Dopo il downgrade del debito pubblico francese da parte di Moody’s il governo di Parigi ha annunciato che metterà mano alle “riforme strutturali”, come richiesto dalla stessa agenzia e sollecitato dal governo Merkel, in particolare quella del mercato del lavoro. Anche la Francia, quindi, che aveva già ceduto sul fiscal compact, si prepara ad applicare la ricetta tedesca, nonostante il fallimento ben visibile in tutti i paesi periferici dell’eurozona.
Per capire la situazione economica francese è utile leggere questo articolo di Vladimiro Giacché apparso su Pubblico una settimana prima del downgrade da AAA a AA1, che indicava già la possibilità che le agenzie rivedessero il rating di Parigi a breve.
L’orizzonte possibile del downgrade. Anche la Francia rischia (come noi)
Vladimiro Giacché – da “Pubblico”, 14 ottobre 2012
Ieri qualche giornale italiano ha festeggiato la discesa dei rendimenti sui titoli di Stato a 10 anni sotto la soglia del 5% (4,97%, per la precisione). È un entusiasmo che rischia di essere prematuro. Infatti lo spread tra i rendimenti dei Btp e quelli dei Bund tedeschi resta molto elevato (3,53%). Ma desta preoccupazione soprattutto un altro indicatore: i credit default swaps (CDS) sull’Italia. Dei CDS si è fatto un gran parlare soprattutto a fine 2011, poi sono passati un po’ in secondo piano. E invece è bene tenerli presente. I CDS nascono come una polizza assicurativa, che funziona così: chi ha sottoscritto un’obbligazione paga un premio, e in cambio, in caso di insolvenza da parte dello Stato o dell’impresa che ha emesso quell’obbligazione, verrà rimborsato. Di fatto, il valore del premio misura il rischio di fallimento di un emittente: quanto più elevato il prezzo del CDS, tanto maggiore il rischio di fallimento.
Quello italiano non è però il solo caso di divergenza tra valori dei CDS e rating. C’è anche la Spagna, il cui CDS (355) implica un ulteriore abbassamento del rating dopo quello dei giorni scorsi. E soprattutto la Francia, con un CDS a 99, un valore molto peggiore del suo rating attuale. Anche qui, perciò, possibile downgrade in vista. Ma in questo caso dovrebbe essere di ben 4 livelli rispetto all’attuale AA+.
Niente di stupefacente, in verità: nel caso della Francia sono semmai i bassi rendimenti attuali dei titoli di Stato a essere piuttosto misteriosi, se confrontati con le performance economiche e la situazione debitoria. La bilancia commerciale francese è negativa, e in misura crescente, dal 2005. Il deficit pubblico è sul 6%, e il debito pubblico nel secondo trimestre di quest’anno è arrivato a 1.833 miliardi, pari al 91% del prodotto interno lordo. Insomma, la Francia, con i suoi deficit gemelli (pubblico e verso l’estero), ha gli ingredienti essenziali di una crisi del debito. E non si vedono miglioramenti. Il volume delle esportazioni è stagnante, e nel solo mese di agosto il passivo della bilancia commerciale è stato di 5,3 miliardi di euro (4,3 a luglio). La produzione industriale è ai livelli del 1997, ormai meno del 12% della forza lavoro è impiegato nell’industria, e la perdita di competitività rispetto alle produzioni tedesche costante (secondo alcune stime -40% dall’introduzione dell’euro).
In ogni caso, la possibilità di un downgrade e di un aumento dei rendimenti dei titoli di Stato francesi è nell’aria. Questo contribuisce a spiegare il voltafaccia di Hollande rispetto alle promesse fatte in campagna elettorale, in particolare sul fiscal compact (le nuove regole europee su deficit e debito). Il rifiuto pre-elettorale del fiscal compact si è infatti trasformato in un voto blindato in Parlamento: ma a favore. Per di più, nel voto al Senato di giovedì scorso, con i voti determinanti della destra. Che ora ha buon gioco nel dire che il fiscal compact è rimasto esattamente quello firmato nel marzo scorso da Sarkozy. Tra l’altro tutto questo avviene mentre il bilancio comunitario è sotto attacco: e quindi le “risorse per la crescita”, che avrebbero dovuto bilanciare gli effetti depressivi delle manovre di austerity, non solo non aumenteranno, ma verosimilmente saranno ridotte. La manovra da 37 miliardi di euro già decisa da Hollande (di cui 20 di nuove tasse) è un primo passo per ottemperare alle prescrizioni del fiscal compact. In questo caso, a differenza di quanto avvenuto in Italia, parte delle risorse è stata ottenuta tassando i redditi più elevati.
Le misure di austerity servono solamente per mettere in sicurezza gli investimenti , le “scomesse” fatte dalla finanza deregolata….
Alla finanza internazionale non interessa se un Paese entra in recessione, anzi significa che il pagamento degli interessi sul debito e’ assicurato ed anche ad un alto tasso %.
La finanza e’ fine a se stessa, non gli interessa minimamente dell’economia reale dei cittadini. Purtroppo la gente comune ancora non lo capisce…
Sono daccordo. Le gente è imbambolata dai mass media prezzolati che non forniscono elementi di giudizio alternativi all’AUSTERITA’. Come se il problema siano gli alti debiti pubblici. Ci vogliono politici indipendenti dalle lobby finanziarie per farci uscire dalla crisi, ma non se ne vede l’ombra. Vediamo se i francesi toccati dalla crisi faranno nascere una qualche sollevazione. Del resto è la patria della rivoluzione contro l’ancien regime
Per la finanza mondiale, una nazione in recessione e’ come un negozio che prima di liquidare tutto applica sconti del 70%…
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
Non è ” molto probabile che anche in Francia, come già avvenuto in Italia e in altri paesi europei, l’adozione delle misure di austerity sortisca un effetto contrario a quello sperato”; è certo al 100%
Condivido quello che dici, ma almeno c’è una differenza e cioè che in Francia ha dato di più chi ha di più, mentre in Italia ha dato di più chi ha di meno…
[…] In tutto ciò l’Italia potrebbe avere un ruolo chiave. Il nostro paese, infatti, è forse l’unico tra i PIIGS che può ancora minacciare in modo credibile la Germania per ottenere almeno una parte di quelle riforme strutturali che Pini indica nel suo articolo e per incominciare a introdurre l’ipotesi di un euro-bancor. Non ci pare di aver scorto qualcosa del genere nell’agenda politica dei maggiori candidati alle elezioni del 24-25 febbraio. Si può comunque nutrire la speranza che questa consapevolezza maturi confrontandosi con i fatti, senza tuttavia dimenticare che è possibile persino il processo inverso, come accaduto al presidente francese Hollande. […]