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Il paradosso di Berlusconi “keynesiano”

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Negli anni la sinistra, abbandonando progressivamente i propri punti di riferimento nella teoria economica, è diventata la paladina del “rigore”, fino ad approvare il pareggio di bilancio in Costituzione. Così ha concesso a Berlusconi ampio margine per conquistare un terreno politico lasciato incustodito. Il paradosso di un Cavaliere “keynesiano”, avversario dell’austerità imposta dalla Merkel e critico dell’euro, altro non è che il risultato di una sinistra che ha fatto proprio il “punto di vista del Tesoro“.

di Luigi Cavallaro*

Gramsci scrisse una volta che dire la verità è una necessità politica. Ma dire la verità presuppone una scelta partigiana: la verità, infatti, è sempre situata da una parte.

La parte in cui ci vorremmo situare non è una generica «sinistra». Da tempo ormai questa parola non designa null’altro che un vago e indistinto antagonismo rispetto a Silvio Berlusconi, ossia rispetto a colui che, negli ultimi vent’anni, ha incarnato il «grande Altro» della revanche capitalistica da cui è stato pervaso il nostro Paese. «Di sinistra» sono così diventati Indro Montanelli e Eugenio Scalfari, Antonio Di Pietro e Francesco Saverio Borrelli, Carlo Azeglio Ciampi e Romano Prodi (e Giuliano Amato), e perfino organi dello stato come la Corte costituzionale o interi apparati statali, come la magistratura.

La parte per cui intenderemmo prendere parola non è dunque una «sinistra» che non ha più significato alcuno. È piuttosto la «parte maledetta»: quella stessa di cui scrisse Bataille in un’opera visionaria in cui si provò a illustrare «le ragioni che rendono conto delle bottiglie di Keynes»1, e che sola può spiegare la verità delle più estreme posizioni politiche di Berlusconi, così come la logica della polarizzazione dello scontro politico intorno a lui.

Siccome i numeri aiutano a ragionare, ne ricordiamo qualcuno. In Germania, il numero di processi civili annui che sopravvengono ad ogni giudice è di circa 55. In Francia, 225. In Italia, poco meno di 450. Ancora, in Germania il numero di sopravvenienze penali annue per ciascun giudice è poco più di 40 (parliamo di processi per reati gravi). In Francia, poco più di 80. In Italia, quasi 2002.

Gli economisti mainstream, che ragionano sempre di offerta, ci dicono che è colpa dei troppi avvocati3: che in effetti per ciascun giudice togato sono circa 7 in Germania e Francia, contro più di 26 in Italia. Ma spiegare il numero delle cause col numero degli avvocati è pura insipienza: se gli italiani non facessero cause o reati, gli avvocati morirebbero di fame.

A meno dunque di ritenere che gli italiani siano causidici o delinquenti «per natura», si deve guardare altrove per scoprire le cause di una giustizia così pletorica. Anche qui aiuta il confronto con la Germania e la Francia. Quando un’economia si affida al mercato, la composizione della struttura produttiva è decisiva per l’adozione di strategie competitive diverse dalla compressione dei costi. È ciò che hanno potuto fare la Germania e, in misura inferiore, la Francia. Non così l’Italia: con una struttura produttiva fatta per lo più di agroalimentare, arredo casa, automazione meccanica e abbigliamento, e con oltre l’80% del tessuto produttivo fatto di imprese con meno di cinque dipendenti, abbiamo subito la concorrenza dei paesi emergenti, che possono produrre le nostre stesse merci a costi incomparabilmente inferiori. La compressione dei costi è stata così una necessità.

Non c’è da stupirsi, allora, se il cambiamento di costituzione materiale che il nostro Paese ha vissuto dal 1992 in poi, a seguito della scelta di sottrarre allo stato le leve del comando dell’economia, si è accompagnato all’ulteriore declino della nostra industria e all’impoverimento di ampie fasce della popolazione, specie tra i lavoratori dipendenti e i pensionati: quell’esito era inscritto come logica (benché tragica) conseguenza della svolta verso il laisser faire. Una svolta voluta in primis da Amato, Ciampi, Prodi.

