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Appello mondiale degli studenti per il pluralismo nell’economia

Questo manifesto è stato elaborato dalla rete mondiale “Rethinking economics” formata da studenti di economia delle università di tutto il mondo. In Italia la rete ha un riferimento nel sito rethinkecon.it. Keynes blog si unisce convintamente all’appello.

A Global Student Call for Pluralism in Economics

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Dichiarazione globale degli studenti per il pluralismo in economia

Negli ultimi sette anni, con gli effetti della crisi finanziaria sotto gli occhi di tutti, un’altra crisi economica, con implicazioni profonde per tutti noi, è passata quasi inosservata: la crisi teorica dell’economia e del suo stesso insegnamento. La stagnazione dell’offerta didattica e di una pedagogia ridotta e riduttiva è durata decenni, nonostante ripetuti sforzi, da parte degli studenti, volti a cambiare questa situazione. Ora, nel pieno della crisi finanziaria globale, tali iniziative studentesche hanno trovato nuova linfa ed una rinnovata energia in diversi paesi tra cui Argentina, Austria, Brasile, Canada, Cile, Danimarca, Francia, Germania, India, Inghilterra, Israele, Italia, Nuova Zelanda, Scozia e Stati Uniti. Cosa più importante, gli studenti coinvolti in queste iniziative hanno trovato una causa comune nella promozione di un vero insegnamento plurale dell’economia. All’interno delle università il pluralismo significherà una più ampia varietà teorica e metodologica nei nostri libri di testo, ed una formazione più solida e reattiva. Fuori dalle università, invece, il pluralismo comporterà una più ampia gamma di opzioni nell’“inventario” degli strumenti dei nostri governi, per migliorarne la capacità di trovare soluzioni collettive ai problemi globali dell’economia, siano essi urgenti o più a lungo termine.

Il pluralismo cerca inoltre di costruire dei legami più forti tra questi due mondi e di integrare sempre meglio le teorie e gli strumenti acquisiti nell’ambito accademico, con le sfide morali, politiche, ambientali, culturali, nonché con molte altre di estrema complessità che caratterizzano il XXI secolo. Nessuna scuola di pensiero gode di un monopolio delle soluzioni a queste sfide, e data l’immensità delle conseguenze nel mondo reale del loro lavoro, gli economisti hanno la responsabilità di assicurare che la loro professione sia dotata di una diversificazione interna che le permetta di affrontare una simile complessità esteriore.

Il pluralismo teorico enfatizza il bisogno di allargare il raggio di scuole di pensiero rappresentate nei corsi universitari. In questo contesto è importante notare che non obiettiamo contro nessuna tradizione economica in particolare. Il pluralismo non è una scelta di campo, ma riguarda il sano incoraggiamento a un dibattito teorico che non può che rafforzare la professione dell’economista nella sua interezza. Una formazione economica onnicomprensiva è finalizzata a promuovere un’esposizione bilanciata alle varie prospettive teoriche che vanno dai più comuni insegnamenti dell’approccio neoclassico fino a quelle tradizioni largamente escluse come quelle classica, post-keynesiana, istituzionale, ambientalista, femminista, marxista e austriaca, per citarne qualcuna. Quando la maggior parte degli studenti di economia si laurea senza mai incontrare una simile varietà di prospettive durante gli studi, allora si capisce che tale percorso educativo si rivela insufficiente e soprattutto inefficiente. Basta immaginare un corso di laurea in storia dell’arte focalizzato solo sull’impressionismo, oppure un corso di scienze politiche che si concentri solo sul socialismo, e si potrà iniziare ad apprezzare i limiti di un tipico corso di economia.

Il pluralismo metodologico impone l’impiego di un ampio ed eterogeneo insieme di strumenti nell’analisi delle questioni economiche. Con ciò non si vuole sottostimare la necessità del rigore analitico-matematico e quantitativo-statistico. Ma troppo spesso gli studenti acquisiscono acriticamente le suddette competenze “tecniche” evitando le più elementari riflessioni epistemologiche: come e perché tali strumenti vadano utilizzati, la neutralità delle assunzioni e l’applicabilità dei risultati. Inoltre, esistono importanti aspetti economici impossibili da indagare esclusivamente per mezzo dell’approccio quantitativo: ad esempio, le istituzioni, le culture e la storia rappresentano elementi determinanti dei meccanismi e processi economici e, come tali, dovrebbero essere parte integrante dei piani di studio. Ciononostante, la grande maggioranza degli studenti non frequenta nemmeno un singolo corso di “metodi qualitativi” durante il proprio percorso formativo.

