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La manovra di Letta è un’aspirina contro il cancro

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Dopo tanti sacrifici molti attendevano che la manovra economica del governo Letta ridesse fiato all’economia italiana, la quale dal 2007 ad oggi ha perso addirittura il 9 per cento della produzione di beni e servizi e ha visto raddoppiare la disoccupazione, da un milione e mezzo a tre milioni di unità. Riuscirà la manovra nell’impresa, portando il Pil a crescere almeno di un punto percentuale nel 2014 come il governo prevede?

di Riccardo Realfonzo da ilfattoquotidiano.it

Il cuore economico e politico della Legge di Stabilità consiste nella riduzione del cuneo fiscale, cioè della differenza tra il costo che mediamente le imprese sostengono per ogni lavoratore e il salario netto che entra nelle tasche del lavoratore stesso. Una differenza dovuta, naturalmente, al peso di tasse e contributi che gravano sulle tasche degli imprenditori e dei lavoratori, e che in Italia è piuttosto elevato (secondo l’OCSE il cuneo assorbe il 47,6 per cento del costo del lavoro, contro una media del 35,6 per cento dell’insieme dei paesi OCSE). Nessuno discute che la riduzione del cuneo fiscale sia di per sé è cosa buona e giusta. 
Infatti, nella misura in cui riduce il costo del lavoro per le imprese, essa determina una contrazionedei costi di produzione e quindi dei prezzi di vendita delle merci e dei servizi, facendo aumentare la competitività dell’industria nazionale. 
In questo modo, si rilanciano le esportazioni e si invogliano i consumatori a un maggiore acquisto di merci nazionali, e ciò porta a una riduzione delle importazioni. Dall’altro lato, nella misura in cui aumenta il reddito disponibile dei lavoratori, il taglio del cuneo fiscale determina una crescita della domanda di beni di consumo e ciò spinge le imprese ad aumentare la produzione e l’occupazione. Insomma, l’abbattimento del cuneo fiscale fa crescere la competitività e alimenta la domanda interna, tutte cose di cui abbiamo assoluto bisogno per riprendere la via dello sviluppo.

L’intervento dunque è teoricamente buono, ma vediamo come viene attuato, cioè su che scala e a quale costo.

Sotto il primo aspetto va chiarito che l’intervento del governo – tra sgravi Irpef e Irap, e decontribuzioni Inail – taglia il cuneo di 10,6 miliardi nel triennio, appena 2,5 miliardi nel 2014. A ben vedere, si tratta di un intervento estremamente contenuto, che nel 2014 metterà nelle tasche di un lavoratore medio solo una manciata di euro al mese e ben poco respiro darà alle imprese che non vedranno variare significativamente il costo del lavoro per unità di prodotto. Considerata la sua entità, si tratta dunque di un intervento che avrà effetti limitatissimi e che avrebbe potuto cominciare ad avere un qualche rilievo solo se l’intero importo previsto nel triennio avesse riguardato il solo 2014.

E qual è il costo di questa manovra? In altre parole, come viene finanziata? Ebbene, le risorse complessive della Legge di Stabilità del governo – che per il 2014 vale 11,6 miliardi – provengono soprattutto da tagli di spesa pubblica, da dismissioni, da qualche maggiore entrata e dal solito blocco della contrattazione e del turnover nel pubblico impiego. Va de sé, ed è questo il punto che qui più è rilevante sottolineare, che i tagli della spesa pubblica, gli aumenti delle tasse e la mannaia sui lavoratori pubblici portano con loro una minore domanda di merci e servizi proveniente direttamente o indirettamente dal settore pubblico e da quello privato, e questo azzera i già risicati effetti positivi dell’aumento del reddito disponibile delle famiglie assicurato dal taglio del cuneo. Se, infatti, il taglio del cuneo alimentava la domanda, tagli e tasse la riducono in misura maggiore. E se la domanda complessiva non torna a crescere non possiamo sperare che l’economia riparta.

Le osservazioni appena fatte ci portano alla filosofia di fondo della manovra del governo. Si tratta di una manovra nella quale complessivamente alcune piccole riduzioni della pressione fiscale vengono finanziate con altrettante riduzioni della spesa pubblica. A ben vedere, lo scopo principale della manovra è restare dentro i tanto discussi vincoli europei, e in particolare tenere il deficit pubblico (la differenza annua tra uscite ed entrate pubbliche) entro il limite del 3 per cento del Pil. Ed è qui che casca l’asino. È infatti ormai acclarato – e a questo riguardo rinvio al “monito degli economisti“ pubblicato dal Financial Times – che in Europa sono in atto processi cumulativi di divergenza territoriale alimentati dalle politiche di austerità. 
Questi processi portano a una divaricazione drammatica tra aree centrali in crescita (in primis, la Germania) e aree periferiche in declino (l’Italia e gli altri Piggs). Ebbene, qualunque manovra anche piena di buone intenzioni ma che si muova dentro la cornice attuale dei vincoli non può riuscire a invertire i processi di divergenza in atto, e quindi a metterci al passo delle aree centrali d’Europa. Con la certezza che presto o tardi, in assenza di un cambiamento delle politiche europee, il gioco dell’euro salterà.

