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Varoufakis: “Ecco il mio Piano Merkel”

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di Yanis Varoufakis
da yanisvaroufakis.eu, traduzione di Faber Fabbris

Questo discorso è stato tenuto da Yanis Varoufakis al Forum Ambrosetti il 14 marzo 2015.

Marzo 1971. L’Europa si prepara al ‘Nixon Gold Shock’, e comincia a progettare una unione monetaria europea, più vicina al Gold Standard che al sistema di Bretton Woods, ormai al tramonto. È in questo clima che l’economista Nicholas Kaldor, dell’Università di Cambridge, pubblica un articolo su The New Statesman. Cito:

… sarebbe un errore pericoloso credere che un’unione monetaria ed economica possa precedere un’unione politica; o illudersi che l’unione monetaria funzionerà (secondo i termini del rapporto Werner) “da catalizzatore per l’evoluzione dell’unione politica, della quale nel lungo termine non potrà comunque farne a meno”. La creazione di una unione monetaria e di una aurorità comunitaria di controllo sui bilanci nazionali genererà infatti pressioni tali da portare il sistema al collasso; questo condurrà ad una brusca frenata del processo d’integrazione politica, invece di accelerarla.

Purtroppo, il lungimirante avvertimento di Kaldor fu ignorato; si preferì un retorico ottimismo sul tema dell’unione monetaria capace di creare legami più profondi fra le nazioni europee. Anche un’eventuale crisi del settore finanziario (come quella del 2008), avrebbe costretto i dirigenti europei a pervenire all’unione politica, comunque necessaria.

Così, mentre gli Stati Uniti riciclavano i surplus degli altri paesi su scala globale, l’Europa si lanciò nella creazione di una specie di Gold Standard: il risultato fu un ‘muro di capitali’ che alimentò la finanziarizzazione dell’economia americana e un’ondata mondiale di creazione monetaria da parte dei privati – nella quale i francesi e i tedeschi si lanciarono con entusiasmo.

All’interno dell’Eurozona, l’illusione di un rischio calcolato fu rafforzata dalla falsa idea che prestare ad un’istituzione greca o ad una bavarese comportasse più o meno gli stessi rischi (tutta l’unione era basata sul principio di Debiti pubblici totalmente separati e di Sistemi Bancari separati).
Di conseguenza, le bilance commerciali in surplus generarono flussi netti di capitali verso i paesi in deficit, cui seguirono bolle speculative insostenibili nel settore privato e in quello pubblico. Il nostro modello di crescita nell’Eurozona, signore e signori, si basava prevalentemente su un finanziamento delle esportazioni nette dei paesi in surplus fondato sul credito bancario privato.

Nella costruzione dell’Eurozona, abbiamo di fatto eliminato tutti gli ammortizzatori, ben sapendo che in caso d’urto, i danni sarebbero stati ingenti. L’urto è arrivato, sotto le sembianze della Grande Crisi dell’Eurozona, nel 2010, sulla scia del collasso globale del 2008; al mio Paese, la Grecia, è toccato il ruolo del canarino nella miniera. Ma l’Europa ha deciso di continuare a ignorare la natura della crisi, considerando le insolvenze causate dall’esplosione delle bolle (prima nel settore bancario, poi sul debito pubblico) come dei semplici problemi di liquidità, elargendo prestiti a paesi fortemente indebitati tramite SPV (“società veicolo” per la cartolarizzazione dei crediti, ndt), molto simili a pacchetti di CDO (collateralized debt obligations,  Obbligazioni garantite da debiti http://it.wikipedia.org/wiki/Collateralized_debt_obligation ). Il risultato finale è stato il trasferimento delle perdite potenziali dai libri contabili delle banche ai contribuenti europei; un trasferimento le cui modalità hanno scaricato il peso maggiore della manovra proprio su quei paesi che meno erano capaci di sopportarlo.

I risultati di questo approccio nefasto si sono riversati per circa due anni sul mercato delle obbligazioni, con effetti catastrofici (l’Italia è arrivata a due passi dal collasso). Effetti che Mario Draghi ha contrastato con coraggio nell’estate del 2012. Quell’intervento, indubbiamente riuscito, se fu in grado di calmare i mercati valutari, spostò purtroppo la crisi verso il terreno dell’economia reale dell’Area Euro. Perché generò ondate di investimenti asimmetrici, proprio quando i risparmi improduttivi (l’altra faccia della crisi) continuavano ad accumularsi, diminuendo così i rendimenti e provocando una crisi di fiducia che si è aggravata fino alla deflazione su scala continentale. Un effetto deleterio che Mario Draghi è chiamato ancora una volta a sedare, tramite la politica – tanto a lungo attesa – dell’allentamento quantitativo, del quantitative easing (QE).