Il pluralismo interdisciplinare sviluppa ulteriormente il discorso metodologico, riconoscendo che l’economia è più efficace quando integrata con altre scienze sociali ed umanistiche. Così come le politiche economiche non prescindono dale lezioni derivanti dalla politica, dall’etica, dalla psicologia, dalla storia, dalla sociologia e dall’ecologia, nemmeno l’insegnamento dell’economia dovrebbe prescindere da questi stessi ambiti. L’apprendimento interdisciplinare è vitale per fornire agli economisti la profondità cognitiva necessaria ad apprezzare le numerose implicazioni che le loro idee comportano per lo sviluppo globale.

Mentre gli approcci per implementare queste forme di pluralismo varieranno di luogo in luogo, le idee generali per il loro sviluppo dovrebbero includere le due seguenti linee guida:

  •  Verso un pluralismo teorico e metodologico: dare la priorità a docenti e ricercatori che possono essere fonte di diversità teorica nei programmi economici; ideare testi e altri strumenti di insegnamento a supporto di un’offerta formativa pluralista; dare la priorità nei giornali professionali a lavori pluralisti.
  •  Verso un pluralismo interdisciplinare: formalizzare le collaborazioni tra dipartimenti di scienze sociali e di studi umanistici o stabilire dipartimenti speciali che possano sovraintendere programmi che combinino l’economia e gli altri campi.

Il progresso su questi fronti richiede non solo la costruzione di un nuovo consenso attorno al pluralismo, ma anche che una varietà di altre sfide sia messa in evidenza, inclusa la ricerca di professori con una formazione pluralistica e di fondi per sostenere le iniziative sopra elencate. Di conseguenza, se speriamo di dotare la professione dell’economista di un profilo pluralista in un arco di tempo che si accordi con l’urgenza della crisi globale, allora dobbiamo iniziare a connetterci, ad essere coordinati e creativi nella ricerca di nuove soluzioni. Con questo obbiettivo in mente i nostri network studenteschi hanno iniziato a premere per un cambiamento, e a superare le lacune educative organizzando seminari, conferenze e altre iniziative creative.

Abbiamo bisogno di studenti, professori, ricercatori e sostenitori da tutto il mondo che si uniscano a noi per formare la “massa critica” necessaria al cambiamento. Visitate il sito (www.isipe.net e www.rethinkecon.it) per capire come supportare la nostra causa. Come la grande crisi finanziaria ci ha ricordato, nell’economia le idee vanno ben oltre le aule universitarie, e raggiungono ogni angolo della nostra vita. La spinta per il pluralismo non è semplicemente uno sforzo per rafforzare la professione dell’economista, ma uno sforzo per rafforzare le fondamenta stesse del benessere umano e della nostra abilità collettiva di prosperare.

Rethinking Economics Italia. Studenti promotori in Italia:

Nicolò Fraccaroli, portavoce RE Italia

Mattia Maria Achei

Giacomo Bracci

Michele Cantarella

Luca Eduardo Fierro

Ivan Invernizzi

Marco Schito

Roberto Geno Volpe

 

Rivista promotrice:
Rivista di Economia e Politica

Hanno sostenuto questo manifesto in Italia:

  • Ardeni Pier Giorgio, Università di Bologna
  • Salvatore Biasco, Università “Sapienza” di Roma
  • Giancarlo Beltrame, Università di Bergamo
  • William K. Black, UMKC
  • Emiliano Brancaccio, Università del Sannio
  • Katia Caldari, STOREP e Università di Padova
  • Sergio Cesaratto, Università di Siena
  • Daniele Checchi, Università di Milano
  • Giuseppe Di Gaspare, LUISS
  • Massimo Egidi, LUISS
  • Jean-Paul Fitoussi, LUISS e Sciences Po
  • Mathew Forstater, UMKC
  • Luciano Gallino, Università di Torino
  • Nino Galloni, INPS
  • Nadia Garbellini, Università di Bergamo
  • Stephanie B. Kelton, UMKC
  • Marc Lavoie, University of Ottawa
  • Stefano Lucarelli, Università di Bergamo
  • Giorgio Lunghini, Università di Milano e di Pavia
  • Sebastiano Maffettone, LUISS
  • Marcello Messori, LUISS
  • Luciano Monti, LUISS
  • Warren Mosler, COfFE, CFEPS e Università di Bergamo
  • Raimondello Orsini, Università di Bologna
  • Laura Pennacchi, Scuola per la Buona Politica Fondazione Basso
  • Stefano Perri, Università di Macerata
  • Gustavo Piga, Università di Roma “Tor Vergata”
  • Riccardo Realfonzo, Università del Sannio
  • Roberto Romano, ricercatore CGIL
  • Alessandro Roncaglia, Università “Sapienza” di Roma
  • Francesco Saraceno, Sciences Po e OFCE
  • Claudio Sardoni, Università “Sapienza” di Roma
  • Mario Seccareccia, University of Ottawa
  • Stefano Solari, Università di Padova
  • Antonella Stirati, Università degli Studi Roma Tre
  • Guido Tortorella Esposito, Università del Sannio
  • Stefano Toso, Università di Bologna
  • Gianfranco Tusset, Università di Padova
  • Anna Maria Grazia Variato, Università di Bergamo
  • Marco Veronese Passarella, University of Leeds
  • Larry R. Wray, UMKC
  • Stefano Zamagni, Università di Bologna

Gruppi studenteschi promotori nel mondo:

  • Economics Student Forum – Haifa, Israel
  • Post-Crash Economics Society Essex,
  • Network for Pluralist Economics, Germany
  • Society for Pluralist Economics; Vienna, Austria
  • Glasgow University Real World Economics Society, Scotland
  • Rethinking Economics Italia
  • Rethinking Economics, Quebec
  • The Socio-Economic Society, Aarhus, Denmark
  • Cambridge Society for Economic Pluralism (CSEP), Cambridge, United Kingdom,
  • Rethinking Economics, UK
  • Better Economics UCLU, London
  • Movement for Pluralistic Economics, Ljubljana,
  • Lunds Kritiska Ekonomer, Lunds Universitet, Sweden
  • Sociedad de Economía Crítica, Argentina and Uruguay
  • Nova Ágora, Brazil
  • Rethinking Economics New York, United States
  • The Post-Crash Economics Society, University of Manchester, UK
  • PEPS-Economics, France
  • Grupo de estudiantes y egresados de la Facultad de Economía y Negocios de la Universidad de Chile, Chile
  • Det Samfundsøkonomiske Selskab (DSS), Denmark
  • Oikos Köln, Germany
  • Real Economics Mainz, Germany
  • Kritische WissenschaftlerInnen Berlin, Germany
  • Arbeitskreis Plurale Ökonomik, Germany
  • Was ist Ökonomie, Germany
  • Alternative Thinking for Economics Society Sheffield, United Kingdom
  • Jodhpur University Heterodox Economics Association, India
  • Mouvement étudiant québécois pour un enseignement pluraliste de l’économie, Canada
  • Oeconomics Economic Club MGIMO, Russia
  • Lunds Kritiska Ekonomer, Sweden
  • Handels Students for Sustainability, Sweden
  • PEPS-Helvetia, Switzerland
  • Post-Crash Barcelona, Spain

22 commenti su “Appello mondiale degli studenti per il pluralismo nell’economia

  1. Per come la vedo io, prima di pensare al “pluralismo” sarebbe bene, anzi sarebbe indispensabile, che nelle scuole di economia l’analisi matematica venisse insegnata (e verificata agli esami) allo stesso livello cui viene insegnata nelle Facoltà scientifiche, e che fosse allo stesso modo propedeutica per il proseguimento degli studi. Diciamo tipo Analisi 1 ed Analisi 2 di Ingegneria.
    Sono certo che a quel punto il problema del “pluralismo” non si porrebbe affatto. E si darebbe un taglio drastico all’eccessiva quantità di venditori di fumo che oggi ci ammorbano.

    • Prova a vedere il materiale del corso DES della Bocconi o LMEC dell’Università di Bologna e vedrai che la matematica è più che affrontata anche in campi più avanzati rispetto agli insegnamenti da te citati.
      Inoltre quello di cui stai parlando è l’esatto contrario di ciò che dice l’appello, ovvero abbandonare certi modelli matematici per aprirsi ad uno studio più concreto.

