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Pregi e limiti della Modern Money Theory (MMT). Una critica costruttiva

mmtdi Emiliano Brancaccio

“Mezzogiornificazione” europea: Paul Krugman (1991) l’aveva preannunciata in tempi non sospetti ed altri, poi, l’hanno riesaminata e ne hanno studiato gli sviluppi. Con questa espressione possiamo intendere, sinteticamente, quei processi  di desertificazione produttiva, annientamento o assorbimento estero dei capitali nazionali ed emigrazione di massa dei lavoratori, che soprattutto a seguito della crisi economica stanno determinando profondi mutamenti nella struttura produttiva dei paesi periferici dell’Unione monetaria europea. La “mezzogiornificazione” indica, in sostanza, che il dualismo economico che ha duramente segnato la storia dei rapporti tra Nord e Sud Italia non costituisce più un caso particolare limitato al nostro paese, ma andrebbe ormai riletto come caso anticipatore ed emblematico di un dualismo molto più ampio, che si riproduce oggi su scala continentale tra i paesi del Nord e del Sud dell’Europa, e che rischia di compromettere gravemente i loro futuri rapporti economici e politici.

Non suscita quindi particolare meraviglia che i cittadini meridionali, oggi, risultino particolarmente sensibili ai mutamenti in corso negli assetti dell’eurozona. Subendo gli effetti del dualismo economico già da tempo, essi sembrano intuire più rapidamente di altri quali siano i rischi che l’Europa oggi sta correndo. Non credo sia del tutto casuale, dunque, che iniziative come questa, che mirano a diffondere maggior consapevolezza dei processi economici in atto, maturino proprio lì da voi, a Reggio Calabria, città estrema situata esattamente al centro del Mediterraneo, nei pressi di Scilla e al cospetto di Cariddi.

Con questo intervento audio da Napoli cercherò di non sottrarre tempo alle ulteriori relazioni dei colleghi Kelton, Auerbach e Black, di cui ho letto con interesse vari lavori e che saluto. Pertanto, in quel che segue mi limiterò ad accennare solo ad alcuni degli snodi concettuali e delle questioni aperte riguardanti la “modern money theory” (MMT), la “teoria della moneta moderna”, definita anche “teoria monetaria moderna”.

La prima questione verte sul concetto di “novità”. E’ lecito definire la teoria monetaria moderna una novità assoluta nel campo della teoria economica? Io credo di no: la teoria monetaria moderna non rappresenta un inedito. La mia posizione riflette per certi versi quella dell’economista canadese Marc Lavoie (2011). Secondo Lavoie le proposizioni chiave della teoria monetaria moderna possono essere ricavate dagli schemi tipici della tradizione Post-Keynesiana; in particolare, dalle versioni di quegli schemi dette del “circuito monetario”, che in Italia hanno avuto una certa diffusione grazie soprattutto al contributo dell’economista Augusto Graziani (2003).

Va ricordato, inoltre, che la teoria monetaria moderna eredita dalla più ampia tradizione dei filoni di pensiero economico critico una tesi cruciale, direi attualissima: una economia capitalistica di mercato, lasciata a sé stessa, a meno di un caso non è in grado di garantire la piena occupazione del lavoro e delle altre forze produttive esistenti, né nel “breve” né nel “lungo periodo”. Tra le numerose implicazioni di questa tesi vi è l’idea che il finanziamento monetario della spesa pubblica, a date condizioni, può determinare aumenti duraturi della produzione fisica e della stessa capacità produttiva, con effetti sull’inflazione che solo per caso risulterebbero proporzionali all’entità del finanziamento monetario della spesa.

Credo sia utile ricordare che questa tesi trova un rigoroso fondamento di teoria dei prezzi relativi e della distribuzione negli sviluppi della cosiddetta “teoria della produzione”, alla quale, tra gli altri, Leontief e soprattutto Sraffa hanno dato fondamentali contributi (cfr. Pasinetti 1975; Kurz e Salvadori 1995; cfr. anche Petri 2004). In particolare, è proprio alla luce della teoria della produzione che la tesi suddetta e le sue implicazioni possono essere estese al cosiddetto “lungo periodo”, e le obiezioni di Krugman (2011) alla MMT possono quindi essere efficacemente criticate.

Ora, questo rinvio alla storia, alla tradizione, al profondo substrato di pensiero critico sul quale la “teoria monetaria moderna” inevitabilmente poggia, è un fatto che magari potrà creare qualche imbarazzo tra gli apologeti di quella diffusa malattia politica che va sotto il nome di “nuovismo”, ma a ben pensarci dovrebbe esser considerato positivo. In particolare, dovrebbe essere considerato una vera fortuna da parte di coloro che intendano realmente contribuire alla edificazione di un fronte alternativo, autorevole e non evanescente, nella durissima battaglia delle idee in campo economico.

Il guaio è che il nuovismo è una malattia atavica e tenace. Mi vengono in mente, per esempio, gli agitatori russi che nel 1920 pretendevano di costruire una nuova cultura rivoluzionaria sulle rovine di quella vecchia, e si dichiaravano pronti a bruciare le opere rinascimentali di Raffaello pur di raggiungere il loro scopo. Dovette scomodarsi addirittura Lenin (1977) per spiegare che essi erano soltanto dei poveri illusi, per un motivo che in un’ottica storico-materialista risulta subito evidente: una nuova cultura, che possa dirsi realmente rivoluzionaria, non sbucherà mai fuori dal nulla ma potrà solo scaturire da uno sviluppo del sapere che l’umanità ha sedimentato nel corso della sua Storia. Nei tempi confusi che viviamo, che sono anche tempi di rivoluzioni di cartone, coltivo il sospetto che simili puntualizzazioni non siano del tutto banali.

Mi permetto di far notare, a questo riguardo, che anche gli aspetti apparentemente più sorprendenti, che sembrano un pochino più eretici, della teoria monetaria moderna, in realtà possono esser considerati dei casi molto particolari degli schemi Post-Keynesiani. Faccio un esempio: una tesi apparentemente sconcertante di alcuni esponenti della teoria monetaria moderna è che da un punto di vista logico verrebbe prima la spesa pubblica del governo, e solo dopo di essa potrebbero verificarsi il prelievo fiscale e i prestiti al governo da parte dei privati. In altri termini, secondo questa visione, se il governo prima non spende, non ci potrà essere né prelievo fiscale né prestiti privati allo stesso governo. Ora, l’idea secondo cui la spesa pubblica viene logicamente prima di ogni altra cosa, a prima vista sembra incredibile. Tuttavia, come Lavoie ha mostrato, essa deriva da una semplice convenzione contabile: alcuni teorici monetari moderni analizzano la banca centrale e lo stato come se fossero un unico settore consolidato. L’arcano è facilmente risolto, dunque. Tuttavia bisogna anche aggiungere che questo consolidamento, nella attuale realtà politico-istituzionale, non esiste. Magari è auspicabile, ma non esiste ancora. E in periodi confusi come questi, forse sarebbe il caso di tenere sempre ben distinti i meri auspici dai fatti.

I colleghi presenti mi scuseranno per queste precisazioni, che loro forse reputano scontate. Io tuttavia credo si tratti di chiarimenti necessari. Perché a mio avviso, se davvero si vuol contribuire alla lunga e faticosa opera di formazione di una coscienza critica collettiva in grado di avanzare precise obiezioni alla visione economica dominante e di suggerire una  teoria economica alternativa e moderna, magari anche una “teoria monetaria moderna”, allora è indispensabile sfrondare tale teoria dagli orpelli, e soprattutto dagli eventuali errori.

A proposito di errori. In un interessante documento a supporto della teoria monetaria moderna, leggo che «nell’economia reale le importazioni sono un beneficio, mentre le esportazioni sono un costo» (Mosler et al. 2012). Ora, intendiamoci bene: se questo vuole essere un modo per criticare l’odierno assetto capitalistico mondiale, che induce interi paesi a deflazionare l’economia e a creare disoccupazione interna nello strenuo tentativo di gareggiare sui mercati internazionali, io apprezzo le buone intenzioni. Al tempo stesso, però, credo che questa modalità di avanzare la critica all’assetto vigente sia potenzialmente fuorviante.

