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I difetti dell’euro spiegati 30 anni prima che nascesse dall’economista keynesiano Nicholas Kaldor

Questo testo è stato scritto dall’economista post Keynesiano Nicholas Kaldor nel 1971 (quando la moneta unica europea era solo un progetto sulla carta che si sarebbe realizzato circa 30 anni dopo) in “Effetti Dinamici del Mercato Comune” pubblicato inizialmente su New Statesman il 12 marzo 1971 e ristampato anche (come capitolo 12, pp 187 – 220) in “Altri Saggi di Economia Applicata” – volume 6 della Raccolta di saggi economici di Nicholas Kaldor. Abbiamo evidenziato in grassetto alcuni passaggi. E’ particolarmente significativo che Kaldor abbia precisamente previsto le cause della crisi dell’euro: lo squilibrio commerciale e della bilancia dei pagamenti a causa di un regime di cambi fissi in assenza di regole sui salari, un fisco centralizzato e riequilibratori automatici. Trent’anni prima che l’euro nascesse era perfettamente chiaro perché non avrebbe funzionato. 

…Un giorno le nazioni d’Europa saranno pronte ad unire le loro identità nazionali e a creare una nuova Unione Europea – gli Stati Uniti d’Europa. Se e quando lo faranno, ci sarà un Governo Europeo che assumerà tutte le funzioni che fanno capo al Governo Federale degli Stati Uniti d’America, o del Canada o dell’Australia. Questo implicherà la creazione di una “piena unione economica e monetaria”. Ma si commette un errore pericoloso nel credere che l’unione politica e monetaria possa precedere l’unione politica o che opererà (come si legge nelle parole del rapporto Werner) “un agente di fermentazione per la creazione di una unione politica della quale nel lungo non sarà in ogni caso in grado di fare a meno”. Poiché se la creazione di una unione monetaria e il controllo della Comunità sui bilanci nazionali saranno tali da generare pressioni che conducono ad una rottura dell’intero sistema, è chiaro che lo sviluppo dell’unione politica sarà ostacolato e non promosso.

Altri estratti dal capitolo:

pag. 202

Gli eventi degli ultimi anni – in cui si evidenziava la necessità di una rivalutazione del marco tedesco e di una svalutazione del franco francese – hanno dimostrato l’insufficienza della Comunità stante l’attuale grado di integrazione economica. Il sistema presuppone piena convertibilità delle valute e cambi fissi tra gli stati membri, lasciando la politica monetaria e fiscale alla discrezione dei singoli stati. Sotto questo sistema, come gli eventi hanno dimostrato, alcuni paesi tenderanno ad acquisire crescenti (ed indesiderati) surplus commerciali nei confronti dei loro partner commerciali, mentre altri accumulano crescenti deficit. Ciò porta con sé due effetti indesiderati. Trasmette pressioni inflazionistiche da alcuni membri ad altri; e mette i paesi in surplus nelle condizioni di fornire finanziamenti in automatico ai paesi in deficit in scala crescente.

Pag. 205

…. Questo è un altro modo per dire che l’obiettivo di una piena unione monetaria ed economica non si può ottenere senza una unione politica; e la seconda presuppone integrazione fiscale e non mera armonizzazione fiscale. Essa richiede la creazione di un Governo e Parlamento della Comunità che si assumano la responsabilità almeno della maggior parte della spesa attualmente finanziata dai governi nazionali e la finanzi attraverso tasse equamente ripartite tra i membri comunitari. Con un sistema integrato di questo tipo le aree più ricche finanziano in automatico quelle più povere, e le aree che sperimentano un declino delle esportazioni sono automaticamente alleggerite pagando meno e ricevendo di più dalla Fisco centrale. La tendenze cumulative all’aumento e alla diminuzione sono così tenute sotto controllo da uno stabilizzatore fiscale costruito all’interno del sistema che consente alle aree in surplus di fornire automaticamente aiuto a quelle in deficit.