Per converso, la nostra legislazione è rimasta ancora per molti aspetti «infettata» dalla pretesa dell’art. 41 della Costituzione di controllare socialmente le attività private. Liberalizzazioni e deregolamentazioni hanno investito pesantemente il lavoro come gli affitti delle case, l’attività bancaria come la telefonia, ma sono rimasti molti vincoli sull’uso delle risorse pubbliche (dall’ambiente al paesaggio urbano) e sulla stessa disponibilità di quelle private. E sono rimasti, benché acciaccati, anche il fisco e il sistema pensionistico e le loro pretese sui redditi da lavoro e d’impresa, per di più crescenti a causa della supposta necessità di rientrare dal debito pubblico.

Vale la pena ripeterlo: se un sistema economico si affida al mercato, solo la composizione della struttura produttiva può salvarlo da una competizione giocata sui costi. Se così non accade, anche il controllo di legalità diventa un costo da ridurre quanto più possibile: ne va della sopravvivenza del sistema.

Solo degli inguaribili idealisti possono dunque credere che sia un problema «morale» e non economico il fatto che il 30% del nostro Pil sia un’«opera al nero». La realtà è ben diversa. La spinta alla delinquenza è sistemica e – del tutto logicamente – anche tollerata. Abusivismi di ogni sorta proliferano sotto gli occhi di tutti. Le piccole imprese sopravvivono solo grazie all’elusione e all’evasione, fiscale e contributiva. I lavoratori e soprattutto i disoccupati cercano di spuntare reddito con tutti i mezzi possibili, inclusi non di rado la truffa, il furto, la rapina. E tutti tentano di sfuggire al pagamento dei debiti contratti con banche, finanziarie ed Equitalia. Fate un giro per i tribunali di tutta Italia: dal civile al penale, raccontano di questo.

Berlusconi l’ha capito per tempo e si è mosso di conseguenza. Con una differenza fondamentale rispetto ai suoi avversari. Che non concerne, beninteso, le questioni su cui tradizionalmente si dividevano destra e sinistra: su queste ultime, essi la pensano esattamente come lui. Condividono, cioè, che non la politica ma il mercato debba provvedere all’allocazione delle risorse. Che l’individuo debba essere lasciato libero di «partire da sé» e da sé fabbricarsi la propria strada, in una libera competizione con gli altri. E naturalmente che rispetto alla crisi la pianificazione pubblica non sia la soluzione, ma – come disse Reagan – il problema.

La differenza tra Berlusconi e i suoi antagonisti concerne piuttosto il ruolo della spesa pubblica. Egli sa bene che in questo Paese non c’è laisser faire che non abbisogni di un laisser délinquer, ma sa altrettanto bene che, senza un sostegno alla domanda interna, non c’è deriva delinquenziale che possa salvarci dall’impoverimento e dalla svendita all’estero delle nostre attività. E dato che questo sostegno non può venirci dalla bilancia dei pagamenti, strutturalmente in disavanzo per lo spread della composizione della nostra offerta industriale rispetto a quella dei nostri vicini tedeschi e francesi4, non è disposto a rinunciare alle «esportazioni interne»5 garantite dalla spesa pubblica: vero e unico primum movens di un sovrappiù che andrebbe altrimenti sprecato, compromettendo in modo ancor più marcato i già risicati livelli di sussistenza (e di consumo) delle masse.

Sebbene mosso in primis da intenti squisitamente privati, Berlusconi ha potuto così recitare la parte del «campione dell’interesse nazionale»: proprio come accadde a Mussolini, che non a caso gode della stima del Cavaliere. E rivolgendosi direttamente al desiderio di molta parte dell’Italia, egli ha saputo interpretare lo Zeitgeist assai meglio dei suoi avversari. I quali, invece di criticare il Cavaliere per aver accelerato il processo di precarizzazione del mercato del lavoro, per avere ridotto la politica industriale a una pioggia di prebende ad personam, per aver trasformato il processo penale in una sequenza di atti preordinati al solo fine della declaratoria della prescrizione dei reati, per aver assecondato uno spaventoso regresso giuridico e culturale nel campo dei diritti civili e – last not least – per aver contribuito in modo decisivo al dilagare di una concezione proprietaria delle relazioni sociali, affettive e sessuali, hanno preferito credere (o far finta di credere) alle favole moraliste dispensate dalla stampa e dalla libellistica borghese, secondo cui il libero mercato funzionerebbe benissimo se solo all’ombra della spesa pubblica non albergassero ladri e «furbetti», mafiosi e corrotti. Come se la riproduzione del nostro capitalismo potesse appunto prescindere dall’una e dagli altri e non fosse invece obbligata dai vincoli derivanti dalla sua conformazione produttiva a invocare dosi sempre crescenti di spese clientelari e «zone franche» dai controlli di legalità.