Sotto questo aspetto, c’è un punto della teoria monetaria moderna che appare ancora opaco, e che rischia di rivelarsi debole se non viene meglio approfondito: si tratta dei rapporti che un paese sovrano ha con il resto del mondo, che vengono sinteticamente espressi proprio dall’andamento delle importazioni e delle esportazioni, e più in generale della bilancia dei pagamenti verso l’estero.

A me pare che su questo punto alcuni elementi di debolezza della MMT emergano non solo nei documenti di propaganda, inevitabilmente limitati dalle necessità della sintesi, ma anche in contributi accademici caratterizzati da un livello di raffinatezza superiore: per esempio, quando uno dei più autorevoli esponenti della teoria monetaria moderna sembra suggerire che la soluzione chiave per gestire i problemi di bilancia dei pagamenti risiede in un tasso di cambio flessibile (Wray 1998). Ebbene, io non credo che le cose stiano esattamente in questi termini. Mi spiego.

L’obiettivo principale della MMT è di fare in modo che un paese sovrano usi il finanziamento monetario della spesa pubblica per rendere praticabile l’attuazione di un programma nazionale per la piena occupazione. Alcuni esponenti della MMT parlano in questo senso dello stato come “occupatore di ultima istanza” (Wray, cit.), proponendo così una feconda parafrasi del concetto di “prestatore di ultima istanza” di Bagehot. Prendendo spunto da Leontief, invece, personalmente credo che un programma per la piena occupazione dovrebbe farsi carico di alcuni problemi tipici della pianificazione, tra cui l’esigenza di intervenire sugli squilibri strutturali fra i territori. Per questo preferisco parlare dello stato come “occupatore di prima istanza”. Tali differenze però possono essere affrontate anche a un secondo livello di analisi. L’idea preliminare della MMT, di finanziare con moneta la spesa pubblica, è a mio avviso corretta e condivisibile. Tuttavia, è necessario soffermarsi sul fatto che tale politica farebbe aumentare anche le importazioni dall’estero. Ed è difficilmente contestabile che tale aumento delle importazioni potrebbe creare problemi rilevanti alla bilancia dei pagamenti e, più in generale, all’intera struttura del sistema produttivo nazionale. Problemi che vanno ben al di là delle scelte intorno alla mera gestione del tasso di cambio e alla stessa sovranità monetaria.

Gli italiani, i latino americani, gli stessi britannici, sanno benissimo, per esperienza diretta, che i problemi di bilancia dei pagamenti non possono essere gestiti tramite la mera dinamica del cambio. Anzi, dal punto di vista del nesso tra bilancia dei pagamenti e sovranità, al pari e anche più rapidamente della deflazione interna, un cambio flessibile può ridurre il valore dei capitali nazionali, può quindi esporre a facili acquisizioni estere e può dunque diminuire, anziché aumentare, il grado di sovranità. Ecco perché in passato, in Italia, in America Latina e in Gran Bretagna, anche in periodi di fluttuazione dei cambi, venivano evocati e talvolta venivano anche realizzati dei programmi detti di “sostituzione delle importazioni”: cioè dei programmi più o meno protezionistici, di limitazione dei movimenti di capitali, di disciplinamento degli investimenti esteri e, laddove necessario, di controllo dei movimenti di merci.

Verrebbe a questo punto da chiedersi per quale motivo alcuni esponenti statunitensi della MMT tendono a sottovalutare questi problemi, e talvolta arrivano per questa via a giudicare in termini acriticamente ottimistici gli stessi investimenti diretti esteri. Questo in un certo senso è un paradosso, se si considera che il finanziamento monetario della spesa pubblica è stato adoperato, in molti casi storici, proprio per scongiurare la perdita di sovranità che può derivare dalle acquisizioni estere. In una fase in cui il tema dell’inserimento di capitali esteri negli assetti proprietari e di controllo sembra travalicare l’ambito degli ultimi asset strategici in mano pubblica e arriva a lambire persino il sistema bancario, sarebbe bene fare molta più chiarezza, su questo punto. Ma se mi dilungassi pure su questi aspetti finirei per prendere troppo tempo.

Ciò che conta stabilire immediatamente, in questa sede, è che la teoria e la storia ci dicono che se davvero si vuol ripristinare un certo grado di sovranità – e a fortiori di sovranità democratica – allora la bilancia dei pagamenti verso l’estero diventa una variabile cruciale. Ed è opportuno aggiungere che per controllare questa variabile bisogna passare per forza tra Scilla e Cariddi: o si attua un coordinamento internazionale tra paesi, oppure si attuano forme più o meno stringenti di protezionismo finanziario e  commerciale, oppure ancora si realizza una combinazione tra le due opzioni. Le scelte sui cambi fanno senz’altro parte del problema ma di certo non lo esauriscono, né possono esser considerate l’aspetto decisivo.

E qui veniamo alla questione politica fondamentale. E’ la questione della scelta tra una strategia di profonda revisione del palinsesto della moneta unica e del mercato unico europeo da un lato, e una strategia alternativa, che sia basata non soltanto sullo sganciamento dalla moneta unica ma anche, se necessario, su una segmentazione del mercato unico europeo. In Italia e altrove, come voi sapete, si stanno formando due fronti, su questo tema. Curiosamente, noto che persino tra i sostenitori della teoria monetaria moderna sono emerse posizioni diversificate, a questo riguardo.

Ebbene, in un libro recente abbiamo provato a suggerire una via dialettica per cercare di affrontare questo decisivo snodo politico (Brancaccio e Passarella 2012). La nostra proposta parte da una serie di evidenze, che provo qui ad esporre in estrema sintesi.

Osserviamo in primo luogo che la “mezzogiornificazione” europea ha fatto registrare una forte accelerazione a seguito della crisi economica. I portatori degli interessi prevalenti, in Germania e nei paesi “centrali” dell’Unione, traggono grandi vantaggi, relativi e assoluti, da questo processo. La crisi ovviamente colpisce anche tali paesi, ma in termini comparati il suo impatto su di essi è più modesto, il che accresce la forbice rispetto alle aree “periferiche” dell’Unione. Basti guardare allo spread, non solo tra i tassi d’interesse ma anche tra le bancarotte aziendali e, soprattutto, tra i livelli di occupazione: dal 2007 al 2012 i paesi del Sud Europa hanno perso quasi quattro milioni di posti di lavoro, mentre la Germania ha addirittura accresciuto l’occupazione di circa un milione e mezzo di unità. Ma c’è di più: la miscela di mezzogiornificazione e crisi, in ultima istanza, implica “centralizzazione” dei capitali nel senso di Marx, e di Hilferding (2011). Rilevo, a questo proposito, che a seguito della crisi gli indici azionari della Germania da un lato, e dei paesi del Sud Europa dall’altro, si sono chiaramente divaricati. La forbice, si badi bene, in termini relativi caratterizza anche il settore bancario. Questo aumento generalizzato della varianza dei valori azionari contribuisce a spiegare perché il rapporto tra investimenti diretti esteri netti e formazione lorda di capitale fisso della Germania verso l’Italia sia mutato di segno a cavallo del 2008-2009. Mentre nei primi anni dell’euro i proprietari tedeschi sono risultati venditori netti di capitale, dopo la crisi essi hanno nuovamente assunto il ruolo storico di acquirenti netti.

I dati insomma segnalano che siamo al cospetto di una tremenda accelerazione del processo di centralizzazione dei capitali e di “egemonizzazione” tedesca dell’Unione europea. Un processo che ovviamente genera contraddizioni e conflitti, che a un certo punto potrebbero rivelarsi ingestibili. A tale riguardo, i portatori degli interessi prevalenti in Germania sanno che l’allargamento dei divari economici e i connessi meccanismi di centralizzazione dei capitali potrebbero a un certo punto rivelarsi politicamente insostenibili per le nazioni periferiche. Questi fenomeni dunque accrescono la probabilità di una deflagrazione della moneta unica europea. E’ interessante notare, sotto questo aspetto, che ai vertici delle istituzioni tedesche sembra piuttosto diffuso lo scetticismo intorno alla reale efficacia della strategia di riequilibrio deflazionistico a carico dei soli paesi debitori che viene perseguita dalla Banca centrale europea. In effetti, benché gli ultimi dati sugli spread e sulle bilance commerciali sembrano suscitare nuove onde di speranza tra le file degli ottimisti (cfr. Congiuntura Ref. 2012), allo stato dei fatti ritengo ancora, con molti altri, che siano numerose le ragioni per nutrire forti dubbi sulla tenuta futura dell’eurozona (cfr. ad esempio le posizioni di Stiglitz e dello stesso Krugman; tra gli italiani fu Graziani uno dei primi a dubitare della sostenibilità della zona euro; più di recente, cfr. ad esempio Bagnai 2012, una lettura istruttiva anche se una critica alle radici neoclassiche della teoria delle aree valutarie ottimali sarebbe stata molto opportuna; cfr. anche la mia risposta a Barba Navaretti sul Sole 24 Ore, in Brancaccio 2012a).