Pag. 206

…quel che il Rapporto sbaglia nel riconoscere è che l’esistenza di un sistema centrale di tassazione e spesa è uno strumento per l’erogazione di “aiuti regionali” molto più potente di qualunque cosa che l’“intervento speciale” per lo sviluppo delle regioni sia capace di fornire.
D’altra parte l’attuale piano della Comunità è come quella casa che “divisa contro se stessa non riesce a stare”. L’Unione monetaria e il controllo della Comunità sui bilanci impedirà ad ogni singolo stato membro di perseguire autonome politiche di piena occupazione – di intervenire per compensare le cadute del livello della produzione e dell’occupazione – eccetto che non beneficiando dell’appoggio di un forte Governo comunitario in grado di preservare i suoi cittadini dalle conseguenze peggiori.

Pag. 192

Myrdal coniò la locuzione “causazione circolare e cumulativa” per spiegare perché il tasso di sviluppo economico delle diverse aree del mondo non tende ad uno stato di equilibrio uniforme ma, al contrario, tende a cristallizzarsi in un numero limitato di aree ad elevata crescita il cui successo ha l’effetto di inibire lo sviluppo di altre aree. Questa tendenza non potrebbe operare se le variazioni dei salari monetari fossero sempre tali da compensare la differenza nei tassi di incremento della produttività. Tuttavia non è questo il caso che si verifica: per ragioni forse non pienamente comprese, la dispersione nei tassi di aumento dei salari tra le diverse aree tende sempre ad essere considerevolmente più piccola di quella relativa alle variazioni della produttività. E’ per questa ragione che in un’area valutaria comune, o in un sistema di valute convertibili con cambi fissi, le aree che crescono di più tendono ad acquisire un vantaggio competitivo cumulativo rispetto alle aree che crescono a tassi inferiori. I “salari efficienti” (calcolati come rapporto tra salari monetari e produttività) tenderanno, nel corso naturale degli eventi, a diminuire nel primo gruppo di paesi rispetto al secondo – anche nella situazione in cui nei due gruppi i salari monetari tendono contemporaneamente a crescere in termini assoluti. Proprio in ragione degli incrementi dei differenziali di produttività, i costi comparati di produzione nelle aree a maggior crescita tendono a diminuire nel tempo rispetto a quelli delle aree a minor crescita ed aumentano di conseguenza il vantaggio competitivo delle prime.

Fonte: http://www.concertedaction.com/2012/08/16/nicholas-kaldor-on-the-common-market/

46 commenti su “I difetti dell’euro spiegati 30 anni prima che nascesse dall’economista keynesiano Nicholas Kaldor

  1. Reblogged this on i cittadini prima di tutto.

  2. Come Radicale concordo con la tesi dell’economista keynesiano Nicholas Kaldor che con lungimiranza aveva analizzato tutto quanto è avvenuto in questi anni in cui l’euro non ha avuto un governo europeo politico.

  3. […] Trent’anni prima che l’euro nascesse era perfettamente chiaro perché non avrebbe funzionato.  Continua a leggere » Like this:Mi piaceBe the first to like […]

  4. L’analisi di Kaldor è abbastanza corretta e anche molto pragmatica (il fatto che chi ha vantaggi nei costi comparati tende ad accumularli andrebbe anche approfondita) ma naturalmente non vedo perchè le aree più produttive debbano sobbarcarsi il costo della minore produttività delle altre…

    Già Meade e Friedman avevano proposto la teoria delle aree valutarie ottimali, per cui, in estrema sintesi, conviene adottare cambi fissi (come quelli vigenti ora tra i paesi europei) solo se i mercati sono abbastanza fluidi da riallocare (pur con le dovute “vischiosità” e problemi) le risorse da una regione all’altra.

