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Le riforme di Tsipras e Varoufakis: un addio alla logica della troika

tsipras varoufakis

Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis rappresentati come Kirk e Spock

di Romaric Godin – La Tribune del 25/02/15, traduzione di Faber Fabbris

Molti commentatori hanno visto la lista di riforme sottoposte dal governo greco all’Eurogruppo un abbandono puro e semplice delle promesse di Syriza. Una conclusione che appare più che affrettata quando si esaminano le cose in dettaglio.

Il piano di riforme del governo greco inviato alla Commissione costituisce un abbandono del programma di Syriza stilato a Salonicco nel settembre 2014? La risposta è più complessa della domanda.

Syriza, i partiti di governo e le promesse elettorali
Prima di tutto, una premessa. Nessun partito politico al mondo ha mai rispettato alla lettera il suo programma elettorale. Ricordiamo che gli impegni presi da François Hollande in campagna elettorale sono stati ampiamente rivisti (ritorno al 3% del rapporto deficit/PIL entro il 2013, lancio di un vero ‘patto per la crescita’ al posto del fiscal compact, «subordinazione» della finanza alle esigenze dell’economia reale, etc.), ma non si tratta certo di una specialità francese. Antonis Samaras, primo della classe secondo i canoni della troika e di Bruxelles dal 2012, non è affatto riuscito a mantenere la promessa di rivedere il memorandum o quella di rinegoziare il debito, che pure aveva fatto. Anche l’ammiratissima Angela Merkel ha trovato il modo di abbandonare, al momento opportuno, le sue promesse elettorali. Nel maggio 2010, dopo mesi di dibattito e di voci discordanti, la cancelliera annunciava il rinvio sine die della riduzione delle tasse, promessa della campagna elettorale 2009.
E nonostante il ritorno dei conti pubblici tedeschi all’equilibrio, i contribuenti tedeschi aspettano ancora la grande riforma fiscale che avrebbe dovuto bloccare l’«aumento subdolo» dell’imposta sul reddito, cioè il trasferimento implicito di gran parte degli aumenti salariali verso il fisco. Insomma, la politica per natura si adatta alle circostanze. Perché esigere allora dal governo greco ciò che non si osa rimproverare ad altri?


La pressione europea e i criteri di valutazione

Bisogna poi giudicare questa lista per quello che è: un documento preteso dall’Eurogruppo per ottenere un finanziamento di quattro mesi. Partendo dall’assunto che il governo greco ha sempre scartato l’ipotesi di un’uscita ‘disordinata’ dall’euro, e che avrebbe dunque dovuto accettare un compromesso, rimettere in discussione alcune promesse elettorali era inevitabile. Il punto è piuttosto capire se questa lista riduce o no in maniera significativa la capacità del nuovo governo di raggiungere i suoi obbiettivi a lungo termine: rompere con l’austerità, rilanciare l’economia, sbaragliare il clientelismo e le oligarchie economiche.
Infine bisogna giudicare questo documento rispetto a quanto la Grecia è riuscita ad evitare: vale a dire gli obblighi verso la troika sanciti dall’accordo di novembre, siglato dal precedente governo. È tenendo presenti questi criteri che bisogna leggere la lettera inviata da Yanis Varoufakis, il ministro greco delle finanze, a Jeroen Dijsselbloem, il suo omologo olandese e presidente dell’eurogruppo.

Una battaglia contro l’ingiustizia sociale
Il primo punto della lista di riforme: migliorare il gettito fiscale e ripartire il carico fiscale in modo più giusto. Questo punto è perfettamente in accordo con il ‘secondo pilastro’ del programma di Salonicco, che prevedeva di «promuovere la giustizia fiscale». Nella sua lettera, Yanis Varoufakis promette di lavorare ad una «nuova cultura della disciplina fiscale, per assicurare che tutti i settori della società, in particolare i più agiati, contribuiscano in modo giusto al finanziamento delle politiche pubbliche». La lettera precisa poi che il governo intende dotare di nuovi mezzi «la Direzione Generale delle Entrate, in particolare le divisioni sui grandi contenziosi e i grandi patrimoni». A questo si aggiunge la promessa di più intense ispezioni fiscali, di nuovi audit e di maggiori capacità esattoriali.