Sarà forse la memoria del fallimento delle politiche di Bruning, o magari un sussulto di “cattiva coscienza” politica, ma in Germania sembrano in effetti più consapevoli di noi della difficoltà di aggiustare gli squilibri intra-europei a colpi di deflazione nei paesi debitori. Ecco perché le autorità tedesche non nascondono di attendersi una crescita delle tensioni politiche future, e una ulteriore accentuazione della fragilità dell’eurozona. Non è un caso, del resto, che abbiano messo in conto prima di tutti l’eventualità di una sua deflagrazione. La forza dei tedeschi, ai tavoli delle trattative europee, deriva anche da questa capacità di anticipazione degli eventi. E’ evidente cioè che essi sono già pronti a sostenere i costi di una implosione della moneta unica, anche perché dal tracollo potrebbero trarre persino dei vantaggi ulteriori: infatti, come abbiamo cercato di mostrare, il solo mutamento dei rapporti di cambio tra le valute non frenerebbe il processo di centralizzazione in atto, ma anzi potrebbe addirittura intensificarlo (Brancaccio e Fontana 2011).

L’unica vera paura che agita i portatori degli interessi prevalenti in Germania è che una eventuale crisi della moneta unica sia accompagnata anche da una crisi del mercato unico europeo. Essi cioè temono che i paesi periferici siano a un certo punto tentati dall’adozione di soluzioni di tipo “neo-protezionistico”, sui mercati finanziari ed anche sui mercati delle merci. In Germania discutono animatamente di questo pericolo, poiché sanno che il processo di egemonizzazione tedesca dell’Unione europea subirebbe una pesante battuta d’arresto se venisse messa in discussione la libera circolazione dei flussi finanziari e delle merci. Il dibattito interno alle associazioni imprenditoriali, in Germania, ci pare emblematico in questo senso (cfr. ancora Brancaccio e Passarella, cit.).

Una volta che si tenga conto di tutti questi elementi, diventa a nostro avviso ragionevole tentare di tratteggiare una linea d’azione politica. La nostra proposta, in questo senso, si dispiega lungo due traiettorie interconnesse, e può essere sintetizzata nei seguenti termini.

Da un lato, ai tavoli delle trattative europee, le autorità italiane e degli altri paesi periferici dell’Unione dovrebbero riunirsi intorno a un progetto organico di riforma dell’Unione monetaria europea, che si proponga di affrontare alla radice, in termini strutturali e non assistenzialistici, gli squilibri tra le economie del continente. I contributi alla definizione di un piano sostenibile di riforma, in questo senso, sono già numerosi (cfr. per esempio il Manifesto per l’Europa del Sole 24 Ore, nonché la www.letteradeglieconomisti.it del 2010; si veda anche la proposta di “standard retributivo europeo”, in Brancaccio 2012b).

Dall’altro lato, per far sì che simili progetti non siano destinati alla critica roditrice dei topi, è indispensabile che le autorità di quegli stessi paesi dichiarino esplicitamente che, se in Europa non dovesse farsi largo una generale volontà riformatrice nel senso indicato, il rischio che esse reagiscano non solo con una uscita dall’euro ma anche con una svolta di tipo neo-protezionista, dovrà ritenersi concreto.

Questa, a nostro avviso, è l’unica carta politica di cui i paesi periferici reamente dispongono oggi in sede europea. Tale strategia, si badi bene, è valida in ogni caso: sia per indurre le autorità tedesche a riconsiderare l’entità dei costi di una eventuale deflagrazione, e quindi a non ostacolare una eventuale riforma dell’Unione, sia eventualmente per far sì che i paesi periferici si attrezzino al meglio per uscire da un’eurozona eventualmente irriformabile.

Per inciso, segnalo pure che una strategia di gestione del break-up che ammettesse anche la possibilità di limitazioni del mercato unico europeo potrebbe avere – per usare un termine antico ma tutt’altro che desueto – una precisa connotazione “di classe”, poiché a date condizioni consentirebbe di salvaguardare maggiormente gli interessi dei lavoratori subordinati.

Beninteso, sappiamo tutti che fino ad oggi le autorità italiane e degli altri paesi periferici hanno agito in direzione esattamente opposta a quella che ho cercato qui di tratteggiare. Basti notare che negli ultimi mesi le redini degli esecutivi dei paesi periferici dell’eurozona sono state affidate ad alcuni tra i più risoluti fautori del liberoscambismo europeo. Sotto questo aspetto Mario Monti rappresenta l’antitesi ideale di una opzione neo-protezionista: egli mai si sognerebbe di evocarla in sede di trattativa, nemmeno di fronte alla prospettiva di una depressione di lungo periodo; e forse nemmeno di fronte a un assorbimento delle banche nazionali ad opera di capitali esteri. In questo senso, potremmo dire che il Professor Monti incarna una clausola di salvaguardia non solo e non tanto della moneta unica, ma anche e soprattutto del mercato unico europeo.

Il mondo però si muove, e la crisi avanza in fretta. Vale la pena di ricordare che la stessa Commissione europea ravvisa numerosi sintomi di revisione della politica del libero scambio già in varie parti del mondo (EU Commission 2012). Inoltre, è interessante notare che anche all’interno del mainstream svariati studiosi, tra cui Dani Rodrik (2011), hanno avviato una critica all’ideologia liberoscambista.

Il messaggio di fondo di questa nota è dunque il seguente: ci sono buoni motivi per ritenere che alle numerose critiche alla perdita di sovranità sulla moneta sia giunto il tempo di affiancare anche una critica più generale al liberoscambismo europeo.

In tal senso domando: la MMT è liberoscambista o neo-protezionista? La mia opinione è che la coerenza logico-politica della MMT richiede un impianto di tipo neo-protezionista. Per quel che mi è dato sapere, alcuni suoi esponenti la pensano così. Non tutti, però. O sbaglio?

Naturalmente, questo cruciale interrogativo dovrebbe porsi in ambito non solo scientifico ma anche e soprattutto politico. Per esempio, tutti i partiti eredi più o meno diretti della tradizione del movimento dei lavoratori dovrebbero prender coscienza che il liberoscambismo, in particolare il liberoscambismo di sinistra, è una ideologia perniciosa che deve essere sottoposta a critica e abbandonata. Il rischio maggiore, invece, è che tali forze politiche scelgano di restare arroccate a tutti i costi in difesa dell’euro e del mercato unico europeo (Brancaccio, Bragantini, Pianta 2012). Così facendo, tuttavia, esse lasceranno praterie sempre più vaste di potenziali consensi nelle mani di forme nuove di nazionalismo ideologico, e al limite di nuove formulazioni dell’orrida triade di suolo, sangue e razza. Con il tracollo del Pasok e l’ascesa di Alba Dorata, e con le incertezze della stessa Syriza sull’euro, la Grecia costituisce in questo senso l’immagine più nitida di un possibile futuro europeo che tanti aborriscono ma che pochi, in questo momento, si preoccupano di scongiurare. Occorrerà lavorare molto, io credo, affinché l’Europa non si tramuti entro qualche anno in un laboratorio sociale in cui magari verificare, questa volta, che la tesi storiografica del fascismo quale mera “reazione” era sbagliata, e che aggregazioni di stampo neofascista possono in realtà espandersi anche nell’assenza totale di movimenti rivoluzionari di matrice comunista. Qualsiasi possibile apporto a questo durissimo lavoro che ci attende dovrà ritenersi, a mio avviso, benvenuto.

