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Keynes sull’assurdità dei sacrifici: “La riduzione della spesa statale è una follia oltraggiosa”

 

Senzanome

Una conversazione radiofonica tra Keynes e Sir Josiah Stamp sulla stupidità dei governi nazionali nell’imporre sacrifici. Il dialogo fu trasmesso dalla BBC il 4 gennaio 1933. Sebbene siano passati 80 anni da allora, questa intervista risulta di straordinaria attualità e dimostra come le idee sbagliate siano così dure a morire. 

Keynes, adottando l’approccio macroeconomico, smonta una per una le tesi del partito dell’austerità, in particolare quella per cui lo Stato deve risparmiare (come farebbe una famiglia) per ripagare i propri debiti, ma anche l’idea tipicamente neoclassica che dalla crisi si possa uscire grazie all’azione individuale nel libero mercato. Se qualcuno se lo chiedesse, nell’anno in cui Keynes rilasciava questa intervista il debito pubblico britannico sfiorava il 180% sul Pil. Il testo è stato pubblicato da Manifestolibri (1996). 

Stamp: … leggiamo continuamente sui giornali, credo restando noi stessi confusi, tutte queste controversie sullo spendere e sul risparmiare. A che conclusioni pensi che il pubblico sia giunto in merito? Ritieni che tutte queste discussioni abbiano fatto emergere dei punti particolari, rendendoli chiari, o è tutto così confuso come all’inizio?

Keynes: La mia impressione è che l’umore della gente stia cambiando. C’era un bel po’ di panico circa un anno fa. Ma non è forse vero che ora ci si sta rendendo conto abbastanza generalmente che la spesa di un uomo è il reddito di un altro uomo? Comunque, questa mi sembra essere la verità fondamentale, che non deve mai essere dimenticata. Ogni volta che qualcuno taglia la sua spesa, sia come individuo, sia come Consiglio Comunale o come Ministero, il mattino successivo sicuramente qualcuno troverà il suo reddito decurtato; e questa non è la fine della storia. Chi si sveglia scoprendo che il suo reddito è stato decurtato o di essere stato licenziato in conseguenza di quel particolare risparmio, è costretto a sua volta a tagliare la sua spesa, che lo voglia o meno.

S.: Ciò significa che egli riduce il reddito di un secondo uomo, e che qualcun altro rimarrà senza lavoro.

K.: Sì, questo è il guaio. Una volta che la caduta è iniziata, è difficilissimo fermarla.

S.: Un momento. Osserviamo il risparmio di un Ministero o di un individuo, e consideriamo il suo effetto. Un paese o una città, proprio come un individuo, debbono vivere nei limiti delle loro risorse o si troverebbero in grave difficoltà se provassero a spingersi oltre. Molto presto intaccherebbero il loro patrimonio.

K.: Ci può essere solo un obiettivo nel risparmiare, ed è esattamente quello di sostituire una spesa con un altro e più saggio tipo di spesa.

S.: Sostituire! Questo mi fa comprendere il punto. Ad esempio, se il Governo o le autorità locali risparmiassero per ridurre le imposte o i saggi di interesse e permettessero agli individui di spendere di più; o se gli individui spendessero meno in consumi, per usare essi stessi il denaro nella costruzione di case o di fabbriche, o per prestarlo ad altri a tale scopo. Non servirebbe tutto ciò ad aggiustare le cose?

K.: Ma, caro Stamp, è questo che sta accadendo? Ho il sospetto che le autorità spesso risparmino senza ridurre i tassi di interesse o le imposte, e senza passare il potere di acquisto aggiuntivo agli individui. Ma anche quando il singolo riceve il potere di acquisto aggiuntivo, di solito sceglie la sicurezza o, quanto meno, pensa che sia virtuoso risparmiare e non spendere. Ma non sono veramente questi risparmi, tesi a far abbassare i saggi e le imposte, che sono al centro delle mie polemiche. Sono piuttosto quelle forme di risparmio che comportano un taglio della spesa, nei casi in cui quest’ultima dovrebbe essere naturalmente coperta con il debito. Perché in questi casi non c’è alcun vantaggio connesso col fatto che il contribuente avrà di più, a compensare la perdita di reddito dell’individuo che subisce il taglio.