È da ormai cinque anni che la crisi danneggia il nostro sistema sociale, e ci lascia un’Europa in totale perdita di legittimità agli occhi dei suoi abitanti, oltre che poco credibile per il resto del mondo. Un’Europa che predica maggiore integrazione e consolidamento politico, mentre ri-nazionalizza di fatto i suoi più gravi problemi.

L’Eurozona, signore e signori, rimane presa nelle maglie di una crisi esistenziale, totalmente indipendente – permettetemi di aggiungere – dalla Grecia; una crisi che si aggrava. Questa è una sfida per tutti noi: non possiamo immaginare di affrontarla semplicisticamente, né con l’ortodossia fiscale, né con lo stimolo keynesiano*. Concentrarsi nello sterile dibattito sull’alternativa fra ridurre i deficit di bilancio, o lasciarli crescere entro limiti ristretti (e parliamo di paesi che non hanno una banca centrale) è pericoloso, oltre che ozioso. Per questo credo che la rissa tra la Francia e Bruxelles, o Roma e Bruxelles, sui dettagli dei loro bilanci, su quanti decimi di punti percentuali debbano essere tagliati o meno, è lontana anni luce dal nucleo del problema.

È d’altro che abbiamo bisogno: una logica diversa, una riarticolazione più razionale delle istituzioni esistenti per attaccare il problema alle radici. Mentre la dinamica di deflazione da debito distrugge le risorse per una potenziale prosperità europea, i governi sono impantanati in falsi dilemmi:

  • fra stabilità e crescita;
  • fra austerità e politiche espansive;
  • fra l’abbraccio mortale banche insolventi paesi insolventi, e una auspicabile ma indefinita – e sempre rinviata – Unione Bancaria;
  • fra il principio di perfetta separabilità dei debiti, paese per paese, e la necessità di convincere i paesi in surplus a finanziare i deficit altrui;
  • fra sovranità nazionale e federalismo.

Queste scelte falsamente diadiche imprigionano il dibattito e immobilizzano i governi. Sono la causa dell’attuale grave delegittimazione del progetto europeo. E rischiano di produrre un pernicioso difetto democratico in tutto il continente: i soli ad approfittarne saranno i nazionalisti, i populisti, i separatisti, gli anti-europei. O i nazisti, come da noi Alba Dorata.

Sono consapevole che in questo magnifico paese, patria di due brillanti “Marii” [1], dire queste cose proprio appena dopo il lancio del QE, rasenta la blasfemia. Il QE è qui fra noi e un’aura di ottimismo aleggia sul suo capo. A rischio di sembrare un guastafeste (come spesso mi accusa mia figlia), permettetemi di dire che ho difficoltà a immaginare che l’allargamento della base monetaria possa aumentare gli investimenti privati verso le attività produttive, stante l’attuale quadro – molto frammentato – della moneta unica.

Gli effetti del QE in questa direzione si sono mostrati mediocri, anche in economie solide ed omogenee come il Giappone, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna. È inevitabile che non vada meglio in un’Eurozona frammentata, nella quale gli acquisiti di assets fatti dalla BCE non sono neppure proporzionali agli output gap, e interessano economie nazionali attraversate da potenti spinte deflazionistiche. Temo molto che la dissociazione tra base monetaria e offerta monetaria, che è il tallone d’Achille di tutti i QE, produrrà nel caso europeo effetti ben peggiori che in Giappone, negli Stati Uniti o in Inghilterra.

Il caso tedesco è un buon esempio per chiarire questo punto di vista. Nel 2015, le emissioni totali di titoli di stato saranno limitate a soli 140 miliardi di euro, gentile concessione del governo federale per ridurre l’indebitamento nazionale. Parallelamente, la BCE si è impegnata ad acquistare titoli per 160 miliardi, sempre sul 2015. E nello stesso tempo, le banche tedesche devono aumentare le loro riserve per circa 20 miliardi (come previsto dalle autorità di regolazione bancaria). Per farlo, possono utilizzare solo fondi ad alta liquidità, vale a dire i titoli di Stato. Questo genera una domanda aggregata strutturale di titoli per almeno 180 miliardi per il 2015, ben al di là dell’offerta.