Versione riveduta e ampliata dell’intervento audio di Emiliano Brancaccio alla conferenza “MMT Calabria Europa” del 30 novembre 2012. L’autore ringrazia il blog http://vocidallestero.blogspot.it/ per l’aiuto nella fase di trascrizione. La riproduzione è consentita citando la fonte www.emilianobrancaccio.it .

Bibliografia

Bagnai, A. (2012). Il tramonto dell’euro, Imprimatur editore, Reggio Emilia.

Brancaccio, E. (2012a), Quale austerità?, Il Sole 24 Ore, 13 maggio. http://www.emilianobrancaccio.it/2012/05/13/botta-e-risposta-quale-austerita

Brancaccio, E. (2012b). Current account imbalances, the Eurozone crisis and a proposal for a European wage standard, International Journal of Political Economy, vol. 41-1. http://www.emilianobrancaccio.it/2012/09/14/lo-standard-retributivo-europeo-sullinternational-journal-of-political-economy/

Brancaccio, E., Bragantini, S., Pianta, M. (2012). Dibattito sull’euro e sulla crisi, Micromega, n. 5. http://www.emilianobrancaccio.it/wp-content/uploads/2012/09/micromega-luglio-2012-brancaccio1.pdf

Brancaccio, E., Fontana, G. (2011), The Taylor Rule, the Solvency Rule and capital centralisation in a monetary union, Fmm Conference, Berlino, 28-29 ottobre.

Brancaccio, E., Passarella M. (2012). L’austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa, Il Saggiatore, Milano. http://www.emilianobrancaccio.it/2012/04/04/lausterita-e-di-destra-2/

Congiuntura Ref. (2012). Cambiamenti della posizione competitiva dei paesi europei, anno XIX, n. 19, 13 novembre.

European Commission (2012), Ninth report on potentially trade restrictive measures.

Graziani, A. (2003). The monetary theory of production, Cambridge University Press, Cambridge UK.

Hilferding, R. (2011). Il capitale finanziario, Mimesis, Milano-Udine (orig. 1910).

Krugman, P. (1991). Geography and trade (trad. it. Geografia e commercio internazionale, Garzanti, Torino 1995).

Krugman, P. (2011). MMT, Again. http://krugman.blogs.nytimes.com/2011/08/15/mmt-again/.

Kurz, H., Salvadori, N. (1995), Theory of production, Cambridge University Press, Cambridge.

Lavoie, M. (2011). The Monetary and Fiscal Nexus of Neo-Chartalism: A friendly critical look, Department of Economics, University of Ottawa, October. http://www.boeckler.de/pdf/v_2011_10_27_lavoie.pdf

Lenin, V. I. (1977), Sull’arte e la letteratura, Edizioni Progress, Mosca.

Mosler, W., Forstater M., Parguez A., Barnard P. (2012). Programma ME-MMT di salvezza economica per il Paesewww.memmt.info.

Pasinetti, L. (1975), Lezioni di teoria della produzione, Il Mulino, Bologna.

Petri, F. (2004). General equilibrium, capital and macroeconomics, Edward Elgar, Cheltenham.

Rodrik, D. (2011). La globalizzazione intelligente, Laterza, Roma.

Wray, R. (1998). Understanding modern money, Edward Elgar, Cheltenham.

63 commenti su “Pregi e limiti della Modern Money Theory (MMT). Una critica costruttiva

  1. Reblogged this on i cittadini prima di tutto.

  2. Vediamo di agitare un po’ le acque.
    Emiliano Brancaccio giustamente sostiene che una politica monetaria orientata a finanziare la spesa pubblica con moneta porterebbe inevitabilmente ad un aumento delle importazioni e che una simile circostanza provocherebbe dei problemi che la gestione del tasso di cambio non potrebbe risolvere.
    Infatti, una politica di bilancio rivolta alla piena occupazione potrebbe trovare seri problemi prima ancora che questa sia raggiunta, qualora l’aumento delle importazioni, conseguente alla crescita dell’attività e della domanda, renda difficile il finanziamento del deficit.
    La MMT pensa di riequilibrare la bilancia commerciale e quella dei pagamenti affidandosi alla fluttuazione del tasso di cambio, ovvero alla svalutazione.

    Negli Stati Uniti, ove è nata la MMT, una simile impostazione è senza dubbio fattibile, almeno fino a quando il dollaro sarà il mezzo di pagamento comunemente accettato a livello internazionale.
    Pertanto, il deficit potrebbe essere coperto stampando dollari.

    Così non può essere ad esempio per un paese come l’Italia, se tornasse alla lira. Poiché non solo i fornitori potrebbero pretendere di essere pagati in dollari o nella loro valuta, ma anche perché gli stessi investitori, innanzi al timore di una possibile svalutazione del cambio, potrebbero non acquistare le attività finanziarie nazionali, facendo venir meno l’afflusso di valuta estera fondamentale per coprire il deficit commerciale.

    Ecco quindi che la politica monetaria, per quanto possa essere attentamente calibrata, potrebbe trovarsi – in quella circostanza – nell’impossibilità di conseguire la piena occupazione.

    Tuttavia la stessa osservazione potrebbe essere rivolta anche a chi, come Brancaccio e altri, chiede l’uscita dell’Italia dall’euro, confidando – appunto – nella svalutazione.
    De te fabula narratur.

    La vera critica che si può rivolgere alla MMT, allora, riguarda l’illusione che la sola politica monetaria sia sufficiente per raggiungere la piena occupazione. Come Keynes scrisse nella General Theory “sembra improbabile che l’influenza della politica monetaria (…) sia sufficiente da sé sola a determinare un ritmo ottimo dell’investimento. Ritengo perciò che una socializzazione di una certa ampiezza dell’investimento si dimostrerà l’unico mezzo per farci avvicinare alla piena occupazione”.

    • La MMT non propone la politica monetaria ma il finanziamento monetario della politica fiscale. E’ una cosa diversa.

      Non penso che Mosler sia liberoscambista, anche se è vero che il suo documento è sull’allegro andante quando si tratta di investimenti esteri. Comunque ottimo articolo chiarificatore da parte di Brancaccio, come sempre.

      • Chiedo scusa per l’imprecisione semantica. Ma la critica nella sostanza resta. Sia perchè il finanziamento monetario della spesa pubblica passerebbe comunque attraverso la Banca centrale (e quindi mediante la politica monetaria, che dovrebbe ispirarsi a questa teoria), sia perchè il vincolo esterno – come sottolineato da Brancaccio – non verrebbe meno, anche quando fosse lo Stato a emettere direttamente moneta (attuando per questa via la poltica monetaria, oltre che di bilancio).

    • E infatti Brancaccio propone non solo di uscire dall’euro ma anche di adottare misure di “repressione finanziaria” e di limitazioni allo scambio di beni e servizi. Il che, mi sentirei di dire, è quasi una ovvietà. E la sola minaccia di adottare simili misure – che verrebbero subito adottate dagli altri paesi mediterranei – potrebbe indurre, ritiene Brancaccio, i tedeschi a più miti propositi. E’ sull’efficacia della minaccia che trovo il maggior livello di divergenza tra lui e Bagnai

      • La “repressione finanziaria” potrebbe porre un freno alle fughe di capitali dei residenti, ma non potrebbe “reprimere” gli operatori esteri fino al punto da obbligarli ad acquistare con la loro valuta le attività finanziarie interne, con le quali finanziare il deficit commerciale.
        Inoltre, in caso di una uscita traumatica dall’euro, dubito che si possa avere delle relazioni commerciali “distese” con i partner europei, e sarebbe pericoloso ignorare le possibili ritorsioni per arginare la nostra “svalutazione competitiva”.
        Insomma … un bel casino.
        Dovremmo valutare attentamente il “male minore” ( anche ai fini degli esiti politici che simili iniziative potrebbero condurre).

      • Non sono d’accordo con quanto scritto da Brancaccio.

        Ma come, si esce dall’euro e finalmente si ha quindi la possibilità di far funzionare l’industria italiana al massimo, e Brancaccio cosa propone? DI METTERE I DAZI!!! Ma stiamo scherzando? Dobbiamo invece fare proprio l’incontrario: produrre a manetta e fare aumentare le quote di mercato delle nostre aziende, che ora sono frenate da tasse ed euro.