Non c’è da stupirsi, allora, se le insistite giaculatorie in pro della moralità pubblica non scalfiscano il consenso strutturale di cui gode Berlusconi, né quando si scopre – conti alla mano – che i suoi governi sono stati gli unici a praticare le virtù del keynesismo (criminogeno, certo, ma pur sempre keynesismo è stato)6. Semmai è paradossale che, nella confusa babele della campagna elettorale, egli sia stato l’unico a dire parole di verità sull’Europa: precisamente quando, in modo pur contraddittorio, ha tentato di spiegare quel che i suoi antagonisti non sono disposti ad ammettere, vale a dire che il debito pubblico non è affatto la causa principale dell’andamento dello spread sui tassi d’interesse, che la causa di quest’ultimo risiede negli squilibri strutturali dell’eurozona e che le politiche di «austerità», lungi dal ridurre quegli squilibri, non fanno che accrescerli.

Ecco il punto: il debito pubblico, cioè la spesa pubblica. Si è detto più volte, nei mesi scorsi, che l’ascesa di Monti al soglio di Palazzo Chigi segnava simbolicamente il «ritorno del Padre» a risvegliare i figli (cioè noi tutti) dall’illusione immaginaria di un eterno godimento fondato sul debito7. Se ciò è vero, bisogna riconoscere che nella disperata resistenza ad ogni ipotesi di ulteriori «sacrifici» avvenire (fino al punto di rimettere in discussione il Fiscal Compact: unico tra i leader di rilievo ad averlo fatto) sta la verità della posizione di Berlusconi e, ad un tempo, il problema che essa ci pone. Perché se è vero che bisogna guardarsi dalla deriva del godimento rivendicata e messa in atto da colui che incarna il sembiante del ritratto di Dorian Gray della nostra classe dirigente, resta intatto il problema di come emancipare il godimento – la dépense, direbbe Bataille, cioè la spesa pubblica – dalla negatività che i corifei di un capitalismo asceticamente weberiano (ma solo per i lavoratori, ça va sans dire) gli hanno ributtato sopra. «Parte maledetta», appunto: fino a quando?

__________

* Luigi Cavallaro è magistrato e saggista. Una versione ridotta e senza riferimenti bibliografici di questo articolo è apparsa l’8 febbraio 2012 (con il titolo Il keynesismo criminogeno del Cavaliere) sul quotidiano “il manifesto”.

1 Georges Bataille, La parte maledetta, preceduto da La nozione di dépense [1967], Torino, Bollati Boringhieri, 2003, p. 66. Il riferimento di Bataille è da intendersi a John Maynard Keynes, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta [1936], ora in Id., Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta e altri scritti, a cura di T. Cozzi, Torino, Utet, 2006, pp. 315 ss.

2 Fonte: Commissione europea per l’efficienza della giustizia, 2008 (cit. da “Corriere della Sera”, 6 settembre 2010, p. 12).

3 Alberto Alesina, Francesco Giavazzi, Giustizia lenta, imprese piccole, “Corriere della Sera”, 5 giugno 2011, p. 1.

4 È di qualche giorno fa la notizia che, per la prima volta negli ultimi dieci anni, la nostra bilancia dei pagamenti ha chiuso l’anno con 8,8 miliardi di euro di surplus (dati dell’Istituto del commercio con l’estero, riportati in Roberto Bagnoli, Export italiano mai così alto dal 2002, “Corriere della sera”, 17 gennaio 2013, p. 7). Ma l’avanzo, più che all’aumento del valore delle esportazioni, è logicamente imputabile alla severa contrazione delle importazioni, a sua volta dovuta alla caduta della domanda e del Pil (-2,1%, secondo i dati diffusi dalla Banca d’Italia) nell’anno appena concluso.

5 L’espressione (e la relativa costruzione concettuale) risalgono, come si ricorderà, a Michal Kalecki, Il commercio estero e le “esportazioni interne” [1933], ora in Id., Sulla dinamica dell’economia capitalistica, Torino, Einaudi, 1975, pp. 21 ss.