      • Ma per favore. Anche all’MBA che ho fatto alla LUISS venivano “affrontati” i metodi per calcolare il valore delle opzioni. Il punto è che quel metodo di “affrontare” la matematica non ha nulla a che fare con lo studio che se ne fa nelle facoltà scientifiche. Quelle vere, intendo. Ma proprio nulla. Un pò come confrontare le nozioni rinvenibili in un generico atlante del corpo umano ad uso delle scuole medie con le conoscenze di un cardiochirurgo.
        Poi, non ho dubbi che tra gli economisti possa anche esistere qualcuno con una comprensione della matematica adeguata a non fargli dire imbecillate solenni ogni 3 x 2. Ma non è affatto la regola. La regola è l’esatto opposto.
        Sia chiaro: non voglio dire che la conoscenza dell’analisi matematica è il viatico per una mente funzionante. Dico che l’approccio al superamento di quegli esami (e non il semplice prendere i libri in mano) richiede una mentalità adatta ed un adeguato rigore logico. Oltre a tutto il resto ovviamente: fatica, metodo, fatica, attenzione, fatica, sacrificio, fatica, un mare di tempo, fatica, fatica, fatica, … cose che alla fine selezionano e formano.

      • @g.e.o.: tu non sai di cosa parli..un MBA alla LUISS (ma anche in qualsiasi altro posto) non ha neanche un decimo dell’impianto quantitativo del DES Bocconi.

    • Rispondo qua in quanto, non so perchè, sotto il tuo ultimo commento non mi da la possibilità di rispondere.
      Purtroppo l’MBA ti da una competenza molto diversa rispetto ai corsi da me citati che sono molto più teorici.
      E te l’ho dico poichè sto facendo uno di questi: gli esami di matematica sono proprio di analisi ( http://ebernardi.com/ ).
      Noi abbiamo esami di analisi matematica e tutto il corso è centrato proprio su questa.
      La questione di questo appello è anzi l’esatto contrario, smettere di guardare i numeri e la teoria e cercare di concentrarsi sulla realtà dei fatti che, soprattutto nell’ottica macro, è impossibile da sintetizzare.
      Quello che hai frequentato è un corso aziendale che ha un altro fine, molto diverso da quello della ricerca: è quasi impossibile trovare un dottorando (e conseguentemente un professore) di economics con un master in aziendale.

      • Arima per favore.
        Grazie delle informazioni, non me ne ero mica accorto.
        Il fatto che i tuoi esami si chiamino “analisi matematica” NON implica che equivalgano a quelli omonimi affrontati dagli studenti di materie scientifiche.
        Ho avuto ben cura di specificare “… tipo Analisi 1 ed Analisi 2 di Ingegneria”. Proprio perché di amici studenti di economia e commercio all’epoca ne avevo, anche loro avevano esami con quei nomi, ma NON erano la stessa cosa, come NON era la stessa cosa l’intransigenza degli esaminatori. Del resto, si sa, la matematica “in pratica non serve …”.
        Del resto. Avrai fatto caso anche tu che i laureati di qualunque livello in discipline c. d. “sociali” NON ragionano come quelli provenienti da discipline scientifiche. Voi vi illudete che sia una questione di “tipologia” dell’insegnamento; la realtà è che invece è una questione di livello qualitativo e quantitativo.
        Se i grandi geni dell’economia valessero quanto il più medesto degli ingegneri, anzi, dei geometri, che comunque è in grado di progettare una casa che NON crolla, dubito che il Mondo avrebbe i problemi che ha. La verità è che brancolate da sempre nel buio.

    • Ripeto.
      Scienze Economiche è una cosa, Scienze Aziendali è un’altra.
      Economia e commercio è sotto S.A., qua si parla di Scienze Economiche, che è tutta altra cosa. Fidati. (Fai conto che alcuni insegnamenti si fanno con i corsi di laurea di Matematica).

      • Oh questa poi. Se è così, evidentemente mi sbagliavo. Se la preparazione di alcuni economisti passa veramente per studi di analisi fatti in comune con i corsi di matematica, e quindi – immagino – anche gli esami vengano fatti in comune e con gli stessi criteri, allora non riesco ad immaginare cosa venga fatto in seguito per devastare quei poveri cervelli fino al punto che vediamo.

