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Ricchi e poveri non sono uguali

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Messo in difficoltà dalla crisi, l’ “agente rappresentativo”, razionale e infinitamente previdente, sul quale si basano i modelli macroeconomici utilizzati per le previsioni dalle banche centrali, dai governi e dalle istituzioni internazionali, sembra cedere il passo agli “agenti eterogenei”. Ricchi e poveri non si comportano nello stesso modo. Chi è vincolato dalla liquidità non ha la capacità di risparmiare e non ragiona nei termini ricardiani che alcuni economisti spesso sembrano dare per scontati.

di Brendan Greeley – Bloomberg Businessweek

In un discorso tenuto a Francoforte nel mese di ottobre, Peter Praet, membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea, ha detto in una conferenza di economisti qualcosa di curiosamente ovvio. “Le famiglie sono eterogenee per molti aspetti. E’ importante misurare e analizzare tale eterogeneità perché può avere importanti implicazioni per i dati aggregati”. Le persone sono diverse, intendeva dire, e abbiamo bisogno di capire come capire l’economia.

Praet ha dovuto affermare l’ovvio perché fino a quest’anno gli economisti, in particolare quelli che fanno le previsioni, hanno riposto la propria fede in modelli che ignorano queste differenze; quelli che la BCE e il Fondo Monetario Internazionale hanno utilizzato per prevedere il futuro si basano su un “agente rappresentativo”, una sola persona immaginaria che rappresenta tutti.

Il problema è che questi modelli non sono riusciti a prevedere le conseguenze dei programmi di austerità che molti paesi europei hanno adottato nel 2010. Si è scoperto che le persone reali non si comportano come il “proxy” immaginario. Gli economisti stanno imparando che il povero e il ricco rispondono in modo diverso all’austerità e agli stimoli economici. Ciò potrebbe presentare delle sfide per i politici. Se le persone si comportano in modo diverso, allora la politica potrebbe doverle trattare in modo differente.

I tentativi di indovinare – o calcolare – come le decisioni di politica economica influenzano l’economia si basano sulla “propensione marginale al consumo”, la probabilità che se si mette un dollaro in mano di qualcuno, lo spenderà piuttosto che risparmiarlo. Le diatribe sugli stimoli fiscali sono fondamentalmente discussioni su questo punto. La discussione divide lungo le linee di un’anticà tensione nella professione economica: l’economista dovrebbe osservare il comportamento umano o assumerlo come dato?

I modelli basati sull’agente rappresentativo utilizzati dalle banche centrali e dal FMI sono il risultato di un movimento tra gli economisti negli anni ’70 e ’80, i quali hanno assunto che le persone sono razionali e pianificano il futuro. Ad esempio Olivier Blanchard, ora capo economista del FMI, ha scritto nel 1990 che quando un governo stringe la cinghia per ridurre i deficit, le famiglie potrebbero cominciare a spendere, rassicurate dal fatto che il problema [del deficit] viene gestito e non ci sarà un riaggiustamento ancora più grande nel futuro.

Se i modelli fossero nel giusto supponendo che tutti siamo ben rappresentati dalla stessa persona razionale, non vi sarebbe alcun bisogno di dati su come le persone agiscono. E basarsi su una sola persona rende la matematica dietro la modellazione economica più semplice.

Krusell, che ora insegna all’Università di Stoccolma, era appena dottorato nei primi anni 1990 quando ha iniziato a lavorare su un modello macroeconomico che ha assunto più di un agente, riconoscendo che le persone sono diverse. Lui e Tony Smith, un altro neodottorato, hanno avuto la sensazione che con abbastanza potenza di calcolo potevano costruire un modello multi-agente. “Se avessimo presentato queste idee ai nostri colleghi più anziani avrebbero detto ‘No, andate provare qualcosa di diverso’ “, dice Krusell . Il modello risultante ha permesso a Krusell di avere un posto a Princeton e a Smith a Yale .