Queste misure tendono chiaramente a colpire i privilegi di cui godono in Grecia i più ricchi. Privilegi spesso stigmatizzati in altri paesi europei, ma che in Grecia non sono stati mai seriamente combattuti. Si tratta di una sfida epocale. In Grecia, la riscossione delle imposte è in realtà segnata da una patente ingiustizia fra dipendenti, le cui imposte sono ritenute alla fonte, e liberi professionisti; fra i più ricchi, che beneficiano di nicchie fiscali e di vaste tolleranze da parte dell’amministrazione, e i meno ricchi, molto meno protetti. [la precisazione pare superflua al lettore italiano: ma in Francia il sistema di imposizione è articolato -anche per i lavoratori dipendenti- fra ritenute alla fonte e redditi tassati ‘a valle’, n.d.t.]
Questa ingiustizia ha suscitato da una parte un sentimento d’impunità dell’oligarchia, e dall’altra un riflesso di «autodifesa» di molti contribuenti, tramite la frode fiscale. Syriza ha vinto anche insistendo su questa riforma fiscale, per un sistema più giusto; un’ambizione largamente ignorata dai precedenti governi e dalla troika. Questo piano è stato inserito -per non dire imposto- dal nuovo governo greco nell’agenda delle riforme. Gli [altri] europei possono sostenere di aver forzato la mano ad Atene, ma resta il fatto che Syriza, su questo punto, è in perfetta adesione al suo programma di smantellamento dell’oligarchia.

La lotta contro la frode e l’evasione fiscale è una lotta contro l’oligarchia
Si arriva a conclusioni simili se si guarda alla lotta contro la frode e l’evasione fiscale. I precedenti governi avevano brillato per l’assenza di vere politiche in questo settore. Vale la pena di ricordare che la famosa «Lista Lagarde”, elenco di 1.991 evasori fiscali greci con capitali trasferiti in Svizzera, trasmessa dall’allora ministra francese dell’Economia al governo greco, rimase a lungo nei cassetti. Ci vollero due anni prima che un giornalista (processato per violazione della privacy) la rendesse pubblica. Ma il governo greco era rimasto inerte, e la troika non aveva considerato opportuna una qualsiasi iniziativa a riguardo.

Questa volta, la lettera di Yanis Varoufakis promette «una definizione più larga della frode e dell’evasione fiscale, e la messa al bando dell’immunità fiscale». Promette di utilizzare le «innovazioni tecnologiche ed elettroniche» per combattere in particolare le frodi sull’IVA. Queste iniziative dovranno permettere di evitare un aumento -molto discutibile dal punto di vista economico- dell’IVA sull’industria alberghiera dal 6% al 13%, prevista dal precedente governo.

In questo ambito, quindi, il nuovo esecutivo greco è stato coerente: anche in questo caso lotta contro un’oligarchia che rifiuta da decenni di partecipare allo sforzo contributivo nazionale. Si può pensare, ad esempio, al ruolo del gran capitale all’epoca dei colonnelli, ma anche all’accelerazione della fuga dei capitali durante l’austerità, che ha scaricato le politiche restrittive sulle spalle dei più poveri, con la complicità di una troika ancora una volta atona su questo punto. La posta in gioco, come sottolinea il testo di Yanis Varoufakis, è una migliore ripartizione carico fiscale. E questo punto è perfettamente coerente con il programma di Syriza. Soprattutto, la mossa è stata ben studiata: perché ricorda a tutti che buona parte del problema non si esaurisce entro i confini greci, ma che deve essere combattuto anche nel resto della zona euro, dove si tollera, per non dire incoraggia, la concorrenza fiscale fra paesi – il cui esito è l’«ottimizzazione» fiscale delle imprese e dei privati. La Grecia non potrà lottare efficacemente contro l’evasione fiscale se l’Unione europea non lancia un’iniziativa globale in questo settore. Il successo delle riforme greche non dipende, quindi, sempre e solo dalla Grecia.