6 Secondo i dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze (riportati da Mario Baldassarri, Undici anni di spese pubbliche (bipartisan), “Corriere della Sera”, 22 gennaio 2013, p. 11), negli otto anni di governo di Berlusconi compresi tra il 2000 e il 2011, le imposte sono aumentate di 176 miliardi di euro a fronte di un aumento della spesa pubblica corrente pari a 206 miliardi di euro; nei due anni di governo Prodi, l’aumento delle imposte è stato pari a 52 miliardi di euro a fronte di un aumento della spesa di 60 miliardi, mentre nell’anno di governo Monti la spesa è aumentata di 8 miliardi a fronte di un aumento delle imposte di 20 miliardi. Come dire che, mentre il governo Prodi ha perseguito un sostanziale pareggio di bilancio e il governo Monti ha realizzato un draconiano avanzo, i governi presieduti da Berlusconi hanno mantenuto una linea di deficit spending.

7 Particolarmente efficaci gli interventi di Ida Dominijanni, tra i quali si veda almeno Dal godimento alla penitenza, “il manifesto”, 21 dicembre 2011, p. 1.

23 commenti su “Il paradosso di Berlusconi “keynesiano”

  1. “……(fino al punto di rimettere in discussione il Fiscal Compact: unico tra i leader di rilievo ad averlo fatto)” Non mi pare proprio che Berlusconi sia l’unico leader ad averlo fatto e non mi risulta che l’abbia fatto. Invito l’autore a documentarsi sui programmi elettorali perchè i soli due movimenti che hanno in previsione di cancellare questo trattato sono
    Rivoluzione civile di Ingroia e movimento 5stelle.

  2. […] Negli anni la sinistra, abbandonando progressivamente i propri punti di riferimento nella teoria economica, è diventata la paladina del “rigore”, fino ad approvare il pareggio di bilancio in Costituzione. Così ha concesso a Berlusconi ampio margine per conquistare un terreno politico lasciato incustodito. Il paradosso di un Cavaliere “keynesiano”, avversario dell’austerità imposta dalla Merkel e critico dell’euro, altro non è che il risultato di una sinistra che ha fatto proprio il “punto di vista del Tesoro“.  di Luigi Cavallaro* […]

  3. Interessante e fa riflettere ma ingenuamente direi allora che bisogna votare Berlusconi anche questa volta. E’ vero che una identità di sinistra è difficile da definire e verificare ma Keynes non era propriamente un comunista rivoluzionario. Eleganti confondenze!

    • Be’ certo non era neanche un berlusconiano.

    • Hai detto bene: ingenuamente.
      Vedremo se gli italiani si lasceranno ingannare ancora una volta dalle caramelle (salvo poi piangere, come i bambini, perché non ha mantenuto le promesse).

      • Scusate se ho reagito, ma questo discorso che il blog porta avanti deve essere fatto senza ambiguità. Sono vent’anni che i ruoli si scambiano, i padroni difendono gli operai, i sinistri fanno i conservatori, i fascisti fanno i moderati, i moralisti rubano, i vecchi trombano, i giovani non si accoppiano … Mi aspetto che soprattutto in queste due settimane un po’ di chiarezza si faccia.

    • @Raimondo
      Sei un po’ distratto, ti rammento che: 1) negli ultimi quasi 12 anni il Csx ha governato soltanto per appena 22 mesi; 2) per i vincoli UE, liberamente assunti, ha sempre dovuto rimediare (v. il mio commento più sotto) al malgoverno del Cdx, che ha aumentato le tasse e fatto cattiva spesa pubblica, cresciuta, in barba agli sbandierati tagli lineari, in media del 4,6% all’anno; 3) il Csx (peraltro minoritario nel Paese anche quando ha vinto), lo dice la parola stessa, è costituito, anche ora, anche il PD, da una Sinistra e da un Centro.

      • Temo che i miei interventi non siano stati chiari, soprattutto non si capisca l’ironia se chi legge non conosce già chi scrive. Non sono distratto e sono consapevole di ciò che mi rammenti e credo che la pensiamo allo stesso modo.