    In Euro zona questo meccanismo forse non funziona bene per tanti motivi, io ritengo che i principali siano le differenze linguistiche e le barriere al trasferimento di lavoratori specializzati da una nazione all’altra: chi si laurea in Italia ha molte difficoltà a trovare un lavoro in Germania, anche se lo vorrebbe sia lui (visto che in Italia manca la domanda di posti di lavoro dalle imprese, in crisi) sia il datore di lavoro tedesco (che in un momento di crescita può essere in cerca di lavoratori qualificati o laureati e validi a prescindere dalla nazionalità).

    In sostanza: all’interno dei singoli stati europei questi problemi si riequilibrano (non benissimo, ma in parte) da soli, attraverso la riallocazione di risorse umane e produttive tra le regioni. In europa è difficile farlo perchè l’europa a quanto pare è un area valutaria non ottimale. Le differenze tra aree diverse (es: USA contro Giappone) invece si dovrebbero riequilibrare propria grazie al meccanismo dei tassi di cambio flessibili, che in europa non esiste più.

    Ora, si può

    1) chiedere alla Germania e company di peggiorare la propria produttività in qualche modo (tipo alzare i salari: assurdo, se non esiste un buon motivo per farlo e quel motivo lo dovrebbero decidere i tedeschi)

    2) finanziare in modo più massiccio la crescita delle aree svantaggiate ( è la proposta di Kaldor? Se lo è, bisogna notare che finora abbiamo fatto così con i finanziamenti europei, ma Alcoa è l’emblema del fallimento di queste politiche miopi: la multinazionale approfitta delle agevolazioni e quando finiscono scappa nella prossima area in cui si possono prendere finanziamenti, altro che stimolo alla crescita e politica industriale),

    3) ritornare gradualmente a un sistema che imiti cambi flessibili, che riequilibra naturalmente gli squilibri (ovvero la differente produttività) che naturalmente (non a causa della “cattiveria” dei tedeschi) si formano tra le aree regionali nel mondo ; se non esiste qualcosa che li imiti, allora sarebbe bene davvero ripensare ad un passo indietro rispetto quest’unione monetaria “non ottimale”, il che sarebbe la cosa più drastica ma nel lungo periodo, secondo me, la migliore

    4) usare in modo “fantasioso” il fondo salva stati, che secondo me è quello che stanno facendo (preparando una catastrofe immane, sia chiaro)…

    • La teoria delle AVO è piuttosto debole. Quel che si vede in realtà è che ciò che tiene insieme un’area valutaria, anche in presenza di debolezze di molti dei “criteri” della teoria delle AVO, è la presenza di un bilancio pubblico abbastanza grande con il quale alimentare i riequilibratori automatici.

      • E come si fa a creare un bilancio pubblico se non esiste un entità politica ( Stato europeo ) espressione di un entità etnica ( popolo europeo )?
        Intanto che aspettiamo che nasca il popolo europeo cosa facciamo? Ci suicidiamo?

    • Confondere l’aumento dei salari con la riduzione della produttività è grave.
      I salari possono benissimo aumentare contemporaneamente con la produttività.

      Spacciare gli aiuti dati dal governo italiano all’Alcoa come finanziamenti europei è solo propaganda. La Commissione Ue ha anzi denunciato gli accordi tra il governo italiano e la multinazionale americana come aiuti di stato. I fondi europei hanno altre finalità.

      Quanto ai movimenti migratori, in passato hanno riguardato soprattutto la forza lavoro generica (ti sei dimenticato dell’emigrazione italiana? avveniva anche senza l’euro). Oggi, è vantaggiosa solo per i lavoratori di un certo livello: in Italia un laureato rischia di guadagnare 800 euro al mese, per di più per un tempo limitato; all’estero hanno la possibilità di guadagnare almeno il doppio se non il triplo. Ma ciò riguarda una elite. Per gli altri, non c’è vantaggio a spostarsi per guadagnare 500 euro in più o giù di lì, con tutti i problemi connessi al trasferimento in un nuovo paese. Ma se si continua di questo passo, tra cassa integrazione, mobilità e disoccupati, il vantaggio potrebbe superare i 1000-2000 euro e l’emigrazione potrebbe riprendere anche per la forza lavoro generica.
      Tuttavia è sconfortante vedere il proprio paese che si affida al’emigrazione, perché incapace di offrire un lavoro ai propri figli. E’ la dimostrazione del fallimento di questa classe politica e imprenditoriale nella gestione delle risorse del paese. Loro meriterebbero di essere esiliati.