      • Ecco, lo sapevo. Ci sono ricascato. Ho ammesso come possibile qualcosa di evidentemente infondato.
        Ho dato un’occhiata ai piani di studio. Quelli attuali, per verificare che le cose non fossero troppo cambiate rispetto ai miei tempi.
        A Ingegneria (La Sapienza) sono ancora previsti i corsi propedeutici di Analisi Matematica I e II. La trattazione è completa, come ai miei tempi, e si riferisce rispettivamente agli spazi ad una e più dimensioni.
        A Scienze Economiche, sempra La Sapienza per confronto omogeneo, viene erogato al primo anno un “matematica corso base” accessibile anche a chi non ha una base dalle scuole superiori … la descrizione del corso sembra più che altro cercare di non scoraggiare gli studenti per quanto capre siano. Mi è capitato il .pdf della prova d’esame, http://www.memotef.uniroma1.it/newdip/utenti/patri%27stefano/miosito/domande_per_orale_2012_2013.pdf, per favore non prendermi in giro questa NON è analisi matematica e pure “corso base” mi sembra un titolo eccessivo.
        Al DES si parla di “matematica avanzata”, ma sempre “per l’economia e le scienze sociali”. Beh accidenti, qui si slanciano addirittura fino all’algebra lineare ed alle equazioni alle derivate parziali, wow!!! E poi gli spazi vettoriali! Così a naso l’intero corso è a livello del primo 1/3 di Analisi I, forse.
        A questo punto mi risparmio il LMEC. Anzi, no. “Calculus”: il docente che citi ha cura di spiegare “The treatment here is simplified, spread out, and somewhat rearranged for presentation at the undergraduate level also”. Il resto dei corsi è paccottiglia. Fidati. O se vuoi verifica tu, io ho di meglio da fare che stare a spiegare cose evidenti a chi non ha gli strumenti per riconoscere l’evidenza.
        A questo punto mi sembra chiaro che uno studente di liceo scientifico con una buona preparazione sarebbe già almeno a metà strada rispetto agli studi di Matematica richiesti dai corsi di “Scienze” Economiche.

        Quindi, per favore, anzi, per pietà. Sparane meno o almeno di meno grosse. O forse no … ora capisco … spararne di enormi in fin dei conti fa parte del mestiere …

  2. e qui , la domanda sorge in me spontanea :

    ma perchè c’è bisogno delle disgrazie/devastazioni per far tornare a ragionare le persone ?

    sicuramente è un mio limite di comprensione e/o la sede inadatta per tale quesito

    • “ma perchè c’è bisogno delle disgrazie/devastazioni per far tornare a ragionare le persone ?”
      Io mi spingerei un tantino più in là : ma perchè non bastano nemmeno le disgrazie/devastazioni per far tornare a ragionare le persone ?
      Cfr: Colin Crouch, “The Strange Non-Death of Neoliberalism” ( Polity Press 2011 )

    • Eppure è ovvio.
      Perché la materia non esiste.
      Gli “studi” economici si riducono ad un pò di statistica applicata di solito molto male; il resto sono chiacchere.
      Ormai da secoli migliaia di “studiosi” la mattina si svegliano ed elaborano la loro personale teoria o visione delle cose. Qualcuno di loro ogni tanto ha ragione; a volte perché è una persona di buon senso (può capitare), altre per puro caso (tra migliaia e migliaia di elaborazioni, può capitare anche questo). Quando capita si grida al genio e si continua a sostenerne le tesi, spesso a sproposito (perché nel frattempo il Mondo cambia), per decenni o secoli (vedi qui Keynes). Ma la materia continua a non esistere: perché mancano i riscontri misurabili a sostegno delle “teorie”, oppure sono talmente complicati e confusi (i “dati” da analizzare derivano, anzi deriverebbero, da osservazioni statistiche di comportamenti umani) che è come se non esistessero. E, se la materia non esiste e non esistono i riscontri con la realtà, ciò che resta è solo la cristallizzazione della discussione su idee mai provate, anche se magari valide in determinati contesti. E nessuno si accorge di nulla finché non si è preso pieno il muro in faccia a tutta velocità.
      A prova di quanto sopra. Anche in questo blog è interessante leggere discussioni infinite con impiego di migliaia di parole e paroloni in cui le parti sostengono tesi OPPOSTE. In altri ambiti di “studio”, dove realmente esiste una materia ed è possibile effettuare riscontri, al massimo si parlerebbe di qualche piccolo disallineamento o divergenza di interpretazione su fatti comunque conclamati.
      La cosa più tragica è che l’Università finisce col laureare gli “specialisti” del nulla; ed alcuni di questi finiscono, dopo opportuna carriera e selezione da parte di un vasto sistema di loro pari nullità, col prendere decisioni da cui dipendono le sorti di interi popoli. Superfluo citare i recenti devastanti esempi nostrani. Se non fosse tragico sarebbe comico.
      Per cui rilancio la mia idea: tutti coloro i quali studiano materie che vogliono dirsi “scientifiche” dovrebbero sostenere in via propedeutica gli esami di Analisi Matematica 1 e 2, gli stessi per tutti. Da Fisica ad Ingegneria, da Medicina ad Economia a Scienze Politiche … ovunque si abbia in animo di usare la parola “Scienza”.