In questo contesto, le istituzioni finanziarie tedesche non hanno nessun interesse a vendere i bund: ne hanno bisogno, con i rendimenti relativamente elevati che generano, per soddisfare i requisiti normativi loro imposti.
È prevedibile che i prezzi dei bund, indipendentemente dalle scadenze, risaliranno rapidamente verso il massimo fissato dalla BCE; i differenziali di rendimento degli altri paesi dell’Eurozona (gli “spreads) precipiteranno anche in assenza di una ripresa basata su investimenti industriali in paesi come Spagna e Italia; e i prezzi delle azioni saliranno a livelli che già in passato si sono dimostrati insostenibili.
L’idea che questo tipo di inflazione sui prezzi dei titoli contribuisca a mettere in circolo risparmio, e a trasformarlo in investimenti industriali, non regge. Non regge né se si guarda a quanto accaduto nei paesi che hanno spinto a fondo sul QE e neppure se si considerano le leggi di base della macroeconomia.

Insomma, anche se la BCE sta facendo del suo meglio – nel quadro del mandato che le è stato assegnato – questo ‘meglio’ non sembra che basti. Ci vuole qualcos’altro. Permettetemi di disegnare i possibili contorni di questo approccio.

Volendo dargli un nome, parlerei di un processo di Europeizzazione Decentralizzata. Per dirla in poche parole: dobbiamo simulare una governance federale dell’euro senza federazione, senza perdite ulteriori di sovranità nazionale, e nel quadro dei trattati esistenti.

Il continente è oggi incagliato in un falso dilemma. Da una parte c’è chi crede – i più – che l’Europa sia sulla giusta strada, che stiamo uscendo dalla crisi. Che le politiche economiche applicate stiano funzionando. Non è il mio punto di vista. L’altro corno del (falso) dilemma è l’idea che l’unica alternativa sia una federazione europea. Non credo che quest’ipotesi sia percorribile, e neppure auspicabile. Per fortuna esiste una terza opzione, quella che chiamo l’Europeizzazione Decentralizzata.

L’idea è di europeizzare tre dei quattro principali pilastri delle nostre politiche economiche: il settore bancario; una parte del debito pubblico; gli investimenti aggregati (tramite la Banca Europea per gli investimenti), e quindi lanciare un programma di lotta alla povertà.

Se europeizzeremo questi settori, i governi nazionali potranno gestire dei bilanci in modo equilibrato, senza troppe difficoltà, anche in caso di bilancia dei pagamenti esteri negativa (per esempio la Grecia o il Portogallo). Perché se gli investimenti aggregati, le turbolenze bancarie, una parte del debito pubblico, un programma di assistenza alimentare sono europeizzati, allora i governi nazionali possono assicurare bilanci in equilibrio. E nessuno si preoccuperà di sapere se la Grecia o il Portogallo avranno un’eccedenza nelle partite correnti con la Germania (proprio come accade negli Stati Uniti, dove nessuno sa, o si prende la briga di sapere, se il Nuovo Messico ha un deficit nelle partite correnti con il Texas).

Poiché il tempo è limitato, permettetemi di dare un solo esempio di questo processo di Europeizzazione Decentralizzata. Fra i quattro settori da trattare a livello continentale (debito pubblico, investimenti, sistema bancario e contrasto della povertà) mi limiterò agli investimenti. L’idea è semplice:

  • L’Europa ha assoluto bisogno di investimenti produttivi, su larga scala.
  • In Europa abbonda il risparmio. C’è troppa paura di investire in attività produttive, si teme che la domanda aggregata sia insufficiente ad assorbire volumi di produzione eccessivi.
  • La BCE vuole comprare assets di alta qualità, per arginare le aspettative deflazionistiche.
  • La BCE preferirebbe non essere costretta ad acquistare titoli tedeschi, italiani o spagnoli: per le ragioni già menzionate, e per non essere accusata di “favoritismi nazionali”.

Ecco cosa potrebbe fare la BCE per raggiungere il suo obbiettivo (superando sia il suo ‘problema operativo’ che la ‘preoccupazione macroeconomica’):

  1. La Banca Europea per gli Investimenti (BEI) dovrebbe essere autorizzata a lanciarsi in un Piano per la Ripresa paneuropeo, basato sugli investimenti, dell’ordine di circa l’8% del PIL dell’Eurozona: un piano orientato su progetti infrastrutturali a larga scala. L’EIF (European Investment Fund), sua propaggine, si concentrerebbe sulle creazioni d’impresa, sulle PMI, sul settore dell’innovazione tecnologica, sulla ricerca sulle energie rinnovabili, ecc.
  2. Da decenni la BEI emette titoli per finanziare investimenti, al 50% dei costi globali dei progetti finanziati. Dovrebbe adesso emettere titoli per assicurare il finanziamento totale del Piano per la Ripresa paneuropeo, cioè instaurare la convenzione che il 50% dei fondi provengano dagli stati.
  3. Per proteggere i titoli BEI da tassi d’interesse troppo elevati (il rischio intrinseco in emissioni a larga scala di questo tipo), la BCE dovrebbe annunciare la disponibilità ad intervenire sul mercato secondario, comprando titoli BEI in modo da mantenerne i tassi allineati ai livelli attuali (e cioè molto bassi).