Nonostante ciò il loro paper languì per più di un decennio come ricerca di base senza applicazione pratica. “Avevamo un modello che aveva qualcosa da dire sul fatto che le propensioni al risparmio sono diverse”, dice Krusell. “La domanda era ‘Quanto sono grandi sono le differenze?’ “

Non c’erano molte ragioni di scoprirlo. I modelli con agente rappresentativo avevano un potere predittivo abbastanza preciso fino alla crisi finanziaria e le sue conseguenze. Nel gennaio del 2013, Blanchard e Daniel Leigh hanno pubblicato un working paper per il FMI che era in sostanza una confessione. Quando il Fondo ha previsto i tassi di crescita per i vari paesi nel 2010 ha commesso degli errori, come ha fatto la Commissione europea. “Il consumo può dipendere più dal reddito attuale che sul reddito futuro”, hanno scritto. L’agente razionale si supponeva che progettasse il futuro, fiducioso che i deficit calavano. Le persone reali non l’hanno fatto.
Un rapporto del FMI maggio tornò a guardare il programma del Fondo in Grecia, dove il prodotto interno lordo reale è sceso più di tre volte quanto previsto. Le ipotesi matematiche del FMI sul comportamento erano sbagliate, era ammesso nel rapporto.

Le sfide che il mondo aveva di fronte nel 2010 – i bassi valori delle abitazioni, la difficoltà di ottenere credito, le banche centrali incapaci o in difficoltà nell’abbassare maggiormente i tassi di interesse – “erano inesistenti nel modelli con agente reppresentativo”, dice Christopher Carroll, che insegna alla Johns Hopkins. Alla conferenza di Francoforte della BCE, Carroll ha presentato un documento che ha dato sostegno al modello di Krussel e Smith con dati microeconomici. Per Carroll, le persone differiscono in un modo fondamentale. “La propensione marginale al consumo”, secondo il paper, “è sostanzialmente più grande per le famiglie povere rispetto a quelle ricche”. I ricchi si comportano come l’agente iper-razionale. Hanno in programma per il futuro. Risparmiano durante uno stimolo fiscale, pensando alle tasse a venire. E possono ottenere un prestito durante una contrazione fiscale.

I poveri sono ciò che gli economisti chiamano “borrowing constrained” [soggetti vincolati nella capacità di contrarre prestiti]. Essi tendono ad avere più bisogni di quanti ne possano soddisfare, perciò quando il denaro arriva, lo spendono. Quando lo Stato smette di spendere e il credito è difficile da trovare, il prototipo mitico, la persona ricca, continua a spendere. Ma la maggior parte delle persone reali non ha accesso al credito, e quindi si ferma. I risultati di Carroll sono stati confermati da altri accademici negli ultimi due anni che hanno studiato i dati italiani e degli USA.

Krusell segnala un improvviso interesse per il suo modello vecchio di 15 anni. E’ stato invitato a tenere un discorso in una riunione dei banchieri centrali europei il prossimo anno, alla ricerca di un modo migliore per diagnosticare i problemi del continente. “Puoi avere uno stimolo molto più grande”, dice Krusell , “quando ti rendi conto che potrebbe essere importante per la politica attuale”.

Fonte: Business Week 

22 commenti su “Ricchi e poveri non sono uguali

  1. “La propensione marginale al consumo”, secondo il paper, “è sostanzialmente più grande per le famiglie povere rispetto a quelle ricche”

    Incredibile. E pare anche che in quel paper frutto di anni e anni di studio si sia scoperto che esiste l’ acqua calda.

  2. No, perchè, ricordiamolo, per questi soloni: Blanchard, ma anche Alesina, il vecchietto che si vede tagliare la pensione minima, che fa? Pensa: Se oggi tagliano la spesa pubblica , cioè la mia pensione, domani mi taglieranno le tasse e allora…spendo e spando (i soldi che non ho e che di cui ho sempre minore disponibilità).
    Ecco, io credo che sia piu’ razionale il vecchietto che vedendosi tagliare la pensione e le provvidenze pubbliche , diminuisce le spese (FACENDO CROLLARE L’ ECONOMIA) rispetto ai soloni di cui sopra ben seduti dentro alle loro torri d’ avorio (molto “prestigiose” e soprattutto ben remunerate…)

  3. Immagino… lo conosciate già. ;-)
    Suggerisco però caldamente la lettura / divulgazione di uno dei più bei saggi sull’argomento, nonché sulle ripercussioni che l’iniquità distributiva del reddito determina sugli indicatori sociosanitari di una popolazione:
    La misura dell’anima (http://llht.org/2013/02/01/misura-anima/), anche trattato qui (http://llht.org/2012/12/01/il-significato-dellequita/).