S.: Allora, ciò che intendiamo realmente è che, salvo il caso in cui la mancata spesa pubblica venga bilanciata da una spesa personale aggiuntiva, ci sarà troppo risparmio. Dopo tutto, il normale risparmio è solo un differente tipo di spesa, trasmessa a qualche autorità pubblica o alle imprese, per produrre mattoni o macchinari. Il risparmio equivale a più mattoni, la spesa a più scarpe.

K.: Sì, questo è il problema in generale. A meno che qualcuno stia effettivamente usando il risparmio per i mattoni o per qualcosa di simile, le risorse produttive del paese vengono sprecate. Insomma il risparmio non è più un altro tipo di spesa. Ecco perché dico che la deliberata riduzione di investimenti utili, che dovrebbero normalmente essere attuati con il debito, mi sembra, nelle attuali circostanze, una follia e, addirittura, una politica oltraggiosa.

S.: La difficoltà sta nell’individuare ciò che tu chiami «investimenti utili normali».

K.: Al contrario. Il Ministro della Sanità, se sono ben informato, sta disapprovando praticamente tutte le normali richieste delle autorità locali di indebitarsi. Ho letto, per esempio, in un giornale – anche se non posso garantire i dati di persona – che un questionario spedito al Consiglio Nazionale delle Imprese Edili mostra che qualcosa come 30 milioni di sterline in lavori pubblici sono stati sospesi come risultato della campagna nazionale per il risparmio. La si dovrebbe chiamare «campagna nazionale per l’intensificazione della disoccupazione»!

S.: Per quale ragione si sono spinti fino a questo punto? Perché stanno facendo questo?

K.: Non posso immaginarlo. È probabilmente l’eredità di qualche decisione presa in un momento di panico molti mesi fa, che qualcuno ha dimenticato di invertire. Pensa a quello che significherebbe per lo stato d’animo della nazione, e in termini umani, se avessimo anche solo un quarto di milione di occupati in più. E non sono sicuro che le ripercussioni della spesa si fermerebbero a quella cifra.

S.: Sono piuttosto suscettibile per quanto riguarda gli interventi governativi. Comunque, prendersela con un Ministero, che lo meriti o no, è una cosa completamente diversa dall’incitare gli individui a spendere di più. Anche se una sollecitazione a questi ultimi potrebbe sembrare una cosa sciocca e pericolosa; sciocca a causa della riduzione dei loro redditi, che potrebbe rendere una spesa superiore insopportabile; pericolosa perché, se si inizia con l’incoraggiare le persone a essere imprudenti e a rinunciare alle loro abitudini di frugalità, non si sa dove si va a finire.

K.: Sono pienamente d’accordo. Non è l’individuo il responsabile, e non è quindi ragionevole attendersi che il rimedio venga dall’azione individuale. Ecco perché pongo così tanto l’accento sull’intervento delle pubbliche autorità. Sono loro che debbono avviare il processo. Non ci si deve aspettare che gli individui spendano di più, quando alcuni di loro stanno già indebitandosi. Non ci si può aspettare che gli imprenditori procedano a degli investimenti aggiuntivi, quando stanno già subendo perdite. È la comunità organizzata che deve trovare modi saggi per spendere e avviare il processo.

S.: Voglio affrontare la questione anche dall’altro lato. Al fine di conservare l’abitudine individuale alla parsimonia, non è necessario che le pubbliche autorità sentano la loro responsabilità in questa direzione? Se questa abitudine, così utile nella vita individuale, deve recare giovamento alla comunità, è essenziale che si trovino modi utili di usare il denaro risparmiato.

K.: Sì, questo è ciò che dico. E inoltre, quello della diminuzione dell’attività, e quindi del reddito nazionale, non è un modo incredibilmente miope in cui cercare di pareggiare il bilancio?

S.: Bene, lasciando da parte qualsiasi questione complessa riguardante il debito nazionale, mi sembra che tutto questo riguardi comunque il Ministro delle Finanze in due modi. Innanzi tutto, deve far fronte alle indennità di disoccupazione per gli uomini licenziati, e poi deve tener conto che il gettito delle imposte dipende dal reddito degli individui o dalle loro spese. Cosicché tutto ciò che riduce sia il reddito che le spese degli individui riduce il gettito delle imposte. E se si subisce una diminuzione dal lato delle entrate e un incremento dal lato delle uscite, si deve trovare un rimedio. Un bilancio squilibrato distrugge infatti il nostro credito, anche se c’è una differenza tra un periodo normale e uno anomalo.