  5. pag. 205 “stabilizzatore fiscale costruito all’interno del sistema che consente alle aree in surplus di fornire automaticamente aiuto a quelle in deficit”, con un Governo Federale degli Stati Uniti d’ Europea è fattibile, allo stato attuale, ovvero: unione di Stati indipendenti e sovrani, le differenze tra gli Stati si amplieranno.

    • Ma la produttività non solo è un concetto fisico-tecnologico: è anche una questione economica. Se non interviene nessuna innovazione che mi permetta di produrre una unità in più a parità di ore lavorate, ma i sindacati spuntano o il governo impone uno stipendio più alto, l’effetto immediato è che la produttività (che va guardata dal punto di vista dei costi economici di produzione, non come output fisico) peggiora.

      Poi, se i lavoratori possono E vogliono, vedendosi aumentare lo stipendio, potrebbero decidere di migliorare il rendimento. Ma a questo punto ci si potrebbe chiedere come mai, se esistono meccanismi interni di promozione che premiano i più produttivi, non l’abbiano già fatto prima. Evidentemente non è così facile “spingere” la produttività solo alzando il salario.

      Riguardo l’emigrazione si possono fare tanti bei discorsi sul “cosa andrebbe fatto per i nostri giovani e cosa dovrebbero fare i governanti” ma bisogna essere ciechi per non vedere che in Italia paghiamo le più alte tasse sul lavoro (che abbassano lo stipendio netto dei lavoratori italiani a parità di costi per le imprese che li assumono)

      http://www.studiodostuni.it/index.php/sections/l-incidenza-di-imposte-e-contributi-sul-lavoro-il-confronto-tra-litalia-e-gli-altri-paesi/

      e abbiamo una burocrazia (e una normativa fiscale) che va bene solo a quelli che ci mangiano sopra; anche chi vuole farsi una propria azienda ha vita difficile, schiacciato dal fisco e dalla concorrenza sleale dello stato ( secondo Squinzi il 70% dei sussidi vanno a imprese pubbliche: altro che libero mercato).

      Ecco perchè gli italiani emigrano, qualunque titolo di studio abbiano. Non perchè i governanti fanno poco, ma perchè fanno troppo, male e in malafede.

      • La produttività non ha niente a che fare con il salario. La produttività non è altro che il rapporto tra le quantità prodotte Q rispetto al numero degli addetti chiamati alla produzione N, ossia Q/N.
        La produttività può inoltre benissimo aumentare, quale che sia l’andamento del salario, semplicemente aumentando i ritmi produttivi, senza che intervenga alcuna innovazione tecnologica (ad esempio,se dovevi montare un sedile in una catena di montaggio per la produzione di un auto in 5 minuti, ti può essere imposto che l’operazione sia eseguita in 3 minuti, e così a cascata su tutta la linea).

        I trasferimenti alle imprese pubbliche (come ad esempio la Rai) fanno ben poca concorrenza al settore privato (vero Berlusconi?). Non vi è quindi nessuna concorrenza sleale, dato che anche i trasferimenti a società come Finmeccanica, non hanno corrispondenze nel settore privato (il quale ha sbolognato più di una volta le sue attività produttive in perdita, a causa delle dimensioni non ottimali, al settore pubblico). Quindi Squinzi si fa bello con i soldi che non lo riguardano. Peraltro, vorrei capire a quale titolo il 30% di trasferimenti sia a favore del settore privato (lì sì che vi potrebbe essere concorrenza sleale!). Dato che le iniziative a sostegno dell’imprenditoria giovanile, ad esempio, potrebbero danneggiare altre imprese dello stesso settore. Come vorrei capire a quale titolo le imprese petrolifere ed energetiche siano tra i beneficiari delle risorse destinate alle energie rinnovabili (da quando il petrolio è rinnovabile?)
        E si potrebbe continuare a lungo.
        Come vedi, non ho difficoltà a mettere in discussione i trasferimenti pubblici. Compresi quelli a favore della Rai,a patto che si smantelli il duopolio oggi esistente (ma cosa ne pensa Berlusconi?)