  4. “Ma dire la verità presuppone una scelta partigiana: la verità, infatti, è sempre situata da una parte”.
    Troppo comodo: con una premessa così, uno può dire quello che vuole. Infatti… Osservo, sui punti salienti:
    1. Il vero deus ex machina della politica economica di Berlusconi, per almeno 6 anni su 8, come si sa, non è stato Berlusconi, ma Tremonti, il turlupinatore dalla lingua biforcuta, che declamando il risanamento ha sempre scassato i conti pubblici, che poi i governi di Csx hanno dovuto, per i noti vincoli UE, risanare, ed il risanamento non può che avvenire riducendo le spese o aumentando le imposte.
    Do il riepilogo delle cifre delle manovre finanziarie dei governi Berlusconi-Tremonti e Monti, che sono ignote ai più (fonte: “Il Sole 24 ore”):
    Riepilogo (importi cumulati da inizio legislatura):
    – governo Berlusconi-Tremonti 266,3 mld;
    – governo Monti 63,2 mld;
    Totale 329,5 mld. [1]
    2. “Sulla base del valore aggiunto dell’economia sommersa stimato dall’Istat otteniamo, per gli anni 2000-2011, un valore del sommerso pari in media a 238 miliardi di euro all’anno”. [2] Che fanno ascendere il valore dell’economia sommersa non al 30%, ma al 18%.
    3. Il 2° governo Prodi (2006) ha ereditato un deficit del 4,5% ed ha scelto, anche per le pressioni della Commissione UE, la strada di un risanamento rapido attuando una strategia dei due tempi, prima il risanamento celere e poi la crescita e la redistribuzione. [3] Quindi, a) rientro rapido entro il 3% di deficit, attraverso una legge finanziaria 2007 ingente (33,8 mld) e la lotta all’evasione fiscale, ma – pochi lo sanno o lo ammettono – allentando i cordoni della borsa già nella finanziaria 2008, restituendo ciò che aveva preso (fonte Banca d’Italia [4]). Strategia che avrebbe dovuto avere uno sviluppo ulteriore, se non fosse intervenuta la caduta del governo Prodi, durato appena 20 mesi. Che ha lasciato un debito pubblico del 103,6%, portato poi dal governo Berlusconi-Tremonti al 120,1% a fine 2011, nonostante manovre correttive molto, molto inique per 267 mld, fatte in prevalenza di maggiori tasse!
    [1] Il lavoro ‘sporco’ del governo Berlusconi-Tremonti http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2747515.html
    [2] “L’economia sommersa e il pareggio di bilancio”
    http://sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/L-economia-sommersa-e-il-pareggio-di-bilancio-15772
    [3] “La politica fiscale di Prodi: quali gli elementi positivi? e quelli negativi? Come dovrà comportarsi il prossimo Governo?”
    di Silvia Giannini e Maria Cecilia Guerra
    http://www.businessonline.it/3/LavoroeFisco/2062/pro-e-contro-della-politica-fiscale-del-governo-prodi.html
    [4] “Ma sul fisco Prodi batte il Cavaliere: sgravi più consistenti dal centrosinistra”. Gli aiuti dati da centrosinistra e centrodestra secondo i Bollettini della Banca d’Italia
    di ADRIANO BONAFE
    http://www.repubblica.it/economia/2010/02/07/news/sgravi_prodi_berlusconi-2216166/

  5. certo che e’ veramente deprimente pensare che la sinistra sia ormai la peggiore delle parti, il luogo politico che riunisce i peggiori traditori di ogni idea di vera democrazia economica, di crescita, sviluppo, ricerca, progresso nel vero senso della parola; e’ il luogo dei rinnegati di Marx e di Keynes, il paradiso dei liberali, dei monetaristi, ecc. Vera e propria feccia, pronta a ogni tradimento pur di servire le elites finanziarie atlantiste. Questi figuri devono esser spazzati via a ogni costo prima che distruggano definitivamente il nostro paese.