K.: Ma Stamp, non si potrà mai equilibrare il bilancio attraverso misure che riducono il reddito nazionale. Il Ministro delle Finanze non farebbe altro che inseguire la sua stessa coda. La sola speranza di equilibrare il bilancio nel lungo periodo sta nel riportare le cose nuovamente alla normalità, ed evitare così l’enorme aggravio che deriva dalla disoccupazione. Per questo sostengo che, anche nel caso in cui si prende il bilancio come metro di giudizio, il criterio per giudicare se il risparmio sia utile o no è lo stato dell’occupazione. In una guerra, per esempio, tutti sono al lavoro, e talvolta anche attività importanti e necessarie non vengono svolte. Allora se si riduce un tipo di spesa, una spesa alternativa e più saggia la sostituirà.

S.: La stessa cosa accadrebbe se il governo stesse attuando un grande progetto edilizio e un programma di risanamento delle aree degradate.

K.: Sì, o di costruzione di altre ferrovie. O stesse bonificando altre terre, o ci fosse un’industria in rapida espansione a causa di nuove invenzioni, o qualsiasi altra ragione di questo tipo.

S.: Ma se, come accade oggi, una metà della forza-lavoro e degli impianti del paese sono inattivi, ciò indica che se un tipo di spesa viene ridotto, essa non sarà rimpiazzata da una spesa alternativa più saggia. Significa che niente prenderà il suo posto: nessuno sarà più ricco e tutti diverranno più poveri.

K.: Trovo che siamo d’accordo più di quanto pensassimo. Ma molte persone ritengono oggi che persino le spese praticabili costituiscano una vera sciocchezza. Quando il Consiglio della Contea decide la costruzione di case, il paese sarà più ricco anche se le case non garantiranno alcuna rendita. Se non si costruiscono quelle case, non avremo nulla da mostrare fatta eccezione per il maggior numero di uomini che ricevono un sussidio.

43 commenti su “Keynes sull’assurdità dei sacrifici: “La riduzione della spesa statale è una follia oltraggiosa”

  1. C’è una buona parte di verità in quello che viene detto, ma il problema di oggi è che quando questo dialogo aveva luogo non c’era la selva di strumenti finanziari micidiali che ha prodotto il collasso odierno. Hanno abilitato gli enti pubblici ad investire in questa roba e quando per incompetenza, quando per interesse, sono stati prodotti debiti colossali.

    • “quando questo dialogo aveva luogo non c’era la selva di strumenti finanziari micidiali che ha prodotto il collasso odierno”

      Stiglitz ha scritto cose interessanti sul tema, sostenendo che la crisi in cui ci troviamo è una crisi che altri definiscono “da bassi salari” e da deficit di domanda. E’ innegabile infatti che da diversi decenni i profitti sono cresciuti e i salari calati. Ce lo dicono i dati.

  2. […] è stato detto ottant’anni fa ma: Secondo indiscrezioni – un annuncio ufficiale non c’é stato […]

  3. Keynes non era quello secondo il quale bisognava mettere i cittadini a scavare e riempire buche piuttosto di lasciarli inattivi?
    Ha certo una sua logica, tuttavia in Italia abbiamo un settore pubblico abbastanza sovradimensionato in termini di personale (certo, invece di licenziare, bisognerebbe impiegare meglio le risorse).

    • Ma infatti lo dice proprio in questa intervista, suggerendo addirittura che pur di stare a far qualcosa è meglio una guerra che niente.

      Il criterio per giudicare se il risparmio sia utile o no è lo stato dell’occupazione. In una guerra, per esempio, tutti sono al lavoro, e talvolta anche attività importanti e necessarie non vengono svolte. Allora se si riduce un tipo di spesa, una spesa alternativa e più saggia la sostituirà.

      Direi che la concezione di decrescita felice e reddito di cittadinanza hanno da tempo fatto superare le teorie keynesiane, anche se il discorso sul taglio indiscriminato alla spesa pubblica senza adeguati sostituti resta in piedi.