        Quanto all’elevata tassazione sui redditi da lavoro sono d’accordo. Ma una sua riduzione non deve andare a favore delle imprese (dato che il costo del lavoro è comunque inferiore a quello tedesco). La riduzione delle imposte dovrebbe andare a favore dei lavoratori. Mentre non si può chiedere la riduzione degli oneri sociali e il giorno dopo lamentarsi dei deficit dell’Inps (peraltro, inesistenti per i dipendenti privati).

        Ma tutto questo non c’entra nulla con la fuga dei cervelli. Questi scappano da leggi assurde, che favoriscono forme di precariato permanente. Ed innanzi alla prospettiva di rimanere precari a vita, chi può se ne va. Queste sono le leggi che sono state messe su in Italia, ove si è trasformata la necessità di una certa flessibilità da parte dell’azienda in precarietà permanente grazie ai minori costi e ai minori vincoli contrattuali che queste forme consentono. Anzichè pagare di più un lavoratore a tempo determinato, lo si paga di meno e lo si può mandare via senza problemi al termine del contratto. E’ chiaro che in questo modo tutta la nuova occupazione sarà permanentemente precaria. Una vera assurdità.
        Bisogna far costare di meno il lavoro ordinario, non quello che dovrebbe essere offerto per sopperire alle necessità di un aumento occasionale della produzione.

  6. “non vedo perchè le aree più produttive debbano sobbarcarsi il costo della minore produttività delle altre”…
    Perchè questa è l’Unione europea. Altrimenti ognuno a casa sua, con la moneta sua, con il protezionismo suo.

    • E infatti non è una unione, non lo è mai stata e mai lo sarà!

      Mi sembra palese che gli scopi di unire aree disomogenee con una sola moneta (o farlo attraverso i cambi fissi ma aggiustabili, vedi lo SME), SENZA PREVEDERE ESPLICITAMENTE meccanismi di riequilibrio tra le aree, ma solo vincoli di tipo fiscale, sono altri. Come scriveva chiaramente Nicola Acocella, la politica del cambio forte (o del vincolo esterno) serve a disciplinare il sindacato. E infatti…

      Hai detto bene secondo me: ognuno a casa sua!

    • Ma riequilibrare gli squilibri oggi vuol dire finanziare cattedrali nel deserto o usare bandi pubblici che, nella migliore tradizione italiana, sono vinti da chi ha l’aggancio giusto. Io dico che si otterrebbero risultati molto migliori semplicemente allineando la tassazione tra i competitor europei (quindi, creando una uniformità fiscale prima che monetaria) e li lasciando le imprese libere di competere.

      • In una unione monetaria la fiscalità “allineata” è ininfluente rispetto al generarsi degli squilibri. Gli squilibri si generano a causa dell’inflazione (dei differenziali di inflazione tra le varie aree), non “calmierata” dal tasso di cambio nominale. L’unico modo di aggiustare i conti tra diversi paesi con un tasso di cambio fisso, è quello dei trasferimenti (Nord – Sud Italia docet). In assenza di trasferimenti, o si allinea l’inflazione o l’unione salta. E speriamo che salti il prima possibile, perchè tentare di far convergere i differenziali di inflazione, oltre ad essere impossibile, produce esattamente quello che stiamo vivendo.