        Nel PROGRAMMA ME-MMT sono contenute , tra le altre cose, quattro forti proposte da punto di vista economico:

        1) USCITA DALL’EURO

        2) PIENA OCCUPAZIONE

        3) AZZERAMENTO DELL’IVA

        4) STOP ALLE NUOVE EMISSIONI DI TITOLI DI STATO

        Lasciamo per un momento stare lo stop alle nuove emissioni di titoli di Stato, e concentriamoci sulle altre proposte.

        Esci dall’euro e pompi su il deficit. Il rischio però è che, in una simile situazione, i mercati si spaventino. Ossia che ritengano che un aumento troppo elevato del deficit porti a una tale svalutazione della valuta per cui si innesti un fuggi fuggi generale dalla nuova valuta. Ma, se si va a vedere i conti, questo timore io non lo vedo giustificato.

        L’azzeramento dell’IVA costa circa l’8% di PIL. Questo significa che si passa dall’attuale deficit/PIL del 2% a un deficit/PIL attorno al 10% cioè circa come in USA, Regno Unito, Giappone. Però c’è da fare anche la piena occupazione. Una stima realistica riguardante il costo del piano per la piena occupazione è attorno al 3% del PIL. Ok: hai un deficit/PIL di circa il 13%. Quindi si parla di un deficit che è sì più alto di quello giapponese (per esempio), ma non in modo esagerato, e la composizione di questo deficit è dato per più di due terzi da una riduzione fiscale e da meno di un terzo da un incremento della spesa dello Stato.

        In altre parole, a mio avviso si tratta alla fine di un programma che cerca di ottenere la massima efficienza con il minor costo possibile. Personalmente sono d’accordo con tutte e quattro queste proposte.

      • Sia Brancaccio che Giorgio hanno dimenticato un aspetto essenziale, almeno in Mosler: uno squilibrio dovuto ad eccessive importazioni si può combattere (prima e meglio che con immissione di moneta tramite spesa pubblica) con il taglio delle tasse nel settore privato. Al di là dello slogan citato da Brancaccio, Mosler stesso scrive che “occorre esportare solo per pagare le importazioni” e che quindi se le importazioni salgono troppo siamo di fronte ad un “fallimento” del mercato privato: l’equilibrio si ottiene riducendo l’imposizione fiscale) http://www.rivieraoggi.it/2012/11/26/155148/tagliare-le-tasse-di-100-miliardi-in-un-anno-si-puo-e-si-deve/

      • Una riduzione della pressione fiscale, innalzando i redditi del settore privato, alimenta le importazioni, aggravando il problema del finanziamento della bilancia dei pagamenti.
        Sarebbe semmai necessario, in quella circostanza, una riduzione del deficit di bilancio (o con un aumento delle imposte o una riduzione della spesa pubblica). Sicchè si potrebbe dire che la MMT trasferisce i vincoli della politica economica dal pareggio di bilancio al pareggio della bilancia dei pagamenti (almeno per i paesi come l’Italia, se fosse dotata di una moneta propria).

      • Per Giorgio:

        ma nemmeno per sogno: il deficit di bilancio va moltiplicato almeno di CINQUE VOLTE rispetto a quello attuale! Stiamo venendo ammazzati dall’austerità, e dobbiamo uscire dall’euro per invertire la rotta. Se usciamo dall’euro e aumentiamo l’austerità allora finiamo peggio che l’Albania – con tutti il rispetto per gli amici albanesi. In alto il deficit!

      • Mi rendo conto che la risposta potrebbe suonare “astratta”, ma un conto è ciò che occorre fare, se si esce dall’euro, un altro è valutare le conseguenze di una situazione in cui dovesse insorgere un problema di finanziamento del deficit della bilancia dei pagamenti. Non esiste una risposta valida per tutte le circostanze.

    • Grande Giorgio!! Io la penso esattamente come te: Il dollaro è una valuta di riserva, la Lira no!! E questa è una differenza fondamentale spesso ignorata sia dagli MMTers che dai critici della MMT!! Tuttavia c’è un altro aspetto, sempre a mio modesto parere, che verrebbe in contrasto del finanziamento monetario dei deficit di bilancio (e quindi delle politiche fiscali), ovvero quello degli adeguati incentivi/disincentivi a perseguire politiche anti-cicliche abbinati al ciclo elettorale. Infatti dal punto di vista teorico è evidente ed incontrastabile che l’opzione del “finanziamento monetario dei deficit” sia la migliore possibile, tuttavia dal punto di vista pratico è innegabile che i governi abbiano incentivi a rimanere in carica adoperando il “finanziamento monetario” laddove vada a sostituire scomode politiche di aggiustamento strutturale (che causerebbero di sicuro qualche scontento tra qualche classe sociale). In sostanza credo (ed è anche provato dai dati) che i governi in tal caso avrebbero sempre un incentivo a perseguire politiche pro-cicliche (Fiscali, finanziate con moneta), sebbene in tempi di crisi questa sembra una facile soluzione, in fasi congiunturali diverse non potrebbe avere (e di fatto non ha) la stessa efficacia. Nello specifico, vista la (in)competenza della nostra classe politica ho davvero poca fiducia in una tale soluzione, poca quanto quela che ho nella governance Europea…. Forse una BCE sullo stampo della FED (indipendente, ma con obiettivi dichiarati a sostenere un livello socialmente accettabile di occupazione) e contornata da politiche fiscali non pro-cicliche (come l’austerità espansiva) abbinate a delle (sacrosante!!) politiche industriali sarebbe la soluzione più auspicabile. Il problema è che non so quale di questi scenari sia il meno utopico!!

  3. Il prof. Brancaccio come sempre riordina i ragionamenti, e li mette in una prospettiva non solo teorico-analitica ma anche storico-politica. Tra teologi liberoscambisti dell’euro e teologi liberoscambisti del no-euro, sarà bene seguire attentamente la traccia delle sue argomentazioni. Perché è sui nodi che lui indica che andremo a finire.

    • @ Giorgio: ovviamente no! Avviene quello che dici in caso di riduzione delle tasse sui consumi, ma se una impresa è costretta a chiudere perché paga troppa Irap, Irpeg, Imu, addizionali e oneri, il taglio dell’imposizione fiscale la fa tornare competitiva rispetto ai prezzi dei beni importati.

      • Irap, Irpeg, Imu, ecc. applicate alle imprese sono imposte sul reddito di impresa. Imposte sui profitti. Una riduzione delle imposte sui profitti, non incide sulla competitività delle imprese. Si può solo dire che una quota maggiore degli stessi rimane presso gli imprenditori (non che sia più competitiva, anche perchè non vi è nessuna certezza che tale incremnto dei profitti venga trasferito sui prezzi tagliandoli),
        Inoltre, anche ammesso che i maggiori profitti stimolino la produzione interna, questa inevitabilmente richiederà l’aumento delle importazioni delle materie prime e quindi la necessità di finanziare una bilancia dei pagamenti – nell’ipotesi in discussione – già in difficoltà.

  4. “Dovremmo valutare attentamente il “male minore” ( anche ai fini degli esiti politici che simili iniziative potrebbero condurre).” un’altra cosa da valutare è: il male minore di un futuro senza euro e meglio del male MAGGIORE di ora? se io produco materiale tecnologicamente avanzato (eravamo la seconda potenza industriale europea)e posso entrare nel mercato essendo più competitivo perchè dovrei avere problemi?

  5. Allora e’ vero, alcuni fans della MMT sono realmente dei brocchi liberoscambisti che si illudono di risolvere tutto con la sola, vecchissima pratica della svalutazione. E io che pensavo che la critica del liberoscambio tra gli MMT fosse ovvia. Invidio Brancaccio per la capacita’ che ha di beccare anche le contraddizioni nascoste.

    • Personalmente sarei favorevole a un sano protezionismo, ma non a un cieco protezionismo. Se adesso si esce dall’euro allora l’economia italia ritorna ISTANTANEAMENTE a funzionare alla grande, in particolare se si fa un po’ di deficit finalizzato alla riduzione fiscale.

      Perciò – in uno scenario simile – non ha secondo me alcun senso porre delle barriere alla libera circolazione delle merci, dei beni, dei servizi, dei capitali. Si tratterebbe cioè di un caso di autolesionismo ciclopico, pari solo all’ingresso dell’Italia nell’euro o alle dichiarazioni di guerra effettuate dal governo Mussolini contro Francia, Regno Unito, USA, URSS.