    • “uttavia in Italia abbiamo un settore pubblico abbastanza sovradimensionato in termini di personale (certo, invece di licenziare, bisognerebbe impiegare meglio le risorse).”

      Quella delle buche è una battuta famosa ma è appunto una battuta. Keynes era inglese, non dimenticarlo :)

      Quanto al settore pubblico, il discorso sarebbe lungo. Noi abbiamo in Italia lavori che nessuno fa e che sarebbe utile che lo stato facesse. Dovremmo in particolare prendere esempio dai lavori pubblici per l’ambiente che attuò Roosevelt.

    • Lo si è visto di recente con la fantomatica “emergenza neve”: hai dei disoccupati che prendono il sussidio? Mandali a spalare. Hai anche un parco non curato che non riesci a mettere a posto per mancanza di soldini? Manda i suddetti disoccupati e così via. Sì, lo so, in Italia non c’è il sussidio di disoccupazione, ma l’idea è quella.

    • Si è lui.
      Salvo il fatto che la premessa del suo ragionamento era … Se siamo così idioti da chiederci dove troviamo i soldi beh, allora riempiamo delle bottiglie, scaviamo delle buche e sotterriamole dopodiché spargiamo la voce che … Se si scava si trovano … I soldi
      Banalizzare il concetto delle buche keynesiane non fa bene a chi non sa cosa sia l’economia, come questa funzione e soprattutto quali sono le sue contraddizioni

      • Questo il pezzo sulle bottiglie piene di banconote: “Se il Tesoro riempisse vecchie bottiglie di banconote, e poi le seppellisse in profondità in miniere di carbone fuori uso riempite fino alla superficie con rifiuti urbani, e lasciasse alle libere forze del mercato seguendo i ben noti principi del laissez faire il compito di scavare e ritrovarle (affidando a bandi pubblici l’assegnazione delle licenze per poter sfruttare i territori dove si trovano le miniere) non ci sarebbe più disoccupazione e a causa delle ripercussioni di questa attività il reddito reale della comunità e la ricchezza finanziaria della comunità diventerebbero probabilmente molto più alti di quanto non siano adesso. Naturalmente con i soldi messi nelle bottiglie sarebbe meglio costruire case o cose simili, ma se ci fossero difficoltà politiche per far questo, quello che abbiamo suggerito sopra sarebbe meglio che far nulla.”

    • La logica è che la spesa deve *aumentare* per contrastare la recessione, quando si è in crescita e in piena occupazione la spesa può rimanere stabile o diminuire (ma a velocità tale da non compromettere la crescita). La nostra spesa primaria sarebbe già troppa e quindi non può più aumentare? Siamo sicuri? I dati dicono che spendiamo nella media UE27:

  4. 16-febbraio 2012
    Trovare la piena occupazione , significa che tutti hanno una entrata e quindi possono fare una spesa in uscita, il problema è piuttosto nello squilibrio della distribuzione della ricchezza , ovvero troppi sono quelli che non percependo un salario o uno stipendio e quando lo percepiscono , questo è insufficiente per i bisogni elementari , non possono quindi risparmiare per investimenti (quindi niente mattone ) , per contro pochi individui percepiscono troppo rispetto ad altri, ed il surplus che a loro entra non viene investito in opere che produrrebbero nuovo lavoro e quindi occupazione, ma questo surplus viene spesso impiegato per percepire rendimenti finanziari e li rimane quindi pressochè congelato. Cosi si ferma il giro , e se non si gira non si macina.

  5. Ma infatti lo dice proprio in questa intervista, suggerendo addirittura che pur di stare a far qualcosa è meglio una guerra che niente.

    Il criterio per giudicare se il risparmio sia utile o no è lo stato dell’occupazione. In una guerra, per esempio, tutti sono al lavoro, e talvolta anche attività importanti e necessarie non vengono svolte. Allora se si riduce un tipo di spesa, una spesa alternativa e più saggia la sostituirà.

    Direi che la concezione di decrescita felice e reddito di cittadinanza hanno da tempo fatto superare le teorie keynesiane, anche se il discorso sul taglio indiscriminato alla spesa pubblica senza adeguati sostituti resta in piedi.