Il merito principale della proposta è questo: orientare l’azione di QE della BCE verso l’acquisto di un solo tipo di titolo. Vale a dire titoli sicuri, non tossici, che non sono ‘eurobonds’, emessi dalla BEI per conto di tutti gli stati dell’Unione Europea. In questo modo svanirebbe la ‘preoccupazione operativa’ dalla BCE sulla scelta dei titoli nazionali da acquistare. Inoltre questa forma di QE si tradurrebbe direttamente in investimenti produttivi, invece di finire in rischiosi strumenti finanziari [2].

L’obiezione più immediata è: ce la farebbe la BEI a trovare progetti – dell’ordine delle centinaia di milioni di euro ciascuno – per arrivare a 200 miliardi l’anno? Credo di sì, se ci proiettiamo su scadenze più lunghe. Esistono progetti validi e ambiziosi, che coinvolgono tutto il continente (penso ad una Unione europea delle energie rinnovabili, o all’Unione digitale), che offrirebbero utili opportunità alla BEI. La BEI potrebbe rilanciare anche molti progetti infrastrutturali moribondi o sospesi da anni a causa degli esausti bilanci nazionali. L’operazione sarebbe molto più facile da parte di una BEI coperta dalla BCE sul mercato dei titoli. Alleviando il fardello che grava sui bilanci nazionali, sarebbe possibile rilanciare gli investimenti pubblici, senza creare nuovo debito o trasferimenti fiscali, incitando anche i privati a lanciarsi nel processo.

Un piano per la Ripresa europeo di tale ampiezza avrebbe anche il merito di dimostrare che la BEI ha grandi potenzialità (finora inutilizzate):

  • giocare un ruolo di primo piano a livello macroeconomico;
  • ridurre il rischio sugli investimenti e proteggerlo da fattori esogeni;
  • contenere le incertezze sui rendimenti dei progetti che finanzia, per semplice effetto di scala, poiché agirebbe a livello continentale.

 

Conclusione

La prosperità futura dell’Europa dipenderà da quanto sapremo trovare, nella crisi dell’euro,  una opportunità per costruire gli Stati Uniti d’Europa. Se saremo meno ambiziosi, credo sia inevitabile una frammentazione – e prima o poi un collasso – della moneta unica (come Nicholas Kaldor aveva pronosticato nel 1971) e la disintegrazione dell’UE, con conseguenze pesantissime per gli europei.

E se una federazione avrebbe probabilmente prevenuto la crisi, non mi pare oggi una soluzione praticabile. Perché se c’è un effetto indiscutibile di questa crisi, è il risveglio degli orgogli nazionali, che rendono politicamente impossibile un’unione più avanzata – almeno per adesso. Le attuali ‘difficoltà’ che incontriamo all’Eurogruppo, le situazioni di stallo, altro non sono che il riflesso di divergenze politiche create dal continuo incedere della crisi economica.

Sono venuto oggi – in questo magnifico luogo – a dire che la crisi attuale dell’Europa può essere affrontata utilizzando in modo intelligente le istituzioni attuali, estendendone il raggio d’azione, nel rispetto dei trattati e delle regole esistenti. Ho illustrato un esempio di come quest’approccio può essere tradotto in pratica, con un investimento aggregato su scala continentale. La proposta di una collaborazione BEI-BCE (nella quale la BCE pratica Quantitative Easing acquistando titoli della BEI per finanziare progetti di rilancio basati sugli investimenti) dimostra che l’Europa è perfettamente in grado di mobilitare le istituzioni esistenti, europeizzare l’investimento aggregato, e rilanciare l’economia – senza che la Germania finanzi direttamente questo progetto, e senza che i bilanci nazionali vedano crescere i loro deficit.

Abbiamo, di fatto, la possibilità di stimolare un New Deal europeo, senza ricorrere ad una tesoreria federale, senza trasferimenti fiscali interni, senza nuove istituzioni. In questo modo le nazioni più ricche, in primo luogo la Germania, non avranno bisogno di pagare un solo euro per finanziare questo programma. Ma sarà impossibile attuarlo senza il ruolo-guida dei paesi in surplus, come la Germania.