Una riforma della pubblica amministrazione diversa dalle precedenti
Il terzo cantiere indicato da Atene: la riforma della pubblica amministrazione. Anche qui, il punto è in accordo completo con il quarto pilastro del programma di Salonicco, nel quale Syriza auspicava maggiore trasparenza nell’amministrazione dello Stato. In campagna elettorale, Alexis Tsipras ha ottenuto larghi consensi popolari proprio sul tema della lotta alla corruzione. Anche qui, il bilancio dei governi che hanno collaborato con la troika è molto magro. Negli ultimi anni il clientelismo non è certo diminuito, come ha mostrato l’arbitrarietà dei licenziamenti nel settore pubblico [per la ‘spending review’, n.d.t.]. Questa volta, Varoufakis vuole promuovere una «amministrazione pubblica moderna», più efficace, in particolare attraverso più adeguate procedure di reclutamento, incoraggiando il merito, e introducendo «procedure giuste per aumentare al massimo la mobilità delle risorse umane o tecniche». Inoltre saranno introdotte procedure più trasparenti per gli appalti pubblici, regole più stringenti per il finanziamento pubblico ai partiti, sarà potenziato il contrasto del contrabbando. L’ambizione è rompere con il clientelismo che ha fin troppo dominato nella funzione pubblica greca. E non si può scorgere nessun ‘tradimento’ in questa volontà, quanto piuttosto la denuncia delle insufficienze dei governi precedenti.

Allo stesso tempo, il governo vuole archiviare l’epoca dei tagli lineari che hanno colpito salari e personale nel settore pubblico. Se nulla è detto riguardo alla ri-assunzione di una parte dei dipendenti pubblici licenziati, se di aumento dei salari [nel settore pubblico, n.d.t.] non si parla, almeno la pretesa della troika di tagliare ancora posti pubblici -ribadita ancora nello scorso autunno- non sembra più tenere banco.
Il governo greco vuole migliorare la scala delle retribuzioni in modo che, a spesa globale invariata, i salari siano più giustamente distribuiti. Anche in queste riforme si può scorgere l’intenzione di promuovere una maggiore giustizia sociale. E anche in questo caso, la logica instaurata dal nuovo governo è molto diversa (checché se ne dica e malgrado l’abbandono di alcune promesse) da quella dei precedenti governi e da quella della troika.
Questa logica ispira anche altri settori della ‘lista Varoufakis’ (in particolare sulla sanità o il mercato del lavoro, sul quale Atene rivendica il sostegno dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) e vuole creare un nuovo equilibrio tra «giustizia e flessibilità”).

Cedimento parziale sulle privatizzazioni
Sulla questione delle privatizzazioni, c’è effettivamente una concessione forte verso le «istituzioni”: Atene s’impegna a rispettare le privatizzazioni già completate, e s’impegna a portare a compimento «nel rispetto delle leggi», le aste già aperte. Questa limitazione è importante, perché permette d’immaginare migliori condizioni per le cessioni e di bloccare procedimenti inquinati da corruzione o procedure troppo rapide. Ma soprattutto il governo indica che procederà ad un «riesame delle privatizzazioni non ancora cominciate», per migliorare, a lungo termine, i benefici dello Stato. Accettando questo passaggio, l’Eurogruppo riconosce che il programma di privatizzazioni imposto non era necessariamente pertinente, e che la svendita lampo, a prezzi stracciati, del patrimonio pubblico, è stata una scelta sbagliata. Anche qui si tratta di un punto fondamentale delle promesse di Syriza durante la campagna elettorale: non vendere a tutti i costi solo per «privatizzare». Si tratta di un’altra chiara sconfessione della logica della troika.

L’imposizione della questione ‘umanitaria’ all’Europa
Infine, Atene è riuscita a far accettare e approvare dall’Eurogruppo il suo piano di gestione della crisi «umanitaria», ossia il primo pilastro del programma di Salonicco. Questa è una vittoria morale incontestabile, perché non avendo respinto questa parte della lista inviata da Varoufakis, l’Eurogruppo ha dovuto implicitamente riconoscere gli effetti disastrosi della politica sostenuta e incoraggiata dal 2010.