  7. a oneforseven: questo ragionamento non vale nell’unione europea, in cui non ci sono differenziali (maggiori dell’1%) di inflazione tra i paesi. Come riporta questo studio della BCE http://ec.europa.eu/economy_finance/focuson/inflation/inflation_and_eu_it.htm

    “La variazione nei tassi di inflazione riflette le particolari condizioni economiche esistenti a livello nazionale e regionale.

    I singoli cittadini, le famiglie e le aziende possono notare differenze nei tassi di inflazione, ad esempio, a causa delle disparità a livello di reddito, modelli di consumo e preferenze, concorrenza locale sui prezzi, aliquote fiscali o costo dei trasporti.”

    Il fatto che esistano differenziali conferma che teoria e pratica non vanno a braccetto al 100%, ma già un inflazione bassa e stabile in tutta l’europa è una benedizione divina.

    Non è allora vero che i trasferimenti sono l’unico metodo. Il criterio con cui individuare tipo e quantità di trasferimenti non è facile da individuare e , dal mio punto di vista, crea più clientelismo, rincorsa al bando e corruzione che altro.

    I metodi per riequilibrare i deficit di bilancia commerciale ci sono eccome: cambiare le nostre preferenze (vivere al di sopra delle proprie possibilità non è una favoletta: si può misurare confrontando risparmi ed indebitamento), modificare la propensione al consumo, ridurre ed allineare il cuneo fiscale a quello europeo. Ma non venitemi a parlare di trasferimenti: altro non sono che un regalo alla politica e alle grandi aziende (Alcoa, porca puttana, docet).

  8. “un inflazione bassa e stabile in tutta l’europa è una benedizione divina”

    Forse non hai idea di cosa sia l’inflazione. Chiediti perchè hai una inflazione bassa e “stabile” e contemporaneamente la crescita dei salari è ferma da 15 anni.
    Vai indietro nel tempo, verifica quanto crescevano i redditi degli Italiani prima che si entrasse “nell’area del Marco allargata”, e vedrai che l’inflazione correva.

    I differenziali di inflazione ci sono. Che siano “piccoli” non modifica il meccanismo che mettono (hanno messo) in moto. Cioè favorire l’enorme surplus commerciale del “core” ai danni della periferia.

    D’altronde come spieghi che l’inflazione tedesca è rimasta costantemente più bassa, seppur di poco, rispetto a quella delle economie del Sud? Le riforme Hartz dovrebbero dirti qualcosa… (ti faccio notare che tutto ciò è pacificamente ammesso dalla classe dirigente tedesca).

    Riequilibrare gli squilibri con l’estero senza produrre danni è fattibile.
    Ridateci il tasso di cambio.

    • Ma io infatti sono d’accordissimo: ridateci il tasso di cambio!!! Se posso aggiungere una cosa, perchè semplicemente è lo strumento con cui il mercato aggiusta da sè gli squilibri: se la germania vende all’italia più di quanto l’italia vende alla germania, il cambio marco lira si alza e riduce questo vantaggio. Il costo è il guadagno di chi commercia valuta, che non è niente in confronto ai danni che sta facendo il mercantilismo tedesco rivolto (non contro l’area extra euro ma) contro il sud europa.

      Io critico l’idea del fare gli stati uniti d’europa e prevedere sussidi per le aree svantaggiate. In USA funziona così, ma gli USA sono una area valutaria molto ma molto più “ottimale” (scusate il neoclassicismo) dell’area euro. Qui non funzionerebbe.

      • Ma gli usa sono una avo ( se proprio vogliamo usare questa terminologia ) proprio perché hanno un bilancio federale peraltro in continua espansione.

  9. […] I difetti dell’euro spiegati 30 anni prima che nascesse dall’economista keynesiano Nicholas Kald… […]

  10. Marco, Ti confermo che i Radicali non sono affatto statalisti, ma esattamente il contrario. Vai sul loro sito e te ne convincerai. Liberali, liberisti e libertari. Sono Radicale dagli anni della battaglie storiche. Essendo liberali sono anche per il rispetto delle leggi, sempre comunque in trincea per i Dirirtti Umani. Verifica.