  6. Lo ripropongo, “nascondendo” i link:
    “Ma dire la verità presuppone una scelta partigiana: la verità, infatti, è sempre situata da una parte”.
    Troppo comodo: con una premessa così, uno può dire quello che vuole. Infatti… Osservo, sui punti salienti:
    1. Il vero deus ex machina della politica economica di Berlusconi, per almeno 6 anni su 8, come si sa, non è stato Berlusconi, ma Tremonti, il turlupinatore dalla lingua biforcuta, che declamando il risanamento ha sempre scassato i conti pubblici, che poi i governi di Csx hanno dovuto, per i noti vincoli UE, risanare, ed il risanamento non può che avvenire riducendo le spese o aumentando le imposte.
    Do il riepilogo delle cifre delle manovre finanziarie dei governi Berlusconi-Tremonti e Monti, che sono ignote ai più (fonte: “Il Sole 24 ore”):
    Riepilogo (importi cumulati da inizio legislatura):
    – governo Berlusconi-Tremonti 266,3 mld;
    – governo Monti 63,2 mld;
    Totale 329,5 mld. [1]
    2. “Sulla base del valore aggiunto dell’economia sommersa stimato dall’Istat otteniamo, per gli anni 2000-2011, un valore del sommerso pari in media a 238 miliardi di euro all’anno”. [2] Che fanno ascendere il valore dell’economia sommersa non al 30%, ma al 18%.
    3. Il 2° governo Prodi (2006) ha ereditato un deficit del 4,5% ed ha scelto, anche per le pressioni della Commissione UE, la strada di un risanamento rapido attuando una strategia dei due tempi, prima il risanamento celere e poi la crescita e la redistribuzione. [3] Quindi, a) rientro rapido entro il 3% di deficit, attraverso una legge finanziaria 2007 ingente (33,8 mld) e la lotta all’evasione fiscale, ma – pochi lo sanno o lo ammettono – b) allentando i cordoni della borsa già nella finanziaria 2008, restituendo ciò che aveva preso (fonte Banca d’Italia [4]). Strategia che avrebbe dovuto avere uno sviluppo ulteriore, se non fosse intervenuta la caduta del governo Prodi, durato appena 22 mesi. Che ha lasciato un debito pubblico del 103,6%, portato poi dal governo Berlusconi-Tremonti al 120,1% a fine 2011, nonostante manovre correttive molto, molto inique per 267 mld, fatte in prevalenza di maggiori tasse!
    [1] Il lavoro ‘sporco’ del governo Berlusconi-Tremonti http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2747515.html
    [2] “L’economia sommersa e il pareggio di bilancio”
    XXhttp://sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/L-economia-sommersa-e-il-pareggio-di-bilancio-15772XX
    [3] “La politica fiscale di Prodi: quali gli elementi positivi? e quelli negativi? Come dovrà comportarsi il prossimo Governo?”
    di Silvia Giannini e Maria Cecilia Guerra
    XXhttp://www.businessonline.it/3/LavoroeFisco/2062/pro-e-contro-della-politica-fiscale-del-governo-prodi.htmlXX
    [4] “Ma sul fisco Prodi batte il Cavaliere: sgravi più consistenti dal centrosinistra”. Gli aiuti dati da centrosinistra e centrodestra secondo i Bollettini della Banca d’Italia
    di ADRIANO BONAFE
    XXhttp://www.repubblica.it/economia/2010/02/07/news/sgravi_prodi_berlusconi-2216166/XX

  7. Mica è tanto paradossale. Se si accetta l’idea che la spesa pubblica in eccesso rispetto alle necessità del welfare ( e in italia, vi ricordo, che più di metà della spesa pubblica NON è welfare, ma “altro”, non è così in Svezia, non è bello usare le percentuali che convengono per promuovere la propria visione del mondo economico) allora la cosa ha senso. Berlusconi (i partiti di centrodestra) campano di spesa pubblica inutile e non sono per nulla disposti a rinunciarvi.

    Anzi, se li andate a dire: facciamo più spesa pubblica? sarebbero d’accordissimo, soprattutto se a debito. Inoltre, vi ricordo che come i neo cartalisti rampanti alla Barnard anche Berlusconi ritiene lo spread un imbroglio. Su questo come la mettiamo ?

    Bisognerebbe invece interrogarsi sull’unico spunto interessante dell’articolo (piuttosto complicato da capire, per la verità): conviene in un paese con una percentuale di sommerso del 18% o più insistere sulla crescita a deficit, sapendo che se ne avvantaggiano anche quelli che col sommerso ci lavorano? Non sarebbe meglio risolvere sia questa anomalia, sia i motivi che la originano?

    Si pensa davvero che tutti quelli che evadono lo fanno per costruirsi ville sul lago di Garda o alle Cayman? Esiste un modo per distinguere ? Vanno puniti allo stesso modo? E a cosa dovremmo destinare quello che entrerebbe da una lotta dura all’evasione (che naturalmente si può fare, ma se non la fanno ne cdx nè cds evidentemente è perchè in questo paese molte aziende chiuderebbero nel giro di un mese dopo una guerra ad ogni “nero” tipo quella proposta da Ingroia, con questo livello di pressione fiscale).

    Spero di avviare una proficua riflessione su questo punto.