Nei primi anni ’50, gli Stati Uniti riavviarono l’economia europea con il Piano Marshall. Il costo totale per i contribuenti americani equivalse al 2% del PIL (soldi ben spesi, anche dal punto di vista degli americani). Il New Deal europeo non costerà nulla alla Germania, ai Paesi Bassi, ecc. Nulla, perché sarà finanziato tramite emissione di titoli BEI; questi titoli contribuiscono, di fatto, a rastrellare la liquidità in eccesso nel settore finanziario tedesco, permettendo ai rendimenti dei fondi pensione tedeschi di tornare in territorio positivo.

Immagino una Germania capace di guidare il resto d’Europa su questa strada, vantaggiosa per tutti. Direi che un progetto di tale portata, un tornante storico per i prossimi decenni, potrebbe portare il nome di ‘Piano Merkel’. Un progetto che sanerebbe inutili divisioni fra le nazioni europee, e darebbe invece una forte spinta all’integrazione Europea.

Ho parlato oggi di un solo esempio di Europeizzazione decentralizzata, quello riguardante l’investimento aggregato. Soluzioni simili esistono per integrare a livello continentale parte dei debiti nazionali, unificare coerentemente i nostri settori bancari, per combattere povertà ed esclusione sociale. Tutte praticabili senza trasferimenti fiscali, senza spesa in deficit, senza che la Germania debba pagare il conto, e senza perdite – soprattutto – di sovranità nazionale. [3]

Permettetemi di concludere su un punto che mi sta particolarmente a cuore. Dobbiamo smettere di pensare alla ripresa europea come un gioco a somma zero, dove gli interessi di un paese sono soddisfatti a scapito di quelli di un altro. L’Europa ha un immenso potenziale di sviluppo che richiede, per essere attuato, un immediato cambiamento di paradigma entro le regole ed i trattati esistenti. La nostra generazione ha il dovere di fare questo cambiamento, perché le generazioni future possano dire che abbiamo lasciato loro un’Europa davvero unita. Un’Europa di prosperità per tutti, nella quale essere greco, italiano o tedesco è più un riferimento culturale che un dato politico significativo.

 

Note

[1] Mi riferivo qui a Mario Monti (che era sulla stessa tribuna)e, naturalmente, a Mario Draghi.

[2] Vale la pena di precisare che il prestito da parte della BEI non ha conseguenze sul piano delle regole fiscali europee. Non è iscritto a bilancio come nuovo debito, né come deficit per nessuno degli stati membri. Questo significa che è possibile finanziare nuova spesa pubblica senza intaccare l’efficacia fiscale dei singoli paesi.

[3] Molte delle idee qui esposte provengono dalla Modest Proposal for Resolving the Euro Crisis, i cui autori sono Yanis Varoufakis, Stuart Holland e James K. Galbraith.

* qui Varoufakis sottointende “stimoli basati sui bilanci nazionali” visto che nel resto dell’intervento propone invece uno stimolo finanziato attraverso la Banca Europea degli Investimenti e l’intervento della BCE, ndr.

29 commenti su “Varoufakis: “Ecco il mio Piano Merkel”

  1. In che occasione è stato pronunciato questo discorso? Che data porta?

  2. L’ha ribloggato su Appunti Scomodi.

  3. Bravo Varoufakis !
    Ma perchè restare “entro le regole ed i trattati esistenti” ? Se i trattati europei sono sbagliati (e qualsiasi keynesiano lo ammette), vanno denunciati cambiati o disapplicati. Non reinterpretati e raggirati, cercando espedienti per fare ciò che le norme impediscono di fare.

    • perchè modificare un trattato esistente (ad esempio: per istituire degli Eurobond) richiederebbe la riduscussione in ogni stato delle modifiche, con la possibilità che siano bocciate dai parlamenti nazionali o da eventuali referendum o dalle corti costituzionali. Ciò potrebbe destabilizzare l’area monetaria ben più della soluzione ideata da Varoufakis, forse anche più di una Grexit.

      la mia domanda piuttosto è: ci sono state reazioni alla proposta di Varoufakis? che ne potrebbero pensare Draghi e la Merkel? (che in fin dei conti conta il loro parere)

  4. devo dire che questa volta e per la parte che ho letto concordo con il ministro salvo la parte che metto in rilievo…”né con l’ortodossia fiscale, né con lo stimolo keynesiano*. che mi sembra che lui intende questo quando parla di non avere una BC….. in quando penso che anche se si definiscono in generale QE tutte le operazioni fatte dalle grandi banca centrali tuttavia la natura dei QE e stata molto differente fra loro per es: in inghilterra gli stimoli fiscali keynesiani li ha dati la banca centrale che non solo non ha scaricato sui cittadini ma addirittura a “pagato” perfino gli interessi. facendo un lavoro di ripulitura ,che almeno per il momento non si è scaricata sull,economia reale. cosa non fatto in “euro”pa.