Il punto è ancora più significativo, se si considera che il governo Tsipras ha mantenuto le ambizioni del suo programma: accesso all’alimentazione, alla casa, alla salute, all’energia. L’aumento del salario minimo è ribadito, anche se il calendario di attuazione non compare nel programma di Bruxelles. Ma questo vuol dire che l’obbiettivo è stato abbandonato, o rinviato al momento nel quale la Grecia non avrà più bisogno del finanziamento europeo? In ogni caso è un fatto che, anche su questo, l’Eurogruppo ha approvato il principio del rovesciamento di una misura imposta dalla troika.

Delusione degli elettori? Non si direbbe…
Evidentemente, è normale che alcuni elettori di Syriza si siano sentiti traditi da questa lista di riforme. Ma non bisogna dimenticare che molti di questi elettori non si facevano, prima del voto, grandi illusioni sull’applicazione del programma. Più che un’adesione al programma di Salonicco, il voto per Syriza è stato un voto contro la logica della troika, e contro un clientelismo pervasivo, organizzato dai grandi partiti, Nuova Democrazia e Pasok, sostenuti dalla troika stessa. Considerati questi due punti di vista, ciò che il nuovo governo è riuscito a imporre all’Europa pare più che notevole. Il ‘tradimento’ è senza dubbio meno consistente di quanto molti elettori temessero. [i più recenti sondaggi danno Syriza al 47% delle intenzioni di voto, n.d.t.]
Il governo greco resta comunque legato, con l’accordo del 20 febbraio, ad una logica da ‘memorandum’, ed è ancora condizionato dalle scadenze del rimborso – in luglio e in agosto – dei debiti verso la BCE. La posizione dell’esecutivo non è certo agevole. Ma ciò nonostante, Atene è riuscita ad imporre più d’una delle sue priorità. Ha confermato che, d’ora in poi, gli ordini non verranno più da istituzioni esterne, ma che il governo greco è in grado di definire una grande parte della sua agenda di governo, in particolare mettendo l’accento sulla giustizia sociale. Perché la politica di austerità ha molto accentuato gli squilibri sociali (già notevoli) della società greca. Come auspicato prima ancora delle elezioni del 25 gennaio, il governo greco è riuscito a rimpiazzare l’iniziativa unilaterale della troika con una
cooperazione. Non è un cambiamento da poco.

Sullo stesso argomento:

Krugman: “L’accordo Grecia-Europa non è una sconfitta per Syriza”

10 commenti su “Le riforme di Tsipras e Varoufakis: un addio alla logica della troika

  1. L’ha ribloggato su flaneurkh.

  2. già in precedenza ho espresso la mia soddisfazione per l’accordo raggiunto, definendolo molto positivo-negli accordi entrambe le parti raggiungonoun loro singolo obiettivo; diro’ di piu’ nei mesi passati avevo dichiarato ai miei amici in f:b:che sarei stato disposto-pur di mantenere la grecia in europa, e farle evitare il distro sociale a contrubuire ad un sostegno, ma cio ‘ non toglie che tsipras sia una grande populista, e ha mentito spudoramente ai suoi elettori -che da brava gente-come in genere è sempre il popolo, non dia in scandescenze.e anche un po’ fortunato. perche’ da parte dei duri è sopraggiunta una nuova consapevolezza.(per fortuna) sia nei confronti dell’economia, dell’alba dorata, dei sondaggi svolti in europa che proprio non sono esaltanti…ribadisco. le originarie richieste del governo greco non erano proprio accettabili, e non sono state accettate, saluti

