“Io temo che in questi trent’anni le continue prese di posizione dei Professori abbiano bloccato un processo di riforma oggi non più rinviabile per il Paese” (Maria Elena Boschi, ministro delle riforme)
Il ministro Boschi è troppo ottimista. Ci sono Professori che cercano di bloccare le riforme da molto più tempo, oltre 80 anni. Ne abbiamo scelti due tra i più inguaribili conservatori, John Maynard Keynes e Michal Kalecki.
“Una riduzione dei salari monetari ha la tendenza diretta, a parità di altri fattori, ad aumentare l’occupazione?
… abbiamo dimostrato che il volume dell’occupazione è correlato univocamente con il volume della domanda effettiva, misurata in unità-salario, e che la domanda effettiva, essendo la somma del consumo atteso e dell’investimento atteso, non può cambiare se la propensione al consumo, la scheda dell’efficienza marginale del capitale e il tasso di interesse sono tutti invariati. Se, senza alcun cambiamento di questi fattori, gli imprenditori dovessero aumentare l’occupazione nel suo complesso, i loro ricavi saranno necessariamente inferiori al loro prezzo d’offerta…
Non vi è, quindi, alcun motivo per credere che una politica salariale flessibile sia in grado di mantenere uno stato di continua piena occupazione, né di credere che una politica monetaria di mercato aperto sia in grado, senza aiuto, di raggiungere questo risultato. Il sistema economico non può essere reso capace di autoregolarsi lungo queste linee.”
— John Maynard Keynes, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, 1936.
“Abbiamo cercato di dimostrare che in un sistema chiuso la riduzione dei salari non comporta un aumento della produzione, che in regime di concorrenza perfetta il livello della produzione rimane inalterato mentre i prezzi diminuiscono nella stessa proporzione dei salari; tuttavia in regime di monopolio o di concorrenza imperfetta una riduzione dei salari monetari tende a generare una diminuzione dei salari reali connessa con una contrazione dell’occupazione. (…) L’analisi del problema in caso di mercato aperto dimostra che anche in tal caso la riduzione dei salari non comporta necessariamente un incremento dell’occupazione, e che le possibilità di aumentare il reddito reale complessivo della classe operaia sono ancora più incerte. La frase ‘Salari rigidi come causa della disoccupazione’ (…) si dimostra assolutamente infondata alla luce dell’analisi precedente. Egualmente disperato è il caso dei sostenitori di questo principio, i quali predicano che la contrattazione collettiva è la causa della disoccupazione e della povertà della classe operaia perché rende i salari ‘rigidi’”
— Michal Kalecki, Studi sulla teoria dei cicli economici, Milano: Il Saggiatore, 1972, p.112
(ringraziamo Joseph Halevi per la segnalazione della citazione di Kalecki)
Una diminuzione del salario ,o la mancanza totale, vuole dire che la produzione deve diminuire per non avere invenduto. Se no come faceva l’imprenditore a licenziare anche il figlio dalla ditta,
[…] Siamo tutti professori. Ogni occasione può essere spunto per un valido approfondimento, basta che ce ne sia la voglia. E recentemente le occasioni (per così dire) non sembrano affatto scarseggiare… avremmo tutti preferito averne di meno, ma tant’è, dobbiamo fare i conti con questa abbondanza, di fronte alla quale non resta che confessare: Ebbene si, ci avete scoperto: siamo tutti professori!. […]
mi sto rendendo conto che il principio espresso dalla mmt mosler economica (che le esportazioni siano un costo, e le importazioni siano un beneficio) se analizzati bene abbiano implicazioni macroeconomiche eccezionali. infatti si sta dimostrando illusorio sempre di piu che le aziende internazionalizzate possano aumentare i propi profitti attraverso l,eccessivo mercantilismo (cioe di appropiazione in ultima analisi di ricchezza sottratta per consumi e servizi popolari) per fini privati. perche costoro dimenticano una cosa fondamentale che redditi e consumi sono due facce della stessa medaglia, cioe dai redditi dipendono i consumi; ed i consumi generano i redditi.ed alla fine in una economia equilibrata il diverso grado di ricchezza fondamentalmente dipende dalla distribuzione e non dal profitto. quante inutili sofferenze e quanto assurdo egoismo c,è nelle politiche neoliberiste.
Fermare le riforme.
Ostacolare il progresso.
Le idee soffocate dalla burocrazia.
Il mito del posto fisso.
L’inefficienza del pubblico impiego.
E via dicendo, sono tutte locuzioni a cui l’oratore occasionale ricorre per giustificare da un lato la sua inettitudine, dall’altro per evocare il complotto contro l’onestà e le buone disposizioni per l’efficienza e il prossimo.
In realtà, liberismo, o neoliberismo, o l’altro accidenti che si dica, altro non sono che la sola spudorata difesa ad oltranza del privilegio, ammantata da millantata competenza e dissimulata da qualche finta sollecitudine. E nient’altro.
A parte che quegli stessi professori ostruzionisti erano chiamati, dagli stessi esponenti PD, “saggi” soltanto un anno prima, e già questo basterebbe a chiudere il discorso. Che sarebbe chiuso ancora prima dal solo paragonare lo spessore culturale della Boschi con quello di un Zagebrelsky o di un Rodotà.
Al di là di questo, comunque, chi avrebbe fatto le cosiddette “riforme” negli ultimi 30 anni?
La politica a cavallo dei 70/80, con la P2 che faceva il buono e il cattivo tempo?
Gli ineffabili signori del CAF?
Silvio Berlusconi nel corso del suo “ventennio”?
Renzi? Il rinnovatore che si mette al tavolo col predetto uomo del “ventennio”?
Se, nel corso degli ultimi 30 anni, i riformatori sono stati questi, forse, a questi professori “ostruzionisti”, dovremmo dire solo “grazie”, e null’altro.