    Saluti,
    Andrea Strozzi

  4. Ora capisco perchè siamo così rovinati al punto che la finanziarizzazione ha sostituito quasi del tutto l’economia reale. Krusell e altri “scienziati” per capire che sono i poveri ad avere più propensione al consumo hanno dovuto studiare per 11 anni! Se avessero interpellato lo scrivente glielo avrei detto seduta stante e ne avrei spiegato anche le motivazioni che, per il momento, non si sa mai, li custodirò gelosamente.

  5. Non c’è futuro se si pensa di regolare l’economia solo con politiche monetarie così come fa la BCE,

  6. ma scusate ma Blanchard era completamente fuori strada già da prima! ma qui siamo a livelli salariali per cui se mi tagli reddito ora non mi importa proprio sapere come sarà domani….semplicemente non ho più soldi da spendere oggi!

    ma come si possono creare modelli del genere? con le retribuzioni reali in calo da 10 anni questi hanno pensato realmente in buona fede che tagliare gli stipendi nominali spingesse la gente a spendere di più?

    ma serve lavorare a Yale per capire che è una follia?

    Ma siamo matti? ma viviamo nel medioevo??? è possibile che questo non sia malafede? secondo me no.

  7. Viviamo in un mondo economico virtuale, immaginario. e sbagliato.
    Questa ne è la prova, e i fallimenti la conseguenza.

  8. per onestà intellettuale è anche vero che se prima della crisi hai un modellino super semplificativo con un solo agente rappresentativo (dal lato degli households) che funziona molto bene quando lo riporti sui dati è anche vero che non ti poni più di tanto il problema di cambiarlo. Paradossalmente gli economisti non sono stati forward looking, come i loro modelli pretendono che gli agenti siano :)
    Ma non venite a dirmi che qui modelli ora sono fermi all’agente rappresentativo…c’è tantissima ricerca in corso con agenti eterogenei, constraints, frictions ecc. ma c’è anche bisogno di tempo affinchè la comunità scientifica riconosca la validità di un nuovo approccio piuttosto che di un altro.

    • ma c’è anche bisogno di tempo affinchè la comunità scientifica riconosca la validità di un nuovo approccio piuttosto che di un altro.

      Hai ragione. E’ passato un secolo e ancora abbiamo le teorie neoclassiche che sono assunte come scientifiche.

  9. Pretendiamo più solidarietà dall’Europa, senza riconoscere che la solidarietà manca prima di tutto tra i cittadini del nostro Paese.

    · Secondo l’OCSE, l’Italia è il secondo paese europeo per livello di disuguaglianza nella distribuzione dei redditi, dietro solo alla Gran Bretagna.

    · L’indagine campionaria della Banca d’Italia rivela che il 10% più ricco della popolazione possiede il 46% della ricchezza netta complessiva, mentre il 50% più povero si deve accontentare di meno del 10%.

    · E non stiamo parlando di una “guerra fra poveri”: secondo il Global Wealth Report del Credit Suisse, l’Italia è al tredicesimo posto al mondo per ricchezza pro-capite (su livelli superiori a quelli di Germania, Austria, Olanda, …) ed all’ottavo posto per numero di individui con ricchezza superiore al milione di dollari.

    · Queste statistiche sulla concentrazione della ricchezza, poi, non tengono in considerazione i fondi trasferiti illegalmente nei paradisi fiscali in giro per il mondo: solo nella vicina Svizzera, si stima siano depositati capitali in fuga dall’Italia tra i 120 ed i 180 miliardi di euro.

    Arrivati a questo punto, sorge spontaneo chiedersi come sia possibile spacciare l’idea che l’uscita dall’Euro rappresenti la condizione necessaria per avere più giustizia sociale!