  5. E’ sperabile che tale proposta non faccia la fine delle altre. Come questa, che secondo me è la migliore, anche per le garanzie collaterali (in essa vengono esaminate anche varie altre):

    Fondo UE di 1.000 mld garantito dall’oro e da altri asset pubblici nazionali, per mobilitare 3.000 mld da destinare parte per ridurre il debito pubblico (70%) e parte per finanziare gli investimenti (30%):

    “EuroUnionBond per la nuova Europa”
    di Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio
    22 agosto 2011
    http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2011-08-22/eurounionbond-nuova-europa-201300.shtml

  6. Ma questo è un pazzo! In che mani sono finiti i Greci, poveri loro! Spero che vadano presto a prenderlo nella sua casa vista Partenone! Uno che ha i danei, e si vede che ne hanno lui e la moglie, come potrà mai anche solo immaginare di praticare politiche che rompano definitivamente almeno il giogo imposto dagli euronazisti sulle spalle del popolo greco? Figuriamoci politiche socialdemocratiche!. Come si definisce questo qua? “marxista errante”? Costui ha con Marx lo stesso rapporto che io posso avere con la carne, essendo vegetariano.
    L’analisi dell’estrazione di classe dei politici e degli intellettuali deve essere pratica obbligatoria in qualunque commento a scritti e discorsi: Varofuffakis fa parte dell’oligarchia dominante: vuole fare l’alternativo andando in giro senza cravatta, ma è inutile: strutturalmente non può andare contro la classe cui appartiene ed i ceti che lo hanno cooptato ed ai quali (come le famose foto di casa sua dimostrano) fa piacere appartenere

  7. xSAVERIO… che significa ha i danei!! perche, chi ha danei non puo fare una proposta sensata e mi sembra che questa lo sia (peraltro il ministro questa proposta la fa in comunione con altri). poi dici… ” come potrà mai anche solo immaginare di praticare politiche che rompano definitivamente almeno il giogo imposto dagli euronazisti sulle spalle del popolo greco? Figuriamoci politiche socialdemocratiche!.” questa è una critica generica, (certamente non ti propone di fare la rivoluzione di ottobre) ma propone ai governi europei (in modo particolare alla germania) di uscire da questo impasse con una proposta sensata. se poi esiste una elite “euronazista” che non vuol sentire ragioni, almeno cosi viene fuori ancora una volta. e potrebbe essere una ulteriore prova che l,elite al potere in europa manovra contro il buonsenso, e la democrazia e perseguita obbiettivi che vanno oltre la ragionevolezza. in quel caso si potrebbe agire di conseguenza e magari accorciare i tempi.

    • La famiglia di Engels era ricca per dire…. infatti Marx viveva a spese sue

      • Anche quella di Marx era piuttosto benestante. Ma a differenza di Varofuffakis sia Marx che Engels i danei li hanno messi da parte. Invece lui e la moglie la casa vista Partenone se la tengono stretta…

    • Una proposta sensata tiene conto del principio di realtà, ovvero del fatto che mai e poi mai nell’unione europea si potranno anche solo immaginare politiche solidati inter-nazionali. Perdere tempo in queste fantasie è un fatto gravissimo per un politico, specie in una situazione come quella greca in cui morire di fame non è un modo di dire.