    • “Direi che la concezione di decrescita felice e reddito di cittadinanza hanno da tempo fatto superare le teorie keynesiane, anche se il discorso sul taglio indiscriminato alla spesa pubblica senza adeguati sostituti resta in piedi.”

      Personalmente non sono per nulla d’accordo, ma temo che non ti convincerò. Un conto è una crescita diversa (ad esempio una crescita basata sulla riconversione ambientale) tutt’altro è sostenere che dobbiamo fermare la crescita.

    • “In una guerra, per esempio, tutti sono al lavoro, e talvolta anche attività importanti e necessarie non vengono svolte. Allora se si riduce un tipo di spesa, una spesa alternativa e più saggia la sostituirà.”

      @Fabio: Io la capisco in modo diverso. Essere in guerra non produce nulla, forse è un pò comparabile come essere disoccupato e recepire dei sussidi (o forse ancora peggio, visto che muoiono delle persone, case, cose e paesaggi vengono distrutti … sebbene è vero che _dopo: una guerra c’è una ripresa, una ri-crescita, perchè si deve ricostruire). Invece, riducendo la spesa per la guerra (improduttiva, nel testo dice “attività importanti e necessarie non vengono svolte”) si può investire quei soldi in altre attività, p.es. costruzione edilizia, macchinari, ortaggi …

  6. “Non è un caso se in questo periodo si moltiplicano i libri su colui che viene giustamente considerato il maggior economista del Novecento, John Maynard Keynes. Non è un caso perché il dibattito tra gli economisti sembra divedersi in due fronti: da una parte quelli che ritengono che le politiche keynesiane siano la soluzione alla crisi che ha sconvolto l’economia mondiale negli ultimi anni, dall’altra coloro che sottolineano proprio come queste stesse politiche non solo abbiano causato la crisi passata, ma stiano anche creando i presupposti della prossima”.

    Fonte:
    http://www.brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=9894

    • “dall’altra coloro che sottolineano proprio come queste stesse politiche non solo abbiano causato la crisi passata, ma stiano anche creando i presupposti della prossima”.

      Difficile sostenerlo. E’ alquanto evidente dai dati e dalle norme adottate tanto a livello nazionale quanto internazionale che da circa 30 anni ci si muove in una chiara direzione liberista, più o meno in tutto il mondo. Ed è altrettanto evidente che paesi meno inclini al laissez-faire economico siano molto meno vulnerabili alla crisi. Lo ha dovuto ammettere persino l’Economist.

    • Le politiche keynesiane sarebbero le responsabili delle crisi ?
      Ma stiamo scherzando ?
      Voglio solo ricotrdare che la prima guerra mondiale, la crisi del 29 e di conseguenza la seconda guerra mondiale sono proprio il frutto delle politiche liberiste di quell’ epoca.
      Grazie alle politiche keynesiane attuate dal dopo guerra in poi l’ occidente non è mai stato cosi ricco e democratico.
      Gli Stati Uniti ancora oggi attuano politiche keynesiane

  7. Reblogged this on ArticoliDeterminativi and commented:
    Vista l’impronta, almeno per certi versi, fortemente liberalista delle riforme per la ripresa dalla crisi, mi pare cosa buona e giusta ribloggare questo post preso da keynesblog.wordpress.com contenente un’intervista all’economista John Maynard Keynes. Fu applicando le sue teorie che Roosevelt risollevò le sorti degli USA dopo il ’29.

  8. Interessante… Ti ho linkato da un blog, molto più spartano di questo, di cui sono coautore.
    Spero non ti dispiaccia

  9. penso che in questo momento sia considerato meno blasfemo bestemmiare il nome di Iddio in diretta TV che pronunciare quello di Keynes in un dibattito economico! la grande crisi del ’29 somiglia molto all’attuale, essendo stata anch’essa innescata da sofferenze finanziarie legate a una precedente deregulation… la storia si ripete, vichianamente parlando, però in maniera simile e non uguale: volendo rimanere nell’ortodossia dell’economia capitalistica (perchè si autosostenga è necessaria una crescita continua), una politica economica di stampo keynesiano, alla luce della ragione, farebbe sempre meno danni dell’attuale politica neoliberista, ma credo che non funzionerebbe come al tempo di Keynes a causa di un piccolo particolare che nel frattempo è cambiato, ossia che l’attuale economia mondiale non è più basata sul colonialismo classico bensì sulla globalizzazione… ecco perchè nominare il nome di Keynes equivale a una bestemmia: l’intervento regolatorio dello Stato in campo economico fermerebbe il processo di deregolazione a livello mondiale, spianando nuovamente la strada a un sistema economico basato sulla giustizia sociale di tipo socialista! la politica restrittiva in auge non farà che aumentare la disoccupazione e di conseguenza il conflitto sociale, già vediamo città in fiamme… la protesta verrà soffocata con la forza, come avvenne tra le due guerre mondiali, ma il fascismo oggi non ha il volto di Starace bensì quello di Passera… eh sì, la storia si ripete! (stavolta speriamo in forma di farsa, come diceva il grande Karl)

