di Carlo Clericetti, da Repubblica.it
Adesso avremo anche la fama di appestati, visto che la Commissione Ue scrive che la nostra crisi rischia di contagiare il resto d’Europa? Ma contagiare chi, visto che – sempre secondo la Commissione – la lista dei malati è ben più lunga di quella dei paesi “sani”? L’elenco di chi ha squilibri definiti “seri” comprende, oltre a noi, Belgio, Bulgaria, Danimarca, Francia, Malta, Ungheria, Olanda, Finlandia, Svezia, Regno Unito. Già, anche l’Olanda, sempre pronta a rimbrottare gli spreconi mediterranei, anche la virtuosa Finlandia col braccino corto quando si tratta di finanziare strumenti comunitari anti-crisi. Per altri due, Spagna e Slovenia, gli squilibri sono definiti “eccessivi”, cioè stanno anche peggio. E poi ci sono quelli che hanno già dovuto chiedere aiuti, Grecia, Irlanda, Portogallo, Cipro.
La Germania, naturalmente, non è nella lista: eppure dovrebbe esserci anche lei, seppure per motivi opposti. Quali? L’eccesso di avanzo della bilancia commerciale. Anche quello è uno squilibrio, e persino le regole Ue lo riconoscono. Solo che, con una acrobazia dialettica, stabiliscono che per questo parametro si debba applicare una “asimmetria intelligente”. E dunque lo squilibrio diventa grave se il deficit delle partite correnti supera il 4% rispetto al Pil, ma se all’opposto il saldo è attivo, allora il limite viene opportunamente innalzato al 6% e la Germania, anche se per poco, non è arrivata a superarlo. Comunque almeno il principio è sancito: anche un avanzo può costituire uno squilibrio, e in quel caso il paese interessato dovrebbe prendere provvedimenti per ridurlo, ossia adottare una politica espansiva che faccia aumentare i consumi interni e quindi le importazioni. Proprio quello che da almeno un paio d’anni si chiede alla Germania, che però, essendo all’interno dell'”asimmetria intelligente”, ha sempre risposto picche.
Tornando all’elenco dei “malati”, il fatto che siano più dei “sani” qualche problema alle teste d’uovo della Commissione dovrebbe pur porlo: non sarà che, oltre ai vizi nazionali, che certo ci sono, la situazione è aggravata da una politica europea profondamente sbagliata? Ma una discussione del genere, evidentemente, non è all’ordine del giorno. Se si evita di affrontare la questione di fondo anche le diagnosi ovviamente ne risentono. Prendiamo quella sull’Italia. Chi potrebbe contestare che sia opportuno rafforzare il sistema bancario, riformare la pubblica amministrazione, semplificare il sistema fiscale, aumentare la concorrenza nei mercati dei prodotti e dei servizi? Nessuno, ovviamente. Qui siamo tra i peggiori “vizi” italiani e li conosciamo bene, anche se da decenni nessuno riesce a risolverli. Poi il rapporto aggiunge: “Siccome l’aumento stagnante della produttività non si è riflesso pienamente nelle dinamiche salariali, la competitività dei costi dell’Italia si è deteriorata, come dimostrato dall’incremento dei costi unitari del lavoro in rapporto agli altri paesi europei”. Tradotto in chiaro: la produttività è ferma da tempo, mentre i salari sono aumentati, seppure di poco, tenendo a stento dietro all’inflazione (non tutti, come abbiamo visto dai recenti dati sugli stipendi pubblici). Male, dice la Ue, dovevano seguire la produttività, cioè diminuire in termini reali.
Questa osservazione, se si considera solo il parametro della competitività con gli altri paesi, è corretta. Ma non considera che la produttività risente anche del disastroso livello dell’attività economica. Quando l’economia si contrae pesantemente come in questi anni può accadere che le aziende non possano adeguare completamente la riduzione della manodopera al calo del fatturato. Non solo perché magari cercano di non licenziare per spirito di solidarietà, ma anche perché oltre un certi livello si compromette l’operatività dell’azienda. Per banalizzare: se ho una trattoria con un cuoco e tre camerieri e crolla il numero degli avventori, potrò magari mandar via due dei camerieri, ma se poi licenzio anche il cuoco semplicemente non sono più in grado di produrre. Così tengo il cuoco e riesco anche a sopravvivere, ma il valore aggiunto per addetto (cioè la produttività) cala lo stesso.
L’economia dell’Italia in questi anni, a parte i casi disperati tipo la Grecia, è andata peggio di tutti. Come mai? E’ l’altra faccia della “virtù di bilancio”: il drenaggio di risorse per arrivare al pareggio (strutturale) di bilancio nel 2013 ha soffocato la domanda interna, e con essa tutte le aziende che non esportano. Per la produzione industriale si è registrato oggi il 18° calo consecutivo, e il livello complessivo è inferiore di circa il 20% a quello raggiunto prima dell’inizio crisi. Ma la Commissione continua a chiederci di proseguire nel consolidamento dei conti pubblici, ignorando completamente questo dramma. Se ci aggiungessimo un ulteriore calo delle retribuzioni aggraveremmo ulteriormente le condizioni della domanda, già prostrata da aumenti di tasse e riduzione di spesa pubblica e certo non alimentata da tre milioni di disoccupati e due di cassintegrati.