  8. ….la prosperità futura dell’Europa dipenderà da quanto sapremo trovare, nella crisi dell’euro, una opportunità per costruire gli Stati Uniti d’Europa. Se saremo meno ambiziosi, credo sia inevitabile una frammentazione – e prima o poi un collasso – della moneta unica (come Nicholas Kaldor aveva pronosticato nel 1971) e la disintegrazione dell’UE, con conseguenze pesantissime per gli europei…
    —–
    Yanis Varoufakis parla come se da lui e dai greci possa venire la soluzione per tutta l’Europa e possano anzi salvarla da conseguenze “pesantissime”, mentre praticamente ovunque lui, Tsipras e Syriza e i greci sono visti con scetticisimo e sospetto quando va bene. Spiace farglielo notare, ma i greci sono visti con disprezzo malcelato e godono di solidarietà zero, anche nella sinistra del sud-europa per non dire quella del nord, per cui i suoi discorsi un poco grandiosi di salvare tutta l’europa dalla disintegrazione, dal nazionalismo, dal fascismo e così suonano patetici. Saranno anche loro magari degli illusi i tedeschi, ma nei sondaggi l’80 o 85% è contento della situazione economica e guardano ai greci come dei pezzenti
    Qui oggi si parla da fonti EU citate su Reuters http://www.reuters.com/article/2015/03/27/us-eurozone-greece-exit-analysis-idUSKBN0MN1WO20150327 del fatto che il governo di Varoufakis sarà costretto ad emettere una valuta parallela all’euro…
    Da settimane la maggioranza dei commenti nella stampa finanziaria sono che liberarsi della Grecia sarebbe un vantaggio per l’eurozona. E lui fa grandi discorsi su colossali investimenti pubblici coordinati in sede UE che neanche gli USA…
    Il problema di Syriza e Varoufakis è che non hanno alcun senso della realtà pratica economica, sono una versione buona e simpatica di Hugo Chavez

    • La sinistra del sud Europa e della Francia non capisce una beneamata, tanto e’ vero che partorisce da decenni solo figure circensi come Zapatero, Hollande o Renzi…l’unica sinistra che conta è quella democratica americana, cui Tsipras si ispira e con la quale, ho l’impressione, si consiglia….probabilmente hai ragione tu, il peso specifico di Varoufakis in europa e’ irrisorio, però e’ l’unico ministro europeo che non dice scemenze in tema economico e fosse solo per questo, andrebbe ascoltato con attenzione…

      • @GIO D mi sa che hai ragione anzi diro di piu (facendo un po di sana dietrologia)penso che il documento stilato dal ministro greco sia il frutto di un confronto, ad alto livello (trattandosi di uno stato)non mi meraviglierei se oltre ai due menzionati fossero stati presente altre personalita di rilievo,e non sarei sorpreso che a questo documento ne seguisse un altro. (premetto che per l,idea che mi sono fatto dell,economia della “carta straccia”la finzione contabile supera di gran lunga la contabilita reale,cioè c,è poco economia reale nella contabilita , sbagliero? chissa)pero una cosa posso dirla con certezza si indica una via alla germania che non solo non si scarica su di essa ,ma si da ad essa la possibilita di prendere per mano il progetto europeo,aumentandone di prestigio (piano merkel). in ultima analisi mi sembra che il documento sia concreto ed essenziale. ora sentito la grecia vediamo cosa ne pensano GERMANIA UE , FMI ed in ultima istanza le opinioni pubbliche (CHE CONTANO ED ORIENTATE PURTROPPO A DESTRA) inglesi ed americane rappresentate da wall street e l,industria pesante americana. vediamo se anchesse concordano che ci sia bisogno di piu europa. certo un po dello shopping cinese puo darsi che gli abbia dato fastidio chissa?

    • Si potrebbe cosiderare patetico anche questo tuo intervento come la proposta che avanzate di fare una finta moneta nella speranza che qualcuno caschi nel trucco.

    • Se l’ Italia avesse perso il 25% del suo pil in piu’ del previsto, intendo del memorandum, vale a dire 400 miliardi sarei curioso come lei avrebbe reagito. Da notare . Il memorandum ha previsto soltanto 5% di recessione aggregata che arrivo’ invece al 29,6%. Lei sa di che cosa stiamo parlando?Lei sa come si chiama questo in parole povere?. Imbroglio.. l’ Italia perse quasi 10%. e trabacola. S a come si traducono questi dati in cifre?. Miliaia di morti per causa della crisi, 28% di disoccupazione invece del 14% prevista, centianaia di senza tetto che ad Atene dormono di notte per le strade ecc
      Hai notato qualche primo ministro europeo focalizzare su tutto questo(si quelli che in questi giorni pianicolano ipocriticamente per morti del disastro aereo) No. qualche media tedesco No. Si vede che i greci come pure gli italiani morti sono figli di un Dio minore.

      Il FMI accetto’ lo sbasglio nel calcolo del multiplicatore Kenesiano.I paraculli europei capeggiati dalla Germania no.
      Questi chiedono di continuare a sempre nella stessa strada.Grazie basta con il “salvataggio” ne siamo stuffi. Tanto il 90% del salvadaggio sin dal 2010 torna. nelle stesse tasche. Non ne ha sentito?
      No si puo’ far’ morire una nazione interra per salvare queta maledetta moneta insalvabile.