Insomma, se è pur vero che il taglio del cuneo fiscale va nella direzione giusta, la sua collocazione dentro la “filosofia vincolista” della finanza pubblica ne sterilizza i magri effetti positivi, e la rende una medicina del tutto inadeguata al male devastante che viviamo, un po’ come l’aspirina contro il cancro. 

8 commenti su “La manovra di Letta è un’aspirina contro il cancro

  1. La manovra di Letta è volta non a fare dell’Italia un Paese moderno, equo, liberale e competitivo, ma unicamente a fare il minimo indispensabile per garantire lo status quo. Quindi, si getta un pò di fumo negli occhi con la riduzione (ridicola! specie a fronte di sacrifici fatti di recente) del “cuneo fiscale” (dimenticando tra l’altro che non tutti i lavoratori Italiani sono mdipendenti; non è che per caso con quest’ennesima sperequazione tra lavoratori si vada anche contro quanto scritto in Costituzione?), si fa sperare che sia solo l’inizio di un cammino e che quindi domani le cose cambino, ma nel farattempo non cambia nulla. Dalla prosecuzione dei lavori della TAV (con la Francia che invece sospende tutto almeno fino al 2030) ai compensi dei presentatori RAI, dalla volontà di entrare nuovamente nelle sorti di Alitalia alla riorganizzazione “nominale” delle tasse sugli immobili.

  2. articolo molto condivisibile, le uniche riserve riguardano il titolo
    Numerose ricerche epideriologiche hanno documentato come i pazienti che per varie ragioni assumono Aspirina hanno un minor rischio di venir colpiti dal tumore al colon-retto e da altri tumori . Gli effetti positivi riguardavano non solo la mortalità, ma anche la progressione del tumore e la formazione di metastasi.
    Non solo, scienziati australiani hanno individuato un legame fra l’abilita’ delle cellule tumorali di circolare nell’organismo e la capacita’ dei farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS) come l’aspirina, di frenarne la diffusione, inibendo parzialmente l’aggregazione piastrinica inplicata nella tumorigenesi.
    La scienza medica conosce da molti anni i benefici dei FANS ma non erano finora chiari i processi biologici coinvolti, scrive Steven Stacker, del Peter MacCallum Cancer Centre di Melbourne, sulla rivista Cancer Cell. ”Era noto che i tumori secernono attivamente una gamma di proteine e di composti, chiamati fattori di crescita, che attraggono i vasi sanguigni e linfatici nell’immediata vicinanza e permettono loro di fiorire, metastatizzare e diffondersi”, aggiunge. Quando la persona ha il cancro, tali vasi vengono ‘sequestrati’, diventando un condotto per le cellule che si distaccano dal tumore primario e si diffondono per l’organismo. La ricerca mostra che i vasi linfatici maggiori si espandono nel processo di metastasi, aumentando di volume e permettendo quindi alle cellule e al fluido di circolare piu’ liberamente. I farmaci anti-infiammatori come l’aspirina a loro volta frenano la dilatazione dei vasi linfatici, con l’effetto di bloccare la diffusione metastatica.
    ”In questa ricerca abbiamo scoperto che un gene, detto PGDH, collega questi fattori di crescita al percorso cellulare della prostaglandina, che causa l’infiammazione e la dilatazione dei vasi attraverso il corpo. Gli effetti positivi dei FANS sono ora piu’ chiari”, spiega Stacker. La scoperta apre la strada a una gamma di nuove terapie potenti, mirate a questo percorso nei vasi linfatici, restringendo le linee di alimentazione di un tumore e quindi frenando il trasporto di cellule cancerose nel resto del corpo, aggiunge. Tali nuove terapie potranno aiutare a contenere molti tumori solidi epiteliali, compresi i cancri al seno e alla prostata. Inoltre sara’ possibile di sviluppare un ‘sistema di allarme avanzato’ per i tumori, prima che diventino incontrollabili.
    Eppoi, in uno studio pubblicato da World Journal of Hepatology (e nel caso vi stiate chiedendo, l’epatologia è la branca della medicina focalizzata sul fegato, del pancreas e della cistifellea). valutazione in vivo di iniezione intratumorale di aspirina per curare i tumori epatici ” ci fa vedere cosa succede quando si inietta l’aspirina direttamente nei tumori del fegato.
    E i risultati? Stupefacenti, ad essere onesti. L’esperimento ha avuto luogo nei conigli impiantati con tumori epatici e poi iniettati con una soluzione di bicarbonato di sodio e aspirina. In primo luogo non ci sono stati effetti negativi – i conigli non hanno mostrato variazioni fisiche a parte variazioni nei tumori iniettati. E qui i risultati sono stati chiari – i tumori sono crollati e sette giorni dopo il trattamento erano scomparsi del tutto, mentre nel gruppo di controllo i tumori hanno continuato a crescere come previsto. Inoltre, non c’è stata alcuna prova che i tumori hanno iniziato a ripresentarsi o a ricrescere.
    Chiaramente questo è un piccolo studio sui conigli e non sugli esseri umani, ma il risultato è davvero sorprendente e che grida per le ricadute sulla ricerca. Data la bassa tossicità dell’ aspirina, l’ovvio follow-up è per una piccola sperimentazione umana. Se i risultati saranno veloci dovremmo sapere molto rapidamente se si tratta di una valida opzione di trattamento da esplorare ulteriormente.