    E per inciso manco io lo voglio Berlusconi al governo, ma proprio perchè più keynesiano e simpatizzante della MMT, di altri competitor elettorali. Voi dovreste appoggiarlo, semmai…

  8. l’intervento di Walter, se l’ho capito bene, riporta il discorso sulla complessità di qualsiasi manovra di voglia attuare per uscire da questa crisi. Non sono un economista, ma solo un pensionato sfaccendato che segue con interesse questo blog cercando di capire e di imparare. Se non ricordo male Keynes parla anche della tassa di successione come una possibile leva. Non ne sta parlando nessuno. Mi sono divertito qualche tempo fa a scrivere un pezzo sul mio blog di pensionato sfaccendato: http://rbolletta.wordpress.com/2012/11/16/la-patrimoniale-2/

    • @Raimondo
      Ho letto il tuo interessante ‘post’ sull’imposta di successione, in alternativa all’imposta patrimoniale. Su quest’ultima, che, a mio avviso, dovrebbe affiancarsi, in via ordinaria, a bassa aliquota progressiva con una franchigia di almeno 800 mila € colpendo circa la metà del decile più ricco (secondo la Banca d’Italia, patrimonio >500 mila €), all’imposta di successione e/o ad un prestito forzoso, allego il mio vecchio dossier, che è molto più ricco di quello di “Repubblica” (con articoli pro e contro):
      Dossier Imposta Patrimoniale
      http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2670796.html

      PS: Segnalo che l’imposta patrimoniale francese è ordinaria a bassa aliquota progressiva, come prevede (contrariamente a quanto afferma Dario Di Vico) anche la proposta della CGIL.
      PPS: Invece, l’ipotesi del prestito forzoso, in alternativa alla patrimoniale, è stata avanzata, tra gli altri, da Fitoussi e da Giannino: riporto lo stralcio di un mio recente commento su “Europa” (togliere le X):
      “Un prestito forzoso decennale è migliore della tassa sui patrimoni”
      Fonte: JEAN-PAUL FITOUSSI e GABRIELE GALATERI DI GENOLA – Corriere della Sera
      Mercoledì 07 Settembre 2011 09:43 –
      […] Tuttavia crediamo che il prestito [di 150 miliardi] debba essere effettivamente forzoso e che non basti ipotizzare sottoscrizioni volontarie. Non si potrà evitare che l’emissione sia per alcuni aspetti atipica. Molti problemi rimangono aperti, come per una patrimoniale pura. Riguardano soprattutto la fattibilità e le modalità giuridiche del prestito e la garanzia dell’equità nella determinazione e nell’identificazione dei soggetti e dei patrimoni imponibili. Se l’equità è rispettata e le risorse deriveranno principalmente dagli strati più favoriti, il prestito forzoso non avrà un effetto restrittivo sulla domanda, né diverrà un vincolo alla crescita.
      XXhttp://rassegna.governo.it/rs_pdf/pdf/13Z3/13Z3QG.pdfXX
      prestito forzoso decennale è migliore della tassa sui patrimoni
      XXhttp://www.dirittiglobali.it/home/categorie/18-lavoro-economia-a-finanza/20225-un-prestito-forzoso-decennale-e-migliore-della-tassa-sui-patrimoni.htmlXX

      Oscar Giannino – figlio di proletari, come egli ama presentarsi talvolta – è un utile idiota dei ricchi, ben retribuito. Rammento la sua proposta recente di debito forzoso per ridurre il debito pubblico, ottima proposta, se fatta su una platea selezionata e purché non sia alternativa alla doverosissima imposta patrimoniale sui ricchi, gli unici ad aver pagato poco per il risanamento del bilancio pubblico e, dopo 330 mld di manovre correttive iniquamente distribuite, ad avere i soldi. Ma ora pare essersene dimenticato.
      “Oscar Giannino a LA7: ‘Suicidio per debiti’”
      XXhttp://www.la7.tv/richplayer/index.html?assetid=50270284XX

  9. […] sfumature, dall’acchiappo dell’ultimo minuto da parte dei candidati ancient régime di argomenti hard come il ripristino della sovranità monetaria e dalla sensazione di scollamento tra la realtà […]

  10. […] sfumature, dall’acchiappo dell’ultimo minuto da parte dei candidati ancient régime di argomenti hard come il ripristino della sovranità monetaria e dalla sensazione di scollamento tra la realtà […]

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