  9. Chi decide il peso relativo di questi investimenti? Chi decide quanto si investe in Italia e quanto in germania? E poi rimane sempre il solito problema degli spread, dei debiti pubblici diversi, dell’ inutile rapporto deficit/pil ecc…l’obiettivo deve essere un altro: bce garantisce tutti i debiti pubblici, nel senso che acquista i debiti dei paesi con spread più alto di 50 punti base sia in asta che sul mercato, fin quando tutti gli spread non rientrano in uno scostamento massimo di 50 punti base…in cambio gli stati devono permettere alla commissione europea di definire anno per anno i parametri quantitativi dei bilanci pubblici, che cambieranno ogni altro come è logico che sia, saranno definiti i limiti minimi e massimi di scostamento del deficit primario o dell’ avanzo primario, senza conteggiare gli interessi sul debito…i paesi devono attenersi a questi limiti, ogni anno…in sostanza bisogna smetterla di pensare al bilancio pubblico come ad un bilancio privato, di considerare il debito pubblico come quello privato, di considerare il deficit negativo e il surplus positivo…occorre cambiare le regole, perché queste sono stupide e sbagliate, non cercare di aggirarle…

    • 1. L’art. 21 del suo statuto (mutuato dal trattato UE, art. 123 TFUE/Trattato di Lisbona) vieta alla BCE (al SEBC) l’acquisto diretto (cioè sul mercato primario) di titoli pubblici.

      Fai clic per accedere a c_32620121026it._protocol_4pdf.pdf

      2. 50 punti base, cioè lo 0,5%?

      3. La Commissione lo fa già. Il problema è, da una parte, l’uso politico della formula del deficit strutturale, che sia essa stessa sia la BCE hanno giudicato inaffidabile e prociclica, ma che la Commissione continua bellamente ad utilizzare; e, dall’altra, soprattutto, la tagliola insostenibile del fiscal compact (approvato da tutti i Paesi, tranne due, e inserito da alcuni di essi – tra cui l’Italia – in Costituzione). Stante tale vincolo, inoltre, chi e come fa gli investimenti?

      • 1. Che differenza c’è tra acquistare un titolo in un mercato o in un altro? Ok non compro in asta, solo dopo l’asta, in asta la Grecia vende tutto quello che vuole anche a 1000 di spread, tanto subito dopo l’asta la bce farà scendere lo spread a 50, non è stupido?
        2. Si intendo lo 0.5
        3.non mi sono spiegato, intanto il 3% va buttato nello stesso cesso dove era seduto chi l’ha partorito, si deve decidere ogni anno il deficit massimo e MINIMO di ogni paese, perché le regole devono essere simmetriche…quindi non più 3% di deficit/pil, ma per esempio tra il 3 e il 2, tra il 4 e 5 e così via…e non vanno calcolati gli interessi sul debito.
        Questo porta agli stati uniti d’europa, non altro…occorre cambiare le regole? Quindi? Non capisco il punto, le regole sono come le tavole di Mosè in europa? Tra l’altro mi sembra che le regole si rispettano a giorni alterni, o anche a decenni alterni, come la Francia che non rispetta mai il limite sul deficit…

  10. […] marzo Yanis Varoufakis, ministro delle finanze in Grecia, si è recato al Forum Ambrosetti, dove ha tenuto questo discorso, tradotto dal sito Keynes Blog. Il ministro, dopo un breve excursus storico sui problemi storici dell’unione monetaria […]

  11. Ciao Sto cercando persone con idee gravi o che hanno già iniziato un progetto privo di finanziamenti e le persone che hanno bisogno di credito di emergenza per risolvere una determinata situazione. A priori, io sono grande investitore o un imprenditore. Io sono ingegnere giovane ma altamente motivati per raggiungere la mia esperienza su progetti di terra. Sto cercando persone che hanno una certa conoscenza fare e fiducia nei loro progetti… Il settore non importa molto in anticipo. Per tutti i contatti, Per favore entrare direttamente in contatto con me rispondendo solo per questa lettera per ringraziarvi per la ricezione e presa la briga di leggere correttamente. utilizzando questo indirizzo di posta elettronica che è il mio principale : cappelarot@gmail.com

  12. Tutto perfetto, se la Merkel vuole salvare l’integrazione europea, purtroppo non è questa la volontà della Merkel, vuole costruire un impero tedesco.
    La soluzione proposta nell’articolo, riprende proposte già fatte nel passato, ci hanno impedito di potere fare gli investimenti al di fuori delle regole del 3%.

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