  10. Come si fa a chiamare “felice” la decrescita, e cioè la fame e la disoccupazione ?
    La ricchezza va dove c’è ricchezza, e per questo i ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri. Se non vogliamo che questo spread aumenti, dobbiamo impedire che i poveri, o i non ricchi, si fermino, altrimenti il divario sarà incolmabile. L’attività genera ricchezza, e per quanto gli esempi di Keynes siano provocatori (non condivido la guerra) resta vero che l’attività è un bene essenziale che andrebbe difeso e incrementato, perché da essa dipende appunto la ricchezza. Non è con la politica dello sceriffo di Nottingham, spremere il popolo come limoni, che si otterrà qualcosa. Quando saranno falliti coloro che lavorano, falliranno a ruota anche gli altri. Una banca non può sopravvivere senza clienti. Sarebbe bene che qualcuno ci pensasse, prima di strangolare chi lavora.
    Né si può sperare di uscire dalla crisi con la politica delle brioche. Il popolo non ha pane ? Dategli le brioche !
    No, non è così che funziona.
    C’è la crisi, incentiviamo le brioche (le rinnovabili).
    No, non è così che funziona.
    Se il vostro disegno è portare tutti alla fame, allora fate bene (cioè, dal mio punto di vista male, malissimo) a perseguire decrescita e rinnovabili (due aspetti della stessa sconcezza economica, e di conseguenza morale).
    Ma il mio disegno è l’opposto, migliorare le condizioni del popolo, e questo lo si può ottenere solo incrementando le attività, e ricorrendo ad attività utili ed efficaci.
    Anche in questo mi discosto da Keynes, nel senso che non credo alle attività inutili, o per lo meno ci credo meno di lui. Sarebbe lungo da spiegare ma in parte ha ragione, a patto che non si estremizzi il suo concetto, e comunque vale la pena di indirizzarsi su attività più utili, e soprattutto un’attività inutile è accettabile solo in alternativa ad una non-attività.
    Secondo me.

    • Hai mai letto Pallante? Latouche? La decrescita felice non porta affatto disoccupazione – e comunque, bisogna abolire anche il mantra dell’occupazione, che è oggi necessaria alla sopravvivenza solo perché non è diffuso il reddito di cittadinanza. In un’era sempre più tecnologizzata, i lavori necessari andranno sempre più a ridursi. E’ un processo in atto dall’inizio della rivoluzione industriale.

      C’è una vastissima letteratura in materia, c’è solo da studiarla. :)

      • Si certo … perchè il proprietario dei mezzi di produzione (direbbe Marx) o meglio il titolare dei diritti di sfruttamento economico delle invenzioni industriali le lascia usare per dare il sussidio di disoccupazione a pioggia. Quello che vai proponendo funziona solo nel caso in cui collettivizzi i mezzi di produzione, ossia solo in un regime comunista puro (manco sovietico) …. parlare di decrescita in un regime capitalistico è semplicemente assurdo.