  3. Articolo ridicolo. E tra qualche mese sarà evidente.
    Le “istituzioni” hanno ceduto solamente a parole (“si è vero c’è un disastro umanitario”!! ma questo lo sapevano da prima da soli…) o su iniziative che potevano essere prese anche prima che Tsipras vincesse (rimodulazione fiscale e riassetto del pubblico) ma non hanno ceduto praticamente di una virgola su ciò che conta veramente, cioè parametri di bilancio e privatizzazioni.
    Questo perchè Tsipras e Varoufakis non hanno messo sul piatto l’uscita dall’Euro. E non lo hanno fatto perchè non conoscono bene i sistemi finanziari, come dimostra molto bene ad esempio il seguente ottimo articolo.

    http://www.monetazione.it/blog/defaultEconomia.php?topicGroupID=1&idr=123581118#123581118

    • chi, come l’autore dell’articolo che hai linkato, crede che le banche indebitate in euro possano essere sostenute da una banca centrale che stampa lire, ha capito ancora meno di Varoufakis e Tsipras. Mai sentito cose più assurde.

      • Iodice, ma lei si rende conto di essere un ultraliberista? Eppure anche agli ultraliberisti non dispiace (sa, una cosa sono le chiacchiere che si insegnano all’università, altro i fatti) che si creino strumenti nei quali si infilino le porcherie e si liberino le altre. Sa cosa farei io, che liberista non sono? Creo una banca nella quale infilo tutti i debiti denominati in euro e dico ai creditori: avete due alternative: o la fate fallire subito e ve lo prendete dove immaginate oppure ci mettiamo d’accordo per ripagarvi come e quando si può. Le “altre” banche le nazionalizzo, le faccio respirare con inizioni di liquidità e poi, se riesco a recuperare più di quanto ho speso, le rivendo e intasco i dividendi. Altrimenti me le tengo: in Italia le BIN hanno funzionato benissimo per oltre 40 anni.
        Ah, tutto questo, ovviamente, richiede che la Grecia lasci l’eurozona e che, di conseguenza, la banca centrale possa ritornare ad essere strumento di politica monetaria.

      • Ultra che? Tutto ij questo blog dice l’opposto.

      • Lei può anche nazionalizzare le banche ma se lascia i debiti in euro falliscono. E se per tenerle in equilibrio lascia i prestiti in euro allora falliscono le imprese e le famigli. E’ banale. Se lo capisce bene altrimenti addio.

    • Del tutto d’accordo con guiodic.

      Roba da matti: si cita un articolo (ma poi, quale sarebbe l’articolo in quel guazzabuglio?), nel quale si rimanda a «The Bankers’ New Clothes» di Admati ed Hellwig, sventolato come se fosse una pezza d’appoggio alla teoria secondo cui «le banche SONO SEMPRE GARANTITE DALLO STATO, NON SONO AZIENDE NORMALI, OPERANO QUASI SENZA CAPITALE PER CUI VANNO IN CRISI DI CONTINUO E TUTTI GLI STATI STAMPANO MONETA PERIODICAMENTE PER RIMETTERLE IN PIEDI»: dimostrando, con ciò, di averci capito ancor meno di coloro che si pretende di criticare.

      Questo, lo dico non perché abbia letto il libro (ciò che non ho ancora fatto): ma perché citare la Admati e Hellwig a suffragio della tesi secondo cui, quella dell’uscita unilaterale dall’euro e dell’annesso rientro nella liretta (o nella dracmetta) sarebbe una semplice partita di giro è ASSURDO!

      Di se stesso, Hellwig dice che il proprio “research focus” consiste in: “Research in general economic theory, in particular, the economics of information, incentives, and equilibrium, public goods and taxation, financial markets and financial institutions, and the foundations of macroeconomics and monetary theory.” Ora, io opino, che un macroeconomista teorico TEDESCO di scuola neoclassica (G.E.T.) scriva un libro nel quale, DALL’INTERNO DELLA G.E.T., critichi l’attuale assetto bancario internazionale e proponga – sempre entro la G.E.T. – delle soluzioni “di equilibrio”, ci può tranquillamente stare; ma che tale libro possa, OGGI, costituire anche solo lontanamente un viatico per quanti propugnano la rottura dell’eurosistema e la fuga alla chetichella dei suoi vari membri attuali, è ASSURDO! Tanto assurdo, quanto lo sarebbe aspettarsi un analogo imprimatur da Prescott o da Sargent.