  6. x roberto -se è riferito a me spiegami…..io “purtroppo” non sono un economista ma vedo che sta andando tutto a rotoli e con queste politiche di austerità mi sembra che non si risolva la questione. il puro non esiste ma il concetto MMT o MEMMT mi sembra valido, perchè invece di dividersi in vari fronti non si attua un fronte comune oppure si sono accorti che la cosa poteva prendere piede e in qualche modo cercano di screditare prima uno poi l’altro…….

  7. Finalmente una critica autorevole e costruttiva, dopo tanti anatemi scagliati a vuoto contro la MMT. Non ne so molto di protezionsimo e non mi esprimo, ma il prof. Brancaccio chiarisce che la MMT non è la panacea ma nemmeno un obbrobrio, come qualcuno vorrebbe farci credere. Spero che i vari Bagnai, Barnard, eccetera capiscano che la discussione deve attenersi a questo stile per anadare avanti in modo costruttivo.

  8. leggendo i vari commenti ne deduco che prima si esce dall’euro e meglio è, personalmente non subisco danno alcuno perche’ quei pochi € che possiedo frà poco non ci saranno più, sono le grandi BANCHE che stà proteggendo il sig. Monti che probabilmente avranno un grande bruciore……. sotto la coda… Per altre cose sono favorevole al commento di ROSA..

  9. “emiliano Bancaccio”
    A proposito di errori. In un interessante documento a supporto della teoria monetaria moderna, leggo che «nell’economia reale le importazioni sono un beneficio, mentre le esportazioni sono un costo» (Mosler et al. 2012). Ora, intendiamoci bene: se questo vuole essere un modo per criticare l’odierno assetto capitalistico mondiale, che induce interi paesi a deflazionare l’economia e a creare disoccupazione interna nello strenuo tentativo di gareggiare sui mercati internazionali, io apprezzo le buone intenzioni. Al tempo stesso, però, credo che questa modalità di avanzare la critica all’assetto vigente sia potenzialmente fuorviante.

    RISPONDO: Il concetto che indica l’ MMT è questo : La moneta è un mezzo e non è ricchezza reale ma un tramite per averla quindi la vera ricchezza dei cittadini sicuramente si ha con l’importazione dei beni reali a discapito del mezzo moneta.
    (questo è il concetto cardine a voi le valutazioni ..)

    Dallo spunto della risposta dell’MMT mai così evidente si snocciola la questione
    limitante della gestione economica che lavora senza un evidente e studiata sostenibilità/disponibilità dei beni ma solo con la logica del profitto.

    L’intelletto umano possibile che non veda oltre il profitto di oggi e non scorga la necessità di una ridefinizione dei parametri di controllo dell’economia che non possono prescindere dal benessere dei suoi elementi(persone, ambiente, disponibilità di beni) e non dal pil dallo spread dal debito ecc..?

    possibile che siamo ancora imbrigliati a delle logiche del XIX secolo?

    La transizione più ovvia per la gestione di uno stato (italia o europa che sia) dovrebbe partire da questi concetti innovativi. Chi se non gli italiani possono dimostrare di essere artefici di questo miracolo?
    L’utopia di ieri (stati uniti di Europa )sta diventando la realtà di oggi con il prezzo che stiamo pagando .

    L’utopia di oggi (mmt sostenibile ) può diventare la partenza per una realtà di un domani migliore.

    scusate se non ho parlato dell’economia classica, probabilmente non ho nulla da insegnarvi … ma alcune volte quando si è troppo dentro al problema si diventa ciechi
    o conservativi, ma nulla ci deve far dimenticare la strada giusta a cui tendere .

    • Quando il Branka sente parlare di “utopia” di solito suggerisce di dare una lettura a “socialismo utopistico e socialismo scientifico” di Engels. Ottocentesco e attualissimo, visto che ormai, in quanto a coscienza, siamo finiti alle spalle di quel secolo.

  10. a Giorgio
    Dimenticavo la terza “ovvietà”: Banca d’Italia e Tesoro convolano nuovamente a nozze e la prima acquista quanto di invenduto dovesse rimanere nelle aste dei titoli di stato (come continua a fare furbescamente ancora oggi la Bundesbank, solo che nessuno vuole che si sappia) tenendo bassi i tassi di interesse e contribuendo anche per tale via ad una drastica riduzione dell’ammontare del debito pubblico (ormai paghiamo quasi più di interessi che di vera spesa pubblica).

  11. Caro Professor Brancaccio, la seguo da anni e oggi ho enormemente apprezzato questo suo contributo, che fa chiarezza finalmente sui punti ancora in sospeso di una possibile soluzione “sovrana” alla crisi.

    In Lombardia, dove ho lavorato per anni, le multinazionali che avevano investito stanno smantellando molti impianti. Bisognava prevederlo, e invece vedo che da Monti alla MMT tantissimi continuano a sostenere gli investimenti esteri. Lei è tra i pochi a ricordarci che questi tipi di investimenti hanno una “doppia faccia”, e possono anche fare molto male a un paese.

    Grazie.
    Livio

  12. First, let me remind that MMT was originally ‘Mosler Economics’ which began with ‘Soft Currency Economics’ (1993) which can be found at http://www.moslereconomics.com. Also, highlights of the ‘history of MMT’ are in ‘The 7 Deadly Innocent Frauds of Economic Policy’ free online also on my website. Note too that ‘Soft Currency Economics’ was a result of my first hand experience after 20 years in banking and monetary operations. I had never read Keynes, or even heard of Lerner, Knapp, or had any knowledge of any ‘post Keynesians’. So while it may be true that MMT can be derived from one school of thought or another, it didn’t happen that way. And, for example, when I put forward my ‘real vs nominal’ discussion of fiscal transfers in a monetary union earlier this year, explaining how the production of public goods and services for the benefit of the entire union is in fact a real cost to the region that receives the funding to produce these public goods and services, that was also ‘original MMT thought’ (fully recognizing the shortcomings of such a statement!).

    Second, if there is a ‘fundamental’ contribution of MMT to ‘the literature’ it’s the explicit recognition that a currency like the dollar is in fact a simple public monopoly, and all the rest follows. Along those lines I have lectured on the long standing ‘Keynes vs the Classics’ discussion, where the Classics argued there can be no unemployment without monopoly, and Keynes argues there in fact can be persistent unemployment even without monopoly, due to the effects of unspent income, etc. in the monetary system. My response is they both failed to explicitly recognize the currency itself is a public monopoly. Notional demand is from taxation and from savings desires, and notional supply from state spending and/or state lending. And unemployment is the evidence of a restriction in supply from the monopolist- the failure to spend enough to satisfy the need to pay taxes and the desires to net save in that unit of account. So the classics were right in that unemployment does come from monopoly, but they failed to recognize the applicable monopoly. And Keynes was right, the problem was on the monetary side, but he failed to recognize the currency itself was a simple public monopoly, even though he described it much along those lines. If Keynes had recognized the currency was a monopoly, he surely would have explicitly said so in this discussion, and many other places as well to support many of his contentions.

    I’ll post this and then go on with additional response to the above blog.

  13. With regard to circuit theory, when I first met the Post Canadians ;) in the mid 1990’s who I very much respect, especially the M&M’s (Mario and Marc), and read a bit of circuit theory, it seemed so ‘intuitively obvious’- a case of ‘goes without saying’- I wondered why it was even worth writing about! And my first comment was that while I fully agreed with what they were saying, it didn’t ‘start from the beginning’ in that it began with firms borrowing to pay workers, but never discussed why anyone would work for the currency in the first place. I explained to them that it about the currency being a simply public monopoly, with tax liabilities the ‘driving force’ behind the ‘government circuit’ where, at the macro level, taxation creates sellers of real goods and services, including labor, which is why people work for businesses, etc. Professor Alain Parguez immediately picked up on this and added it to his model in his next paper, only to be severely criticized and isolated by much of the ‘Circuitist’ community for many years! Most came around to accept it over the years, though some continue to fail to do so.