      • commento da incorniciare
        personalmente (e te pareva!) ritengo sia propedeutico per ciascuna disciplina universitaria , almeno , non dico tanto , ma un anno (3 sessioni mensili) di tirocinio come infermiere (fatti come si deve però , e non come manodopera gratuita)
        certo non si raggiungerebbero vette “argomentative” di certi soloni(grandi sòle) di avanspettavolo moderni , meglio non far nomi , ma si capirebbero cose a mio modesto parere infinitamente più degne ed importanti

        saluti

      • Al di là dell’esame di analisi mat. 1 e 2, ciò che sfugge a molti “addetti” ai lavori, è l’aspetto umano della gestione delle cose. Mi spiego meglio.
        Pensare che un draghi,una merkel (forse questa non sa contare), un wiedemann,e tantissimi altri, non sappiano l’analisi matematica, se permetti, è un errore.
        Cosa ti fa pensare che chi è di fatti disumano, antidemocratico, possa poi fare scelte migliori se conosce l’analisi matematica?
        L’economia al servizio dell’uomo e non viceversa.
        Sto “leggendo” la teoria generale dell ‘occup. dell’interesse e della moneta di Keynes, dove c’è una parte introduttiva che delinea una breve biog. dell’autore, il quale pur essendo un conservatore, al centro della sua analisi economica, c’è l’uomo.

      • Gianni Ciardiello,
        sono d’accordo con te. Ma il guaio (grosso) è che l’aspetto umano dovrebbe venire DOPO le basi per comprendere qualche accidente della realtà. Senza quelle basi è inutile stare a parlare.

      • Sono d’accordo che l’economia non sia una scienza “dura”: entro certi limiti può essere una scienza sociale (come psicologia, sociologia, scienza politiche ecc.) o forse non è affatto una scienza ma un’ideologia utile al capitalismo. Ma la ragione è opposta a quella che indichi.
        L’oggetto di tale “scienza” è il comportamento umano, che ovviamente non è deterministico prevedibile e quantificabile, come il comportamento di un atomo o di un pianeta, bensì libero e influenzato da valori, cultura, storia, razionalità limitata, motivazioni incoscie ecc.
        La matematica non è altro che un insieme di TAUTOLOGIE, non ci dice nulla sulla corrispondenza tra variabili e formule da un lato e il mondo reale dall’altro. Non è affinando tali strumenti che l’economia diventa più scientifica. E infatti molte teorie economiche sono tanto precise ed eleganti, quanto astratte e pericolose se ci si accanisce ad applicarle nella realtà (vedi banca centrale indipendente, austerità espansiva, riforme strutturali ecc.). L’uso e abuso del linguaggio matematico nelle discussioni economiche non è la soluzione, ma parte del problema, come appunto diceva Andrea.

      • Gengiss,
        col cavolo.
        Teoria e “pratica” DEVONO andare d’accordo. Se non lo fanno è perché ALMENO UNA delle due è sbagliata. Ovviamente la “pratica” non può essere sbagliata per definizione, ma la sua “lettura” (che poi è ciò che realmente si vorrebbe/dovrebbe studiare) sì, e come.
        Traducendo: se la matematica non riesce utile nell’interpretazione della realtà è perché il modello adottato è inadeguato. Il che è esattamente ciò che di solito capita agli economisti, i quali si ostinano a voler usare strumenti che NON capiscono e NON sanno usare.
        Per questo dico che sarebbe opprtuno … eccetera. Diversamente: per me va bene, “togliamo” pure lo strumento matematico all’economia, ma a quel punto non resterà altro che chiacchere. Tante, tantissime chiacchere gratuite. Sì, sarebbe sempre meglio di ciò che si fa ora, ammantando le stesse chiacchere di un “guscio” di pseudo-matematica incoerente con la realtà. Almeno la vacuità apparirebbe più chiaramente per quella che è.