  11. a keynes blog: noto che ci inseguiamo tra i post, ma mi fa piacere.

    Comunque non solo io ma penso la gran parte degli economisti e commentatori dell’eurocrisi non sono per niente d’accordo con l’idea che “la moneta comune deve spingere l’integrazione economica di chi la adotta”. Deve essere il contrario, altrimenti le conseguenze sono proprio quelle che stiamo affrontando ora in eurozona. La Germania si fa grossa (solo ) con il sud europa, favorita dalla soppressione del naturale strumento di riequilibrio del tasso di cambio flessibile, mentre con la Cina (per dirne una) continua a prendere bastonate in termini di export netto ( in questo caso copio parola per parola dal prof. Bagnai, che più keynesiano di lui ci sono solo le buche scavate e riempite a deficit).

  12. Cari lettori.
    Sta di fatto, che siamo, ad horas, di fronte ad un “euro” a doppia velocitá. La partenza sbagliata -un cambio lira euro da brivido-, un Sud Italia -ormai Sud Europa- mai riequilibrato, uno Stato appesantito “da drenaggi economici colossali” -nonostante le decentralizzazioni-, l’assenza -o quasi- di utilizzo di fonti finanziarie comunitarie, sono alla base degli errori commessi.
    Ringraziamo la politica di “ogni segno” per il gran regalo lasciatoci.
    dott. Felice Falagario

  13. […] 2 Si veda in proposito lo scritto di Nicholas Kaldor, Effetti dinamici del Mercato comune, del 1971 di cui alcuni passaggi sono disponibili online: https://keynesblog.com/2012/10/08/i-difetti-delleuro-spiegati-30-anni-prima-che-nascesse-dalleconomis… […]

  14. […] Potete trovare il resto qui. […]

  15. quello che scrisse Kaldor, grandissimo economista, è molto vero, ma è pur vero che in europa e chi per Essa fu ed è a tutt’oggi profondamente consapevole che l’auspicata unione d’anime, i.e., politica sociale fisclae, è un orizzonte, una linea immaginaria. Per questo si è optato per la soluzione “tecnica”, la creazione della moneta unica: piu facile, veloce, concreta…

  16. grande Kaldor, lessi “economia senza equilibrio” e fu un’illuminazione.

  17. le debolezze che stiamo vivendo sulla nostra situazione politci-economica e, eprchè no, sulla nostra pelle di contribuenti, sono state previste; il problema era l’impossibilità di quantificarle e di stabilire la durata ceta del disagio piu o meno comune. Il grosso guaio lo hanno cretao i nostri partituncoli che hanno cercato, piu che orientarsi all’Europeismo, di difendere, ancora e fino a che possono, i loro interessi di gruppo.Ciò ha nuociuto parecchio e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

  18. […] Traduzione by Keynes Blog: I difetti dell’euro spiegati 30 anni prima che nascesse dall’economista keynesiano Nicholas Kal… […]

  19. […] Traduzione by Keynes Blog: I difetti dell’euro spiegati 30 anni prima che nascesse dall’economista keynesiano Nicholas Kal… […]

  20. […] é stato ignorato e rigettato. Fin dagli anni ’70 insigni economisti come Kaldor e Godley si sono espressi molto chiaramente sulle fallimentari fondamenta di quest’unione monetaria, del tutto inascoltati dalla classe politica europea e a stento relegati dai media compiacenti […]

  21. […] Traduzione by Keynes Blog: I difetti dell’euro spiegati 30 anni prima che nascesse dall’economista keynesiano Nicholas Kal… […]

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  24. […] aderendo ad una unione monetaria così mal congegnata come l’eurozona (Kaldor stesso si espresse contro l’idea). Ma non bisogna per questo neppure cadere nell’ “ingenua apologia del cambio […]

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