati non hanno fatto lo stesso? Forse perchè non hanno lo stesso apparato industriale e competitivo?
    Come si è venuta a creare questa disparità nelle partite correnti delle bilance commerciali degli stati? E in fine, perchè si è scelto un cambio fisso nell’euro?!
    Grazie se qualcuno dovesse rispondermi.
    Continuo a seguire con interesse questo bel sito.

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