  3. Le iniziative del governo vanno (più o meno) nella direzione giusta (vedi ad esempio aumento bolli su dossier titoli e riduzione del carico fiscale su dipendenti a reddito medio-basso), ma la loro portata è insignificante.

    Come dice il commento di geo, sembra più un’opreazione di facciata (e, in effetti, presenta alcuni “distinguo” tra diverse categorie di redditi, che potrebbero essere tacciati di incostituzionalità …).

    Detto questo, non condivido le conclusioni semplicistiche cui arriva l’articolo: siccome la manovra si muove entro i (ben noti) vincoli di bilancio, e pertanto si limita a ridistribuire le medesime risorse pubbliche, allora non serve a niente.

    E no ! Troppo facile ! La sfida è intanto quella quella di giocare al meglio questa partita … in attesa che le regole possano essere cambiate!

    Se si toglie a chi ha di più (patrimoni, rendite, diritti acquisiti per grazia politica, evasori, …), per dare a chi ha di meno e per investire nella competitività delle imprese (non certo per ingrassarle!), vedrete che si fa qualcosa di utile, oltre che per la giustizia sociela, anche per la crescita.

    Il problema è che questa è tuttora una democrazia bloccata, che può fare solo passi striminziati.
    E mentre restiamo bloccati tra i veti incrociati delle categorie che lottano per rimpallarsi i costi dell’aggiustamento, il nostro Titanic affonda (… sotto gli occhi di quel 5-10% della popolazione che controlla redditi e ricchezza, e che sulla scialuppa c’è già salito!).

    Un cordiale saluto.
    http://marionetteallariscossa.blogspot.it/

  4. Ormai è risaputo: questa classe politica non può far niente. Fan tutti parte di lobby, imprese e di quel marciume e clientelismo che avvelena l’Italia.
    Tagli alla spesa improduttiva e ai privilegi: tra pensioni e stipendi d’oro un 4 miliardi si trovavano, soppressione di enti inutili e province altri 5 mld (si stima che solo gli enti inutili ne detengano 7) ridistribuzione del peso dello stato (troppe spese a livello centrale) costi standard, redistribuire la ricchezza (una bella patrimoniale da 10/15 miliardi). 25 miliardi da buttare tutti gli anni sul cuneo allora si comincia a ragionare.
    Difficile certo, ci vogliolo volontà e palle ma si può fare. Piu’ facile e cambiare il nome alle tasse….

  5. @ Emilio.L @Pierre: suggerisco articolo Huffington Post per inquadrare meglio la questione dei “tagli”: http://24o.it/links/?uri=http://www.huffingtonpost.it/stefano-fassina/la-spesa-pubblica-non-va-tagliata_b_4108643.html?utm_hp_ref=italy&from= . Pongo poi due quesiti:
    a) come faccio patrimoniale in Italia se esiste libertà di movimento di (grandi) capitali? Vuol dire quindi che la patrimoniale (sui c/c, dicesi prelievo forzoso) se la pappano sempre i soliti (noi)
    b) cosa serve rendere competitive le imprese (che, per carità, è utile), cioè “migliorare” l’offerta se ci troviamo di fronte, invece, ad un problema di domanda (per redditi calanti in Italia, per debt deleveraging in altri paesi, fra cui USA, uno dei nostri mercati di sbocco)
    c) ma di quali troppe spese stiamo parlando se la spesa pubblica primaria pro capite (senza conto capitale e servizio debito) è calante e una delle più basse?
    Leggiamola l’intervista di Fassina: aiuta a inquadrare meglio la questione, se ancora ve ne fosse bisogno.

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