        Comunque. Almeno in parte sono d’accordo con te. Voler ammantare di “validazione scientifica” ciò che quasi sempre è una personale interpretazione tramite l’uso a sproposito di uno strumento che non si padroneggia (o che “qualcuno” padroneggia sin troppo bene, al punto da abbindolarci i gonzi?) è solo fuorviante. Si fa intendere di “capire” e/o “prevedere” ciò che in realtà non si capisce né si può prevedere.

      • Raccolgo alcuni tuoi spunti per rispondere:
        – Esatto, ma per gli economisti ortodossi, se teoria e realtà configgono, è la realtà a essere sbagliata! Poiché la teoria è intoccabile, se le ricette liberiste non funzionano, è perché non c’è ancora abbastanza mercato! La soluzione ai fallimenti del mercato è ancora più mercato (un po’ come per gli ideologia dell’Urss, la soluzione ai fallimenti del comunismo era ancora più comunismo)

        – Non necessariamente: psicologia, sociologia, antropologia, storia, filosofia ecc. usano poca o nessuna matematica, ma possono elaborare teorie “vere” ed essere scientifiche. Idem per i primi economisti, es. Ricardo o Marx, almeno fino all’avvento dei marginalisti

        – Appunto, la matematica e i tecnicismi hanno la funzione di velare discorsi inconsistenti, tenere lontani i non-addetti ai lavori (cioè tutti i cittadini), isolare l’economia dalle altre discipline, dare una copertura “scientifica” a politiche classiste e anti-sociali… e infine giustificare il prestigio (e gli stipendi) dei professori di economia

      • Il commento è venuto monco, lo riscrivo:

        – ” Teoria e “pratica” DEVONO andare d’accordo. Se non lo fanno è perché ALMENO UNA delle due è sbagliata”.
        Esatto, ma per gli economisti ortodossi, se teoria e realtà configgono, è la realtà a essere sbagliata! Poiché la teoria è intoccabile, se le ricette liberiste non funzionano, è perché non c’è ancora abbastanza mercato! La soluzione ai fallimenti del mercato è ancora più mercato (un po’ come per gli ideologia dell’Urss, la soluzione ai fallimenti del comunismo era ancora più comunismo)

        – “togliamo” pure lo strumento matematico all’economia, ma a quel punto non resterà altro che chiacchiere”.
        Non necessariamente: psicologia, sociologia, antropologia, storia, filosofia ecc. usano poca o nessuna matematica, ma possono elaborare teorie “vere” ed essere scientifiche. Idem per i primi economisti, es. Ricardo o Marx, almeno fino all’avvento dei marginalisti

        – “Almeno la vacuità apparirebbe più chiaramente per quella che è”.
        Appunto, la matematica e i tecnicismi hanno la funzione di velare discorsi inconsistenti, tenere lontani i non-addetti ai lavori (cioè tutti i cittadini), isolare l’economia dalle altre scienze, dare una copertura “scientifica” a politiche classiste e anti-sociali… e infine giustificare il prestigio (e gli stipendi) dei professori di economia

      • gengiss,
        era monco ma si capiva.
        – Sì, infatti, stiamo dicendo la stessa cosa: io accuso la mancanza di selezione e l’inconsistenza della materia, che generano troppi palloni gonfiati incapaci persino di constatare evidenti verità di fatto.
        – Le materie che citi NON sono scientifiche. Anche i filosofi dell’antica Grecia elaboravano teorie, ciò che mancava era la possibilità di verificarle.
        – Infatti sostengo la necessità di introdurre l’obbligo di studi di matematica propedeutici proprio per svergognare pubblicamente gli ignoranti che invece continuano imperterriti ad avvelenare scelte che riguardano anche altre persone. Almeno non sarei costretto a vedermi in TV le facce di certi soggetti che ebbi modo di conoscere nella loro abissale vacuità quando studiavo per l’MBA. Uno in particolare, allora si “occupava” di finanza, aveva persino la pretesa di fare il docente (rimase storica la sua risposta ad insistenti richieste di spiegazioni su un argomento durante una lezione: “il libro non l’ho mica scritto io!”), ora figura come “economista”.

  3. […] sul nostro blog. Per le versioni pubblicate su altre fonti – come Economia e Politica o Keynesblog, che hanno entrambe inserito il testo integrale – non possiamo ovviamente garantire nulla. […]

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