    Un cordiale saluto.
    http://marionetteallariscossa.blogspot.it

    • Le disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza erano ovviamente presenti anche prima dell’euro. Ma la tua domanda finale sull’uscita dell’euro non è pertinente. Nessuno ritiene di uscire per avere una più equa distribuzione della ricchezza. L’uscita dall’euro è proposta per porre un freno agli squilibri della bilancia dei pagamenti, per riacquistare sovranità monetaria e per poter intraprendere politiche economiche di sviluppo. Che da tutto ciò possa derivare un beneficio anche nella distribuzione dei redditi e della ricchezza è una conseguenza che può essere gradita, ma non il fine per cui si chiede l’uscita dall’euro.

      • La distribuzione iniqua di redditi e patrimoni (cui sono funzionali liberismo selvaggio e finanziarizzazione dell’economia) costituisce la causa principale della crisi dei Paesi di prima industrializzazione.

        La politica dei redditi è, appunto, una politica di sviluppo.

        La tua affermazione “Nessuno ritiene di uscire [dall’euro] per avere una più equa distribuzione della ricchezza” è davvero avventata.

        La bilancia dei pagamenti è già tornata in equilibrio… ma il conto lo hanno pagato i soliti noti.

        Un cordiale saluto
        http://marionetteallariscossa.blogspot.it

      • La bilancia dei pagamenti è ritornata in pareggio o leggero surplus non per merito delle esportazioni, ma per il crollo delle importazioni, ovvero per il crollo della domanda interna e dei redditi. Ed è una delle ragioni per cui si chiede di uscire dall’euro.

        Per avere una distribuzione più equilibrata dei redditi e della ricchezza non è necessario attendere l’uscita dall’euro. A tale compito potrebbe benissimo attendere la politica fiscale (se solo lo si volesse).

        Quanto alla politica dei redditi è stata una politica volta a contenere la crescita dei redditi dei lavoratori. Definirla una politica di sviluppo è una boiata pazzesca.

      • Giorgio:
        “Per avere una distribuzione più equilibrata dei redditi e della ricchezza non è necessario attendere l’uscita dall’euro. A tale compito potrebbe benissimo attendere la politica fiscale (se solo lo si volesse).”
        E un pò di sburocratizzazione, no?
        Solo io ho notato come adesso per pagare la spazzatura, ma credo anche l’Imu per chi la paga, non usano più il vecchio semplice bollettino postale precompilato, ma il modello (per la spazzatura F24 “semplificato”) che presuppone la doppia firma di chi fa il versamento e quindi di persona (in ogni caso, a che serve?), doppi timbri manuali sul modulo e l’uso di forbici o righello da parte dell’impiegato postale per tagliare in 2 il moduletto, oltre ai tempi canonici al Pc che l’addetto impiega normalmente (che a me son sebrati cmq più lunghi del passato)
        Molto “semplificata” la nuova procedura, vero?

        Sertin

  10. ma dobbiamo uscire dall’euro anche solo perchè i folli vincoli della commissione UE ci stanno schiantando. non serve parlare di dettagli.

    è ormai palesemente chiaro che la commissione UE punta alla distruzione del sud europa e, forse complice una classe politica particolarmente asservita, l’italia in particolare.

    altrimenti di fronte a tanta disoccupazione e povertà, qualche ammissione di colpa qualche ripensamento l’avrebbero avuto.

  11. @ Sertin
    Non so dove viva lei: io l’IMU l’ho pagata in tabaccheria. Tempo di attesa: 3 minuti, e solo perchè c’erano davanti quelli che dovevano giocare al lotto o una delle diavolerie di oggi

    • Aggiungerei inoltre: che diavolo c’entra COME si paga l’Imu o la Tares con una più equa ripartizione dei redditi e della ricchezza? Forse che pagando con il bollettino postale si ottiene una più equa distribuzione? E’ questo il problema? Si può convenire che le modalità di riscossione delle imposte debbano essere le più semplici possibili (e così non è certamente stato, con questi balletti della togliamo, no rimane, e poi se ne pagherà solo un po’, ma a gennaio, e così via). Ma resta il fatto che il problema è la necessità di una politica fiscale più favorevole verso i ceti medio-bassi. Le trattenute dirette in busta paga dei lavoratori sono un modo semplice per riscuotere le imposte. Ma il problema non è che se è semplice allora sono eque. Restano troppo elevate, anche se semplificano la vita (anche troppo) dei lavoratori.