  14. Next:

    “I think it’s worth remembering that this thesis is a rigorous foundation of the theory of relative prices and distribution in the development of the so-called “theory of production”, which, among others, Leontief and Sraffa have made outstanding contributions above (see Pasinetti 1975; Kurz and Salvadori 1995, cf. Petri also 2004). In particular, in the light of the theory of production and the above-mentioned argument and its implications can be extended to so-called “long term”, and the objections of Krugman (2011) to the MMT can be effectively criticized.”

    Relative prices, yes, but MMT reveals the source of absolute nominal prices. And it’s very simple. As everyone knows, a monopolist is ‘price setter’ rather than ‘price taker’.
    And a monopolist is price setter for two prices. The first what Marshall called the ‘own rate’ which how his ‘item’ exchanges for itself. With a currency this is the rate of interest, which we know is set by the CB and not ‘the market’ as we know the CB is monopoly supplier of reserves to its banking system, and therefore is price setter as it prices the banking system’s marginal cost of funds. The second is how the monopolist’s ‘item’ exchanges for other goods and services, which we call ‘the general price level’

    I say it this way- the price level is necessarily a function of prices paid by the issuer when it spends, and/or collateral demanded when it lends.

  15. Next:

    “However, as Lavoie has shown, it is derived from a simple accounting convention: some modern monetary theorists analyze the central bank and the state as if they were a single sector consolidation. The mystery is easily solved, then. However, it should also add that this consolidation, in the current political and institutional reality, does not exist.”

    First, I do very well know, recognize, and account for the institutional realities at all times. As I do know that no matter how you look at it, spending comes first before taxing of borrowing for the issuer of the currency, which includes his designated agents.

    Congress is the issuing authority, and has assigned various tasks to the Treasury and Fed to carry out its will.

    The Fed operates a spread sheet that contains the accounts of its member banks, as well as an account for the Treasury.

    I begin, for purposes of this discussion, at inception, with no balances in any accounts.

    Any payment of taxes would require the Fed to debit a member bank account and credit the account of the treasury.

    This is impossible with no balances in the member bank accounts, unless they are permitted to have negative balances.

    However, negative balances- overdrafts- are functionally loans from the Fed, an agent of Congress. This means paying taxes via overdraft is paying taxes via obtaining a loan from the Fed. That is, in this example, the Fed must lend the dollars that it accounts for as payment of taxes.

    The way ‘insiders’ say it, there can’t be a ‘reserve drain’ without a ‘reserve add’

    That is, the dollars to pay taxes and to buy treasury securities necessarily ‘come from’ govt. spending and/or lending.

    There is no way around it. Any issuer must issuer before he can collect the thing he issues as a simple point of logic.

  16. regarding trade, with a floating exchange rate there is ‘continuous balance.’ For example, in the case of the US, with perhaps a $400 billion trade deficit, it can be said that we have the goods and services we imported, and non residents are holding the additional $400 billion of $US financial assets they received in payment, and at this point in time there is that ‘balance’ which has resulted in the current exchange rate martix.
    So I see only ‘balance’ at any given point in time, never ‘imbalance’, as a point of logic. Am I missing something? If so, rather than I write about every possible question I can imagine you might raise, can I ask for any of you to give me an example of why this is a ‘problem’ so to speak? Thanks!

  17. ” In a period in which the theme of the insertion of foreign capital in the ownership and control seems to go beyond the scope of the last strategic assets in public hands and even get to lick the banking system, it would be good to do a lot more clarity on this point .”

    Yes, at any time I see public purpose in sourcing matters of strategic purpose domestically. For example, you do not want to outsource the programming of your military software which could render it useless in time of war. And I see public purpose in producing goods and services with strategic military purpose domestically, like the steel that goes into maintaining the military, and domestic sources of energy, food, etc. etc. Again, government is there for public infrastructure that serves public purpose, which includes strategic planning.

    On the other hand, I don’t see the public purpose in not allowing non residents to sell us most of what we call ‘consumer goods and services’ where, for example, a cut off in time of war would not alter the outcome of the war.

    Along these lines, I see a serious problem with the euro zone’s dependence on Russian energy supplies, even though Russia has ‘promised’ never to cut them off.
    That and $20 will get you a cup of coffee in Rome…

    I see the euro zone as paying a heavy price in regards to real terms of trade with Russia and others, due to arrangements that I don’t see serving public purpose, though the certainly do serve influential private purpose.

  18. Remember, economically speaking, employment is a real cost to the worker. He is selling his time. The real benefit is the output. So I suggest you look at real consumption with regard to the euro members, to see who’s winning and losing economically. But yes, any monetary union needs a system of fiscal transfers to ensure full employment and price stability. And I suggest the reason it doesn’t happen is because it’s not widely understood that if a region is assigned the production of public goods and services, in real terms that process is a real cost to that region, as it’s employed to produce real goods and services that other parts of the union are consuming. Instead, because that regions gets funding, it’s assumed that region is benefiting in real terms. In other words, fiscal transfers can be effected to use the areas of higher unemployment to produce goods and services that are exported to the rest of the union. This all comes back to exports being real costs, and imports real benefits, etc.

  19. let me conclude today that as a matter of simple game theory labor is not a fair game, and if not supported in some manner real wages will stagnate at very low levels. This is because people must ‘work to eat’ while business hire only if they can make a desired return on investment.

    For me it suits public purpose to make sure people actually working for a living and producing real goods and services consumed by the majority are worthy of being supported with high levels of education, health care, and other such publc services, as well as being fed, housed, and clothed at levels that make feel proud to be members of that society. The proposals on my website are intended to work to that end.

  20. Chapeau Mister Mosler, chapeau!

  21. Invito tutti gli economisti Post-keynesian italiani a prendere pubblicamente le distanze dal loro collega Alberto Bagnai! Indecenti e volgari gli insulti apparsi nel suo blogi nei confronti di Warren Mosler.

    • invito tutti gli economisti Post-keynesian italiani a RIDURRE le distanze tra colleghi al fine di giungere ad un sano e costruttivo confronto. Mai letto o sentito Bagnai insultare Warren Mosler, verso il quale ha invece espresso sempre massima considerazione.

  22. … Warren, sei soprattutto un grande uomo;… dico davvero!
    Grazie di esistere.

  23. Grazie per la chiarezza Warren!

  24. Abbiamo cancellato le traduzioni postate poiché, pur ringraziando Alessio per lo sforzo, contenevano molti errori. Pubblicheremo una traduzione corretta.
    Preghiamo tutti di non intasare questo post di commenti riguardo la risposta di Mosler visto che verrà pubblicata a parte. Grazie.

  25. […] giorni scorsi abbiamo pubblicato un intervento di Emiliano Brancaccio sulla Modern Money Theory nel quale si mettevano in evidenza i pregi e i limiti di questa teoria. Warren Mosler, uno degli […]

  26. Forza Professore, se è degno del suo titolo dia una risposta a Mosler, i tempi stringono, l’interesse composto non è opinione, presto verrete sbugiardati tutti !

    • Il Keynesblog invaso dai testimoni di Geova? mamma mia… ;-)

      Tornando sulla terra, io non ho capito se Mosler approva o no la politica di “import substitution” indicata da Brancaccio o se sceglie di affidarsi solo alla svalutazione. Se Mosler pensa di controllare la bilancia commerciale con le svalutazioni ripetute allora bisognerà fargli qualche lezione serale.

  27. […] Mosler comments on Keynes blog, Italy warren mosler 8 dicembre 2012 alle 15:33 First, let me remind that MMT was originally […]

  28. Grazie Professor Mosler. Con tutto il cuore. Ce ne fossero di voci libere come la sua.
    Lei e Barnard siete dei fari di luce in questo nuovo medioevo che ci sta uccidendo.

  29. Da notare: Mosler non cita il sistema bancario tra i settori da proteggere contro eventuali acquisizioni estere.

    • Infatti. Ma e’ possibile che in questo programma per la salvezza del paese questi esaltano le acquisizioni estere e non si oppongono espressamente a una svendita del sistema bancario nazionale?

      • Leggi bene, visto che c’è una parte particolarmente corposa che tratta della natura intrinseca del settore bancario commerciale e di come esso vada strutturato.

  30. Non tergiversare: il programma MMT di Mosler-Barnard promuove gli investimenti diretti esteri e non fa nessun cenno alla protezione del sistema bancario nazionale. Oltretutto Mosler nel suo sito, in una risposta a una mia domanda, dice che se c’è “concorrenza” i problemi non sussistono. Concorrenza in campo bancario che garantirebbe l’efficienza? siamo alle comiche: liberismo in salsa mmt.