      E infatti Sargent del libro afferma: «Admati and Hellwig are on a mission to teach citizens, policymakers, and academic economists about the principles of sound banking practice and regulation, as well as the pitfalls and immense social costs of failing to abide by those principles. Much economic pain–such as the U.S. savings and loan crisis of the 1980s and the 2007-2009 financial crisis–could have been avoided had policymakers and the economists who advise them understood and implemented crucial fundamentals.»

      Il che, se uno conosce un minimo gli scritti e le posizioni teoriche di Sargent, basta a tagliare definitivamente le gambe a tutta la suddetta teoria delle “banche SEMPRE GARANTITE DALLO STATO”, e alla presunta sua fondazione nella macroeconomia bancaria di equilibrio generale di Hellwig e Admati ;)

  4. Ridicolo è il commento. La minaccia implicita di tutto il negoziato è chiaramente stata l’uscita dall’Euro, che sarebbe automaticamente intervenuta in caso di mancato versamento dell’ultima tranche del prestito della BCE (concordato dalla BCE/FMI/CE). Lo scenario era perfettamente chiaro sia all’Eurogruppo che al governo greco, il punto ‘tattico’ essendo chi ne avrebbe portato la responsabilità. Del resto la BCE aveva addirittura spinto in quella direzione, con il solo soccorso dell’ELA lasciato ad Atene.
    Il punto più importante di tutto il negoziato era la questione dell’AVANZO PRIMARIO della Grecia, che l’accordo precedente stabiliva al 3% per il 2015, ed del 4,5% per il 2016. Obbiettivi totalmente assurdi, che neppure la Germania sarebbe capace di tenere:

    Greece’s mission impossible: Bailout demands Primary Surplus that not even Germany can achieve

    Questi valori di avanzo primario rispondevano alla logica di liberare risorse per riassorbire il debito pubblico. Che invece è passato, dopo 4 anni di austerity feroce, dal 120% del PIL al 187% attuale. Geniale, no? È proprio la strategia della riduzione delle spese pubbliche nell’illusione di pari entrate fiscali che è plasticamente fallita (moltiplicatore fiscale docet). In Grecia, in Francia e altrove.
    La chiave di lettura dell’accordo del 20 febbraio risiede proprio in questo punto, che contrariamente a quanto scritto nel commento precedente (la BCE e la commissione non avrebbero ceduto sui parametri di bilancio) è stato invece rimeso in discussione. Per il 2015 si parla solo di un surplus genericamente ‘adeguato’, e alla luce dello stato dell’economia greca nel 2015 (e non del 3% precedente). Il punto fondamentale è questo.
    Del resto lo stesso Jean Claude Juncker (oltre a Blanchard quasi due anni fa) ha riconosciuto qualche giorno l’inefficacia delle politiche messe in atto dalla troika, e la sua stessa legittimità:

    http://www.lessentiel.lu/fr/news/dossier/juncker/story/On-a-viole-la-dignite-du-peuple–14198171

    Più recentemente, anche la questione tabù di tutto il dibattito (cioè la ristrutturazione del debito) è stata riaperta dallo stesso Jeroen Dijsselboem, che ha dichiarato qualche giorno fa la disponibilità a ridiscutere in giugno l’argomento:

    http://www.reuters.com/article/2015/02/24/eurozone-greece-dijsselbloem-debt-idUSB5N0P800R20150224

    Per quanto riguarda poi il giudizio sulle competenze di Varoufakis sul sistema finanziario, be’, insomma, si troverà certo qualcuno che dirà che Felice Casorati era un pessimo pittore. Neanche la pena di affrontare questo ‘argomento’.

  5. http://www.theguardian.com/commentisfree/2015/mar/02/austerity-greece-euro-currency-syriza. Vi consiglio di tradurre questo articolo. Avreste magari le idee un po’ più chiare anche perchè vengono da un DEPUTATO DI SYRIZA, non da osservatori stranieri che non hanno manco la possibilità di leggere documentazione in lingua originale…

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