  12. «Attraverso un continuo processo di inflazione, gli stati possono confiscare, segretamente ed inosservati, una parte importante della ricchezza dei loro cittadini. In questo modo non la confiscano solamente, ma lo fanno arbitrariamente; e, mentre tale processo impoverisce la maggior parte delle persone, ne arricchisce una ristretta minoranza. Lo spettacolo di questo riarrangiamento arbitrario dei ricchi mette in dubbio non solo la sicurezza, ma la fiducia nell’equità dell’attuale redistribuzione della ricchezza. Coloro i quali ricevono questa manna dal cielo, oltre i loro desideri e perfino oltre le loro aspettative, diventano “profittatori,” l’oggetto dell’odio della borghesia e del proletariato impoveriti dall’inflazionismo. Al progredire dell’inflazione e con una fluttuazione selvaggia del valore reale della valuta, tutte le relazioni permanenti tra debitori e creditori, che costituiscono il fondamento ultimo del capitalismo, diventano talmente disordinate da diventare quasi senza senso; ed il processo di redistribuzione degenera trasformandosi in un gioco d’azzardio ed una lotteria. Non vi è mezzo più subdolo e sicuro per rovesciare l’attuale base della società se non quello di svalutare la valuta. Il processo coinvolge tutte quelle forze nascoste proiettate verso la distruzione, e lo fa in un modo che solo un uomo su un milione è in grado di diagnosticare.»

    ~ John Maynard Keynes sull’inflazione in The Economic Consequences of the Peace (p. 235-6)

  13. “ Mi fa piacere che Lei venga qui a parlare ai ragazzi su ciò che è la predizione del futuro”, dal Tesoro inglese così il sottosegretario Eady scriveva a Keynes, il 17 aprile del 1946. Non farà a tempo. Il fatale arresto cardiaco lo ucciderà qualche giorno dopo, la mattina di Pasqua.
    C’è da chiedersi se la sicumera grottesca e perfino esilarante – talora – che si accompagna alle esternazioni di quegli economisti che corrono in giro affannati, sventolando in aria le loro accuratissime proiezioni del futuro, ne sarebbe stata domata o almeno ridotta. Keynes rispettava l’inconoscibilità del futuro. Ma non era forse egli stesso un economista, si dirà? Non guardava egli stesso al futuro? No. Non allo stesso modo. Non era un economista, anche se certo era anche un economista. Skidelsky, che nella sua formidabile trilogia biografica l’ha seguito giorno per giorno, dirà al termine della sua fatica : “ Nella mia biografia di Keynes io l’ho definito un ‘inusuale economista’. Ora andrei oltre. In fondo in fondo, non era per niente un economista”. (Keynes. The Return of the Master, 2009, p.59).
    Ed è così. Lo sguardo in avanti è quello dello statista – del grande statista, non del politico né dell’economista – attento a modificare rapidamente, al volo, gli elementi inessenziali rispetto alla salvezza del sistema, a cercare di evitare soprattutto “i grandi disastri” che avevano caratterizzato la prima metà del secolo scorso.
    Se solo gli economisti non fossero dei “geometri euclidei in un mondo non-euclideo” pronti a rimproverare ad alta voce le due rette parallele che inopinatamente si incontrano ed ingiungere loro di mantenersi dritte invece di pensare a “costruire una geometria non-euclidea” o se almeno non fossero afflitti da quella loro “smemoratezza storica” – come ci ricorda ora la Spinelli, riprendendo Le Goff – che altro non è se non l’altra faccia della scientifica predizione forse l’austero disastro di questi anni sarebbe stato evitato. O siamo noi ad non aver capito? E far pagare ai molti l’arricchimento dei pochi è la loro segreta missione?

  14. Finalmente abbiamo scoperto come cambiare la politica economica di FMI e BCE: basta assumere come consulenti esterni un pensionato e una casalinga…

  15. Be’, ma se si accetta per vero che i soggetti a bassa ricchezza abbiano una maggiore propensione al consumo perchè più “obbligati” a spendere, una generale riduzione dei salari dovrebbe generale un innalzamento della media della propensione al consumo della società nel complesso, quindi avvicinare la realtà alla situazione semplificata immaginata da Blanchard.

    La domanda nel complesso cadrebbe, in valore assoluto, ma l’economia dovrebbe appararsi al modello con minore approssimazione, credo.

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