  11. […] avremo nulla da mostrare fatta eccezione per il maggior numero di uomini che ricevono un sussidio.https://keynesblog.wordpress.com/2012/02/16/keynes-assurdita-sacrifici/  Dovresti leggere anche :Il rapporto IAEA, l’Iran ed il dossier nucl…Milioni di euro […]

  12. In ottanta anni non abbiamo imparato niente!
    Bonini

  13. Salve, ho trovato il suo blog molto interessante e vorrei invitarla nel nostro Art Social Network, si chiama Leonida: http://www.leonida.eu
    E’ un social network interamente dedicato alle arti (musica, fotografia,videoart, scrittura, blogger). Saremmo lieti se aprisse una pagina ufficiale del suo blog nel nostro social network (ovviamente linkata al suo blog per consentire al nostro pubblco di giungere al vostro blog) un modo come un altro per sponsorizzarsi.
    Abbiamo una sezione “Writers” con diversi blog. La pagina è completamente gratuita.
    Un Saluto e grazie.
    Marzia

  14. Vi invito a leggereil libro in PDf di Paolo Barnard “IL PIÚ GRANDE CRIMINE” ( si scarica gratuitamente sul web).
    Spiega molto bene gli argomenti trattati da Keynes e il perché la politica economica e le idee neoliberiste stanno da decenni privando le democrazie partecipative della propria essenza….
    Buona lettura a chi vorrá farlo..

  15. Antonio Gagliano: sono sempre stato un keynesiano convinto e la rivoluzione copernicana che egli ha prodotto nella scienza economica non ha, ad oggi, alcun pari xchè ha fatto sì che si comprendesse che, nelle economie sviluppate, la ricchezza (il reddito) dipende non già da quanto si produce ma da quanto si consuma, cioè dalla domanda … Però il pensiero di K. è molto più articolato e non può esser preso nè a spezzoni nè estrapolando facili slogans …, infatti quando egli insegnava che la spesa pubblica stimola la domanda e quindi non va diminuita nei momenti di crisi, al contempo sottolineava l’importanza della qualità della spesa perchè una sua cattiva qualità avrebbe provocato solo effetti depressivi. E, poi, c’è un’altra questione che impone una “verifica” del pensiero keynesiano alla luce di una situazione oggi completamente nuova: il mondo cui K. si riferiva non conosceva la globalizzazione economica, si trattava di economie enormemente più chiuse di quelle attuali e, sopratutto, l’occidente, cui i modelli keynesiani si riferiscono, non conosceva la concorrenza sui mercati da parte dei paesi emergenti nè, ancora, si era mai presentato quell’enorme fenomeno della “delocalizzazione” delle produzioni industriali e dei servizi. Così, per concludere, al tempo di Keynes lo stimolo della domanda, nelle cicliche fasi di depressione, che si otteneva con un accorto incremento della spesa pubblica, si traduceva immediatamente in uno stimolo all’offerta, alla produzione e quindi, in un maggior reddito, in una maggiore ricchezza. Ma, oggi, può dirsi la stessa cosa? Credo proprio di no. Con questo non voglio dire di mandare in soffitta le teorie keynesiane, tutt’altro. Penso invece che non è possibile considerarle alla stregua di acritico parameto di intervento nella situazione attuale specie quando, come credo che sia purtroppo avvenuto, la scienza economica contemporanea non ha adeguatamente analizzato gli effetti delle misure interventistiche dello Stato in una struttura produttiva globalizzata e che conosce il così ampio ricorso alla delocalizzazione delle produzioni in realtà economiche assolutamente eterogenee

  16. La finanziarizzazione e la globalizzazione sono fenomeni connaturati con il capitalismo. Keynes e Marx sono stati tra i più importanti economisti a sottolinearlo.
    Nei giorni scorsi abbiamo segnalato un libro, “il capitale finanziario” di Rudolf Hilferding che ha ben 100 anni. In esso si può leggere: “La caratteristica del capitalismo moderno è data da quei processi di concentrazione che si manifestano nel superamento della libera concorrenza e nel rapporto sempre più stretto fra capitale bancario e capitale industriale, in virtù del quale il capitale assume la forma di capitale finanziario”.
    Cioè qualcosa di molto simile a ciò che Luciano Gallino ha scritto in un suo recente libro, “Finanzcapitalismo” in cui spiega come il capitalismo industriale abbia mutuato la logica di quello finanziario.

    Keynes ad esempio propose una moneta per i commerci internazionali, il bancor, che oggi è tornata di moda nella discussione economica (la propongono la Cina e il FMI) come alternativa a misure protezionistiche scoordinate. Sulla finanza, quella che normalmente viene chiamata “Tobin Tax” dovrebbe essere invece chiamata “Keynes Tax” perché fu proprio Keynes a proporre la tassazione delle transazioni finanziarie (invece la Tobin Tax è propriamente la tassazione delle transazioni valutarie).