    • Allora tu stai mescolando due cose. Che non sono la stessa cosa.

      Uno è la regolamentazione del settore bancario, quindi come deve funzionare il settore bancario, l’altro è il protezionismo.

      Partiamo dal settore bancario. Nel programma ME-MMT si legge:

      – assicurazione dei conti correnti bancari e la limitazione della funzione bancaria all’esclusivo servizio dei sistemi di pagamento, al servizio dei correntisti, e alla fornitura di prestiti al servizio della collettività economica

      – Il settore bancario e finanziario. Uno Stato pienamente sovrano deve regolamentare il settore bancario nell’esclusivo Interesse Pubblico. Primo: eliminare interamente il settore finanziario che è parassita. Secondo: si eliminino tutte le funzioni bancarie che esulano dal pubblico interesse. Terzo: si elimini l’emissione di titoli del Tesoro, che con i moderni sistemi monetari sovrani sono del tutto anacronistici e che costano allo Stato cifre immense in interessi e parcelle di intermediari finanziari.

      – Avendo il governo sottratto ai ricchissimi il settore finanziario speculativo dove investire, a essi rimangono sostanzialmente due opzioni: spendere in beni ordinari (vedi sopra), o investire in attività produttive con creazione di posti di lavoro*. Tuttavia, questi investimenti saranno strettamente regolamentati dallo Stato. Esso sa, ad esempio, che se la nazione già gode di piena occupazione, gli investimenti all’eccesso da parte dei ricchi possono creare troppa domanda a fronte di produzione stazionaria, quindi inflazione. Questo accade perché alla liquidità emessa dallo Stato (piena occupazione) si aggiunge anche una liquidità eccessiva da parte degli investitori privati, con effetti inflattivi. Inoltre, lo Stato dovrà assicurarsi che l’eventuale investimento del privato molto ricco non sottragga lavoratori essenziali al settore pubblico (ospedali, scuole, sicurezza…). Ancora: lo Stato dovrà controllare che l’investimento sia di pubblica utilità e non danneggi l’ambiente o l’economia nazionale.

      – Il governo nuovamente sovrano, particolarmente nella funzione parlamentare, riconosce che le banche sono di fatto istituti pubblici. Esse non solo sono garantite nei depositi dallo Stato, ma sono – teoricamente – del tutto regolamentate dal legislatore, sia a livello nazionale che europeo. Questo significa che
      il governo ha ogni diritto e potere di imporre al sistema bancario
      di funzionare per l’esclusivo Interesse Pubblico. Il governo riconosce che le banche non possono più continuare a godere dei privilegi dell’attività privata a fini di lucro e al contempo dei salvataggi con denaro pubblico.
      Esse dovranno garantire una funzione unicamente di Interesse Pubblico. Il governo, fatto tesoro della catastrofe globale causata dalla deregolamentazione della finanza, dalla permessa fusione delle banche d’investimento con quelle commerciali, e dalla nascita del sistema creditizio cosiddetto informale (hedge funds, fondi pensione, assicurazioni…), decreta che l’Italia si oppone all’esistenza del settore finanziario speculativo in blocco e ne impedisce il funzionamento sul suo territorio nazionale.

      – Il governo s’impegna ad assicurare tutti i depositi bancari dei cittadini, poiché per essi è pressoché impossibile sapere se una banca ha i conti in ordine o meno. La funzione del sistema bancario sarà perciò strettamente limitata:
      A. all’esclusivo servizio dei sistemi di pagamento
      B. al servizio dei correntisti
      C. e alla fornitura di crediti al servizio della collettività economica.

      – Al contrario di ciò che accade nel sistema creditizio informale, che riceve fondi da erogare come crediti solo se giudicato affidabile dai mercati, i crediti erogati dalle banche dell’Italia sovrana si baseranno su un rigoroso controllo dell’affidabilità creditizia del soggetto richiedente. In generale, il governo riporterà sotto il suo stretto controllo i parametri che regolano l’emissione del credito bancario, fra i quali, oltre alla già citata affidabilità creditizia dei clienti, vi è il livello di capitalizzazione dei suddetti istituti. In contropartita, il governo e il Parlamento confermeranno il ruolo della Banca d’Italia come prestatore di ultima istanza anche per il settore bancario, il quale, col fine di poter sempre erogare crediti all’economia privata, avrà un più facile accesso ai prestiti da parte di via Nazionale alle sue riserve. Queste misure tutelano la cittadinanza da eventuali derive irresponsabili del sistema bancario, che proprio perché mantenuto ‘sano’ non ricorrerà più alle strette creditizie degli ultimi anni, che hanno drammaticamente debilitato l’industria italiana, in particolare le PMI.

    • In altre parole, quindi, DI FATTO IL SETTORE BANCARIO PASSA SOTTO IL TOTALE CONTROLLO DELLO STATO.

      Quando tu eserciti un controllo così forte sul settore finanziario, poi non è così importante se la proprietà della banca è dello Stato oppure privata perché tanto sono tutti costretti a seguire la politica finanziaria imposta dallo Stato, ossia di essere esclusivamente finanziatori dell’economia reale. (Sintetizzo perché il discorso è più complesso e rimando in tal senso a tutti i passaggi che ho riportato).

      Per quanto riguarda invece l’altro punto, ossia il protezionismo.

      Il programma ME-MMT ti dice come arrivare alla massima capacità occupazionale e produttiva della nazione. Ma a questo punto, quando hai cioè una economia che funziona AL MASSIMO, allora cosa te ne frega di mettere i dazi? Cioè, arrivati a quel punto, ossia al punto in cui è impossibile arrivare a un ulteriore aumento della capacità produttiva e dell’occupazione, allora – ALLORA – diventa ovvio che, a quel punto, esiste un solo modo di aumentare la ricchezza del cittadino: attraverso le importazioni.

      Cioè, arrivati a quel punto (è meglio ribadirlo: arrivati A QUEL PUNTO), accettare beni importati significa incrementare ricchezza a fronte di beni ceduti da altri i quali ricevono come contropartita beni finanziari ossia moneta.

      Te la metto in termini più semplici: arrivati a quel punto TOCCHERA’ AGLI ALTRI METTERE DELLE BARRIERE PROTEZIONISTICHE, ALTRIMENTI – SE LORO NON LE METTONO – TU LI DISTRUGGI ECONOMICAMENTE. A meno che anche gli altri si mettano ad attuare la tua politica economica. Ma allora il sistema giocoforza si rimette in equilibrio automaticamente.

      • Tutto molto bello. Ma a questo punto a che servono le banche?
        Si deleghi alla banca centrale il credito e la gestione dei conti correnti, attraverso sportelli diffusi sul territorio (e on-line). Non vi sarà nemmeno la necessità di assicurare i depositi dei correntisti, dato che può stampare moneta.
        A questo punto, gestendo il credito, svolgerà necessariamente una politica creditizia che sfocerà in una politica industriale. Il che richiederà una pianificazione dell’economia.

        Per me va anche bene. Ma dubito che Mosler sarebbe d’accordo.

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  37. e se uscendo l’Italia dal sistema euro, a deflagrare fosse la moneta unica e non la lira?

  38. Io invece da alcuni anni cerco di capire perchè questo sistema MMT non è stato proposto alla Venezuela,paese già sovrano e che,nonostante enormi ricchezze naturali e il clima paradisiaco che possiede è sull’orlo del default ? Ho lasciato Venezuela nel 2005 ,dopo che le politiche di Chavez hanno resa insostenibile permanenza: carenze di proodtti e servizi di base e altissimo tasso di criminalità.Oggi,il paese uno dei più ricchi del mondo ha un debito di 73miliardi e forse non riuscirà nemmeno pagare gli interessi,tutto questo nonostante che il prezzo di graggio dai $ 9 al barile quando nel 1998 Chavez ha preso il paese,è salito alla media di $ 98 con dei picchi di $ 120 al barile in alcuni anni…Come mai no gli è stato roposto MMT ma viene proposto in Italia che purtroppo non è più sovrana da molto tempo .Se qualcuno riesce arispondermi,grazie.

  39. i tedeschi non sanno vincere

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