La Ue se la prende anche con il nostro export, l’unica cosa che tiene in questo disastro. E’ vero, la bilancia commerciale è tornata in attivo solo grazie al crollo delle importazioni (la paralisi della domanda interna vale anche per quelle), ma l’export già da qualche mese ha superato i valori precedenti alla crisi. E questo, tra l’altro, dovrebbe far capire che se la produttività media è in effetti stagnante, evidentemente non è così per tutti i settori e le imprese, e ce n’è un buon numero perfettamente in grado di competere vittoriosamente sui mercati esteri. Insomma, la Commissione persevera nel proporre la stessa ricetta: più concorrenza (e va bene), austerità e riduzioni salariali (e va malissimo). Intanto la lista dei “malati” si allunga. Tra poco non ci sarà più nessuno da contagiare.
L’avviso del pericolo di contagio va letto nell’ambito della paura che certi ambienti europei hanno di una Italia in forte ripresa. Nessuno lo dice ma i nuovi quantitative easing lanciati da Stati Uniti e Giappone hanno reimmesso liquidita’ in quei sistemi, liquidita’ che si e’ riversata nei nostri titoli pubblici che offrono rendimenti sicuri e molto piu’ elevati di quelli da miseria offerti dai titoli con i quali la Merkel finanzia il proprio debito.Lo spread di ieri era ai minimi e ancora in discesa, ogni punto in meno di spread sono risorse da poter utilizzare, per pagare i fornitori ad esempio, o per immeetere nuova spesa che accelleri la ripresa. Capito ora perche’ ogni volta che lo spread scende arrivano questi comunicati?
Incredibile che su Repubblica si legga un’articolo così critico verso le ricette economiche della commissione europea; forse sta davvero cambiando qualcosa.
Chissà se Scalfari ne è al corrente… Ma non era solo colpa di Berlusconi?
Non era Berlusconi quello che con lo spread a 500 andava dicendo “i ristoranti sono pieni”? Magari la colpa non era la sua, anzi senza magari, la colpa non era sicuramente solo sua, cio’ non di meno sia lui che il suo governo non erano assolutamente in grado di contrastare la crisi. Poi e’ arrivato Monti, e per fortuna che sui mercati finanziari ha fatto un buon effetto, altrimenti ora saremmo con le pezze alle ginocchia, ho detto mercati finanziari, sia chiaro, perche’ anche Monti sul siatema economico non ha saputo che pesci prendere..
Non mi sembra di aver parlato bene di Berlusconi; era solo una critica alle tesi di Repubblica.
Comunque, al di la dei suoi difetti che conosciamo bene, è ridicolo dire che lo Spread alto era colpa di Berlusconi; così come è altrettanto ridicolo che sia sceso per merito di Monti: l’abbassamento dei tassi avvenne grazie ai massicci acquisti di titoli italiani e spagnoli (e li non c’era Berlusconi) da parte della BCE.
Chiaramente è sfuggito a Scalfari. assolutamente.
Carlo F. hai perfettamente ragione. “Repubblica” è stata vergognosa nel difendere acriticamente l’austerità lacrime e sangue imposta dalla Commissione Europea ecc..
senza mai una voce fuori dal coro o offrire anche solo una visione diversa ..(solo Rampini una volta in maniera timida), ..omettendo molte volte notizie determinanti per
permettere ai lettori di capire per esempio che in altri paesi a moneta sovrana la monetizzazione del debito non ha portato alla tanto temuta inflazione…
Ex lettore di Repubblica…
Se non sbaglio per monetizzare il debito si dovrebbero avere:
a) una moneta nazionale da poter emettere;
b) una Banca Centrale disposta ad emettere tale moneta;
c) e quindi un Tesoro in grado di controllare la Banca Centrale.
Noi non abbiamo più niente di tutto ciò, ma non da ora, dal 1981, da quando fu definita l’indipendenza della BDI dal Tesoro.
Esatto. Infatti i problemi sul debito pubblico partirono tutti dal divorzio del 1981. Ma, anche in quel caso, “ce lo chiese l’Europa”; e come si poteva dirle di no?!
Giusto…
e infatti l’articolo è sparito dal sito di repubblica. schifosi maledetti.
no no c’è ancora
http://www.repubblica.it/economia/rubriche/il-commento/2013/04/11/news/la_pandemia_dell_austerit_di_carlo_clericetti-56386878/?ref=search
allora il link in alto non è corretto. grazie cmq
L’ha ribloggato su Amolanoia.
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The only reason a trade ‘imbalance’ is a problem is because unemployment is high in the ‘deficit region.’ And regional unemployment is best addressed by ‘fiscal transfers’ where the production of public goods and services for the EU (they have a 1 Trillion budget) are directed towards areas of the highest unemployment, whenever practical. This means, in real terms, the fruits of the labor being applied in the regions of high unemployment are being consumed elsewhere in the EU for the benefit of all. Therefore, in fact, this ‘financial benefit’ to the region of high unemployment is in fact a real cost to that region (labor is a cost of production) and a real benefit to the rest of the EU