    Quindi bisognerebbe andare un po’ oltre i luoghi comuni. Il fatto che un pensatore sia vissuto 80 anni fa o, nel caso di Marx, persino 150 anni fa, non significa affatto che non abbia nulla da dire per l’oggi. Anzi.

  17. […] La deliberata riduzione di investimenti utili sembra a Keynes una follia e addirittura una politica oltraggiosa. Quello della diminuzione dell’attività, e quindi del reddito nazionale è un modo incredibilmente miope in cui cercare di pareggiare il bilancio. (Leggi) […]

  18. […] c’è di male in questo? Molto. La spesa di qualcuno è sempre il reddito di qualcun altro. Se andiamo al supermercato e compriamo del formaggio, ad esempio per la somma di 5 euro, avremo […]

  19. […] Cosa c’è di male in questo? Molto. La spesa di qualcuno è sempre il reddito di qualcun altro. […]

  20. “Una diminuita propensione al consumo esercita un effetto deprimente sull’occupazione”

    ” Finché vi siano milionari che trovino soddisfazione nell’erigere magnifici palazzi per contenere i loro corpi finché sono in vita e piramidi per accoglierli dopo morti,oppure che pentendosi dei loro peccati erigano cattedrali o elargiscono somme a monasteri o missioni estere, il giorno nel quale l’abbondanza dei capitali ostacoli l’abbondanza della produzione può essere procrastinato. Lo scavar buche nel terreno mediante risorse tratte dal risparmio accrescerà non soltanto l’occupazione ma anche il reddito reale nazionale di beni e servizi utili, ma non è ragionevole che una collettività sensata accetti di dover dipendere da simili espedienti fortuiti e spesso distruttivi, una volta che si siano compresi i fattori dai quali dipende la domanda effettiva” TG cap 16

    Tradotto: “La mia spesa è il tuo reddito, la tua spesa è il mio reddito”.

    Siamo in una trappola di liquidità anche se il costo del denaro è zero i privati che non hanno fiducia nel futuro non investono, e le banche commerciali (che sono private) non prestano denaro neanche a quei pochi che vorrebbero investire. Oggi la politica monetaria espansiva non è in mano alla BCE ma alle banche commerciali che non immettono nell’economia reale i nostri denari perché sono nostri i denari della BCE che vengono dati all’1%, agendo in questa maniera le banche private di fatto bloccano la cinghia di trasmissione della politica monetaria espansiva la cui sovranità e attuazione effettiva dovrebbe essere solo ed esclusivamente dello stato senza nessuna cessione di delega a terzi.

    E’ per questo motivo che keynes afferma che occorreva un intervento diretto dello stato tramite le opere pubbliche, non tanto perché vuole sostituire lo stato al privato ma per il solo fatto che il privato non investendo non alimenta la domanda aggregata e crea disoccupazione involontaria.

  21. […] invito a leggere: questa conversasione radiofonica tra keynes e Sir Josiah Stampd, trasmessa alla BBC il 4 gennaio […]

  22. Ma si! Pizza e mandolino per tutti!

  23. ma si! Stampiamo soldi! fabbrichiamo soldi! Inondiamo l’economia di soldi! Tutto a spese dello Stato! così diventiamo tutti ricchi!! evviva! Niente più povertà! Consumiamo consumiamo consumiamo! Questa è la ricchezza! mica il risparmio ! nooo il risparmio è il blocco dell’economia! Grazie Keynes per avere distrutto l’economia occidentale.

  24. It’s an amazing paragraph in support of all the online people; they will get advantage from it I am sure.

  25. Vorreste citare nel vostro articolo, per favore, la pubblicazione da cui è tratta la traduzione? Grazie. Intanto la segnaliamo qui a cura della direttrice della collana keynesiana. Grazie. Link alla scheda del testo:
    http://www.hoepli.it/ebook/lassurdita-dei-sacrifici-elogio-della-spesa-pubblica/978889090694M.html
    Edizioni Sì. http://www.edizionisi.com/

    • Il realtà il testo è stato precedentemente pubblicato dal Manifesto, come riportato nell’articolo. Ma hanno fatto benissimo a ripubblicarlo le edizioni sì!

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